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venerdì 25 agosto 2017

La domanda che conta: Chi sono io per te?


21a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 22,19-23 • Salmo 137 • Romani 11,33-36 • Matteo 16,13-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù domandò: La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?
Gesù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi amici. Le domande di Gesù nel Vangelo hanno davvero una funzione importantissima, non sono interrogazioni di catechismo, ma scintille che accendono qualcosa, mettono in moto trasformazioni e crescite. Nella vita, più che le risposte, contano le domande, perché le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece, ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare.

Ma voi, chi dite che io sia?
La domanda è preceduta da un «ma»: Ma voi... come se i Dodici, e con loro i cristiani tutti, fossero diversi, non appiattiti sul pensiero dominante, gente che non parla mai per sentito dire. Non c'è una risposta già scritta da qualche parte, con un contenuto da apprendere e da ripetere. Le domande di Gesù assomigliano semmai di più alle domande che si fanno gli innamorati: chi sono io per te? E l'altro risponde: Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore, la mia vita. Voi, miei amici, che io ho scelto uno per uno, chi sono per voi? Ciò che Gesù vuole sapere dai discepoli di sempre è se sono innamorati, se gli hanno aperto il cuore. Cristo è vivo solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere culla o tomba di Dio.

Gesù non mi chiede: cosa hai imparato da me? Qual è il riassunto del mio insegnamento? Ma: Io chi sono per te? Cosa porto io a te, cosa immetto nella tua vita? E non c'è risposta nelle parole d'altri! Non servono libri o catechismi, studi o letture. Chi sei per me Gesù? Per me tu sei vita!
E il nome della vita è gioia libertà e pienezza. Forza, coraggio e capacità di risorgere dalle cadute. Vita che non finisce mai, eternità!
Più Dio in me, più io sono. E mi accorgo che Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che di Lui brucia in me, perché la verità non è una formula, ma ciò che arde dentro, scalda il cuore e muove la vita.

Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente
Tu sei…
Il Cristo... non un nome proprio, ma un attributo che indica l'origine e il compito di Gesù e rimanda subito oltre lui: sei la mano di Dio nella storia.
Il Figlio di Dio... tu sei entrato in Dio pienamente e Dio è entrato in te totalmente. E ora tu fai le cose che solo Dio fa'. La tua mano è la Sua che accarezza il mondo.
Del Dio vivente... Colui che fa viva la vita, il miracolo che la fa fiorire. Il Vivente è grembo gravido di vita, fontana da cui la vita sgorga inesauribile e illimitata.

Beato sei tu Simone… Tu sei Pietro… Su questa pietra edificherò…
Tu sei roccia e su questa roccia fonderò la mia chiesa... A te darò le chiavi del regno…
Pietro è roccia per la Chiesa e per l'umanità nella misura in cui trasmette che Dio è amore, che la sua casa è ogni uomo.
Pietro è chiave nella misura in cui apre porte e strade che ci portino gli uni verso gli altri e insieme verso Dio.

A te darò le chiavi… Ciò che legherai sulla terra…
Non solo Pietro… Ma chiunque professi la sua fede ottiene questo potere. Il potere di perdonare i peccati non è il potere giuridico dell'assoluzione (non è nello stile di Gesù sostituire vecchi codici con nuovi regolamenti). È invece il potere di diventare una presenza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide e impure e alterate dell'uomo. Compiendo il cammino dalla nostra povertà originaria verso una divina pienezza, per essere immagine e somiglianza di Dio, "figli di Dio".
Interiorizzare Dio e fare le cose di Dio: questa è la salvezza.

Gesù dice a ogni discepolo: terra e cielo si abbracciano in te, nessuna tua azione resta senza eco nel cielo. Il mio istante si apre sull'eterno e l'eterno penetra nel mio istante.
Tutti possiamo essere roccia che trasmette solidità, forza e coraggio a chi ha paura.
Tutti siamo chiave che apre le porte belle di Dio, che può socchiudere le porte della vita in pienezza.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (24/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (21/08/2011)
(vai al testo…)
 Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15) - (22/08/2008)
(vai al post "Risposta di fede")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Il compito affidato a Pietro (22/08/2014)

Ed anche il post: La gente chi dice che io sia? (21/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 18 agosto 2017

La grande fede della donna cananèa che "cambia" Gesù


20a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 56,1.6-7 • Salmo 66 • Romani 11,13-15.29-32 • Matteo 15,21-28
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e Sidone… E una donna cananèa veniva da quella regione...
Gesù era uomo di incontri e in ogni incontro accendeva il cuore dell'altro e lui stesso ne usciva trasformato, come in questo incontro. Una donna di un altro paese e di un'altra religione, in un certo senso, "converte" Gesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa sconfinare da Israele, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d'Israele, di Tiro e Sidone, o di Gaza: la fame è uguale, il dolore è lo stesso, identico l'amore delle madri.

Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio
Ma Gesù non le rivolse neppure una parola… Non sono stato mandato che alle pecore sperdute di Israele… La posizione di Gesù è molto netta e brusca: io sono stato mandato solo per quelli della mia nazione, per la mia gente.

Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini…
Nella mentalità comune dei giudei i pagani erano considerati cani. E poi la risposta geniale della madre cananèa: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Che è come dire: Tu non sei venuto solo per quelli di Israele, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.
Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e figli da saziare, anche quelli che pregano un altro Dio.

Donna, grande è la tua fede!
Questa donna non frequenta la sinagoga, invoca altri dèi, ma per Gesù è donna di grande fede. Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo sentono pulsare all'unisono con il loro cuore di madre. La grande fede della donna sta in una convinzione profonda, che la incalza: Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli che non alla fede che professano. Perché il diritto supremo davanti a Dio è dato dalla sofferenza e dal bisogno, non dalla razza o dalla religione. E questo diritto appartiene a tutti i figli di Dio, che sono tutti uguali, giudei e fenici, credenti e pagani, sotto il cielo di Tiro o sotto quello di Nazaret.

Avvenga per te come desideri!
Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate... La tua fede è come un grembo che partorisce il miracolo: avvenga come tu desideri. Matura, in questo racconto, un sogno di mondo da far nostro: la terra come un'unica grande casa, una tavola ricca di pane, e intorno tanti figli. Una casa dove nessuno è disprezzato, nessuno ha più fame; dove non ci sono noi e gli altri, uomini e no, ma solo figli e fame da saziare. Dove ognuno, come Gesù, impara da ognuno. Sogno che abita Dio e ogni cuore buono.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Pietà di me, Signore, figlio di Davide (Mt 15,22)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28) - (17/08/2014)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  L'appartenenza a Cristo si fonda unicamente sulla fede (16/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

lunedì 14 agosto 2017

La vittoria definitiva sul "drago" delle nostre paure di morte


Assunzione della B.V. Maria
Apocalisse 11,19;12,1-6.10 • Sal 44 • 1Corinzi 15,20-26 • Luca 1,39-56
(Visualizza i brani delle Letture)
(Vedi anche i brani delle Letture della Messa vespertina nella vigilia)

Appunti per l'omelia

Un segno grandioso apparve nel cielo… Una donna gridava per le doglie del parto…
Gli elementi cosmici che adornano la donna dell'Apocalisse fanno pensare che non si tratti solo di una figura singola, ma anche di un simbolo collettivo. La donna sta per partorire. È generatrice di vita. Richiama quell'esperienza immediata per la quale tutti noi esistiamo. Qualcuno ci ha dato la vita, attraverso un processo, il parto, a volte molto travagliato. Infatti la donna grida. Ma il suo non è solo un dramma personale e fisico.

Apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso…
A quest'arca di vita, segno fecondo della forza di Dio che scorre nel cosmo, si oppone un altro essere a noi ben noto fin dalle prime fantasie di bambini: il drago. Non c'è nulla che contrasti e rinneghi la bellezza della vita nascente e il senso di speranza che un neonato comunica quanto un drago mostruoso per numero di teste e corna. Anche qui la descrizione che ne fa Giovanni è simbolica di una forza maligna non individuabile con un singolo attore storico, ma piuttosto con il satanico in sé. Il senso del male è rinnegare la vita. Non per nulla, il drago pronto a divorare il bambino trascina con sé un terzo delle stelle del cielo, corona della donna incinta, minacciando non solo lei ma il creato tutto. Il drago è la sintesi delle nostre paure di morte e distruzione, come la donna è la sintesi delle nostre aspirazioni di vita.

La donna partorì un figlio… che fu rapito verso Dio…
Il bambino, destinato a governare la terra intera, sfugge alla minaccia del drago. Possiamo identificarlo non solo con il Messia nato da Maria, ma anche con il Cristo partorito dalla Chiesa nella storia umana attraverso la Parola, i sacramenti e la santità dei suoi membri. Quel bambino scampa alla morte. Egli è il Risorto. Appartiene a Dio a tal punto da non temere il drago. In lui si fonda la nostra speranza di vita contro il drago mortifero che ci attende.

La donna invece fuggì nel deserto…
La questione, tuttavia, non riguarda solo la sua risurrezione. Ma la nostra. Qui possiamo di nuovo vedere nella donna, cui Dio prepara una dimora nel deserto, anche la Vergine assunta. La salvezza del fanciullo diviene salvezza anche per la madre. In ciò sta la potenza contagiosa della Pasqua. L'autore dell'Apocalisse descrive tale salvezza attraverso il motivo del deserto dove la donna può rifugiarsi. Esso richiama l'esodo, grande paradigma di tutta la Scrittura. Rappresenta il tempo in cui YHWH trasformò un luogo di morte e un tempo di difficile sopravvivenza in una straordinaria esperienza d'amore e di accudimento.
Non siamo davvero lontani dal messaggio dell'odierna solennità. L'assunzione rappresenta per Maria l'ultimo e definitivo scontro con il drago. Se nel corso della vita il mostro sembra prevalere sul nostro corpo almeno fino al momento della risurrezione dai morti, per Maria non vi fu che l'istante del trapasso o, secondo la tradizione orientale, un sonno che sfociò nella vita eterna. Il deserto del nulla si tramutò nell'incontro definitivo e completo con il Dio della vita.

Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo
La morte è anche l'esodo più difficile che attende ogni uomo. È l'uscita definitiva dove ci sentiamo soli e sprovveduti. Ma Dio combatte per noi l'ultima battaglia. L'esito lo vediamo proprio nella donna, custodita dal Padre. L'inno del Magnificat può allora essere inteso come sviluppo del breve versetto: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo». In ogni uomo, umile davanti alla propria finitudine e affamato di vita, il Signore opera grandi cose attraverso un radicale capovolgimento. L'esperienza della fine è il nostro vero inizio.

(passi e spunto da "Ai suoi discepoli spiegava ogni cosa" di Claudio Arletti)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) (15/08/2015)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2014)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2013)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46) (15/08/2012)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
 In Maria splende il nostro luminoso destino (13/08/2016)
 Come Maria… (13/08/2015)
 La "cose grandi" compiute da Dio (14/08/2014)
 Gioia e gratitudine immensa (14/08/2013)
 La meraviglia del Cielo (14/08/2012)

Vedi anche i post:
 Maria Assunta, sintesi dell'umanità realizzata (15/08/2011)
 Il nostro luminoso destino (15/08/2010)


Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Luigi Vari (VP 7.2015)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Marinella Perroni (VP 7.2012)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Claudio Arletti (VP 7.2009)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno A)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno B)
  di Enzo Bianchi (Vol. Anno C)

domenica 13 agosto 2017

Convegno Diaconi - Cefalù


A completamento di quanto scritto sul Convegno Nazionale dei Diaconi (vedi post del 9 agosto, "Di ritorno dal Convegno di Cefalù"), svoltosi a Cefalù dal 2 al 5 agosto 2017, riporto quanto il Servizio Informazione Religiosa (SIR) ha pubblicato per l'occasione.


01/08/2017
Diaconi: da domani nella diocesi di Cefalù il XXVI convegno nazionale
Prenderà il via domani nella diocesi di Cefalù (Pa) il XXVI convegno nazionale della Comunità del diaconato in Italia sul tema "Diaconi educati all'accoglienza e al servizio dei malati". L'appuntamento, che sarà ospitato fino a sabato 5 agosto presso il centro congressi di Torre Normanna - Altavilla Milicia, è organizzato in collaborazione con l'ufficio nazionale per la Pastorale della salute e la diocesi di Cefalù. A presiedere il convegno sarà il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute della Cei. "Il ministero diaconale in Italia - ha scritto il presidente dei diaconi, Enzo Petrolino, in una lettera inviata a Papa Francesco alla vigilia del convegno - si sta realizzando secondo le linee tracciate negli ultimi anni dalla riflessione teologica e pastorale legata ai bisogni delle comunità ecclesiali, che si concretizza in un percorso orientato a favorire tra i diaconi iniziative pastorali di promozione umana attraverso prestazione di servizi ma anche con sostegni economici per realizzare obiettivi di solidarietà sociale rivolti a persone svantaggiate". "Nelle periferie - ha aggiunto - non solo geografiche, ma soprattutto esistenziali del nostro Paese che, come Lei più volte ci ha indicato, sono particolarmente oggi ambito prioritario di attenzione umana e di premura ecclesiale". Ad aprire i lavori, domani, sarà la relazione di padre Guido Michelini ofm. Nelle giornate successive in programma gli interventi di Petrolino, di mons. Gianrico Ruzza, di don Carmine Arice e di Cettina Militello. Le celebrazioni saranno presiedute dai vescovi Corrado Lorefice e Vincenzo Manzella. Previsto anche l'incontro con mons. Michele Pennisi nella Cattedrale di Monreale. Oltre a proporre la relazione su "Per una diaconia dell'accoglienza", il card. Montenegro presiederà la celebrazione eucaristica conclusiva.

02/05/2017
Diaconi: mons. Aiello (Cei), "quando non si può più curare l'altro, dobbiamo prendercene cura"
"Quando non si può più curare l'altro, dobbiamo prendercene cura". Lo ha detto mons. Arturo Aiello, vescovo di Avellino e delegato per il diaconato della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della Cei, durante il convegno nazionale dei diaconi, al via da oggi pomeriggio ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Il riferimento è ai malati terminali e a quelli ricoverati negli hospice. "Il curare è una dimensione importante ma viene un momento in cui non è più possibile farlo. Allora dobbiamo aver cura di quella persona", ha spiegato il vescovo, che ha ricordato come "una malattia di un componente della famiglia colpisca tutta la famiglia". "Oggi la nostra società, e forse le nostre chiese, si difendono da certe visioni perché la malattia dell'altro ferisce e ricorda il nostro dolore". Un dolore che, sostiene mons. Aiello, va combattuto in un modo particolare: "Dobbiamo toccare i malati senza guanti. Gesù guarda, ha compassione, parla e ascolta senza tenere nessuna distanza". E, infine, la distinzione tra curare e aver cura. "Ci sono momenti in cui non c`è più una cura specifica o non c'è più nulla da fare. È proprio allora che c'è molto da fare. Mi riferisco alla presenza negli hospice di chi dica ai malati terminali: 'Tu sei importante per me', di chi tenga loro le mani. Questo è il prendersi cura degli altri. Senza ciò il malato diventa una cartella clinica".

