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lunedì 30 aprile 2018

Maria, donna dei nostri giorni



Propongo, come lo scorso anno, per il mese di Maggio una raccolta giornaliera di testi mariani, tratti da Maria, donna dei nostri giorni, come riportati nel mio sito di Testi e Documenti.
(Vai ai testi giornalieri…)

«Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.»
(don Tonino Bello)

Ascolta anche una breve conversazione di don Tonino Bello, pochi giorni prima della pubblicazione del libro.
(Clicca qui per ascoltare…)


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Vedi anche:
Il Mese di Maggio con papa Francesco (raccolta giornaliera di testi mariani tratti dagli interventi di papa Francesco sulla Vergine Maria).
Vai ai testi giornalieri…

domenica 29 aprile 2018

Chi crede ha la vita eterna


"Rilettura", alla fine del mese, della Parola di Vita di aprile.

"Chi crede ha la vita eterna" (Gv 6,47). "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto" (Gv 20,29).
Gesù, camminando sulle strade della Palestina, si fa vicino a quanti incontra…, condivide ogni necessità e ridà speranza. Anche a me, a ciascuno, è chiesto di fare l'esperienza di essere luce per le persone che incontriamo nella giornata: non di luce propria, ma di quella di Gesù che vive dentro di noi e in mezzo a noi.
L'amore è luce nel cammino di fede e di testimonianza del Signore Risorto. Questo comporta una attenzione costante alle aspettative (anche minime… ma accolte con discrezione e delicatezza) di chi mi viene incontro. Ogni persona infatti merita di essere amata con quell'amore che è stato seminato dallo Spirito nel nostro cuore.
Chi crede ha la Vita… Quella Vita che il Signore Risorto ci dona. Gesù solo può saziare la fame dell'uomo, soltanto Lui può darci la vita che non muore, perché Lui è la Vita.
In questa dinamica spirituale l'essenziale è fidarsi totalmente di Dio, perché l'amore di Dio, in Gesù crocifisso e risorto, non conosce ostacoli e cancella tutte le nostre miserie. La fede cristiana infatti è prima di tutto il frutto di un incontro personale con Dio, con Gesù, che non desidera altro che farci partecipare alla sua stessa vita.
Per lasciarmi avvolgere dall'abbraccio del Padre, occorre che mi "lasci andare", che mi abbandoni nelle su braccia, alla sua misericordia… E Lui mi dona la Vita! So di vivere! E ogni paura si attutisce, scompare… e dal profondo, come una piantina sospinta dal di sotto verso la luce, riaffiora la pace; ed il cuore si cheta e sa di poter riposare nel cuore del Padre…, in Gesù. Lo Spirito è la forza creatrice di questa nuova rinascita, una continua rinascita, che ci spinge a donare gioia agli altri.
"Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".
"Chi crede è generato da Dio... E chiunque è generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede" (1Gv 5,1-6).
Sappiamo che "nulla è impossibile a Dio". Questa è la certezza da coltivare senza tentennamenti. Essa ci farà sperimentare una pace mai provata, che ci farà sperimentare la forza del perdono che sconfigge ogni violenza. Ma occorre credere alla bontà (che è il seme che Dio ha seminato in ciascuno) delle persone, con un cuore sempre aperto.
È credere che Gesù opera in me, lasciandolo agire e non frapponendo ostacoli egoistici o egocentrici. È avere quella fiducia che opera il miracolo, quello della mia e altrui conversione. È raffinare la sensibilità soprannaturale, quell'istinto evangelico, dono dello Spirito, che si sviluppa esercitandolo. In altre parole: raffinare l'amore nell'attimo presente. Infatti, la fede in Gesù è aderire al suo esempio di non vivere ripiegati su se stessi, sulle nostre paure, ma piuttosto di riversare la nostra attenzione sulle necessità degli altri. È avere quella misericordia che vede ognuno come fosse nuovo, avendo in cuore, al posto del giudizio, l'amore e la misericordia: le parole di Gesù si illumineranno e Lui entrerà in noi con la sua verità, la sua forza e il suo amore. E cammineremo sicuri superando gli ostacoli… Sperimenteremo che si cammina sicuri se siamo uniti… Scopriremo, al di là delle diversità, la possibilità concreta di una sincera fraternità.

