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lunedì 27 novembre 2017

Tre nuovi diaconi per la diocesi di Velletri-Segni


Ieri sera, a conclusione della Solennità di Cristo Re, nella cornice del Vangelo proclamato del Giudizio finale sulle opere di misericordia, nella Cattedrale di Velletri sono stati ordinati tre nuovi diaconi permanenti: Massimo Tartaglia (della parrocchia di San Clemente in Velletri), Giuseppe Baroni (della parrocchia di Santa Maria degli Angeli in Segni), Andrea Orsini (della parrocchia di Santa Maria di Gesù in Artena).
Momento forte e commovente, di condivisione profonda, assieme alle loro spose ad ai loro figli.
Occasione propizia per rinnovare anch'io, assieme a tutti, la nostra consacrazione nel ministero diaconale, in quel "Sì, lo voglio… Sì, con l'aiuto di Dio, lo voglio". E le parole del vescovo mons. Vincenzo Apicella: "Ricevi il vangelo di Cristo del quale sei diventato l'annunciatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni". E, nella preghiera di ordinazione: "Siano pieni di ogni virtù: sinceri nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito… L'esempio della loro vita, un richiamo costante al vangelo…".





venerdì 24 novembre 2017

Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore


34a domenica del Tempo ordinario (A)
Solennità di Cristo Re dell'Universo

Ezechiele 34,11-12.15-17 • Salmo 22 • 1 Corinzi 15,20-26.28 • Matteo 25,31-46
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli
In quest'ultima domenica del Tempo ordinario, caratterizzata come festa di Cristo Re, Matteo ci presenta la celebre scena nota col nome di "giudizio finale", posta come coronamento dell'insegnamento pubblico e direttamente collegata con il racconto della passione e della risurrezione. Il versetto immediatamente seguente introduce la sezione finale del racconto: «Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso"» (Mt 26,1-2).
Il brano evangelico richiama la nostra attenzione sul rapporto tra la fine dei tempi e la nostra vita, sul nostro atteggiamento nei confronti del prossimo, in base al quale saremo giudicati, sul Cristo Re che presiederà al giudizio. Ma dobbiamo pensare nel modo giusto alla fine dei tempi: non per sognare il cielo come la soluzione-miracolo, ma per attendere nella maniera migliore il grande raduno di tutti gli uomini di fronte al pastore messianico.

Avevo fame… avevo sete…
La sentenza definitiva è fondata sui motivi di servizio caritativo al prossimo bisognoso. Questo non va contro la predicazione di Gesù sulla necessità della conversione, sulla fede, sui comandamenti, sul precetto dell'amore, sulla purezza del cuore, sull'umiltà, sulla filiazione divina, sulla rinunzia, sulla necessità di portare la croce. L'enumerazione che Gesù fa in questa occasione non è esclusiva, ma complementare: vuole mettere in evidenza l'importanza preponderante che ha, per lui, il precetto dell'amore manifestato appunto in queste opere. Non esclude il resto, e anzi, lo suppone.

L'avete fatto a me…
Il Re Giudice si appropria al passivo di queste opere, che dichiara come riferite a lui, fatte alla sua stessa Persona.
Chi ha operato questo è la moltitudine chiamata adesso dei "giusti". Essi hanno operato e basta; non hanno fatto indagine sui meritevoli di aiuto, né chi fossero gli aiutati. Le opere di carità ricordate hanno il merito di essere state compiute in onore di Gesù.

Signore, quando ti abbiamo visto affamato…?
Tanto quelli di destra come quelli di sinistra restano sorpresi davanti alla dichiarazione del giudice e si rivolgono a lui, esprimendo la loro meraviglia.
In questo modo, si espone chiaramente un principio che abbatte molte barriere: le opere compiute per amore sono liberate da ogni genere di limiti che condizioni il loro valore. Sono premiate le opere compiute per amore del prossimo bisognoso.
Gesù si rivolge a tutti indistintamente, dimostrando così che, anche fuori dell'ambito visibile dei suoi discepoli, della sua Chiesa, vi può essere un vero regno e un vero "cristianesimo".