Diaconi: mons. Manzella (Cefalù), "la vostra presenza sia monito di speranza per chi attende conforto e consolazione"
"Insieme alle vostre famiglie condividete il dono della vocazione al servizio nei confronti dei piccoli del nostro tempo. La vostra presenza sia monito di speranza per coloro che attendono conforto e consolazione". Lo ha detto mons. Vincenzo Manzella, vescovo di Cefalù, diocesi che ospita il convegno nazionale dei diaconi, al via da oggi pomeriggio ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, rivolgendosi proprio ai diaconi presenti e alle loro famiglie. "La nostra regione ecclesiastica in questi ultimi anni è stata impegnata nell'accoglienza di coloro che bussano alle porte delle nostre coste. Sono tante le forme di povertà che l'avvinghiano. Voi qui siete segno di speranza, voi che tendete la mano allo sfiduciato e rialzate chi non può più risollevarsi da terra", ha aggiunto il vescovo che ha sottolineato l'importanza della missione dei diaconi: "Continuare a lavare i piedi degli ammalati, segno prezioso del passaggio di Cristo in mezzo agli uomini". Infine, mons. Manzella ha citato Papa Francesco ricordando quello che deve essere l'impegno principale dei cristiani: "Siamo chiamati a imitare Dio servendo gli altri: aiutandoli con amore paziente".

Diaconi: padre Michelini, "prendersi cura, avvicinare, reintegrare. Tutto ciò spetta all'uomo"
"Dobbiamo chinarci sui malati, accoglierli, ispirarci a Gesù che si è caricato delle malattie di coloro che andavano a trovarlo". Lo ha detto padre Giulio Michelini, docente di teologia biblica e responsabile della formazione dei candidati al diaconato della diocesi di Perugia, parlando ai diaconi riuniti al convegno nazionale, al via da oggi pomeriggio ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. "La guarigione è opera di Dio e i gesti di Gesù nella guarigione dei malati è preludio dei sacramenti - ha spiegato -. Non è possibile per nessuno dare la vita per il riscatto dei molti. Solo Gesù ha svolto questa speciale diaconia. Noi possiamo mettere a disposizione la nostra fatica e il nostro tempo e fare memoria del suo sacrificio. Sebbene avere cura degli altri comporti un depotenziamento delle nostre energie". Padre Michelini ha messo a fuoco anche i compiti dei diaconi attraverso i verbi che nel Vangelo descrivono l'azione di Gesù: "Prendersi cura, avvicinare, reintegrare. Tutto ciò che spetta all'uomo".

Diaconi: don Arice (Cei), "ci aiutano a rendere concreto il servizio della Parola, dell'evangelizzazione e della carità"
"I diaconi possono aiutarci con la loro capillare presenza sul territorio a guardare il volto di Cristo sofferente e a rendere concreto il servizio della Parola, dell'evangelizzazione e della carità". Lo ha detto don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, durante il convegno nazionale dei diaconi, iniziato oggi pomeriggio ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Il direttore dell'Ufficio Cei ha considerato "un dono" l'impegno di "chi con questo ministero aiuta a ricordare la dimensione di Cristo servo di tutta la Chiesa". Un ministero che per la sua natura di servizio ha un particolare nesso proprio con la pastorale della salute, un ministero che don Arice considera come "un mantello che abbraccia senza costringere, scalda e aiuta a sopportare il freddo, accompagnando le persone anche in momenti di sofferenza della vita". "Dal carisma diaconale – ha concluso - scaturisce una luce ulteriore al servizio della pastorale della salute".

03/08/2017
Diaconi: Petrolino (presidente Comunità), "nostro servizio prezioso per ammalati e migranti"
"Il servizio dei diaconi oggi è prezioso in particolare per gli ammalati e per i migranti". Lo ha detto Enzo Petrolino, presidente della Comunità del diaconato in Italia, questa mattina durante il convegno nazionale dei diaconi, in corso ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Nel suo intervento ha ricostruito come i vescovi nei secoli hanno affidato proprio ai diaconi la cura dei più fragili. "Oggi oltre a questo servizio, il nostro impegno deve essere rivolto all'accoglienza di chi arriva nel nostro Paese", ha aggiunto. Petrolino ha anche parlato dell'importanza dei momenti di raduno. "I convegni che realizziamo ogni due anni sono un'occasione importante di incontro per verificare l'esperienza che portiamo avanti nelle nostre Chiese locali. È un confronto, da una parte, e, da un'altra, un momento di crescita che ci consente di capire meglio il nostro ruolo nelle comunità". Numerose anche le mogli dei diaconi che partecipano al convegno. "La loro presenza è per noi un supporto importante e un aiuto nel nostro ministero".

Diaconi: card. Stella, "crescere nello spirito evangelico dell'accoglienza, della prossimità e del servizio compassionevole"
"Questa iniziativa vi offre l'occasione di ascoltare illustri relatori e, ancor di più, di riflettere sulla specificità del ministero diaconale, caratterizzato da quella carità evangelica che si esprime proprio nel servizio ai più deboli". Lo ha scritto il card. Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, nel messaggio che ha inviato ai diaconi riuniti fino a sabato ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, per il loro convegno nazionale. Il cardinale ha richiamato le parole del Papa rivolte proprio ai diaconi durante la celebrazione del loro Giubileo: "Papa Francesco ha inteso specificare che il discepolo del Signore deve ambire a diventare servitore". "Questa 'santa ambizione' – così la definisce Stella –, che ci libera dalla tentazione di impossessarci del ministero a cui siamo chiamati nella Chiesa e di farne uno strumento di potere, ci aiuta a crescere nello spirito evangelico dell'accoglienza, della prossimità e del servizio compassionevole, soprattutto verso i fratelli che vivono situazioni di sofferenza e di malattia".

Diaconi: Hanquez, "la moglie può aiutare il marito nel suo servizio e portare alla Chiesa il suo contributo"
"L'ordinazione diaconale non deve creare rottura nel matrimonio. Marito e moglie continuano a trovare nutrimento l'uno nell'altro senza smettere di crescere insieme". Lo ha detto Marie Francoise-Maincent Hanquez, membro del Comitato nazionale del diaconato come rappresentante delle mogli dei diaconi, durante il convegno nazionale in corso ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. "Negli anni ho scoperto che questo ministero è del marito ma anche della moglie – ha aggiunto -. Nel senso che la moglie non deve essere trasparente, anzi può aiutare il marito nel suo servizio e può portare alla Chiesa il suo contributo". Hanquez, moglie di un diacono e mamma di quattro ragazzi, conosce bene le difficoltà che si trova ad affrontare una sposa: "La difficoltà è che, nel diaconato, il posto delle spose è nello stesso tempo dentro e fuori dal diaconato. Le spose insistono sullo scarto che esiste tra la loro scelta libera del matrimonio e l'accoglienza o la non accoglienza del diaconato. Dicono spesso che 'mentre il matrimonio l'ho scelto io, il diaconato lo accetto'. Ma il punto dove tutto si complica è che l'impegno del diacono è così importante che è indispensabile che la coppia s'impegni lucidamente e liberamente".

