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lunedì 26 febbraio 2018

Diaconia della Bellezza


Sabato 24 febbraio 2018 Papa Francesco ha incontrato gli artisti del Movimento della Diaconia della Bellezza. Nel suo discorso li ha invitati a testimoniare con la loro arte l'amore di Dio, a far conoscere la gratuità della bellezza.

Riporto il servizio di Amedeo Lomonaco di Vatican News.

(Ascolta il servizio con la voce del Papa)


«I doni che avete ricevuto sono per ognuno di voi una responsabilità e una missione». È quanto ha affermato Papa Francesco ricevendo i membri del Movimento Diaconia della Bellezza, un servizio ecclesiale nato nel 2012 con l'obiettivo di costruire un ponte tra gli artisti e Dio, per farli divenire testimoni della sua bellezza.
I doni e i talenti - ha detto il Papa - non devono essere impiegati «per la ricerca di una vana gloria o di una facile popolarità».

Voi siete chiamati, mediante i vostri talenti e attingendo alle fonti della spiritualità cristiana, a proporre un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggiare uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionato dal consumo, e a servire la creazione e la tutela di "oasi di bellezza" nelle nostre città troppo spesso cementificate e senz'anima.

Il Papa ha esortato inoltre gli artisti «a sviluppare i talenti per contribuire a una conversione ecologica che riconosca l'eminente dignità di ogni persona, il suo valore peculiare, la sua creatività e la sua capacità di promuovere il bene comune».

Abbiate a cuore anche di testimoniare, nell'espressione della vostra arte, che credere in Gesù Cristo e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove.

La Chiesa – ha affermato infine il Papa, rivolgendosi agli artisti della Diaconia della Bellezza - «conta su di voi per rendere percepibile la Bellezza ineffabile dell'amore di Dio e per permettere a ciascuno di scoprire la bellezza di essere amati da Dio, di essere colmati del suo amore, per vivere di esso e darne testimonianza nell'attenzione agli altri, in particolare a quelli che sono esclusi, feriti, rifiutati nelle nostre società».

(Illustrazione da Zenit.it)


venerdì 23 febbraio 2018

L'amore di Dio nel dono del Figlio


2a domenica di Quaresima (B)
Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18 • Salmo 115 • Romani 8,31b-34 • Marco 9,2-10
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il tema, l'insegnamento centrale di questa II Domenica di Quaresima è l'amore di Dio. Nei primi due brani, viene messa in luce la grandezza e la profondità di questo amore: il Padre (rappresentato da Abramo) ci ama fino a donare il suo Figlio per noi. Nell'Antico Testamento, questo avveniva in immagine: ora è divenuto realtà. Tuttavia Dio ama il Figlio, eppure lo sacrifica; ama il suo popolo e permette tante difficoltà. Così si passa dal tema dell'amore di Dio, a quello della fede, fede pura, che consiste nell'accettare Dio, anche quando è diverso da come lo vorremmo.
Sotto questa visuale, occorre leggere l'episodio della trasfigurazione.
I discepoli hanno capito che Gesù è il messia; in lui si realizza la salvezza. Ma non riescono a comprendere, ora, che egli annunci la sua passione e morte: non vedono come l'amore di Dio possa nascondersi dietro la croce. Questo è, infatti, il significato della trasfigurazione: ai tre apostoli, che dovranno essere testimoni di un'altra trasfigurazione (l'agonia del Getsemani) e per prepararli a capire nel giusto senso i dolori e le umiliazioni della passione, Dio concede d'intravvedere per un istante la gloria del Figlio, al di là delle apparenze che sembrerebbero contraddirla.
Anche san Paolo, nella seconda lettura, afferma la certezza dell'amore di Dio, la sua fedeltà, adducendo come prova il fatto che egli ci ha donato quanto aveva di più caro: il suo stesso Figlio. Nessuna difficoltà, nessun dubbio, nessuna prova, possono separarci dall'amore che Dio ha per noi. Perciò nessuna situazione umana giustificherà in noi la preoccupazione, il dubbio della fede, la sfiducia in Dio. È una convinzione che possiamo maturare riflettendo sul comportamento di Dio, come si rivela nella storia della salvezza.

