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venerdì 12 luglio 2013

Come farsi prossimo


15a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

I veri discepoli di Gesù sanno che il loro Maestro li chiama e li manda a servire l'uomo, ogni uomo. E c'è un segreto per «ereditare la vita eterna», per realizzarsi cioè pienamente e raggiungere la felicità perfetta: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... e il prossimo tuo come te stesso». Ma non basta conoscere tale segreto, bisogna attuare la Parola che richiama il legame indissolubile tra il comandamento dell'amore di Dio e il comandamento dell'amore del prossimo: «Fa' questo e vivrai». Infatti, ogni gesto che compio è autentico se è sempre un gesto di amore a Dio e nello stesso tempo al prossimo. È l'insegnamento che ci viene dal vangelo di questa domenica (Lc 10,25-37).
«E chi è il mio prossimo?». Al dottore della Legge Gesù non dà una risposta teorica, ma racconta un fatto: dopo che è stato presentato l'atteggiamento di indifferenza da parte del sacerdote e del levita nei confronti dell'uomo gravemente ferito, ecco il gesto d'amore compiuto dal Samaritano, da uno straniero, un eretico per i Giudei.
Ecco però che il suo gesto manifesta alcune caratteristiche essenziali dell'amore richiesto da Gesù:
È un amore universale. Il Samaritano soccorre chi gli era socialmente estraneo, anzi nemico; un amore, quindi, che non discrimina, che non esclude nessuno, che non guarda tanto al colore della pelle, al colore politico, religioso, ideologico; ma prende atto che ha a che fare con un uomo: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico». È questo "uomo" il protagonista, messo in scena fin dall'inizio e che successivamente entra in rapporto (mancato) col sacerdote e col levita, e poi in rapporto (realizzato) col Samaritano. È semplicemente un uomo e come tale suscita compassione nel Samaritano.
È un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona.
È un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro di quest'uomo e coinvolge altri (l'albergatore) nella cura di lui.
La chiave del comportamento del Samaritano si trova contenuta in due verbi: «Lo vide e ne ebbe compassione». La compassione, il "sentirsi sconvolgere le viscere", spiega e provoca il suo "farsi vicino" al ferito con tutte le azioni che esprimono il suo soccorso efficace e concreto, in un atteggiamento di profonda partecipazione e coinvolgimento. È un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire con l'altro".
Nell'agire del Samaritano Gesù mostra come l'amore vero "decentra", nel senso che non considero più gli altri in relazione a me, ruotanti attorno a me; ma considero me in relazione agli altri. Non più io al centro dell'attenzione, ma l'altro.
Inoltre, l'esempio del Samaritano sottolinea il legame stretto fra l'amore di Dio e quello del prossimo, perché il culto separato dall'amore è sterile, anzi falso. È ciò che non hanno capito il sacerdote e il levita, rimasti prigionieri dei loro schemi mentali. Non hanno saputo cogliere la volontà di Dio che in quel momento esigeva il loro ritardo o assenza dagli atti di culto per offrirgli invece il culto vero (l'amore) in quel luogo profano e lontano dal tempio di Gerusalemme; quel culto autentico che invece è stato offerto dal Samaritano, perché nell'uomo ferito era significato il tempio di Dio.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Va' e anche tu fa' così (Lc 10,37)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi

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