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venerdì 30 giugno 2017

Due estremi: la croce e un bicchiere d'acqua fresca:
 Una vita si perde, donandola


13a domenica del Tempo ordinario (A)
2Re 4,8-11.14-16a • Salmo 88 • Romani 6,3-4.8-11 • Matteo 10,37-42
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me non è degno di me
Ma allora chi potrà mai essere degno di te, Signore? Queste sono le persone più care, indispensabili a vivere, a diventare adulti. E la tua pretesa, altissima, che cosa vuole di me?
Il Signore non instaura una competizione nel cuore, una gara di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi o profeti dal cuore in fiamme. E tuttavia anche già per unirsi a colei che ama l'uomo lascerà il padre e la madre! Perché il mondo non coincide con il cerchio della famiglia. Né la buona novella, né la croce, non la vita eterna e neppure una storia di giustizia e di pace e di solidarietà, si spiegano o si costruiscono interessandosi solo della propria famiglia. Bisogna saper accogliere altri nel cerchio del sangue, accogliere genera vita e futuro, spezza l'eterna ripetizione di ciò che è già stato.
E risuona l'eco delle parole di Gesù dodicenne: "Non sapevate che devo interessarmi delle cose del Padre mio?".

Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà…
Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde come si perde un tesoro, donandola. Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. Come ha fatto Lui, che ha perduto la sua vita per la causa dell'uomo e l'ha ritrovata.

Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca…
A noi, spaventati dall'impegno di dare la vita e di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca non perderà il premio. La croce e un bicchiere d'acqua, il dare tutta la vita e il dare quasi niente, sono i due estremi di uno stesso movimento. Un gesto che anche l'ultimo degli uomini può compiere; però un gesto vivo, significato da quell'aggettivo così evangelico: fresca. Acqua fresca deve essere, vale a dire procurata con cura, l'acqua migliore che hai, quasi un'acqua affettuosa...

Dare la vita, dare un bicchiere d'acqua fresca: stupenda pedagogia di Cristo. Non c'è nulla di troppo piccolo per il Vangelo, perché nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel cielo. Perché l'uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore. E tutto il Vangelo può essere in un bicchiere d'acqua fresca.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi accoglie voi accoglie me (Mt 10,40)
(vai al testo…)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Enzo Bianchi

venerdì 23 giugno 2017

Non abbiate paura… Voi valete di più!


12a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,10-13 • Salmo 68 • Romani 5,12-15 • Matteo 10,26-33
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Appunti per l'omelia

Non abbiate paura…
Non abbiate paura degli uomini… Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima… Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Io valgo per Dio! Lui per me fa ciò che nessuno ha fatto, ciò che nessuno farà: conta persino tutti i capelli in capo e mi prepara un nido nelle sue mani. Egli ha cura di te, di me, di ogni fibra del corpo, di ogni cellula del cuore: innamorato di ogni dettaglio.

Nemmeno un passero cadrà a terra senza il volere del Padre vostro
Eppure i passeri continuano a cadere, gli innocenti a morire, i bambini ad essere venduti… Perché?
Ma il Vangelo letteralmente dice che nulla accade senza il Padre. Assicura che neppure un passero cadrà a terra senza che Dio ne sia coinvolto, che nessuno cadrà fuori dalle mani di Dio, lontano dalla sua presenza. Dio sarà lì.
Non certo come dive il proverbio: non si muove foglia che Dio non voglia. Molte cose, infatti, troppe accadono nel mondo contro il volere di Dio. Ogni odio, ogni guerra, ogni violenza accade contro la volontà del Padre, e tuttavia nulla avviene senza che Dio ne sia coinvolto, nessuno muore senza che Lui non ne patisca l'agonia, nessuno è rifiutato senza che non lo sia anche lui, nessuno è crocifisso senza che Cristo non sia ancora crocifisso.

Quello che ascoltate all'orecchio voi annunciatelo sulle terrazze
Annunciatelo sul posto di lavoro, nella scuola, negli incontri di ogni giorno annunciate che Dio si prende cura di ognuno dei suoi figli, che nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel cuore di Dio.
Dobbiamo temere piuttosto chi ha il potere di far perire l'anima. L'anima è vulnerabile, l'anima è una fiamma che può languire: muore di superficialità, di indifferenza, di disamore, di ipocrisia. Muore quando ti lasci corrompere, quando disanimi gli altri e togli loro coraggio, quando lavori a demolire, a calunniare, a deridere gli ideali, a diffondere la paura.