Il Signore - come leggiamo nel Vangelo - prende con sé tre testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, i medesimi che aveva portato quando aveva resuscitato la figlia di Giairo, e che poi si porterà al Getsemani. Li conduce in disparte su un alto monte.
«Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vestì divennero splendenti, bianchissime», di un bianco abbagliante presumibilmente manifestando in questo modo la gloria di colui che le indossa (vedi Ap 3,4; 7,9).
Lì avviene una Teofania trinitaria. Anzitutto dall'Umanità del Signore, dal suo interno per così dire e non da fuori, sfolgora la Luce divina increata, in specie dal suo Volto che sembra un sole (cf Mt 17,2), e le stesse vesti brillano di emanato splendore, sicché Egli "fu trasfigurato", ossia "cambiò forma". Il gruppetto degli intimi tra i discepoli di Gesù riceve un barlume della sua "forma" (morphè) divina.
«E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù». La loro presenza ci fanno pensare al ruolo di Gesù nell'adempimento delle promesse fatte da Dio nell'Antico Testamento ed in Lui portate a compimento.

«Venne una nube che li coprì con la sua ombra…»: la Nube splendente della Gloria divina viene sopra di essi. È la Nube che "fa ombra sopra" il tabernacolo dell'alleanza nel deserto; è la Nube che "fa ombra sopra" Maria, il Tabernacolo verginale della nuova alleanza. In esso adesso deve avvenire l'atto supremo del culto al Padre, l'Offerta della Croce.
«Dalla nube uscì una voce: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!"». Il Padre Invisibile, come al Giordano, parla ai discepoli del Figlio: è la ratifica della Confermazione del Figlio. E aggiunge: "Ascoltate Lui!". "Ascoltare", che biblicamente significa "obbedire" in tutto. Fate dunque come Lui opera, andate con Lui, fino alla Croce.

Il tema dell'amore di Dio è il centro del messaggio cristiano, argomento fondamentale della rivelazione. Ma Dio non soltanto ama: è un Dio che vuole essere amato. Anzi, l'amore di Dio sembra esprimersi proprio nella forza con cui esige dall'uomo una risposta incondizionata. Egli per primo ha scelto l'uomo, ma anche l'uomo a sua volta deve sceglierlo, preferirlo a tutto, rimanergli fedele.
L'amore di Dio non si limita alle parole: passa alla via dei fatti, donandoci il suo unico Figlio. Gesù ha percorso per primo la strada che porta alla gloria attraverso la Croce. Così diventa, non solo la prova suprema dell'amore di Dio per noi, ma anche la prova più convincente della verità delle sue promesse.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Questi è il figlio mio, l'amato: ascoltatelo (Mc 9,7)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Rabbì, è bello per noi essere qui (Mc 9,5) - (01/03/2015)
(vai al testo…)
 Fu trasfigurato davanti a loro (Mc 9,2) - (04/03/2012)
( vai al testo…)
 Dio ha dato il proprio Figlio per noi tutti (Rm 8,32) - (06/03/2009)
(vai al post "Dalla morte, la vita")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Nell'ascolto ci si scopre "figli" e "fratelli" (28/02/2015)
  Il dolore trasformato in amore (2/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 2.2018)
  di Luigi Vari (VP 2.2015)
  di Marinella Perroni (VP 2.2012)
  di Claudio Arletti (VP 2.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

martedì 20 febbraio 2018

La politica: «L'amore degli amori»


Ricevo dall'amico don Tonino, parroco in una cittadina del nord d'Italia, questo articolo, pubblicato nel suo bollettino parrocchiale, in riferimento alle prossime elezioni politiche. Lo riporto nella convinzione che il vivere con coscienza e responsabilità la dimensione politica del nostro vivere civile corrisponda ad esercitare una "speciale" diaconia al servizio della comunità: «La politica - secondo l'espressione di Paolo VI - è una maniera esigente di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri».