Egli separerà gli uni dagli altri…
La sentenza pronunziata per quelli che si trovano alla sua sinistra sta a indicare la separazione eterna da Cristo e, per conseguenza, dalla vita, senza che le sue parole facciano supporre una predestinazione alla condanna. La loro mancanza di amore, cosa personale, ha determinato la loro destinazione alle pene senza fine. Le parole di Gesù parlano della fissazione definitiva della sorte degli uomini in quel momento supremo.
Il nostro destino ultimo si gioca nella realtà attuale della nostra vita. Saremo infatti giudicati sul nostro atteggiamento di oggi verso il prossimo. Negli uomini stretti dalla sofferenza e dal bisogno, il figlio dell'uomo è già misteriosamente presente.
Tutto questo ci porta a pensare al Cristo, Re dell'universo. Non per proclamare la sua signoria sulle questioni della vita civile, cosa che suonerebbe piuttosto ambigua in una società pluralista e laicizzata come la nostra. Gesù rivendica il suo titolo di re soltanto per l'ora della sua venuta nella gloria. Ma è presente nei poveri e nei piccoli: è il difensore dei loro diritti e il loro protettore. Servendo i poveri, è lui che serviamo.

Alla sera della vita, "saremo giudicati sull'amore", scrive san Giovanni della croce; il giudizio non si baserà altro che sulle opere di misericordia, sulla carità che non verrà mai meno. Bisogna dunque amare sino alla fine Dio e gli uomini. Mai Dio senza l'uomo, mai l'uomo senza Dio.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'avete fatto a me (Mt 25,40)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete il regno preparato per voi (Mt 25,34) - (23/11/2014)
(vai al testo…)
 Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete il regno preparato per voi (Mt 25,34) - (20/11/2011)
(vai al testo…)
 Ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25,40) - (21/11/2008)
(vai al post "L'avete fatto a me")

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 10.2014)
  di Marinella Perroni (VP 10.2011)
  di Enzo Bianchi

venerdì 17 novembre 2017

L'invito di Gesù a non avere paura, mai


33a domenica del Tempo ordinario (A)
Proverbi 31,10-13.19-20.30-31 • Salmo 127 • 1 Tessalonicesi 5,1-6 • Matteo 25,14-30
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni
Dio ci consegna qualcosa e poi esce di scena. Ci consegna il mondo, con poche istruzioni per l'uso, e tanta libertà. Un volto di Dio che ritroviamo in molte parabole: ha fiducia in noi, ci innalza a con-creatori, lo fa con un dono e una regola, quella di Adamo nell'Eden: "coltiva e custodisci" il giardino dove sei posto. Cioè: ama e moltiplica la vita, in tutti i sensi. Nessun uomo è senza giardino, perché ciò che è stato vero per Adamo è vero da allora per ogni suo figlio.

Ad uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì
I talenti dati ai servi, dal padrone generoso e fiducioso, oltre a rappresentare le doti intellettuali e di cuore, la bellezza interiore, di cui nessuno è privo, di cui la luce del corpo è solo un riflesso, annunciano che ogni creatura messa sulla mia strada è un talento di Dio per me, tesoro messo nel mio campo. Il Vangelo è pieno di una teologia semplice, la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi tocca il lavoro paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli, fino a dare il massimo secondo le proprie forze.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro
Arriva il momento del rendiconto, e si accumulano sorprese. La prima: colui che consegna dieci talenti non è più bravo di chi ne consegna solo quattro. Non c'è una tirannia o un capitalismo della quantità, perché le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Occorre solo sincerità del cuore e fedeltà a se stessi, per dare alla vita il meglio di ciò che possiamo dare. La seconda sorpresa: Dio non è un padrone esigente che rivuole indietro i suoi talenti con gli interessi. La somma rimane ai servitori, anzi è raddoppiata: sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto.
I servi vanno per restituire, e Dio rilancia. Il padrone non ha bisogno di quei dieci o quattro talenti. Dio rilancia! E questo accrescimento, questo incremento di vita, questa spirale d'amore crescente è l'energia segreta di tutto ciò che vive. Noi non viviamo semplicemente per restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati perché diventino a loro volta seme di altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci sono affidati.