Per tre volte Gesù ci rassicura: Non abbiate paura! Voi valete!
Sì, per Dio io valgo. Valgo di più, di più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di più di quanto osavo sperare. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non abbiate paura (Mt 10,31)
(vai al testo…)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Enzo Bianchi

mercoledì 21 giugno 2017

Dio ama chi dona con gioia


21 giugno – San Luigi Gonzaga

Ricordando il santo di oggi, San Luigi Gonzaga (di cui porto il nome), la liturgia odierna (mercoledì della 11a settimana del T.O., a.d.) propone il brano di 2Cor 9,6-11.
"Dio ama chi dona con gioia!".
"Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza, né per forza".
San Luigi ha dato la sua vita "con gioia"! Ha lasciato, "non con tristezza, né per forza", ma liberamente, tutti i suoi beni, l'eredità, gli agi e le ambizioni di corte, rinunciando al principato in favore del fratello…
San Luigi è per me un esempio fermo di generosità nel mio servizio diaconale ai poveri e agli ultimi, nel segno di una gratuità cha ha la sua radice nel Cuore di Dio.
E chiedo al mio santo protettore di aiutarmi a rendere il mio cuore sempre gioiosamente aperto a quanti il Signore mette quotidianamente sulla mia strada, per poter "moltiplicare e far crescere i frutti della giustizia", in un perenne "inno di ringraziamento a Dio".
… nella gioia di poter dire ogni giorno il mio «Sì»!

(Immagine: "S. Luigi Gonzaga" - particolare, sec. XIX, olio su tela, G. Caliari, chiesa parrocchiale di Palazzolo di Sona (VR)

Altri post "San Luigi Gonzaga"…

venerdì 16 giugno 2017

Il Pane che ci fa "uno" con Dio


Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (A)
Deuteronomio 8,2-3.14b-16a • Salmo 147 • 1 Corinzi 10,16-17 - Giovanni 6,51-58
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Appunti per l'omelia

Io sono il pane vivo disceso dal cielo
Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il simbolo del pane. Il pane è una realtà santa perché fa vivere, e che l'uomo viva è la prima legge di Dio e nostra.
Il pane mostra come la vita dell'uomo è indissolubilmente legata ad un po' di materia, dipende sempre da un poco di pane, di acqua, di aria, cose semplici che confinano con il mistero e il sublime.
Le cose semplici sono le più divine: questo è proprio il genio del cristianesimo. In esso Dio e uomo non si oppongono più, materia e spirito si abbracciano e sconfinano l'uno nell'altro. È come se il movimento dell'incarnazione continuasse ogni giorno. Non dobbiamo disprezzare mai la terra, la materialità, perché in esse scende una vocazione divina: assicurare la vita, il dono più prezioso di Dio.

Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…
Una parola scorre sotto tutte le parole di Gesù nel Vangelo di oggi, e forma la nervatura del suo discorso: la parola «vita». Che hai a che fare con me, o Pane di Cristo? La risposta è una pretesa perfino eccessiva, perfino sconcertante, e tanto semplice: «ti faccio vivere».
Gesù è nella vita datore di vita, come lo è il pane. Il convincimento assoluto di Gesù è quello di poter offrire qualcosa che noi prima non avevamo: un incremento, una intensificazione di vita per tutti coloro che fanno di lui il loro pane quotidiano. Cristo diventa mio pane quando prendo la sua vita come misura, energia, lievito della mia umanità. Mangiare e bere la vita di Cristo è un evento che non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma che si moltiplica dentro il vivere quotidiano. Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con tenerezza di me stesso, degli altri e del creato. Quando cerco di fare mio il segreto di Cristo, allora trovo il segreto della vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui
La parola determinante: io in lui, lui in me. Questa è tutta la ricchezza del mistero: Cristo in noi! La ricchezza del mistero della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui. Evento d'Incarnazione che continua: il Verbo di Dio che ha preso carne nel grembo di Maria, continua ostinato e infaticabile a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo, incinti di luce.
Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, un'unica vocazione: diventare, nella vita, pezzo di pane buono per le persone che amo.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono il pane vivo (Gv 6,51)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6,51) - (22/06/2014)
(vai al testo…)
 Benché molti, siamo un corpo solo, poiché partecipiamo all'unico pane (1Cor 10,17) - (26/06/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Quel Cibo che ci dà la Vita (20/06/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 5.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione da La Domenica, 07/06/2015)