4 marzo - Un appuntamento da non mancare

Ha senso per una comunità ecclesiale interrogarsi sulle elezioni politiche? La tentazione, che nasce a molti in questo momento storico, è di non credere più al valore della politica, di riversare ogni responsabilità su chi "fa politica" e di "tirarsi fuori" come dicendo "non tocca a me", "non ci posso far nulla", "tanto son tutti uguali". Eppure…
Sono rimasto colpito ancora una volta da un episodio della Scrittura: l'elezione del re Saul. Un'elezione che è tale solo nel senso originario della parola: una scelta. Il racconto (1Sam 9,1-10,1), letto in profondità, supera l'aspetto puramente "religioso" e i limiti del tempo storico. Esso conclude: «Samuele prese l'ampolla dell'olio e gliela versò sulla testa, dicendo: "Ecco, il Signore ti ha unto capo sopra il suo popolo. Tu avrai potere sul popolo del Signore…"». L'unzione, anche quando riguardava un capo politico, era il segno di una "scelta" operata non dalla persona, ma da Dio stesso. E la scelta richiamava ad un "servizio" verso il popolo: perché il popolo non apparteneva al re, ma a Dio: "il popolo del Signore". Il racconto sottolinea più volte questo rapporto del popolo con Dio: «Domani a quest'ora ti manderò un uomo della terra di Beniamino e tu lo ungerai come capo del mio popolo Israele. Egli libererà il mio popolo dalle mani dei Filistei, perché io ho guardato il mio popolo, essendo giunto fino a me il suo grido» (9,16); «Quando Samuele vide Saul, il Signore gli rivelò: "Ecco l'uomo di cui ti ho parlato; costui avrà potere sul mio popolo"» (9,17). La stessa cosa avviene con Davide: «Disse il Signore: "Alzati e ungilo: è lui!". Samuele prese il corno dell'olio e lo consacrò con l'unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi» (1Sam 16,12-13). Il re acquistava un "potere" solo a nome di Dio, quel potere del "servizio" per cui il popolo era prima del re, proprio come Dio è prima di ogni autorità.
In questa luce può apparire ardito, ma non lo è, parlare della politica come "l'amore degli amori", e quindi come una "vocazione":«La risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio. (…) Il compito dell'amore politico, infatti, è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l'amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l'amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l'amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l'amore degli amori, che raccoglie nell'unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione» (Chiara Lubich).
Per questo «Lo Stato, visto alla luce della fraternità, rappresenta l'amore reciproco in un popolo, amore che è cresciuto e si è consolidato fino a diventare istituzione. Lo Stato è la garanzia, nel tempo, che tutti i cittadini vengano inseriti nel circuito dell'amore reciproco. Certamente lo Stato è un mezzo e non un fine: non esaurisce l'amore di un popolo, che fiorisce negli infiniti aspetti dell'esistenza delle persone e delle comunità, ma crea le condizioni perché questo amore si esprima»(Antonio Maria Baggio).
In questo senso non è il cittadino che prende valore dalla nazione, ma la nazione che prende valore dai cittadini. Non viene prima la politica e poi il diritto dei singoli; la politica è diretta a tutelare il diritto dei singoli nella comunità. L'autorità che, invece, mette a proprio servizio il popolo si capovolge in dominio e in autoritarismo.
La tentazione, di cui parlavo all'inizio, ci fa dimenticare che la polis, il popolo, siamo ciascuno di noi e, se il bene comune è il bene di tutti, tutti siamo attivamente coinvolti a costruire insieme le ragioni della convivenza possibile. Qui non si tratta della scelta di un partito o di un altro, si tratta di entrare dentro una logica che ci coinvolge tutti. Forse gli spazi che sono concessi al cittadino appaiono ridotti o mortificati: eppure si tratta di non cedere ad un immobilismo rassegnato, ma di credere che dentro ciascuno di noi è racchiuso il "potere" di costruire pezzetti di amore-servizio, che insieme danno colore nuovo al convivere sociale: non lasciando neppure venir menola possibilità, per quanto limitata sia, di discernere le tracce di questo amore-servizio nei candidati e di far la nostra parte perché vengano in luce ed in esercizio reale.
Don Tonino

domenica 18 febbraio 2018

La preghiera è luce per l'anima


Papa Francesco nel suo Messaggio per questa Quaresima ha scritto, riguardo alla preghiera: «Dedicando più tempo alla preghiera, permettiamo al nostro cuore di scoprire le menzogne con le quali inganniamo noi stessi, per cercare finalmente la consolazione in Dio. Egli è nostro Padre e vuole per noi la vita».

La Preghiera. Riporto questa omelia di san Giovanni Crisostomo.


La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

(Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo, Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

venerdì 16 febbraio 2018

La docilità di Gesù all'azione dello Spirito


1a domenica di Quaresima (B)
Genesi 9,8-15 • Salmo 24 • 1 Pietro 3,18-22 • Marco 1,12-15
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La «buona notizia», che ci viene portata dalle letture odierne, sembra possa sintetizzarsi in questo modo: Dio è con noi nella lotta per la vita e va innanzi, come un alleato e amico, per liberarci dalla morte e avviarci verso la pienezza dell'esistenza. Con instancabile «passione» per l'uomo, geloso di questa sua creatura, studia di fare breccia nel cuore umano, troppo spesso angosciato dalla tristezza, abbruttito dall'odio, per proporgli la strada dell'amore e del dialogo salvifico con lui.
L'uomo moderno sempre più prende coscienza del suo ruolo insostituibile di coartefice e coordinatore (cf. Gen 1,28-29) delle forze vitali e delle energie immense che si sprigionano dalla creazione. Con la sua azione, egli s'industria a vivere in quella natura, che un tempo era per lui tanto misteriosa e inafferrabile.
Mentre rimane inebriato dal successo delle sue imprese, s'accorge, nello stesso tempo, come la realtà umana si faccia sempre più complessa e delicata. Allora il cristiano comprende e desidera, brama, una partecipazione sempre più larga dell'umanità ai vantaggi e ai frutti di tante conquiste; rivendica più umani trattamenti nel lavoro; cerca di liberare dalle varie schiavitù alle quali l'uomo è stato assoggettato. Queste sono anche le preoccupazioni e le ansie del Dio che si rivela lungo la storia sacra; con ripetuti richiami, egli sembra rinnovare l'invito all'uomo, ad unirsi sempre di più alla sua opera di creazione e di salvezza: lo cerca e lo sprona continuamente, perché voglia, con intelligenza, collaborare alla liberazione dell'universo ( cf. Rm 8,22).