Diaconi: mons. Ruzza (Roma), "sono i protagonisti del sogno di Papa Francesco" stando "nella frontiera della società" per "portare misericordia"
"Il diacono deve stare nella frontiera della società. Ha il compito di inserirsi con positività e con gioia, a nome di tutta la comunità, nelle periferie esistenziali e materiali dell'uomo del nostro tempo". Lo ha detto mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare della diocesi di Roma e delegato per il diaconato, durante il convegno nazionale dei diaconi in corso ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Periferie che, spiega il vescovo, non sono solo "quartieri ghetto o dormitori, ma anche il disagio giovanile, la ludopatia, la disoccupazione, il conflitto sociale, le migrazioni e l'emarginazione. Chiunque è chiamato a svolgere il ministero della consolazione deve manifestare la dimensione della compassione evangelica". La sfida indicata è quindi "condividere la condizione di fragilità per promuovere un cammino che possa portare alla pienezza dell'uomo nuovo in Cristo". Mons. Ruzza ha citato in più occasioni Papa Francesco e ha puntualizzato che "i diaconi sono i protagonisti del sogno di Papa Francesco, quello di una Chiesa che sa trovare vie e metodi nuovi per portare misericordia". Poi, ha invitato i diaconi a spostare l'attenzione dal concetto di sanità a quello di salute, "cioè la salvezza in vista dell'eternità". "La sfida che abbiamo dinanzi – ha aggiunto – è quella di stringere le mani dei nostri fratelli e portarli fuori da un senso di compiutezza negativa". Infine, ha rivolto loro un altro invito: "Dobbiamo uscire dall'autoreferenzialità, perché il vero motore deve essere la preghiera e non una strategia organizzativa. Dobbiamo essere il viandante che cammina insieme ai poveri e ai senza fissa dimora. La nostra identità è stare con gli altri".

Diaconi: mons. Pennisi (Monreale), "essere immagine di Gesù Cristo servo e ricordare l'importanza del servizio che i seguaci del Signore devono donarsi a vicenda"
"Il compito dei diaconi, fortificati dal dono dello Spirito Santo, è di essere immagine di Gesù Cristo servo e di ricordare l'importanza del servizio che i seguaci del Signore devono donarsi a vicenda". Lo ha detto l'arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, responsabile della pastorale della salute della Conferenza episcopale siciliana, durante l'omelia della celebrazione eucaristica che ha presieduto in cattedrale nell'ambito del convegno nazionale dei diaconi. Il presule, dopo avere presentato i mosaici che ornano la basilica, ha indicato l'importanza del ruolo svolto da Maria. "La Madonna, umile serva del Signore, è un'icona in cui ogni cristiano e ogni diacono deve specchiarsi. Proprio per il suo servizio al ministero di redenzione, Maria è elevata al trono regale", ha detto mons. Pennisi, che ha parlato anche delle difficoltà vissute oggi dall'Europa. "Abbiamo perso qualcosa che a Monreale ancora c'è: la capacità di vivere nello sguardo, di stare nella visione". Infine, un pensiero al beato Pino Puglisi, che ha celebrato la sua ultima Eucarestia nella cattedrale di Monreale assieme ai ragazzi di cui era guida. "Dobbiamo scoprire qual è il nostro posto nel mondo e aiutare gli altri affinché lo possano trovare".

05/08/2017
Diaconi: card. Montenegro (Agrigento), "il loro posto non è l'altare ma la strada"
"Il posto dei diaconi non è l'altare ma la strada". Lo ha detto il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute e presidente di Caritas Italiana, in occasione dell'ultima giornata del convegno nazionale dei diaconi, ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Il presule li ha invitati a "scoprire che la via del servizio è quella che vi tocca. La strada che percorrete non vi porta all'altare ma dall'altare vi porta nel mondo". Perché "il diacono è l'uomo che sta sull'uscio, l'uomo che guarda dentro e fuori. Il vostro compito è di aiutare la comunità a vivere la preghiera per farla diventare azione. Se non c'è questo punto di vista qualcosa nel diaconato non funziona. Dovete portare Dio nel mondo con i gesti di carità". Secondo Montenegro, il rapporto tra fede e carità è "stretto". "La carità è segno. Voi dovete essere quel tramite perché la Chiesa possa dire al mondo 'guardate come siamo' e i poveri possano dire 'guardate come ci amano'. Questo è essere servi". Il cardinale ha citato don Orione dicendo che "la carità trascina e muove. È compimento dell'evangelizzazione. Il prodotto finale è un uomo che ama. Il diaconato – ha aggiunto – acquista valore nella misura in cui i diaconi sono uomini di strada. Non c'è diaconia quando ci si avvicina all'altro con atteggiamento assistenzialistico. L'assistenza guarda ai bisogni della persona e dà risposte immediate, l'uomo aiutato attraverso la diaconia invece deve sentire l'incontro col Signore".

Diaconi: card. Montenegro (Agrigento), "accogliere non è solo dare aiuto generoso ma dimostrare amicizia"
"Stiamo costruendo un mondo senza l'altro dove chi è diverso da noi non deve esistere. Così l'immigrato è 'altro', il disabile è 'altro' ". Lo ha detto il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute e presidente di Caritas Italiana, in occasione dell'ultima giornata del convegno nazionale dei diaconi, ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. "Accogliere significa saper prendere per mano, camminare insieme, far percepire che anche noi come Chiesa accompagniamo i poveri - ha aggiunto -. Quando una persona si sente accolta per quello che è, oltre a non sentirsi diverso da noi, si sente amata da Dio. Ecco perché l'accoglienza è una cosa diversa dall'ospitalità. L'accoglienza può essere data in maniera formale, l'ospitalità col cuore". Il presule ha spiegato anche cos'è la "diaconia dell'accoglienza: "Creare relazioni tra uomini per rendere la vita più umana. Una vita non accolta muore anche se biologicamente sopravvive". Perché "l'accogliere non è solo dare un aiuto generoso ma dimostrare amicizia". Montenegro, infine, ha ricordato la visita del Papa a Lampedusa, dove "Francesco volle poveri, immigrati e bambini, non politici e vescovi. Mai nelle nostre Chiese, però, abbiamo messo un biglietto nei posti in prima fila riservandoli ai poveri".

Diaconi: don Arice (Cei), "con i poveri e con gli ultimi"
"San Francesco d'Assisi mi pare un diacono un po' particolare che può diventare protettore dei diaconi di una Chiesa in uscita che sappia stare con i poveri e con gli ultimi". Lo ha proposto don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, a conclusione del convegno nazionale dei diaconi, ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Il direttore dell'Ufficio Cei ha indicato sette parole chiave approfondite nel corso dei quattro giorni di incontri e celebrazioni. Tra queste: riconoscenza, presenza, formazione e prendersi cura. Tre le proposte lanciate: "Penso a un membro della famiglia del diaconato nella Consulta nazionale della pastorale della salute - ha detto don Arice -, a un gruppo di lavoro sul tema diaconato e pastorale della salute, che annualmente proponga una giornata di studio, e ad alcune pubblicazioni su questo rapporto". A tracciare le conclusioni, anche il presidente della Comunità del diaconato in Italia, Enzo Petrolino. "Il diaconato deve cambiare il volto delle nostre comunità - ha detto -. Il nostro deve essere un diaconato di frontiera che sappia portare i poveri all'altare". Infine, un invito alla Cei: "Ripensi un percorso formativo ad hoc per i diaconi. Non basta una formazione intellettuale e dottrinale ma serve una formazione spirituale che oggi sta venendo meno". Intanto, è stata definita la sede del prossimo convegno nazionale dei diaconi, che si terrà a Vicenza nel 2019.

venerdì 11 agosto 2017

Verso il Signore sulla bellezza di una fede nuda,
 camminando sulla strada polverosa del buon samaritano


19a domenica del Tempo ordinario (A)
1Re 19,9a.11-13a • Salmo 84 • Romani 9,1-5 • Matteo 14,22-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo…
…finché non avesse congedato la folla. Gesù fa fatica a lasciare la gente, non vuole andarsene finché non li ha salutati tutti. Era stato un giorno speciale: un fervore di solidarietà, un moltiplicarsi di mani, di cuori, di cure per portare il pane a tutti; la fame dei poveri saziata era il suo sogno realizzato.