mercoledì 14 giugno 2017

Spiritualità di comunione


Leggo dal Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, al n. 46: «L'Ordine sacro conferisce al diacono, mediante gli specifici doni sacramentali, una speciale partecipazione alla consacrazione e missione di Colui che si è fatto servo del Padre nella redenzione dell'uomo e lo inserisce, in modo nuovo e specifico, nel mistero di Cristo, della Chiesa e della salvezza di tutti gli uomini. Per questo motivo, la vita spirituale del diacono deve approfondire e sviluppare questa triplice relazione, nella linea di una spiritualità comunitaria in cui si tenda a testimoniare la natura comunionale della Chiesa».

Una spiritualità di comunione, quindi. Una spiritualità personale e comunitaria allo stesso tempo, in cui si coglie nel profondo che l'esercizio della carità, nel servizio a cui si è chiamati, deve portare necessariamente all'unità; perché anche dare le nostre sostanze ai poveri, senza la carità (che è la comunione trinitaria che ci è partecipata in dono) non mi gioverebbe a nulla e saremmo come bronzi risuonanti, come ammonisce san Paolo (cf 1Cor 13,1 ss).

Lo ha ribadito anche il papa Giovanni Paolo II nel suo discorso ad un gruppo di Vescovi amici del Movimento dei Focolari, il 16 febbraio 1995, dove ha detto, tra l'altro: «Una spiritualità comunitaria o collettiva… La Chiesa, icona della Santissima Trinità, è mistero di comunione e sacramento di unità (cf LG, 1). La comunione tra i suoi membri è il primario e principale segno che essa offre perché il mondo possa credere in Cristo (cf Gv 17, 21). Essere uno in Cristo è, per così dire, la prima e permanente forma di evangelizzazione attuata dalla Comunità cristiana.
Il nostro tempo esige una nuova evangelizzazione. Richiede quindi con particolare intensità ed urgenza di rispondere a questa originaria vocazione personale ed ecclesiale: formare, in Cristo, "un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32). Un rinnovato annuncio del Vangelo non può essere coerente ed efficace, se non è accompagnato da una robusta spiritualità di comunione, coltivata nella preghiera, nell'impegno ascetico e nel tessuto delle relazioni quotidiane».

E nel Direttorio si legge pure, al n. 55: «Il diacono ricordi che la diaconia della carità conduce necessariamente a promuovere la comunione all'interno della Chiesa particolare. La carità è, infatti, l'anima della comunione ecclesiale».

(Quadro di Gabriele Marsili: Cielo e terra)

lunedì 12 giugno 2017

Comunità che siano sempre più famiglia


Papa Francesco, all'Angelus della domenica della Santissima Trinità del 31 maggio del 2015, ha detto, tra l'altro: «Ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell'amore di Dio che abita in noi».

Chiara Amirante (fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti) ci ha provato…

«Volevo essere una risposta di amore al Suo amore pazzesco donatoci sulla Croce. Quando ho iniziato a percorrere i "deserti" della nostra splendida Roma e ad entrare in punta di piedi nelle dolorosissime storie del popolo della notte, non immaginavo davvero di incontrare un popolo così sterminato di disperati, di persone sole, di emarginati, di mendicanti di amore, sfregiati nella profondità del cuore dall'indifferenza, dall'abbandono, dalla violenza, vittime dei terribili tentacoli di piovre infernali.
Quanti fratelli disperati con le lacrime agli occhi mi hanno abbracciato chiedendomi: "Ti prego, Chiara, portami via da questo inferno!". Mi sentivo troppo piccola, fragile, impotente dinanzi al grido lancinante del popolo della notte … Poi un raggio di luce, una certezza: l'Amore è più forte, l'amore vince. L'Amore fa miracoli perché Dio è Amore!
Mi è venuta così l'idea di una comunità di accoglienza dove proporre un cammino di conoscenza di sé, di guarigione del cuore e di rigenerazione psico-spirituale. La risposta dei ragazzi accolti è stata fin dal primo momento davvero sorprendente ed entusiasmante».