La Quaresima «prepara» alla Resurrezione, ma solo come tempo. Come contenuti, invece, celebra la Resurrezione. L'episodio delle tentazioni proclamato dalla liturgia di questa domenica, non è solo un momento decisivo nella vita di Gesù, ma è, più ancora, il dramma di Adamo nel paradiso terrestre, di Israele nel deserto e di ogni cristiano in questa vita. "Eri in Cristo ed eri tentato tu", dirà sant'Agostino.
Il cristiano vincerà la tentazione solo se terrà sempre presente il grande avvertimento, valido per l'intera Quaresima e per l'intera vita: «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4 = Dt 8,3). Cibo principale del credente è lo stesso Cristo, che ci si offre sulla duplice mensa della Parola e del Sacramento.

Il racconto di Noè vuole mettere in luce l'ostinazione dell'uomo a voler fare da sé, senza Dio, rompendo il rapporto di dipendenza che lega l'uomo a chi lo ha creato. Questo atteggiamento lo porta alla dissoluzione e alla morte (il diluvio ne è un segno e una conseguenza), ma Dio che si è impegnato con la sua creatura la cerca continuamente e le dà occasione di salvezza nell'arca di Noè.
Questo amore non procura solo la salvezza all'uomo, ma compromette ulteriormente Dio che è spinto ad allacciare un patto di amicizia e di salvezza con l'uomo e con tutto il creato. Questo intervento di Dio non è solo a vantaggio del popolo ebraico, ma di tutti gli uomini e di tutto l'universo: il Dio che salvò Noè è il Dio di tutto il creato.
Dopo il diluvio il Signore rinnova l'alleanza. La prima alleanza era cosmica, abbracciava l'intero mondo creato, ed era stata concessa ad Adamo, posto come signore della creazione divina. Adesso Noè prende la responsabilità di Adamo come mediatore umano dell'alleanza, anche questa cosmica. Il Signore la promette a Noè e ai suoi familiari come eterna, lungo le generazioni, e comprenderà anche tutti gli animali della terra, del cielo e del mare.
Noè ci appare come l'uomo attento e insoddisfatto del benessere raggiunto dalla sua "civiltà". Per questo accetta, nonostante fosse umanamente insensato costruire un'arca così immensa, di affidarsi unicamente alla parola di un'Altro. I fatti lo convinceranno, che non aveva creduto invano, e che la parola di Dio è un appoggio più solido dell'evidenza dei sensi. Per questo accetta volentieri di legarsi definitivamente a questo Amico che lo coinvolge in una solidarietà irrevocabile, a vantaggio di una nuova umanità, uscita dal lavacro purificatore.

La promessa di Dio si realizza definitivamente in Gesù. L'evangelo di Marco, con l'odierna pagina, mette in risalto come in Gesù abbia inizio una nuova creazione. Nel caos primordiale, essa viene plasmata dalla forza creatrice dello Spirito, come ora la medesima forza spinge Gesù nel deserto, per dare inizio, proprio da questo regno di morte, alla sua opera di salvezza. È per questo che Gesù ci viene offerto dall'iniziativa amorosa del Padre, dando in tal modo compimento a tutte le sue proposte di solidarietà e di amicizia con l'uomo. In questo dono del Padre, noi possiamo vedere la nostra «immagine» quale è stata voluta dal disegno divino. In lui, posto nelle condizioni più difficili, ci è dato il modello di come l'uomo deve rispondere, per realizzare la pienezza dell'esistenza. Essere creatura, significa dovere se stessi a Dio.
In tutte le sue scelte, Gesù esprimerà chiaramente quest'esigenza e questa convinzione, abbandonandosi totalmente al volere del Padre. Per questa ragione, si opporrà decisamente a tutto ciò che è contrario al piano paterno; respingerà qualunque soluzione proposta dal buon senso comune e dalle idee, anche religiose, di un messia, giustiziere implacabile. Anche gli apostoli avranno bisogno di convertirsi, di fronte a questo nuovo modo di vedere le cose; dovranno lottare non poco, per accettare questa novità così sconcertante, che viene loro proposta da Dio stesso.