venerdì 27 aprile 2018

Le "potature", opportunità che ci orientano a Dio, producendo frutto


5a domenica di Pasqua (B)
Atti 9,26-31 • Salmo 21 • 1 Giovanni 3,18-24 • Giovanni 15,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù è la vera vite, il Padre è l'agricoltore, noi siamo i tralci.
Gesù (la vite) si definisce in relazione con il Padre (l'agricoltore) e con noi (i tralci). La nostra identità - come quella di ogni uomo - è legata alle relazioni. Nessuno di noi vive da solo e nessuno può farlo.
Gesù ci dice che la natura dell'uomo è un'identità che si relaziona, che si nutre dei legami e dei rapporti della vita e fa di essi il centro dell'esistenza. Anzi - sottolinea Gesù -, noi, i tralci uniti alla vite, siamo già puri per la Parola che abbiamo ricevuto e viviamo l'esperienza della potatura. Il Vangelo mette in evidenza come la potatura sia la condizione indispensabile per la fecondità. L'alternativa è essere ramo secco e per questo essere tagliato via e bruciato. La potatura è quell'azione dolorosa che si fa sulle piante per fare in modo che esse non mettano tutte le energie nel produrre foglie, ma le orientino a produrre frutti. Un'azione molto dolorosa, tanto che quando avviene nella vigna, si dice che essa "piange", perché esce la linfa: vere e proprie gocce.
Vivere come tralci uniti alla vite vuol dire sapere riconoscere come le potature siano quelle esperienze di fatica, di umiliazione, di insuccesso, di delusione... non tanto mandate da Dio, bensì che ci permettono di orientarci più decisamente verso di lui. Non è il Signore che manda le potature, ma esse possono essere delle opportunità per liberarci da ciò che non ci aiuta a orientarci verso di lui, portando maggior frutto.
I frutti, poi, non hanno tanto la caratteristica di essere dei prodotti, ma sono un dono inaspettato. Il frutto, infatti, non è qualcosa di calcolabile e prevedibile, ma è qualcosa per cui si è grati, perché non è completamente prevedibile. E Gesù sottolinea: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Il frutto non è una cosa, un prodotto, un numero... ma è semplicemente l'essere discepoli del Signore. Si tratta di fare una rivoluzione nel considerare e valutare i nostri cammini. La vera domanda è: siamo discepoli del Signore, mentre viviamo quell'esperienza, quell'attività, quella scelta? L'immagine della vigna ci ricorda come il Signore si ponga costantemente in relazione con noi e ci chieda di fare altrettanto, di sentirci tralci uniti a lui, che è la vite, per portare frutto, cioè per vivere da suoi discepoli.

(da L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio")

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,5)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Io sono la vite, voi i tralci (Gv 15,5) - (03/05/2015)
(vai al testo…)
 Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto ( Gv 15,5) - (06/05/2012)
(vai al testo…)
 Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5) - (08/05/2009)
(vai al post "Nella potatura, la vita")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'intima nostra linfa divina (02/05/2015)
  Rimanere in Lui, garanzia di fecondità (04/05/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 4.2015)
  di Marinella Perroni (VP4.2012)
  di Claudio Arletti (VP 4.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

lunedì 23 aprile 2018

Diaconato e mondo del lavoro.
 Per un ministero creativo e solidale




Il diaconato in Italia n° 208
(gennaio/febbraio 2018)


Diaconato e mondo del lavoro.
Per un ministero creativo e solidale

«… nel lavoro creativo, partecipativo e solidale l'essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita» (EG 192)





ARTICOLI
Appunti su lavoro e diaconia oggi (Giuseppe Bellia)
Il lavoro e il riposo (Giovanni Chifari)
L'idolatria del lavoro nelle Scritture (Giuseppe Bellia)
Il diacono e il "suo" lavoro (Luigi Vidoni)
Diaconi e formazione al mondo del lavoro (Graziano Culpo e Luca Garbinetto)
La scomoda coerenza dell'essere diacono (Gaetano Di Laura)
Dalla 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Filippo Santoro)
Diaconato e mondo del lavoro (Giovanni Momigli)
Occasione di testimonianza (Alessandro Cuzzola)
Non lasciamoci rubare la speranza (EG 86) (Mario Delpini)
Per una diaconia del lavoro alla luce dell'Evangelii Gaudium (Enzo Petrolino)
La quaestio dei "viri probati" (Giovanni Chifari)
Strumenti di lavoro (Francesco Giglio)
Nel mondo del lavoro (Gaetano Marino)