Congedata la folla salì sul monte, in disparte, a pregare
Dopo questo bagno di folla, Gesù desidera l'abbraccio del Padre: a pregare, a condividere con Lui la sua gioia. Portare il tuo regno sulla terra si può! Un colloquio festoso, un abbraccio che dura fino quasi all'alba. Ora sente il desiderio di tornare dai suoi.

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare...
La barca era agitata dalle onde per il vento contrario. I discepoli si sentono abbandonati nel momento del pericolo, lasciati soli a lottare contro le onde per una lunga notte. Come loro anche noi ci siamo sentiti alle volte abbandonati da un Dio che ci sembra lontano, assente, muto. Eppure un credente non può mai dire: "Io da solo, io con le mie sole forze", perché non siamo mai soli, perché il nostro respiro è intrecciato con quello di Dio, annodata alla nostra forza è la forza di Dio.
Infatti Dio è sul lago: è nelle braccia di chi rema, è negli occhi che cercano l'approdo. E la barca, simbolo della nostra vita fragile, intanto avanza nella notte e nel vento non perché cessa la tempesta, ma per il miracolo umile dei rematori che non si arrendono, e ciascuno sostiene il coraggio dell'altro.
Dio non agisce al posto nostro, non devia le tempeste, ma ci sostiene dentro le burrasche della vita. Non ci evita i problemi, ci dà forza dentro i problemi.

E Pietro: Se sei tu comandami di venire verso di te…
Pietro vede Gesù camminare sul mare e domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore. Domanda bellissima, perfetta: che io venga da te. Ma chiede di andarci camminando sulle acque, e questo non serve. Non è sul mare dei miracoli che incontriamo il Signore, ma nei gesti quotidiani; nella polvere delle strade come il buon samaritano e non nel luccichio di acque miracolose.

E Gesù gli disse: Vieni!
Anche noi, come Pietro, siamo chiamati a fissare lo sguardo su Gesù che ci viene incontro quando intorno è buio, quando è tempesta…, e sentire cosa ha da dire a me, solo a me: Vieni! Con me tutto è possibile!

E Pietro andò verso Gesù…
Pietro guarda a lui, ha fede in lui e la sua fede lo rende capace di ciò che sembrava impossibile. Poi la svolta: ma vedendo che il vento era forte, si impaurì e cominciò ad affondare. In pochi passi, dalla fede che è saldezza, alla paura che è palude dove sprofondi. Ma cosa è accaduto? Pietro ha cambiato la direzione del suo sguardo, la sua attenzione non va più a Gesù ma al vento, non fissa più il Volto ma la notte e le onde.
Quante volte anch'io, come Pietro, se guardo al Signore e alla sua forza posso affrontare qualsiasi tempesta; se guardo invece alle difficoltà, o ai miei limiti, mi paralizzo. Tuttavia dalla paura nasce un grido: Signore, salvami!

Uomo di poca fede…
Pietro si rivela uomo di poca fede non quando è travolto dalla paura delle onde, del vento e della notte, ma prima, quando chiede questo segno miracoloso di andare sulle acque per il suo cammino di fede.
Ed il monito rivolto a Pietro è anche per noi: tu andrai verso il Signore, ma non camminando sul luccichio illusorio di acque miracolose, bensì sulla strada polverosa del buon samaritano; andrai verso Gesù, ma prolungando il suo modo di vivere, di accogliere, di inventare strade che conducano al cuore dell'uomo. Pietro, emblema di tutti i credenti, imparerà a camminare verso un mondo nuovo contando non sulla forza di imprevedibili miracoli ma sulla forza prodigiosa di un amore quotidiano che non si arrende, sulla bellezza di una fede nuda.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Coraggio, sono io, non abbiate paura! (Mt 14,27)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (10/08/2014)
(vai al testo…)
 Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,31) - (07/08/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Nella "tempesta" la presenza rassicurante di Gesù (08/08/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 6.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

giovedì 10 agosto 2017

Con San Lorenzo: uscire per servire nella gratuità


La ricorrenza liturgica odierna di san Lorenzo, "diacono della Chiesa di Roma", mi ricorda l'essenzialità del ministero diaconale a cui siamo chiamati: il servizio.
È molto viva l'esperienza del Convegno dei Diaconi, appena concluso: accogliere e servire i malati.
Leggo dal Vangelo di Matteo: «Gesù inviò [i Dodici], ordinando loro: "[…] Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitare i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. […]"» (Mt 10,5a.7-8).
Un compito ed una missione tipicamente diaconali che si possono riassumere (come spiega papa Francesco) con tre parole chiave: Camminare - ServireGratuità.
Alla meditazione mattutina a Santa Marta, l'11 giugno 2015, papa Francesco così si è espresso, commentando queste tre parole chiave:

Camminare: «Innanzitutto Gesù invia a un "cammino". Un cammino che, beninteso, non è una semplice "passeggiata". Quello di Gesù è un invio con un messaggio: annunciare il vangelo, uscire per portare la salvezza, il vangelo della salvezza. E questo è il compito che Gesù dà ai suoi discepoli. Perciò chi rimane fermo e non esce, non dà quello che ha ricevuto nel battesimo agli altri, non è un vero discepolo di Gesù.
C'è poi anche un altro percorso del discepolo di Gesù, ovvero "il percorso interiore", quello del discepolo che cerca il Signore tutti i giorni, nella preghiera, nella meditazione. E non è secondario: anche quel percorso il discepolo deve farlo perché se non cerca sempre Dio, il vangelo che porta agli altri sarà un vangelo debole, annacquato, senza forza. Quindi c'è un "doppio cammino" che Gesù vuole dai suoi discepoli».

Servire: «Ed è strettamente legata alla prima. Occorre infatti "camminare per servire gli altri". Si legge nel vangelo: "Strada facendo predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni". Qui si ritrova il dovere del discepolo: servire. Un discepolo che non serve gli altri non è cristiano».

Gratuità: «Camminare, nel servizio, nella gratuità. Si legge infatti: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Un particolare fondamentale, tanto da spingere il Signore a chiarirlo bene, nel caso i discepoli non avessero capito. Egli spiega loro: "Non procuratevi oro, né argento, né denaro nelle vostre cinture, né sacca di viaggio, né due tuniche". Vale a dire che il cammino del servizio è gratuito perché noi abbiamo ricevuto la salvezza gratuitamente. Nessuno di noi ha comprato la salvezza, nessuno di noi l'ha meritata: l'abbiamo per pura grazia del Padre in Gesù Cristo, nel sacrificio di Gesù Cristo.
È triste quando si trovano cristiani che dimenticano questa parola di Gesù: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Ed è triste quando a dimenticarsi della gratuità sono comunità cristiane, parrocchie, congregazioni religiose o diocesi. Quando ciò accade è perché dietro c'è l'inganno di presumere che la salvezza viene dalle ricchezze, dal potere umano».

mercoledì 9 agosto 2017

Di ritorno dal Convegno di Cefalù


Nella cornice splendida della Sicilia (sede del Convegno: Torre Normanna di Altavilla Milicia), ho partecipato con mia moglie ed altri della mia diocesi al Convegno Nazionale del Diaconato (Cefalù 2-5 agosto 2017), promosso dalla Comunità del Diaconato in Italia con la partecipazione dell'Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI e della Diocesi di Cefalù che ci ha ospitati.
Il tema: Diaconi educati all'accoglienza e al servizio dei malati (Accogliere Dio ed accogliere e servire l'altro è un unico gesto).