«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto». Con forza lo Spirito Santo lo tirò fuori dalla folla che circondava il Battista, per spingerlo nella solitudine del deserto, luogo tipico della prova e della verifica (ma anche dell'incontro con Dio e della preghiera). L'evangelista vuole così sottolineare che a tale azione spirituale Gesù fu docile e insieme non poté opporsi. Gesù non va nel deserto di sua spontanea volontà. Quello stesso Spirito che rese possibile la sua generazione ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre, ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto.
E lì fu tentato dall'avversario, da satana, l'accusatore dell'uomo, per rovinarlo e rovinare il disegno divino.
Il genere delle tentazioni non è precisato, ma la vita di Gesù sulla terra sarà tutta punteggiata da un continuo combattimento contro le potenze del male, impersonate da satana, il nemico di Dio. Durante tutta la sua vita Gesù si è ripetutamente posto il problema della sua messianicità: la gente che lo ascolta e lo applaude ha tante idee diverse del Messia, ognuno vorrebbe che Gesù corrispondesse alla propria. I suoi stessi discepoli hanno consigli da dargli e proposte alternative; di fronte all'annuncio della passione, Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera; fino all'ultima tentazione sulla croce, quando molti gli gridano: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). Durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato di scegliere altre strade e altri modi.
Donando una nuova vita a Gesù, il Padre conferma concretamente le sue promesse e offre una convincente risposta all'atteggiamento di servo obbediente, vissuto da lui.
San Pietro ci ricorda poi che, col battesimo, veniamo inseriti nella risurrezione di Cristo, in modo che la stessa forza vitale si trasmette a ciascuno di noi e ci dà la possibilità di ripeterne le scelte e lo stile. L'acqua del battesimo è il povero segno di quella realtà che si è stabilita tra noi e il Cristo; è il segno indelebile di quella solidarietà e di quell'amicizia, alla quale Dio non verrà mai meno nei miei confronti. Dio mi ha raggiunto nella mia disperazione, nella mia solitudine, per mezzo del suo Figlio.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto (Mc 1,12)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto (Mc 1,12) - (22/02/2015)
(vai al testo…)
 Convertitevi e credete nel Vangelo (Mc 1,15) - (26/02/2012)
( vai al testo…)
 Nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana (Mc 1,13) - (27/02/2009)
(vai al post "Condotti dallo Spirito nel deserto")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Convertirsi, guardare nella direzione del Vangelo (20/02/2015)
  Credere nel Vangelo, la novità di Dio! (24/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 2.2018)
  di Luigi Vari (VP 2.2015)
  di Marinella Perroni (VP 2.2012)
  di Claudio Arletti (VP 2.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

mercoledì 14 febbraio 2018

Ora il momento favorevole!


«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2).
All'inizio della Quaresima sento l'urgenza di prendere seriamente queste parole di san Paolo che la liturgia delle Ceneri ci propone.
È l'oggi di Dio! È l'invito a vivere intensamente ogni momento nella pienezza che la tenerezza del Padre mi dona. Sì, perché è nel «momento presente» che posso pienamente e sapientemente corrispondere all'amore di Dio.

Molti sono i passi della Scrittura che mi richiamano questa verità. Eccone alcuni.



«Esortatevi a vicenda ogni giorno, finché dura questo oggi, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal peccato» (Eb 3,13).

«Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione» (Eb 3,15)

«Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: "Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!"» (Eb 4,7).

«Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16).

«Così dice il Signore: "Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l'eredità devastata"» (Is 49,8).

«Perché la tua fiducia sia riposta nel Signore, voglio indicarti oggi la tua strada» (Pro 22,19).

«Non vantarti del domani, perché non sai neppure che cosa genera l'oggi» (Pro 27,1).

«Quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire» (Mt 10,19).

«Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12).

«Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore» (Ef 5,15-17).

«Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11).

«Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano» (Gv 4,23).

«Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". […] "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo» (Lc 19,5.9).

«Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,34).

venerdì 9 febbraio 2018

Gesù diventa "lebbroso", piagato per noi!