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento…
Quel servo si giustifica: ho avuto paura. La parabola dei talenti è un invito a non avere paura delle sfide della vita, perché la paura paralizza, ci rende perdenti. Quante volte abbiamo rinunciato a vincere solo per la paura di finire sconfitti!
La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturità: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. Soprattutto da quella che è la paura delle paure, la paura di Dio.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14) - (16/11/2014)
(vai al testo…)
 Consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14) - (13/11/2011)
(vai al testo…)
 A chiunque ha verrà dato (...) ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha (Mt 25,29) - (14/11/2008)
(vai al post "Far fruttificare i talenti")

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 10.2014)
  di Marinella Perroni (VP 10.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 10 novembre 2017

Nell'attesa: vivere accesi o vivere spenti


32a domenica del Tempo ordinario (A)
Sapienza 6,12-16 • Salmo 62 • 1 Tessalonicesi 4,13-18 • Matteo 25,1-13
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo
Il regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po' di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte.

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge
Cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell'olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Gesù non spiega che cosa sia l'olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L'alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.

Poiché lo sposo tardava, si addormentarono…
Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. Basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada e uscire incontro a un abbraccio.

Ecco lo sposo! Andategli incontro!
In queste parole si trova l'immagine più bella dell'esistenza umana. Essa rappresentata un uscire e un andare incontro. È un uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio: Dio come un abbraccio.
L'esistenza è un uscire incontro: fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio.

Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono
La risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me?
Le damigelle che erano pronte entrarono con lo sposo alle nozze e la porta fu chiusa: "Vigilate, perché non conoscete né il giorno né l'ora".
Adesso chi può dire: Non lo sapevo?

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ecco lo sposo! Andategli incontro! (Mt 25,6)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Le vergini pronte entrarono con lui alle nozze (Mt 25,10) - (06/11/2011)
(vai al testo…)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2017)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

martedì 7 novembre 2017

Diaconi: curarsi di chi ha cura degli altri





Il diaconato in Italia n° 205
(luglio/agosto 2017)


Diaconi: curarsi di chi ha cura degli altri







ARTICOLI
In difesa del deserto (Giuseppe Bellia)
Per entrare nel riposo (Giovanni Chifari)
Le bende del Messia (Giorgio Agagliati)
Per una diaconia del curare e del prendersi cura (Enzo Petrolino)
Spiritualità e psicologia (Anna Bissi)
La cura dello Spirito (Giuseppe Bellia)
Il giogo pesante (Andrea Spinelli)
Esigenze primarie (Francesco Giglio)
L'esperienza della cura (Gaetano Marino)
Sul finire della notte (Paola Castorina)
Per una sana cura del gregge (Maurizio Gentilini)

TESTIMONIANZE
Accompagnamento, ascolto, rispetto: nasce la relazione (Momcilo Jankovic)
Dalla diocesi di Frascati: Esperienza dell'Ufficio pastorale della salute (Daniele Eulisi)
Tra ministero e professione (Giovanni Battista Sordelli)

DOCUMENTI
Dalla XXIV Giornata Mondiale del Malato (Papa Francesco)

(Vai ai testi…)

venerdì 3 novembre 2017

«Servizio»: il nome nuovo, il nome segreto della civiltà


31a domenica del Tempo ordinario (A)
Malachia 1,14b-2,2b.8-10 • Salmo 130 • 1 Tessalonicesi 2,7b-9.13 • Matteo 23,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere…
Essi dicono e non fanno. La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bensì contro l'ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso. Gesù non sopporta gli ipocriti, magari credenti, ma non credibili.

Legano fardelli pesanti sugli altri, ma essi non li muovono nemmeno con un dito
Così è l'ipocrita (termine greco che significa "attore di teatro"): è il moralista che invoca leggi sempre più dure, ma per gli altri. Infatti, legano fardelli pesanti e difficili e li impongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Ipocrita è l'uomo di Chiesa che più si mostra severo e duro con gli altri, più si sente giusto, vicino a Dio. L'ipocrita dice: "Vi ho dato la legge, sono a posto".

Le opere le fanno per essere ammirati dalla gente…
Se l'ipocrisia è il primo peccato, il secondo è la vanità: tutto fanno per essere ammirati dalla gente, vivono per l'immagine, recitano. L'ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica.