TESTIMONIANZE
Lavorando con i giovani (Piero Meroni)
Servizio empatico alle persone ricoverate (Gino Cintolo)

GIORNATA DI STUDIO
Dalla Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale

(Vai ai testi…)

sabato 21 aprile 2018

La vita di Gesù …e del discepolo: un dono d'amore


4a domenica di Pasqua (B)
Atti 4,8-12 • Salmo 117 • 1 Giovanni 3,1-2 • Giovanni 10, 11-18
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Io do la mia vita… Io la do da me stesso» (Gv 10,11.17.18).
Al centro del Vangelo di questa domenica - detta del Buon Pastore - c'è ancora il messaggio pasquale della vita di Gesù donata per amore, un messaggio che insiste sul fatto che il Signore dona la sua vita: «Io do la mia vita ... io la do da me stesso». In questo consiste il "potere" di Gesù: donare la sua vita per amore. La sua forza è la consapevolezza di fare della sua vita un dono d'amore. E così anche il suo discepolo è chiamato a porre al centro della sua esistenza la stessa logica. La vita trova la sua bellezza/bontà se noi sappiamo fare di essa un dono per gli altri, se non la tratteniamo, o peggio ancora, la riduciamo a una corsa frenetica nella ricerca del proprio interesse e tornaconto.
«Ho altre pecore che non appartengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Gv 10,16).
Il Vangelo, oltre a fare notare che Gesù vive una relazione con le sue pecore, mette in evidenza il fatto che il Signore viva anche la consapevolezza di avere altre pecore: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto…». Egli sente di essere il pastore di tutti e nel gesto di deporre la sua vita esprime davvero la consapevolezza di abbracciare tutti, anche coloro che non appartengono a "questo recinto". In quest'affermazione c'è un messaggio evangelico che consiste nella consapevolezza di vivere la propria vita e la propria missione per tutti, non perché si deve arrivare a tutti - cosa impossibile - bensì perché si è guidati dalla certezza che ciò che si fa per alcuni, in realtà ha dei confini molto più grandi.
Occorre rovesciare un modo di pensare, molto frequente, che si lamenta dei pochi che vengono ed essere consapevoli che il segno che si pone, lo si pone per tutti. Un esempio: spesso ci si lamenta che pochi vivono un cammino di fede e si comincia a brontolare perché uno non si impegna, un altro non c'è mai... La logica del buon pastore è quella di essere consapevoli della logica della fratellanza, che afferma: "Quello che sto facendo è per tutti". Gesù nella sua vita ha sentito la fatica di essere solo, ma non ha accusato gli altri di averlo lasciato solo, perché era consapevole di ciò che aveva scelto: donare la sua vita per gli altri. L'obiettivo della sua vita non è mai stato quello di costruire un unico recinto entro il quale tutti dovevano stare, ma di costituire un unico gregge, i cui confini sono molto larghi, di cui lui è il pastore. La sua logica non è esclusiva, bensì inclusiva.

(da L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio")

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono il buon pastore (Gv 10,14)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Ascolteranno la mia voce (Gv 10,16) - (26/04/2015)
(vai al testo…)
 Io sono il buon pastore ( Gv 10,11) - (29/04/2012)
(vai al testo…)
 Il buon pastore dà la sua vita per le pecore (Gv 10,11) - (01/05/2009)
(vai al post "Dare la vita")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Gesù ci "conosce" come il padre "conosce" lui (24/04/2015)
  Conosciuti da Lui (27/04/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 4.2015)
  di Marinella Perroni (VP4.2012)
  di Claudio Arletti (VP 4.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)


venerdì 20 aprile 2018

Il dono di un servizio a "tempo pieno"


Ricorre oggi l'anniversario della mia ordinazione diaconale.
Contemporaneamente ricorre anche il venticinquesimo anniversario della morte di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta. Papa Francesco recandosi oggi presso la tomba di don Tonino ha evidenziato del vescovo di Molfetta "il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed estroversa, protesa, non avviluppata dentro sé".
Uno stimolo per una diaconia che si rivolge "fuori", che esca dal "recinto del sacro" ed incontri l'uomo, ogni uomo e donna, nei posti lì dove si trova e vive.