In breve tempo la comunità si trasforma in una vera e propria "fabbrica dell'amore", un colosso della solidarietà e dell'accoglienza. Infatti, gli stessi ragazzi accolti, dopo un periodo trascorso in Comunità, sentono l'urgenza di impegnarsi in azioni di solidarietà verso chi è in grave difficoltà.
Chiara, nella Pasqua del 2006, lancia una nuova proposta: i Cavalieri della Luce. In pochi anni più di 500.000 persone aderiscono a questo impegno: provare a vivere il Vangelo alla lettera per rinnovare il mondo con la rivoluzione dell'Amore!

domenica 11 giugno 2017

Confidare in Dio… Sentirsi guardati e amati da Lui


Domenica della Santissima Trinità

«[…] Pur sapendo che Dio è Amore, spesso viviamo come fossimo soli su questa terra, come se non esistesse un Padre che ci ama e ci segue; che conosce tutto di noi – conta persino i capelli del nostro capo! -; che tutto fa concorrere al nostro bene: ciò che di buono facciamo e le prove che passiamo. Dovremmo poter ripetere come nostre le parole dell'evangelista Giovanni: …e noi abbiamo creduto all'amore. Credere, infatti, è sentirsi guardati e amati da Dio, è sapere che ogni nostra preghiera, ogni parola, ogni mossa, ogni avvenimento triste o gioioso o indifferente, ogni malattia, tutto, tutto, tutto, dalle cose che noi diciamo importanti alle minime azioni o pensieri o sentimenti, tutto è guardato da Dio. E se Dio è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza. Possiamo avere allora quella confidenza che porta a parlare spesso con lui, a esporgli le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti. Ognuno di noi può abbandonarsi al suo amore, sicuro di essere compreso, confortato, aiutato. […]
Se crediamo, e crediamo in un Dio che ci ama, ogni impossibilità può infrangersi. Possiamo credere che si sradicheranno l'indifferenza e l'egoismo che spesso ci circondano e che albergano anche nel nostro cuore; che si risolveranno situazioni di disunità in famiglia; che il nostro mondo si avvierà verso l'unità fra le generazioni, fra le categorie sociali, fra i cristiani divisi da secoli; che sboccerà la fraternità universale fra i fedeli di religioni diverse, tra le razze e tra i popoli… Possiamo credere anche che questa nostra umanità arriverà a vivere in pace. Sì, tutto è possibile, se permettiamo a Dio di agire; a lui, l'Onnipotente, niente è impossibile. […]
"Signore, fammi rimanere nel tuo amore. Fa' che mai un attimo io viva senza che senta, che avverta, che sappia per fede, o anche per esperienza, che tu mi ami, che tu ci ami".
… Amando, la nostra fede diventerà adamantina, saldissima. Non soltanto crederemo all'amore di Dio, ma lo sentiremo in maniera tangibile nel nostro animo, e vedremo compiersi miracoli attorno a noi. […]».

Chiara Lubich

(Fonte: Città Nuova, n. 18/2004)

Vedi anche: Il Cielo dentro di noi!


venerdì 9 giugno 2017

E noi abbiamo creduto all'amore



Santissima Trinità (A)
Esodo 34,4-6.8-9 • Salmo Dn 3,52-56 • 2 Corinzi 13,11-13 - Giovanni 3,16-18
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio…
La Trinità: un dogma che può sembrare lontano e non toccare la vita. Invece è rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla vita, sulla morte, sull'amore. E mi dice: in principio a tutto c'è la relazione!
Un solo Dio in tre persone: Dio non è in se stesso solitudine ma comunione, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore, reciprocità, scambio, incontro, famiglia, festa.
Quando nell'«in principio» Dio dice: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza», l'immagine di cui parla non è quella del Creatore, non quella dello Spirito, né quella del Verbo eterno di Dio, ma è tutte queste cose insieme. L'uomo è creato a immagine della Trinità. E la relazione è il cuore dell'essenza di Dio e dell'uomo. Ecco perché la solitudine ci pesa e ci fa paura, perché è contro la nostra natura. Ecco perché quando amo o trovo amicizia sto così bene, perché è secondo la mia vocazione.