Amano essere chiamati "rabbì"… Voi siete tutti fratelli…
All'ipocrisia ed alla vanità si aggiunge l'amore del potere! Ma Gesù replica: Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. Tutti fratelli, nessuno superiore agli altri! A Gesù però questo non basta: il più grande tra voi è colui che serve.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo
Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d'amore e non di ricchezza per fiorire ed essere un "giardino" bello ed abitabile. Ed allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o il nostro vicino... Gesù così rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siamo grandi quando sappiamo amare, quando sappiamo farlo con lo stile di Gesù, traducendo l'amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere servito. È l'assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò, perché Lui si è fatto mio servitore.
«Servizio» è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Voi siete tutti fratelli (Mt 22,8)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Uno solo è la vostra Guida, il Cristo (Mt 23,10) - (30/10/2011)
(vai al testo…)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2017)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione: Sieger Koder, Lavanda dei piedi)

mercoledì 1 novembre 2017

La "novità": il servizio


Parola di vita – Novembre 2017
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11).

Gesù, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, annunciava la novità dello stile di vita di quelli che vogliono essere suoi discepoli, uno stile "controcorrente" rispetto alla mentalità più diffusa.
Al suo tempo, come anche oggi, era facile fare discorsi moralistici e poi non vivere coerentemente, ma piuttosto cercare per sé posti di prestigio nel contesto sociale, modi per emergere e servirsi degli altri per ottenere vantaggi personali.
Ai suoi Gesù chiede di avere tutt'altra logica nelle relazioni con gli altri, quella che Egli stesso ha vissuto:

«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo».

In un incontro con persone desiderose di scoprire come vivere il vangelo, Chiara Lubich ha così condiviso la sua esperienza spirituale:
«Si deve sempre puntare lo sguardo nell'unico Padre di tanti figli. Poi guardare tutte le creature come figlie di un unico Padre… Gesù, modello nostro, ci ha insegnato due sole cose, che sono una: ad essere figli di un solo Padre e ad essere fratelli gli uni degli altri…. Dio dunque ci chiamava alla fratellanza universale».
Ecco la novità: amare tutti come ha fatto Gesù, perché tutti sono - come me, come te, come ogni persona sulla terra - figli di Dio, amati e attesi da sempre da Lui.
Si scopre così che il fratello da amare concretamente, anche con i muscoli, è ognuna di quelle persone che incontriamo quotidianamente. È il papà, la suocera, il figlio piccolo e quello ribelle; il carcerato, il mendicante e il disabile; il capo ufficio e la signora delle pulizie; il compagno di partito e chi ha idee politiche diverse dalle nostre; chi è della nostra fede e cultura come pure lo straniero.
L'atteggiamento tipicamente cristiano per amare il fratello è servirlo:

«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo».

Ancora Chiara: «Aspirare costantemente al primato evangelico col mettersi, il più possibile, al servizio del prossimo […] E quale è il modo migliore per servire? Farsi uno con ogni persona che incontriamo, sentendo in noi i suoi sentimenti: risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall'amore […] Cioè non vivere più ripiegati su noi stessi, cercar di portare i suoi pesi, di condividere le sue gioie».
Ogni nostra capacità e qualità positiva, tutto quello per cui possiamo sentirci "grandi" è una imperdibile opportunità di servizio: l'esperienza sul lavoro, la sensibilità artistica, la cultura, ma anche la capacità di sorridere e di far sorridere; il tempo da offrire per ascoltare chi è nel dubbio o nel dolore; le energie della giovinezza, ma anche la forza della preghiera, quando quella fisica viene a mancare.

«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo».

E questo amore evangelico, disinteressato, prima o poi accende nel cuore del fratello lo stesso desiderio di condivisione, rinnovando i rapporti in famiglia, in parrocchia, nei luoghi di lavoro o di svago e mettendo le basi per una nuova società.

Hermez, adolescente del Medio Oriente, racconta: «Era domenica, e appena sveglio ho chiesto a Gesù di illuminarmi nell'amare durante tutto il giorno. Mi sono accorto che i miei genitori erano andati a Messa e mi è venuta l'idea di pulire e sistemare la casa. Ho cercato di curare ogni particolare, perfino i fiori sul tavolo! Poi ho preparato la colazione, sistemando ogni cosa. Al rientro, i miei genitori erano sorpresi e felicissimi di quanto avevano trovato. Quella domenica abbiamo fatto colazione nella gioia come mai era successo, dialogando su tante cose, e ho potuto condividere con loro le molte esperienze vissute durante tutta la settimana. Quel piccolo atto di amore aveva dato il "la" ad una bellissima giornata!».

Letizia Magri

Fonte: Città Nuova n. 10/Ottobre 2017