Oggi, nel ringraziare il Padre per il dono del diaconato, ringrazio anche tutti quei "fratelli" che mi hanno accompagnato in questo servizio alla Chiesa per il mondo. Uno di questi è don Tonino.
Voglio riportare la lettera che il vescovo di Molfetta indirizzò a Sergio, il primo diacono permanete ordinato della diocesi di Molfetta il 4 ottobre 1989.



Carissimo Sergio,
te l'ho detto a voce, ma voglio ripetermi. Tecnicamente, l'appellativo diacono permanente si dà a colui che, una volta salito sul primo dei gradini dell'ordine sacro, il diaconato appunto, si ferma in modo stabile lì, senza la prospettiva di ascendere, in seguito, agli altri due livelli: del presbiterato, cioè, e dell'episcopato.
La spiegazione non mi piace. Mi sa malinconicamente di negativo. Mi dà troppo il sapore di binario morto. Allude in modo molto scoperto ai galloni di quei soldati scelti che, non dovendo fare carriera, rimangono appuntati per tutta la vita.
Sembra, insomma, più il traguardo ultimo che recide le illusioni dell'«oltre», che lo «status» di chi annuncia con gioia che tutta la vita deve essere messa al servizio di Dio e dei fratelli.
Ti voglio dire, allora, qual è la disposizione d'animo con la quale tra giorni ti imporrò le mani sul capo.
Vedi, Sergio, desidero che tu sia per la nostra Chiesa locale il segno luminoso della sua diaconia permanente. L'icona del suo radicale rifiuto per ogni mentalità da «part-time». Il simbolo dell'antiprovvisorietà del suo servizio. Il richiamo contro tutte le tentazioni di interpretare con moduli di dopolavoro l'impegno per i poveri. La negazione di ogni precariato che voglia includere, non solo nella diaconia della carità, ma anche in quella della Parola e della lode liturgica, la banalità aziendale del «turn-over».
Auguri, Sergio.
I laici, vedendoti, si sentano messi in crisi per l'incapacità di dare al loro servizio ecclesiale lo spessore del tempo pieno e, forse, neppure quello del tempo prolungato.
I religiosi ti sperimentino come provocazione alla totalità di una scelta, che è permanente non tanto perché impedita di far passi in avanti quanto perché esorcizzata dal pericolo di far passi all'indietro, con quelle quotidiane ritrattazioni di fedeltà che a poco a poco si rimangiano la bellezza del dono.
I presbiteri ti accompagnino per leggere nella tua vita il filo rosso che deve attraversare tutto l'arco della loro esperienza sacerdotale: la completezza dell'offertorio, la stabilità della consacrazione, il servizio della comunione.
E anche il tuo vescovo, invocando lo Spirito su di te, comprenda che il diaconato permanente, se è il gradino più basso nella gerarchia dell'ordine sacro, è, però, la soglia più alta che l'avvicina a Cristo, «diacono di Jahvè».
Dai, Sergio.
Con me ti benedice tutto il popolo di Dio.
+ Don Tonino, vescovo


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Rimando ad altri post relativi alla mia ordinazione diaconale.

Seguimi! (20/04/2017)
Gratitudine! (20/04/2016)
Stare nella tua casa (20/04/2015)
Chiara, mia moglie (26/04/2011)
Il diacono e il suo vescovo (20/04/2011)
Modello di ogni diaconia (19/04/2011)
Il mio sì (20/04/2010)
Ricordando quel giorno (19/04/2009)
Eccomi (19/04/2008)
Per conoscerci… (la nostra esperienza) (24/02/2008)




lunedì 16 aprile 2018

Il Diaconato in Italia – Indice 2018



Il Diaconato in Italia
Periodico bimestrale di animazione per le chiese locali

Indice 2018 (anno 50°)