In principio a tutto sta un legame d'amore, che il Vangelo annuncia: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio». Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo concreto, pratico, forte: il verbo dare. Amare equivale a dare, il verbo delle mani che offrono. «Dio ha tanto amato», centro del Vangelo di Giovanni, che ha la definizione più folgorante di Dio: Dio è amore; che vuole portarci a confessare: noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi!

Se mi domandano: tu cristiano a che cosa credi? La risposta spontanea è: credo in Dio Padre, in Gesù crocifisso e risorto, la Chiesa... Giovanni indica una risposta diversa: il cristiano crede all'amore.
Noi abbiamo creduto all'amore: ogni uomo, ogni donna, anche il non credente può credere all'amore. Può fidarsi e affidarsi all'amore come sapienza del vivere. Se non c'è amore, nessuna cattedra può dire Dio, nessun pulpito. È lo stesso amore interno alla Trinità che da lì si espande, ci raggiunge, ci abbraccia e poi dilaga.

Dio ha mandato il Figlio nel mondo… perché sia salvato per mezzo di lui
Dio ha tanto amato il mondo. Non solo l'uomo, è il mondo che è amato, la terra e gli animali e le piante e la creazione intera. E se Lui ha amato, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza.

La festa della Trinità è specchio del mio cuore profondo e del senso ultimo dell'universo. Incamminato verso un Padre che è la fonte della vita, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le mie solitudini, io mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero. Piccolo ma abbracciato, come un bambino. Abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16) - (15/06/2014)
(vai al testo…)
 Dio ha tanto amato il mondo (Gv 3,16) - (19/06/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Nell'abbraccio di Dio, la nostra vita (13/06/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 4.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

mercoledì 7 giugno 2017

Costituito nella Chiesa icona vivente di Cristo servo


È sempre opportuno mettere a fuoco la propria vocazione per alimentare quella spiritualità del servizio a cui siamo chiamati. A questo proposito ho riletto quanto è scritto nelle Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti riguardo la spiritualità diaconale (n.11).

«Dall'identità teologica del diacono, scaturiscono con chiarezza i lineamenti della sua specifica spiritualità, che si presenta essenzialmente come spiritualità del servizio.
Il modello per eccellenza è il Cristo servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini. Egli si è riconosciuto annunciato nel servo del primo carme del Libro di Isaia (cf Lc 4,18-19), ha qualificato espressamente la sua azione come diaconia (cf Mt 20,28; Lc 22,27; Gv 13,1-17; Fil 2,7-8; 1Pt 2,21-25) ed ha raccomandato ai suoi discepoli di fare altrettanto (cf Gv 13,34-35; Lc 12,37).
La spiritualità del servizio è una spiritualità di tutta la Chiesa, in quanto tutta la Chiesa, ad immagine di Maria, è la «serva del Signore» (Lc 1,38), a servizio della salvezza del mondo. Proprio perché tutta la Chiesa possa meglio vivere questa spiritualità di servizio, il Signore le dona un segno vivente e personale del suo stesso essere servo. Perciò, in modo specifico, essa è la spiritualità del diacono. Egli, infatti, con la sacra ordinazione, è costituito nella Chiesa icona vivente di Cristo servo. Il Leitmotiv della sua vita spirituale sarà dunque il servizio; la sua santità consisterà nel farsi servitore generoso e fedele di Dio e degli uomini, specie dei più poveri e sofferenti; il suo impegno ascetico sarà volto ad acquisire quelle virtù che sono richieste dall'esercizio del suo ministero».

Rimandi biblici:


Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).

Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,28).

Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve (Lc 22,27).

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica (Gv 13,1-17).

Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2,7-8).

A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime (1Pt 2,21-25).

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13,34-35).