È sempre un'esperienza coinvolgente il poter vivere alcuni giorni, sia pur molto intensi, nel clima fraterno che la fraternità diaconale suscita. Il tema poi trattato, assai stimolate, pone la dimensione del servizio diaconale nel cuore, mi sembra, di quella che deve essere l'azione del diacono: presenza qualificata e soprannaturalmente motivata di fronte alla sofferenza umana; sofferenza che siamo chiamati a lenire con la carità di quel Dio che ha dato la sua vita per noi, a prendersi cura della carne dolorante di Cristo.
Il tema dei malati e della sofferenza è essenziale per la formazione e l'opera che il diacono è chiamato a svolgere in seno alla comunità.

Erano presenti al Convegno circa 250 partecipanti (tra cui più di 50 spose di diaconi e una quindicina di delegati vescovili), di 28 diocesi (12 le regioni ecclesiastiche rappresentate).

La celebrazione di apertura (Una giornata a Cafarnao, Mc 1,21-34), presieduta da mons. Arturo Aiello, Vescovo di Avellino e Delegato per il diaconato nella Commissione episcopale Clero e Vita Consacrata, è seguita dai saluti di don Calogero Cerami, Direttore del Centro "Madre del Buon Pastore" della Conferenza episcopale siciliana; di don Carmine Arice, Direttore dell'Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI; e del diacono Enzo Petrolino, Presidente della Comunità del Diaconato in Italia.

Significative le parole di benvenuto del Vescovo di Cefalù, mons. Vincenzo Manzella: «[…] La nostra regione ecclesiastica con le diciotto diocesi in questi ultimi anni è stata impegnata nell'accoglienza di coloro che bussano alle porte delle nostre coste per trovare dignità e libertà. Sono tante le povertà che avvinghiano la nostra regione… La vostra presenza possa essere monito di speranza per coloro che attendono il conforto e la consolazione; tendete la vostra mano allo sfiduciato e rialzate chi non può sollevarsi da terra, continuate a lavare i piedi degli ammalati, segno prezioso del passaggio di Cristo servo in mezzo agli uomini. […]».

In sintesi alcuni dei temi trattati:

 La relazione introduttiva del prof. p. Giulio Michelini ofm, docente di teologia biblica e responsabile per la formazione dei candidati al diaconato della diocesi di Perugia, dal tema: Il servo del Signore. Il mistero della sofferenza nella storia della salvezza e l'atteggiamento di Gesù verso i malati, sviluppata in quattro punti:
1) Introduzione sulla malattia, che si può dire in molti modi, ma che tocca profondamente l'esistenza. È il dolore fisico, spirituale, morale…, malattie dell'anima, malattie relazionali…
2) Come Gesù si pone di fronte alla malattia. Gesù colma la frattura che la sofferenza e la malattia producono: accoglie, rialza, reintegra, guarisce…, prende su di sé la sofferenza degli altri.
3) Diaconia di Gesù di fronte alla malattia. L'attività terapeutica di Gesù non è finalizzata solo alla guarigione, ma ha una finalità teologica, perché è il Dio di Gesù Cristo che opera in Lui. Come nel miracolo dei 10 lebbrosi: dieci guariti, ma uno solo "salvato". Oppure nella rianimazione di Lazzaro: Gesù sa che l'amico è morto, ma dice: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate». Inoltre, come racconta Marco, "tutti correvano…, molti venivano guariti". Gesù non guarisce tutti, ma di tutti si prende cura!
4) Il servizio diaconale. Quale forma di diaconia esercita Gesù nei confronti della malattia? Gesù riscatta. È venuto per servire e dare la vita in riscatto… Questa è la diaconia specifica di Gesù: non solo prendere su di sé la malattia, ma dare la vita. Questa è l'autocoscienza massima della missione di Gesù.

 La relazione di Enzo Petrolino, excursus storico dal tema: Il servizio dei diaconi ai malati e ai sofferenti nella tradizione della Chiesa, sviluppato nei primi quattro secoli, prendendo spunto dalla ricchezza dai primi documenti, dalla Didachè, alla Traditio apostolica, alle Lettere di Ignazio d'Antiochia, cogliendo il rapporto tra diaconia e malattia, tra il servizio dei diaconi e i malati e i poveri. Il diacono, "occhio e orecchio" del vescovo, che visita le case povere e si informa chi è malato… Nel coso della storia si giunge poi ad uno "svuotamento" del ruolo del diacono (e quindi alla sua non indispensabilità) per la generalizzazione dei ministeri e l'accentramento dei servizi svolti ora direttamente dai vescovi e dai presbiteri.

 La relazione di mons. Gianrico Ruzza, Vescovo Ausiliare della diocesi di Roma e Delegato per il diaconato, dal tema: Diaconi coraggiosi testimoni della buona notizia ai più deboli e ai più poveri. I diaconi per il tempo della vita quotidiana stanno in mezzo agli esclusi, nelle varie periferie… Oggi i quartieri dormitorio delle nostre città, nel profondo disagio giovanile, nelle conflittualità familiari, fra gli immigrati… Esercitano il prezioso ministero della consolazione, evitando il "dolorismo", sapendo bene che Dio non vuole la sofferenza, ma che Egli sta accanto ai sofferenti. Alla carità cristiana quindi si chiede una presenza più umanizzante perché si è smarrita la dimensione spirituale. È necessario passare dal concetto di sanità a quello di salute, perché la componente spirituale ottimizza le varie situazioni di precarietà: la salute non è solo assenza di malattia, ma anche benessere, in tutte le dimensioni, umane, di relazione… Un servizio che porti da un ambito specifico ad un ambito che punti all'eternità, per la guarigione "definitiva"… In un contesto odierno dove la stessa morte viene "esorcizzata", non si può negare la verità che l'uomo è vulnerabile. Ma Cristo supera la nostra vulnerabilità, perché solo Lui rivaluta l'uomo all'uomo. E quindi: come ci facciamo presenti? Gesù soffre volontariamente e non lascia l'uomo nella sofferenza, si accosta a lui, come ai viandanti deludi di Emmaus, e viaggia con noi.

 La relazione di don Carmine Arice, dal tema: Ero malato e mi avete visitato. I diaconi a servizio della cura dei malati in un contesto multietnico e multi religioso. Nella pastorale della salute: rispondere alla domanda di senso di fronte alla malattia e alla sofferenza…, dove è essenziale saper ascoltare, accompagnare, essere presenti, dare volto e nome ai malati, mettere le premesse affinché nessuno chieda di morire, perché non ha i mezzi per le cure. La relazione si è sviluppata poi nella descrizione della situazione della salute in Italia con l'esplosione di nuove patologie neurodegenerative (causate anche dall'invecchiamento della popolazione e dalla crisi demografica), di malattie psichiatriche. Le strutture sanitarie e assistenziali crescono, anche perché sono fonte di guadagno… Ma rimane sempre la domanda di senso!
È da notare inoltre che se i malati si trovano nelle case di cura, la maggior parte di loro però vive nelle proprie case.
Il contesto multietnico e multiculturale richiede sempre più una risposta alle domande di senso, un dialogo costruttivo nelle diverse visioni dell'uomo. La salute infatti è legata alla questione antropologica, perché la salute non è solo assenza di malattie, ma coinvolge anche il "benessere" della persona. Ma qual è il modello antropologico e quale posto occupa la dimensione spirituale della persona? Che concetti si hanno su invecchiamento, sofferenza, malattia, disabilità, morte?
Guardare allora alla salute "integrale" della persona. Questo è l'obbiettivo pastorale: avere di mira tutta la persona.
In questo contesto i diaconi, nel loro ministero, sono "tipizzazione" nella Chiesa della diaconia che è propria di tutti i cristiani, sapendo che il servizio diaconale della Parola e dell'Eucaristia non può sussistere senza quello della Carità.
Da tutto questo si può dedurre: una nuova intelligenza del ministro diaconale; la costante attenzione ed un intelligente monitoraggio sul territorio a servizio di tutta la comunità ecclesiale; una disponibilità prioritaria al ministero con i malati anche nelle strutture e soprattutto negli ospedali; una auspicabile partecipazione dei diaconi, più stretta, ordinaria e organica, alla pastorale della salute diocesana, regionale e nazionale.