6a domenica del Tempo Ordinario (B)
Levìtico 13,1-2.45-46 • Salmo 31 • 1 Corinzi 10,31-11,1 • Marco 1,40-45
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Quando Israele è diventato «saggio» ai propri occhi, ha creduto di poter stabilire sicuramente una volta per sempre e per ogni possibile situazione che cosa fosse la volontà di Dio, e il singolo uomo ha creduto di dover difendere la vita umana non più in un popolo, e dunque preoccupato contemporaneamente della vita dell'altro, ma da sé solo, allora il dialogo della vita si è isterilito in un soliloquio autosufficiente. La Legge non era più mezzo ma dominatrice sull'uomo. L'obbedienza non era più una ricerca, ma la minuziosità di un fare.
Si arriva così all'aberrazione dell'uomo che si difende dal fratello radiandolo dalla cerchia dei suoi rapporti, in nome della legge di Dio.
Quel che risulta dalla prima lettura, è che la Legge - per mezzo della quale Israele era chiamato a cercare di interpretare la volontà di Dio per ogni suo nuovo «oggi» - vegliava a difendere la vita dell'uomo nella comunità: anche le primordiali norme di igiene e prevenzione contro le malattie, erano accolte come la voce stessa del Dio dell'alleanza che si prendeva cura della incolumità del suo popolo. Giacché la vita del popolo era originata e riposava continuamente sulla fedeltà della provvidenza di Dio, ogni gesto di vita era interpretato come obbedienza alla volontà di lui.
È a questa originaria funzione della Legge, in riferimento al dialogo vivo tra Dio e il suo popolo, che si ricollega Gesù nel suo atteggiamento verso le leggi ebraiche, compiendole e insieme, necessariamente, superandole.
Se dunque il comandamento di Dio era legge sempre in vista e in ordine alla liberazione dell'uomo nel suo più autentico essere, Israele aveva il compito di cercare ogni giorno di nuovo il modo con cui obbedire: poiché in se stessa la formulazione della legge non era nulla di assoluto, ma era storicamente condizionata. E in tal modo Israele ha di fatto vissuto l'osservanza della Legge, fino a che la sua vita è stata un dialogo vivo e comunitario con il Dio dell'alleanza, conosciuto a partire dai fatti della storia di ogni giorno.

Un uomo lebbroso si presenta a Gesù. Non è ossequiente alle leggi, ma crede disperatamente nel Dio di Gesù. Crede che lui può essere il sacerdote nuovo, vero, capace come il primitivo sacerdote di interpretare la volontà del Dio vivo, di essere mediatore della sua liberazione. Quell'uomo lebbroso è, contro la legge, obbediente alla fede. Là dove l'uomo da sé non potrebbe che respingere, disgustato e pauroso di contagio, l'altro uomo alienato dal peccato e dal male (cf. prima lettura), l'atteggiamento di Dio è totalmente diverso: la verità dell'uomo, posta senza difese dinanzi alla verità di Dio, si trasforma - nonostante tutto - in canto beato di liberazione: «Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall'angoscia»; «Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo», si canta al salmo responsoriale e al vangelo.

Uno di questi impuri infrange le restrizioni impostegli dalla legge e viene da Gesù, supplicandolo in ginocchio: «Se vuoi, puoi guarirmi». Gesù «ebbe compassione di lui, tese la mano, lo,toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!».
Avviene un fatto inaudito: Gesù osa toccare il lebbroso, e così agli occhi di tutti fatalmente è considerato lebbroso anche lui.
Gesù, prima di tutto assume su di sé la drammatica condizione dell'uomo: «Non ha apparenza né bellezza... per le sue piaghe siamo stati guariti», si legge in Isaia nel carme del "Servo di Jahveh". Il servo del Signore diventa "lebbroso" (piagato) per noi!
Ma subito dopo, lo ammonisce severamente e lo caccia via, intimandogli di non dire niente a nessuno. Perché questo atteggiamento di Gesù così contrastante con la commozione viscerale? Si potrebbe ipotizzare che la compassione che aveva portato Gesù a compiere il miracolo era un misto di compassione e di ira per la miserevole condizione nella quale era costretto a vivere il lebbroso. L'eccitazione che prende Gesù subito dopo il miracolo (oltre all'aver restituito l'uomo ad un consesso umano e liturgico) si rivolge verso coloro che lo avevano condannato.
Ma il lebbroso non tace e fa tale pubblicità della sua guarigione da trasformare paradossalmente Gesù quasi in un lebbroso; perché è lui adesso a non poter più entrare pubblicamente in una città e a dover stare fuori in luoghi deserti. Si direbbe che l'evangelista senta gusto nel mostrare come veramente Gesù facesse ogni sforzo per presentarsi a tutti nell'umiltà del "Servo di Jahveh" e tuttavia c'era in lui tale virtù di Spirito Santo che difficilmente il mistero della sua persona potava restare nascosto per intero, giacché qualcosa di lui traspariva sempre, nonostante tutto.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù lo toccò... e subito la lebbra scomparve da lui (Mc 41.42)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Lo voglio, sii purificato! (Mc 1,41) - (15/02/2015)
(vai al testo…)
 Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40) - (12/02/2012)
( vai al testo…)
 Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40) - (13/02/2009)
(vai al post "Aver compassione")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Una parola “antica” capace di incantare (14/02/2015)
  La compassione di Dio (10/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 1.2018)
  di Luigi Vari (VP 2.2015)
  di Marinella Perroni (VP 2.2012)
  di Claudio Arletti (VP 1.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 2 febbraio 2018