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli (Lc 12,37).

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).



venerdì 2 giugno 2017

Lo Spirito Santo, il respiro di Dio


Pentecoste (A)
Atti 2,1-11 • Salmo 103 • 1 Corinzi 12,3b-7.12-13 • Giovanni 20,19-23
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Mentre erano chiuse le porte del luogo per paura dei Giudei...
Le porte chiuse per paura! Accade sempre così quando si agisce seguendo le proprie paure: la vita si chiude. La paura è la paralisi della vita. I discepoli hanno paura anche di se stessi, di come lo hanno rinnegato. E tuttavia Gesù viene.
Siamo di fronte a una comunità dalle porte e finestre sbarrate, dove manca l'aria e si respira dolore; una comunità che si sta ammalando. E tuttavia Gesù viene.
Papa Francesco continua a ripetere che una chiesa chiusa, ripiegata su se stessa, che non si apre, è una chiesa malata. Eppure Gesù viene.
Viene in mezzo ai suoi, prende contatto con le nostre paure, con i nostri limiti, senza temerli.

Mostrò loro le mani e il fianco… «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»
I discepoli gioiscono al vedere il Signore e Gesù dice loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
L'abbandonato ritorna e sceglie proprio coloro che lo avevano abbandonato e li manda. Gesù avvia processi di vita, non accuse; gestisce la fragilità e la fatica dei suoi con un metodo umanissimo: quello del primo passo. Anche per noi: in qualsiasi situazione, anche in quella più perduta, un primo passo è possibile sempre, per tutti, un passo nella direzione giusta. Noi non saremo giudicati se avremo raggiunto l'ideale, ma se avremo camminato nella buona direzione, senza arrenderci, con cadute e infinite riprese, con gli occhi fissi ad una stella polare.

Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo…
Soffiò... Lo Spirito è il respiro di Dio. In quella stanza chiusa, in quella situazione che era senza respiro, ora respira il respiro di Cristo, quel principio vitale e luminoso che faceva unico il suo modo di amare e spalancava orizzonti nuovi; che spingeva Gesù a fare dei poveri i principi del suo Regno.

A coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati…
A coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati. Il perdono dei peccati non è una missione riservata ai preti, è un impegno affidato a tutti i credenti che hanno ricevuto lo Spirito, donne e uomini, piccoli e grandi. Il perdono non è un sentimento, ma una decisione: è piantare attorno a noi oasi di riconciliazione, è aprire porte, riannodare fiducia nelle persone, lavorare per la pace.

Allora venga lo Spirito, riporti l'innocenza e la fiducia nella vita, soffi via le ceneri delle nostre paure, consolidi in ciascuno di noi l'aspirazione alla pace, alla gioia, alla vita, all'amore.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20,22)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20,22) - (08/06/2014)
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 Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20,22) - (12/06/2011)
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Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Molti un sol corpo (06/06/2014)

Altri post Appunti per l'omelia :
  Lo Spirito… rimane, insegna, ricorda (13/05/2016 - Pentecoste Anno C)
  Lo Spirito che dà vita alla Parola (23/05/2015 - Pentecoste Anno B)
  Lo Spirito, forza di trasformazione radicale (17/05/2013 - Pentecoste Anno C)
  L'inestimabile dono (25/05/2012 - Pentecoste Anno B)

Altri post sulla solennità di Pentecoste:
  Pentecoste: lo Spirito e l'amore per Gesù (15/05/2016)
  Lo Spirito Santo e i Carismi (24/05/2015)
  Dio è amore! (23/05/2010)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 4.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 5.2014)
  di Marinella Perroni (VP 5.2011)
  di Enzo Bianchi


giovedì 1 giugno 2017

La nostra meravigliosa avventura


Parola di vita – Giugno 2017
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21).