 La relazione della prof.ssa Cettina Militello, Direttrice della Cattedra "Donna e Cristianesimo" della Pontificia Facoltà Marianum, dal tema: Donne a servizio dei malati e dei sofferenti. Si è parlato del rapporto tra la sofferenza e la donna. La donna è sempre presente nella sofferenza per la sua "capacità" di generare… E gravano sulle spalle della donna, non solo il dare la vita, ma anche il "curare" fino alla fine… Tutte le culture elaborano, propongono donne che accompagnano e leniscono le malattie. La diaconia, infatti, il servizio, non è questione di genere (l'amore al prossimo è del cristiano!), ma sappiamo bene che la donna, con la sua sensibilità e la sua creatività sa accostarsi alla sofferenza fino a superare la diffidenza maschile.
Si è parlato poi delle varie figure di donne cristiane nella storia della salute, dai primi secoli del cristianesimo, alle monache, alle Dame della Carità di san Vincenzo de' Paoli, a Madre Teresa di Calcutta.

 La relazione del card. Francesco Montenegro (don Franco, come è solito farsi chiamare), Arcivescovo di Agrigento, Presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, Presidente di Caritas Italiana, dal tema: Per una diaconia dell'accoglienza. Il diaconato prenderà valore se il suo posto è la strada: il diacono non è per i riti, ma per la vita! Perché non è la Chiesa che fa la carità, ma la Chiesa è Carità. L'accoglienza guarda alle esigenze; di conseguenza la carità, la diaconia, sa guardare più in là della situazione contingente: guarda alla salvezza, fa sperimentare e incontrare la tenerezza di Dio. La vera diaconia, infatti, è possibilità di condivisione, dove l'accoglienza è completa quando faccio sentire ai poveri, agli immigrati che sono persone, sono "uomini". Accogliere, infatti, è creare relazioni per renderci più umani: quando si accoglie si diventa dimora dell'altro.
Se non è così, il povero dà fastidio, perché denuncia la mia situazione di ricco. Ma saranno i poveri a segnare la nostra eternità!

 L'intervento di Marie-Françoise Maincent-Hanquex, francese, membro del Comitato Nazionale del diaconato come rappresentante delle mogli dei diaconi, incentrato sulla figura della sposa del diacono. La moglie del diacono ha una sua vocazione propria, di essere crocevia tra il coniugale, l'ecclesiale e l'ecclesiastico. Le spose, scelte ed elette per questo ministero! Non nel fare il diacono al posto del marito, ma essere quello sfondo d'amore che permette al marito di essere quello per cui è chiamato.

Nei vari gruppi di studio, infine, si è potuto approfondire le varie tematiche, come:
1) "Essere custodi dell'ammalato", in cui accogliere non significa semplicemente ospitare o accettare qualcuno, ma partecipare della sua vita, essendone responsabili, essendone custodi;
2) "Entrare con l'ammalato in una relazione autentica", perdendo quindi se stessi, il proprio io, le proprie esigenze o il proprio amor proprio, per lasciare spazio all'altro, lavorando su se stessi per eliminare ogni ostacolo che impedisce una autentica relazione;
3) "Fare scelte operative adeguate", mettendosi fattivamente e concretamente a disposizione dell'altro nel dono di sé. Il diacono, la sua sposa, la sua famiglia, sono chiamati proprio a questo, ad occuparsi materialmente e fattivamente della persona bisognosa, impegnandosi in prima persona. Non basta infatti accorgersi dell'ammalato o lamentarsi perché nessuno se ne occupa, ma sporcarsi le mani ed occuparsene direttamente. Ma non potendo fare tutto da soli, è necessario coinvolgere in questo impegno la comunità, facendo crescere nel popolo di Dio il desiderio di partecipazione e condivisione con gli ultimi, con i più sfortunati;
4) "Guardare e non semplicemente vedere": essere cioè attenti a chi ci circonda e non fermarsi agli aspetti superficiali delle persone che incontriamo. Perché non c'è solo la malattia fisica, ci sono altri tipi di malattie, come la solitudine, l'abbandono, l'incomprensione, la povertà, l'assenza di lavoro, il tradimento negli affetti…

Le visite, poi, alla Cattedrale di Monreale ed a quella di Cefalù hanno coronato questo nostro stare insieme con la contemplazione del Cristo Pantocratore e di tutti i mosaici, dove si ha la percezione di Vedere la Parola e Sentire ciò che si vede.

Conclusioni: Cogliere sempre più la dimensione teologica del diacono, quale uomo di Dio che ha un vero rapporto personale con Cristo Servo, senza diventare un "faccendiere", ma lasciandosi fecondare dalla Parola di Dio, non per sottinteso, ma assumendo la Parola come stile di vita.
Sette parole chiave, che sintetizzino il cammino fatto e da fare:
1) Riconoscenza. Per le esperienze condivise: imparare di più a vedere l'azione di Dio e comunicare. Raccontarci la vita: saper dire cosa Dio ha fatto.
2) Diaconia (più che diacono) come dimensione della Chiesa nella quale si profila la figura del diacono, che è icona della diaconia, nella concretezza, mostrandolo concretamente.
3) Occhio. Essere uomini vigilanti, che sanno monitorare il territorio e conoscono le storie concrete delle persone.
4) Presenza. Ci sono! Il diacono c'è! I luoghi di cura non dovrebbero mai essere senza una presenza sacramentale e ministeriale.
5) Formazione integrale: teologica (teologia della fragilità), pastorale (in cui si coniuga fede e vita), formazione alla relazione, sull'esempio di Gesù le cui guarigioni sono atti relazionali.
6) Inclusione. Non una pastorale settoriale. Non una pastorale "a parte", ma "parte" di un unica azione pastorale.
7) Prendersi cura. I malati hanno bisogno di Dio: dare "pane" e "senso"! Diventando non collaboratori, ma corresponsabili.

Ci siamo lasciati con nell'anima il desiderio di "dare speranza" al nostro diaconato, per cambiare il volto delle nostre comunità: su questo ci giochiamo il nostro futuro. Perché il diaconato dipende dai diaconi! Dare quindi visibilità al nostro diaconato, con la concretezza delle nostre azioni in seno alla comunità, essendo diaconi di frontiera, che corrono avanti per salire sul carro della storia, sull'esempio del diacono Filippo che corre avanti al carro dell'eunuco della regina di Candace.
Per questo occorre una seria formazione (ad hoc per i diaconi, non sul modello dei presbiteri o dei laici) ed una adeguata informazione, perché se non si conosce non si può far vivere una seria diaconia.
Ci si è ripetuti con convinzione: basta celebrare liturgie, senza sapere cosa succede fuori!






venerdì 4 agosto 2017

Con Gesù, anche noi trasfigurati


Trasfigurazione del Signore [18a] dom. T.O. (A)]
Daniele 7,9-10.13-14 • Salmo 96 • 2 Pietro 1,16-19 • Matteo 17,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

E fu trasfigurato davanti a loro…
La Trasfigurazione è un'esperienza unica, anzitutto per Gesù.
È la "gloria" del Padre che rifulge sul suo volto e su tutta la sua persona.
È la "gloria" segreta di Gesù, quella vitalità infinita, quel fascino, che si nascondeva sotto un'umanità comune, e che ora trapela all'esterno, seppure per un attimo.
In questo modo il Padre fa sperimentare a Gesù, e fa intravedere ai discepoli, un "assaggio" di quella gloria che possederà per sempre dal mattino di Pasqua.