In Gesù Dio si piega sulle nostre miserie per sanarle


5a domenica del Tempo Ordinario (B)
Giobbe 7,1-4.6-7 • Salmo 143 • 1 Corinzi 9,16-19.22-23 • Marco 1,29-39
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù «esce dalla sinagoga», dal luogo nel quale l'uomo credeva di potere e dover attendersi una risposta da Dio alle sue domande e dove già il Maestro aveva lasciati stupefatti i suoi uditori insegnando la verità di Dio più con le opere che con le parole, liberando cioè un uomo dalla sua oppressione. All'uomo afflitto che lo interroga, Dio certo non risponde con una autogiustificazione. Dio risponde con la verità della sua Parola fatta carne, fatta Uomo compassionevole, fatta Uomo dei dolori.
In Gesù, Dio «esce» da se stesso, o piuttosto dalla forma divina in cui l'uomo era abituato a riconoscerlo. Rinuncia ad autogiustificarsi, a «dimostrarsi» verace nella sua promessa di amicizia per l'uomo, se non facendosi egli stesso uomo crocifisso.
Gesù, secondo la profezia del Servo sofferente, si carica di tutti i mali e di tutte le debolezze degli uomini per distruggerle in se stesso e per redimerli.
Sofferenza e dolore, parti integranti della vita dell'uomo, sono il problema per il quale cerchiamo una risposta valida. Mai come in queste condizioni di estrema debolezza l'uomo si trova a riflettere sulla propria debolezza e sul significato della presenza di Dio nella sua vita. Il dolore mette a dura prova la nostra fede è come «il fuoco che purifica l'oro nel crogiolo».

Dalla sinagoga di Cafarnao Gesù «subito» passa alla casa di Simone e Andrea, dove la suocera di Simone ha una febbre maligna e «subito» gli parlano di lei. Quel «subito», che spesso l'evangelista Marco mette in evidenza all'inizio della vita pubblica di Gesù, conferisce un senso di urgenza all'attività di Gesù.
«Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva».
Per l'evangelista Marco la malattia e la morte manifestano l'impero del demonio e ogni guarigione è una vittoria messianica contro le forze del male. Anche nella guarigione della suocera di Pietro è all'opera la stessa forza divina che agirà nella resurrezione di Gesù; il verbo "sollevare" è infatti lo stesso verbo usato per la resurrezione di Cristo.
Anche il gesto della mano di Gesù ha la sua importanza. La mano di Gesù è per questa donna la stessa mano di Dio che interviene nella sua vita per liberarla, come canta il salmista «Mi hai preso per la mano destra» (Sal 72,23).
«Si mise a servirli». Il senso primo è qui dare da mangiare, ma in Marco il verbo indica il dare la propria vita da parte di Gesù (cf. Mc 10,45). La donna guarita è entrata nella stessa logica che guida la vita del Cristo. Gesù libera, guarisce, risuscita per rendere l'uomo capace di servizio e di un servizio duraturo ("e li serviva", compare dal vergo all'imperfetto).
Il servizio inoltre non è solo per Gesù ma per tutti! Ed è un servizio di libertà: la donna supera le rigide barriere religiose e sociali che impedivano ad una donna di servire un rabbino a tavola, se costui era circondato dai suoi discepoli. È quel «farsi tutto per tutti». «gratuitamente», in piena libertà, di cui parla san Paolo (cf. 1Cor 9,18-23).

«Venuta la sera gli portarono tutti i malati e indemoniati… e guarì molti e scacciò molto demoni». Infatti, una delle preoccupazioni maggiori di Gesù quella di liberare gli uomini dal potere del male. Lui infatti è stato presentato come "il più forte" e la sua lotta durante la permanenza nel deserto è contro le tentazioni del satana.

«Al mattino presto quando era ancora buio… si ritirò in luogo deserto e là pregava».
Gesù si reca in un luogo deserto, per poter finalmente raccogliersi da solo a pregare il Padre. Questo è ancora un insegnamento, poiché per pregare occorre "tornare in se stessi", e quindi occorre "entrare nella propria stanza e chiudere la porta" alle impressioni e pressioni esterne, e pregare il Padre.
Ma Simone e gli altri non sono contenti di questo! La folla fa pressione su loro, ed essi cercano il Signore e lo trovano, e perfino lo sollecitano con un rimprovero: "Tutti ti cercano!". Certo, le necessità della povera folla sono penose e infinite, ma il Signore adesso è cercato solo perché è considerato come il guaritore a disposizione, pronto e gratuito.
Ma il verbo «cercare» assumerà in Marco una connotazione progressivamente negativa quando la gente comincia a non capire Gesù o quando sono gli avversari che lo cercano.
«Si misero sulle sue tracce». Il verbo ha la connotazione di «inseguire» in un senso ostile, come di un nemico che ti insegue. Questa è la prima indicazione dei progressivi malintesi tra Gesù e quelli che gli stanno più vicini, come la sua famiglia e i suoi discepoli.
«Tutti ti cercano!». La risposta di Gesù è traversa e significante. Egli ha raccolto i primi discepoli e questi debbono andare con Lui ormai nei paesi intorno. Lì il Signore deve predicare il Vangelo del Regno, poiché per questo scopo preciso venne tra gli uomini. E così va e predica a cominciare dalle sinagoghe, per l'intera Galilea e ancora a recuperare il Regno al Padre, espellendo i demoni e il loro regno.