Nei giorni successivi alla crocifissione di Gesù, i suoi discepoli si sono chiusi in casa, spaventati e disorientati. Essi lo avevano seguito sulle vie della Palestina, mentre annunciava a tutti che Dio è Padre ed ama teneramente ogni persona!
Gesù era stato mandato dal Padre non solo per testimoniare con la vita questa grande novità, ma anche per aprire all'umanità la strada per incontrare Dio; un Dio che è Trinità, comunità d'amore in se stesso e vuole accogliere in questo abbraccio le sue creature.
Durante la sua missione, tanti hanno visto, udito e sperimentato la bontà e gli effetti dei suoi gesti e delle sue parole di accoglienza, perdono, speranza… Poi, ecco la condanna e la crocifissione.
È in questo contesto che il vangelo di Giovanni ci racconta come Gesù, risorto il terzo giorno, appare ai suoi e li invia a proseguire la sua missione:

«Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».

Come se dicesse loro: "Ricordate come ho condiviso con voi la mia vita? Come ho saziato la vostra fame e sete di giustizia e di pace? Come ho sanato i cuori e i corpi di tanti emarginati e scartati della società? Come ho difeso la dignità dei poveri, delle vedove, degli stranieri? Continuate ora voi: annunciate a tutti il Vangelo che avete ricevuto, annunciate che Dio desidera farsi incontrare da tutti e che voi siete tutti fratelli e sorelle".
Ogni persona, creata ad immagine di Dio Amore, ha già in cuore il desiderio dell'incontro; tutte le culture e tutte le società tendono a costruire relazioni di convivenza. Ma quanta fatica, quante contraddizioni, quante difficoltà per raggiungere questa meta! Questa profonda aspirazione si scontra ogni giorno con le nostre fragilità, le nostre chiusure e paure, le diffidenze e i giudizi reciproci.
Eppure il Signore, con fiducia, continua oggi a rivolgere lo stesso invito: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».

Come vivere questo mese un invito così audace? La missione di suscitare la fraternità in una umanità spesso lacerata non è una battaglia persa prima ancora di cominciare?
Da soli non potremmo mai farcela ed è per questo che Gesù ci ha dato un dono specialissimo, lo Spirito Santo, che ci sostiene nell'impegno ad amare ogni persona, fosse anche un nemico.
«Lo Spirito Santo, che viene donato nel Battesimo […], essendo spirito di amore e di unità, faceva di tutti i credenti una cosa sola con il Risorto e tra di loro superando tutte le differenze di razza, di cultura e di classe sociale […]. È con il nostro egoismo che si costruiscono le barriere con cui ci isoliamo ed escludiamo chi è diverso da noi. […] Cercheremo dunque, ascoltando la voce dello Spirito Santo, di crescere in questa comunione […] superando i germi di divisione che portiamo dentro di noi» [1].
Con l'aiuto dello Spirito Santo, ricordiamo e viviamo anche noi, questo mese, le parole dell'amore in ogni piccola o grande occasione di rapporto con gli altri: accogliere, ascoltare, compatire, dialogare, incoraggiare, includere, prendersi cura, perdonare, valorizzare…: vivremo così l'invito di Gesù a continuare la sua missione e saremo canali di quella vita che Lui ci ha donato.
È quanto ha sperimentato un gruppo di monaci buddisti, durante un soggiorno nella cittadella internazionale di Loppiano, in Italia, dove i suoi 800 abitanti cercano di vivere con fedeltà il Vangelo. Essi sono stati profondamente toccati dall'amore evangelico, che non conoscevano. Uno di loro racconta: «Mettevo le mie scarpe sporche fuori della porta: al mattino le trovavo pulite. Mettevo il mio vestito sporco fuori della porta: al mattino lo trovavo pulito e stirato. Sapevano che avevo freddo, perché sono del Sud-Est asiatico: alzavano il riscaldamento e mi davano coperte… Un giorno ho chiesto: "Perché fate questo?"; "Perché ti amiamo, perché ti vogliamo bene" è stata la risposta» [2].
Questa esperienza ha aperto la strada per un vero dialogo fra buddisti e cristiani.


Letizia Magri

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[1] Chiara Lubich, Parola di vita/gennaio 1994 – Un cuor solo e un'anima sola, in Città Nuova, XXXVII, [1993/24], pg. 34).
[2] Cf. C. Lubich, La mia esperienza nel campo interreligioso: punti della spiritualità aperti alle religioni, Aachen(Germania), 13 novembre 1998, pg. 3.

Fonte: Città Nuova n. 5/Maggio 2017