Titolo dell'annata:
DIACONI ANNUNCIATORI DELLA GIOIA DEL VANGELO


Temi monografici:

n° 208 – gennaio/febbraio 2018
Diaconato e mondo del lavoro. Per un ministero creativo e solidale
«… nel lavoro creativo, partecipativo e solidale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita» (EG 192)

n° 209 – marzo/aprile 2018
Chiamati alla diaconia: la vocazione al ministero diaconale
«La gioia del Vangelo che riempie la vita dei discepoli è una gioia missionaria» (EG 21)

n° 210/211 – maggio/agosto 2018
I diaconi e i giovani: prendersi cura ed accompagnare
«I giovani spesso non trovano risposte alle loro inquietudini» (EG 105)

n° 212 – settembre/ottobre 2018
Diaconi profeti a servizio della bellezza del creato, della pace e di ogni persona
«Cercare la bellezza per una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato» (EG 257)

n° 213 – novembre/dicembre 2018
Formare i diaconi alla spiritualità e alla sinodalità
«… non servono discorsi e prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore» (EG 262)

Vai ai testi…

venerdì 13 aprile 2018

Occorre un cammino di fede!


3a domenica di Pasqua (B)
Atti 3,13-15.17-19 • Salmo 4 • 1 Giovanni 2,1-5a • Luca 24, 35-48
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La sfida che il Vangelo lancia riguarda proprio la conoscenza della vicenda di Gesù, perché non venga scambiato per uno spirito, un fantasma. Non è sufficiente affermare "Il Signore è risorto" se non si comprende esistenzialmente che cosa questo significhi per la nostra vita.
L'evangelista Luca, nel raccontare la risurrezione di Gesù, presenta una sorta di itinerario progressivo che inizia con il sepolcro vuoto, passa attraverso l'apparizione degli angeli alle donne, l'incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, l'apparizione a Pietro e, giunge infine, agli undici riuniti. Gesù mostra le mani e i piedi, si fa vedere come persona in carne e ossa, mangia una porzione di pesce.
Per giungere alla fede risulta chiaro che non basta che Gesù sia visto, ascoltato, e che mangi davanti ai suoi, ma occorre che la mente sia aperta all'intelligenza delle Scritture: «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture». Senza le Scritture non si dà fede pasquale. L'intelligenza delle Scritture si contrappone all'ignoranza, a causa della quale Gesù fu ucciso.
Infatti, è molto più facile credere ai miracoli di Gesù che alle sue parole. È molto più facile correre dietro a un'apparizione piuttosto che riconoscere Gesù che sta in mezzo a noi, mangia con noi, condivide la fatica della vita. È molto più facile vivere una dimensione religiosa dentro la nostra vita piuttosto che fare un cammino di fede. La religione è costituita dalle manifestazioni straordinarie, la fede è la capacità di vedere la presenza del Signore nella vita di tutti i giorni. La religione è credere che Gesù sia uno spirito, un fantasma, la fede è credere che Gesù sia una persona.
Vivere la fede pasquale significa guardare avanti e non indietro. Si tratta di avere uno sguardo prospettico e provare a immaginare nelle scelte di vita come sarà e non tanto arrabbiarsi per questa o quella cosa che non va come vorrei. Tante volte anche noi, come i discepoli, rimaniamo inerti: vediamo i segni che ci dicono la risurrezione del Signore, ma non sappiamo abbandonarci alla gioia. Si crea quella situazione un po' strana che descrive il Vangelo: «(i discepoli) per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore». Nel tentativo di scusare gli apostoli, l'evangelista spiega che non credevano ancora perché erano troppo contenti, sembrava loro "troppo bello per essere vero!".
Vivere la fede pasquale significa costruire un cammino che abbia una radice spirituale profonda, ma è altrettanto vero che l'esperienza spirituale vera comprende "la carne e le ossa" del Risorto. Il Cristo non è uno spirito o un fantasma, e il cristianesimo non è un'alienazione o uno spiritualismo quando prende sul serio le cose, soprattutto se dolorose... quando discerne il Risorto mentre tocca la carne, spesso ferita, dell'uomo. La nuova stagione che si è aperta con la risurrezione avrà davvero la forza reale di un annuncio di salvezza, se vivremo nella capacità di accoglierci nelle nostre ferite e di amarci in esse.