Non parlate a nessuno… prima che sia risorto dai morti
Il cammino verso Gerusalemme apparentemente si risolverà nel fallimento dell'opera di Gesù e nella dispersione dei discepoli. Ma non è questo lo sbocco ultimo e definitivo: il traguardo finale è la vita nuova vittoriosa sulla morte, è la luce della risurrezione.
La Trasfigurazione ci richiama allo sbocco di questo cammino: gioire nella Pasqua col Signore risorto ed essere condotti alla nostra "trasfigurazione". È un rilancio di quella speranza senza complessi, che resiste ad ogni sfida, anche a quella della morte.
Tale attesa non distoglie dal cammino concreto nella storia, dall'impegno di servizio all'uomo.

Signore, è bello per noi essere qui…
E Pietro, come inebriato, vorrebbe "fissare" quel momento di beatitudine. L'estasi è di breve durata e i discepoli si ritrovano col Gesù di tutti i giorni, in viaggio verso Gerusalemme. I cristiani non possono dimorare stabilmente su nessun "Tabor".
Il Signore può regalarci momenti di particolare luce o gioia, tuttavia il cammino ordinario è quello di una fede che va avanti nella quotidianità, in compagnia di un Gesù che non sempre ci incanta col suo fascino. Questa fede ci consente di riconoscere nel Gesù che ci parla nella Parola e nella Chiesa, che si nasconde nei fratelli ed è presente nell'Eucaristia, il Gesù "trasfigurato", il Signore risorto.

Questi è il Figlio mio, l'amato… Ascoltatelo!
Questa è la fede che ci aiuta a riconoscere la voce del Padre: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!", accoglietelo come il Messia, che arriva alla gloria attraverso il servizio vissuto fino al dono totale.
La Trasfigurazione non è soltanto un avvenimento futuro: nella vita del credente è già in atto una misteriosa "trasfigurazione", un rapporto di progressiva assimilazione al Cristo attraverso l'amore. Una trasfigurazione che in certi cristiani più maturi non di rado traspare anche all'esterno.
Quando s'incontrano malati che accolgono col sorriso, quando ragazzi e giovani vanno controcorrente e vivono puri in un ambiente inquinato e inquinante, quando persone di ogni età sono capaci di perdonare o decidono di giocare la vita su Gesù, rinunciando all'idolo del denaro, del successo, del potere, del sesso... tale trasfigurazione è in atto.

Noi cristiani abbiamo un debito nei confronti di chi non crede o è in ricerca: offrire momenti di manifestazione di Dio. Ciò avviene quando il Vangelo pervade la nostra vita e risplende attraverso i gesti e le parole, soprattutto se pratichiamo il comandamento nuovo: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli (che io sono tra voi), se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata nella II dom. di Quaresima (Anno A):
 Gesù fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2) - (12/03/2017)
(vai al testo…)
 Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4) - (16/03/2014)
(vai al testo…)
 Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4) - (20/03/2011)
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Vedi anche il post Appunti per l'omelia, II dom. di Quaresima (Anno A):
  Un Dio che in Gesù fa risplendere tutta la nostra vita (10/03/2017)
  La Parola che ci trasfigura (14/03/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 6.2017)
  di Enzo Bianchi

Vedi anche Commenti alla Parola, II dom. di Quaresima (Anno A):
  di Cettina Militello (VP 2.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2.2014)
  di Marinella Perroni (VP 2.2011)

martedì 1 agosto 2017

Il creato manifesta la tenerezza di Dio per noi


Parola di vita – Agosto 2017
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9)

Questo Salmo è un canto di gloria per celebrare la regalità del Signore che domina tutta la storia: è eterna e maestosa, ma si esprime nella giustizia e nella bontà e somiglia più alla vicinanza di un padre che alla potenza di un dominatore.
È Dio il protagonista di questo inno, che rivela la sua tenerezza, sovrabbondante come quella materna: Egli è misericordioso, pietoso, lento all'ira, grande nell'amore, buono verso tutti …
La bontà di Dio si è manifestata verso il popolo di Israele, ma si espande su quanto è uscito dalle sue mani creatrici, su ogni persona e su tutto il creato.
Al termine del Salmo, l'autore invita tutti i viventi ad associarsi a questo canto, per moltiplicare il suo annuncio, in un armonioso coro a più voci:

«Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature».

Dio stesso ha affidato il creato alle mani operose dell'uomo e della donna, come "libro" aperto in cui è scritta la sua bontà. Essi sono chiamati a collaborare all'opera del Creatore, aggiungendo pagine di giustizia e di pace, camminando secondo il Suo disegno di amore.
Purtroppo, però, ciò che vediamo intorno a noi sono le tante ferite inferte a persone, spesso indifese, ed all'ambiente naturale. Questo a causa dell'indifferenza di molti e per l'egoismo e la voracità di chi sfrutta le grandi ricchezze dell'ambiente, solo per i propri interessi, a scapito del bene comune.
Negli ultimi anni, nella comunità cristiana si è fatta strada una nuova consapevolezza e sensibilità a favore del rispetto del creato; in questa prospettiva possiamo ricordare i tanti appelli autorevoli che incoraggiano la riscoperta della natura come specchio della bontà divina e patrimonio di tutta l'umanità.
Così si è espresso il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, nel suo Messaggio per la Giornata del creato dello scorso anno: "È richiesta una vigilanza continua, formazione e insegnamento in modo che sia chiara la relazione dell'attuale crisi ecologica con le passioni umane […] il cui […] risultato e frutto è la crisi ambientale che viviamo. Costituisce, pertanto, unica via il ritorno alla bellezza antica […] della moderazione e della ascesi, che possono condurre alla saggia gestione dell'ambiente naturale. In modo particolare, l'ingordigia, con la soddisfazione delle necessità materiali, porta con certezza alla povertà spirituale dell'uomo, la quale comporta la distruzione dell'ambiente naturale" [1].
E papa Francesco, nel documento Laudato si', ha scritto: "La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli. L'amore fraterno può solo essere gratuito […]. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. […] Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti" [2].
Approfittiamo allora dei momenti liberi dagli impegni di lavoro, o di tutte le occasioni che abbiamo durante la giornata, per rivolgere lo sguardo verso la profondità del cielo, la maestà delle vette e l'immensità del mare, o anche solo sul piccolo filo d'erba spuntato al margine della strada. Questo ci aiuterà a riconoscere la grandezza del Creatore "amante della vita" e a ritrovare la radice della nostra speranza nella sua infinità bontà, che tutto avvolge ed accompagna.
Scegliamo per noi stessi e per la nostra famiglia uno stile di vita sobrio, rispettoso delle esigenze dell'ambiente e commisurato sulle necessità degli altri, per arricchirci di amore. Condividiamo i beni della terra e del lavoro con i fratelli più poveri e testimoniamo questa pienezza di vita e di gioia facendoci portatori di tenerezza, benevolenza, riconciliazione nel nostro ambiente.

Letizia Magri

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[1] Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, Messaggio per la Giornata del creato, 1° settembre 2016.
[2] Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato si', 24 maggio 2015 (nn.228-229).

Fonte: Città Nuova n. 7/Luglio 2017