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venerdì 27 aprile 2018

Le "potature", opportunità che ci orientano a Dio, producendo frutto


5a domenica di Pasqua (B)
Atti 9,26-31 • Salmo 21 • 1 Giovanni 3,18-24 • Giovanni 15,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù è la vera vite, il Padre è l'agricoltore, noi siamo i tralci.
Gesù (la vite) si definisce in relazione con il Padre (l'agricoltore) e con noi (i tralci). La nostra identità - come quella di ogni uomo - è legata alle relazioni. Nessuno di noi vive da solo e nessuno può farlo.
Gesù ci dice che la natura dell'uomo è un'identità che si relaziona, che si nutre dei legami e dei rapporti della vita e fa di essi il centro dell'esistenza. Anzi - sottolinea Gesù -, noi, i tralci uniti alla vite, siamo già puri per la Parola che abbiamo ricevuto e viviamo l'esperienza della potatura. Il Vangelo mette in evidenza come la potatura sia la condizione indispensabile per la fecondità. L'alternativa è essere ramo secco e per questo essere tagliato via e bruciato. La potatura è quell'azione dolorosa che si fa sulle piante per fare in modo che esse non mettano tutte le energie nel produrre foglie, ma le orientino a produrre frutti. Un'azione molto dolorosa, tanto che quando avviene nella vigna, si dice che essa "piange", perché esce la linfa: vere e proprie gocce.
Vivere come tralci uniti alla vite vuol dire sapere riconoscere come le potature siano quelle esperienze di fatica, di umiliazione, di insuccesso, di delusione... non tanto mandate da Dio, bensì che ci permettono di orientarci più decisamente verso di lui. Non è il Signore che manda le potature, ma esse possono essere delle opportunità per liberarci da ciò che non ci aiuta a orientarci verso di lui, portando maggior frutto.
I frutti, poi, non hanno tanto la caratteristica di essere dei prodotti, ma sono un dono inaspettato. Il frutto, infatti, non è qualcosa di calcolabile e prevedibile, ma è qualcosa per cui si è grati, perché non è completamente prevedibile. E Gesù sottolinea: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Il frutto non è una cosa, un prodotto, un numero... ma è semplicemente l'essere discepoli del Signore. Si tratta di fare una rivoluzione nel considerare e valutare i nostri cammini. La vera domanda è: siamo discepoli del Signore, mentre viviamo quell'esperienza, quell'attività, quella scelta? L'immagine della vigna ci ricorda come il Signore si ponga costantemente in relazione con noi e ci chieda di fare altrettanto, di sentirci tralci uniti a lui, che è la vite, per portare frutto, cioè per vivere da suoi discepoli.

(da L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio")

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,5)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Io sono la vite, voi i tralci (Gv 15,5) - (03/05/2015)
(vai al testo…)
 Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto ( Gv 15,5) - (06/05/2012)
(vai al testo…)
 Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5) - (08/05/2009)
(vai al post "Nella potatura, la vita")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'intima nostra linfa divina (02/05/2015)
  Rimanere in Lui, garanzia di fecondità (04/05/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 4.2015)
  di Marinella Perroni (VP4.2012)
  di Claudio Arletti (VP 4.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

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