(da L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio")

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù in persona stette in mezzo a loro (Lc 24,36)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Toccatemi e guardate (Lc 24,39) - (19/04/2015)
(vai al testo…)
 Di questo voi siete testimoni ( Lc 24,48) - (22/04/2012)
(vai al testo…)
 Chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente completo (1Gv 2,5) - (24/04/2009)
(vai al post "Se viviamo la Parola")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  "Gesù risorto "apre" mente e cuore (17/04/2015)
  Suoi testimoni! (20/04/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 3.2015)
  di Marinella Perroni (VP3.2012)
  di Claudio Arletti (VP 3.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 6 aprile 2018

La fede che vince il mondo


2a domenica di Pasqua (B)
Atti 4,32-35 • Salmo 117 • 1Giovanni 5,1-6 • Giovanni 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La fede nel Cristo è il fondamento della nostra figliolanza divina: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio» (1Gv 5,1). E questa divina paternità, che tutti accoglie, ci rende tra noi fratelli, legati da un vincolo di amore che fa capo al Padre comune perché chi ama il Padre «ama anche chi è nato da lui».
Gesù è colui che nella sua passione ha superato la grande prova dell'amore, e ci comunica proprio nell'atto della sua risurrezione, la forza di accogliere e vivere in pienezza il suo comandamento nuovo: «Amatevi a vicenda come io ho amato voi» (Gv 13,34).
Questo "miracolo" dell'amore che deve giungere fino ai nemici, pure essi figli di Dio, è il frutto più prezioso della fede nella forza salvifica e redentrice della risurrezione ed è il segno della nostra appartenenza a Cristo: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri» (Gv 13,35).
Il vangelo ci presenta Gesù che la sera del giorno stesso di pasqua, appare agli apostoli, increduli ed esitanti, ancora chiusi in casa per paura dei giudei.
La fede non aveva ancora illuminato le loro menti né aperto i loro cuori, perciò il timore e il dubbio li dominavano. Ma Gesù entra a porte chiuse: il suo corpo, reale, ma glorioso e incorruttibile, non conosce più barriere né ostacoli; come ha spezzato i vincoli del sepolcro e della morte, penetra attraverso le porte sbarrate e ancora più può irrompere nei nostri cuori chiusi e induriti dall'incredulità e dall'egoismo, per spalancarli alla speranza e all'amore.
Gesù, entrato dai discepoli timorosi, comunica loro il grande dono della pace e per rassicurarli mostra loro le mani e il costato che portavano ancora il segno delle ferite. Poi investe i discepoli, ormai pieni di gioia per averlo riconosciuto, della stessa missione che a lui era stata affidata dal Padre. Quindi, alitando su di loro, comunica ad essi il suo Spirito vivificatore e santificatore, conferendo loro il potere di rimettere i peccati, attuando realmente così la grande promessa del riscatto e della nuova creazione. Nel perdono che ci è dato mediante lo Spirito, siamo veramente rinnovati, diventando in Cristo «nuova creazione».

La prima lettura (cf At 4,32-35) ci dà un quadro mirabile della nuova comunità cristiana, riunita in nome e nel segno della fede, ispirata dall'amore fraterno ed operante, animata e sorretta dalla testimonianza degli apostoli. La moltitudine dei credenti, è detto, aveva un cuore solo e un'anima sola. Chi aveva dei beni non li considerava propri, ma metteva tutto in comune e si distribuiva a ciascuno secondo il suo bisogno. Questa comunione semplice e gioiosa è veramente il miracolo del Risorto che schiude il cuore gretto ed egoista dell'uomo vecchio per spalancarlo alla novità dell'amore a cui siamo chiamati come cittadini del regno di Dio. È il miracolo della fede semplice, ma profonda, che crede nel mistero di Gesù, figlio di Dio, il quale, con la sua vittoria pasquale, ha fatto nuove tutte le cose.
Il motivo della fede ispira anche la seconda lettura (cf 1Gv 5,1-6). In essa l'apostolo proclama la vittoria della fede: «Chi è che vince il mondo se non colui che crede che Gesù è il figlio di Dio?». È la fede la forza che sconfigge il mondo perché nulla più ha potere contro il Risorto. E noi siamo, per il battesimo e la fede, così strettamente congiunti a lui, da potere, con lui e per lui, essere vittoriosi contro ogni potenza e insidia del male: «Chiunque è generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede».

Il brano del vangelo (cf Gv 20,19-31) è incentrato nella figura di Tommaso. Dopo la descrizione della prima apparizione del risorto ai discepoli, è riportata la reazione negativa di questo apostolo all'annuncio strabiliante della risurrezione del Maestro.
Nel brano finale è narrata la seconda apparizione di Gesù ai discepoli, presente Tommaso, con il quale il Risorto dialoga, per proclamare beati coloro che credono senza aver visto.
«Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio"». In nessun punto del Vangelo di Giovanni c'è una professione di fede così decisa e chiara. Tra la prima professione del discepolo Natanaele (cf Gv 1,49) all'ultima di Tommaso è contenuto il viaggio di fede della comunità. San Gregorio Magno diceva:«Ci ha giovato più l'infedeltà di Tommaso che la fede dei discepoli credenti», perché questi ha vissuto il dramma di molti di noi, ha parlato per noi e per noi ha avuto la risposta.
Alla testimonianza dell'apostolo, Gesù risponde: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Forse siamo poco abituati a riflettere su queste parole così profonde, pronunciate da Gesù nel momento in cui, per la prima volta dopo la passione, un discepolo riconosce esplicitamente la sua divinità.
Beati quelli che credono senza vedere, senza discutere, senza argomentare: ma credono nel Figlio perché si è rivelato e lo Spirito gli ha reso testimonianza. L'annuncio di questa beatitudine ha davvero percorso tutti i secoli e durerà fino alla fine dei tempi.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Otto giorni dopo venne Gesù (Gv 20,26)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Abbiamo visto il Signore! (Gv 20,25) - (12/04/2015)
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 Beati quelli che hanno visto e hanno creduto ( Gv 20,9) - (15/04/2012)
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 Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: "Pace a voi" (Gv 20,19) - (17/04/2009)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  "Quelle ferite, il punto più alto dell'amore (11/04/2015)
  La nostra vita con il Risorto (13/04/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 4.2018)
  di Luigi Vari (VP 3.2015)
  di Marinella Perroni (VP3.2012)
  di Claudio Arletti (VP 3.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

martedì 3 aprile 2018

La fraternità, frutto del Risorto


Papa Francesco al Regina Coeli di ieri, Lunedì dell'Angelo, ha parlato di fraternità, quale «frutto della Pasqua di Cristo».
Ha detto fra l'altro: «[…] la fraternità è il frutto della Pasqua di Cristo che, con la sua morte e risurrezione, ha sconfitto il peccato che separava l'uomo da Dio, l'uomo da sé stesso, l'uomo dai suoi fratelli. Ma noi sappiamo che il peccato sempre separa, sempre fa inimicizie. Gesù ha abbattuto il muro di divisione tra gli uomini e ha ristabilito la pace, cominciando a tessere la rete di una nuova fraternità. È tanto importante in questo nostro tempo riscoprire la fraternità, così come era vissuta nelle prime comunità cristiane. Riscoprire come dare spazio a Gesù che mai separa, sempre unisce. Non ci può essere una vera comunione e un impegno per il bene comune e la giustizia sociale senza la fraternità e la condivisione. Senza condivisione fraterna non si può realizzare una comunità ecclesiale o civile: esiste solo un insieme di individui mossi o raggruppati dai propri interessi. Ma la fraternità è una grazia che fa Gesù.
La Pasqua di Cristo ha fatto esplodere nel mondo un'altra cosa: la novità del dialogo e della relazione, novità che per i cristiani è diventata una responsabilità. Infatti Gesù ha detto: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Ecco perché non possiamo rinchiuderci nel nostro privato, nel nostro gruppo, ma siamo chiamati a occuparci del bene comune, a prenderci cura dei fratelli, specialmente quelli più deboli ed emarginati. Solo la fraternità può garantire una pace duratura, può sconfiggere le povertà, può spegnere le tensioni e le guerre, può estirpare la corruzione e la criminalità. L'angelo che ci dice: “É risorto”, ci aiuti a vivere la fraternità e la novità del dialogo e della relazione e la preoccupazione per il bene comune. […]»

Queste parole sulla fraternità e sulla novità del dialogo e della relazione mi riportano a quanto si legge nel Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti: «La diaconia di Cristo ha come destinatario l'uomo, ogni uomo, che nel suo spirito e nel suo corpo porta le tracce del peccato, ma è chiamato alla comunione con Dio. […] Cristo si è fatto servo, assumendo la nostra carne; e di questa diaconia la Chiesa è segno e strumento nella storia. Il diacono, dunque, per il sacramento, è destinato a servire i suoi fratelli bisognosi di salvezza» (n. 49).
«Il diacono ricordi, pure, che la diaconia della carità conduce necessariamente a promuovere la comunione all'interno della Chiesa particolare. La carità, infatti, è l'anima della comunione ecclesiale» (n. 55). «I diaconi si proporranno come animatori di comunione. In particolare, laddove si verificassero delle tensioni, non mancheranno di promuovere la pacificazione per il bene della Chiesa» (n. 71), «favorendo in sommo grado il mantenimento, fra gli uomini, della pace e della concordia» (n.13).

(Clicca qui per il Video delle Parole del Papa)

domenica 1 aprile 2018

La vita eterna: un incontro personale con Dio


Parola di vita – Aprile 2018
(Clicca qui per il Video del Commento)

«In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna» (Gv 6, 47).

Questa frase di Gesù fa parte di un lungo dialogo con la folla che ha visto il segno della moltiplicazione dei pani e lo segue, forse soltanto per ricevere da lui ancora qualche aiuto materiale. Gesù, partendo dal loro bisogno immediato, porta piano piano il discorso sulla sua missione: è stato inviato dal Padre per dare agli uomini la vera vita, quella eterna, e cioè la stessa vita di Dio, che è Amore. Egli, camminando sulle strade della Palestina, si fa vicino a quanti incontra, non si sottrae alle richieste di cibo, di acqua, di risanamento, di perdono; anzi condivide ogni necessità e ridà speranza a ognuno. Per questo può chiedere poi un passo ulteriore, può invitare chi lo ascolta ad accogliere la vita che ci offre, ad entrare in relazione con Lui, a dargli fiducia, ad avere fede in Lui. Commentando proprio questa frase del Vangelo, Chiara Lubich ha scritto: «Gesù qui risponde all'aspirazione più profonda dell'uomo. L'uomo è stato creato per la vita; la cerca con tutte le sue forze. Ma il suo grande errore è di cercarla nelle creature, nelle cose create, le quali, essendo limitate e passeggere, non possono dare una vera risposta all'aspirazione dell'uomo. […] Gesù solo può saziare la fame dell'uomo. Soltanto Lui può darci la vita che non muore, perché Lui è la Vita» [1].

«In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna».

La fede cristiana è prima di tutto il frutto di un incontro personale con Dio, con Gesù, che non desidera altro che farci partecipare alla sua stessa vita. La fede in Gesù è aderire al suo esempio di non vivere ripiegati su noi stessi, sulle nostre paure, sui nostri programmi limitati, ma piuttosto di riversare la nostra attenzione sulle necessità degli altri: necessità concrete come la povertà, la malattia, l'emarginazione, ma soprattutto il bisogno di ascolto, di condivisione, di accoglienza. In questo modo potremo comunicare agli altri, con la nostra vita, lo stesso amore ricevuto come dono di Dio. E per fortificare il nostro cammino, Egli ci ha lasciato anche il grande dono dell'Eucaristia, segno di un amore che dona se stesso per far vivere l'altro.

«In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna».

Quante volte, durante la nostra giornata, diamo fiducia alle persone intorno a noi: all'insegnante che istruisce i nostri figli, al tassista che deve portarci a destinazione, al medico che deve curarci … Non si può vivere senza fiducia, ed essa si consolida con la conoscenza, l'amicizia, il rapporto approfondito nel tempo. Come vivremo allora la Parola di vita di questo mese? Continuando il suo commento, Chiara ci invita a ravvivare la nostra scelta ed adesione totale a Gesù: «E sappiamo ormai quale è la via per arrivarvi: […] metter in pratica, con particolare impegno, quelle sue parole che ci ricordano le varie circostanze della vita. Per esempio: incontriamo un prossimo? "Ama il prossimo tuo come te stesso" (cf Mt 22,39). Abbiamo un dolore? "Chi vuol venire dietro a me… porti la sua croce" (cf Mt 16,24), ecc. Allora le parole di Gesù si illumineranno e Gesù entrerà in noi con la sua verità, la sua forza ed il suo amore. La nostra vita sarà sempre più un vivere con Lui, un fare tutto assieme a Lui. Ed anche la morte fisica, che ci attende, non potrà più spaventarci, perché con Gesù ha già avuto inizio in noi la vera vita, la vita che non muore» [2].

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, La vera vita, Città Nuova, 35, [1991], 14, p. 32.
[2] ibid., p. 33.


Fonte: Città Nuova n. 3/Marzo 2018