Questo Gesù è la risposta di Dio all'interrogativo dell'uomo. La Chiesa dei credenti ha ricevuto la Parola di compassione, la risposta alla domanda della sua afflizione: è stata presa per mano e risuscitata. Ora si impone per essa il compito del servizio: di essere in verità "corpo" del Servo che, con la sua stessa compassione gratuita, porta l'annuncio efficace della liberazione per la vita.

(spunti da Lectio: Abbazia Santa Maria di Pulsano)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Guarì molti affetti da varie malattie (Mc 1,34)
(vai al testo…)

Parola-sintesi proposta a suo tempo pubblicata:
 Guarì molti affetti da varie malattie (Mc 1,34) - (08/02/2015)
(vai al testo…)
 Guarì molti e scacciò molti demoni (Mc 1,34) - (05/02/2012)
( vai al testo…)
  Risanami, Signore, Dio della vita! (dal Sal 146) - (06/02/2009)
(vai al post "La salute…")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il dono più grande: il Vangelo (07/02/2015)
  Manifestazione "umana" dell'amore divino (03/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 1.2018)
  di Luigi Vari (VP 1.2015)
  di Marinella Perroni (VP 1.2012)
  di Claudio Arletti (VP 1.2009)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione di Stefano Pachì)

giovedì 1 febbraio 2018

La "fonte" che si alimenta nel dono di sé


Parola di vita – Febbraio 2018
(Clicca qui per il Video del Commento)

«A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (Ap 21,6) [1]

L'apostolo Giovanni scrive il Libro dell'Apocalisse per consolare ed incoraggiare i cristiani del suo tempo, di fronte alle persecuzioni che in quel momento si erano diffuse. Questo libro, ricco di immagini simboliche, rivela infatti la visione di Dio sulla storia e il compimento finale: la Sua vittoria definitiva su ogni potenza del male. Questo Libro è la celebrazione di una meta, di un fine pieno e glorioso che Dio destina all'umanità.
È la promessa della liberazione da ogni sofferenza: Dio stesso «asciugherà ogni lacrima (…) e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4).

«A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita».

Questa prospettiva ha i suoi germogli nel presente, per chiunque ha già cominciato a vivere nella ricerca sincera di Dio e della sua Parola che ci manifesta i Suoi progetti; per chi sente ardere in sé la sete di verità, di giustizia, di fraternità. Provare sete, essere alla ricerca, è per Dio una caratteristica positiva, un buon inizio ed Egli ci promette addirittura la fonte della vita.
L'acqua che Dio promette è offerta gratuitamente. Dunque è offerta non solo a chi spera di essere gradito ai Suoi occhi per i propri sforzi, ma a chiunque sente il peso della propria fragilità e si abbandona al Suo amore, sicuro di essere risanato e di trovare così la vita piena, la felicità.
Chiediamoci dunque: di che cosa abbiamo sete? E a quali sorgenti andiamo a dissetarci?

«A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita».

Forse abbiamo sete di essere accettati, di avere un posto nella società, di realizzare i nostri progetti… Aspirazioni legittime, che possono spingerci però ai pozzi inquinati dell'egoismo, della chiusura sugli interessi personali, fino alla sopraffazione sui più deboli. Le popolazioni che soffrono per la scarsità di pozzi con acqua pura conoscono bene le conseguenze disastrose della mancanza di questa risorsa, indispensabile per garantire vita e salute.
Eppure, scavando più a fondo nel nostro cuore, troveremo un'altra sete, che Dio stesso vi ha messo: vivere la vita come un dono ricevuto e da donare. Attingiamo dunque alla fonte pura del Vangelo, liberandoci da quei detriti che forse la ricoprono, e lasciamoci trasformare a nostra volta in sorgenti di amore generoso, accogliente e gratuito per gli altri, senza fermarci di fronte alle inevitabili difficoltà del cammino.

«A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita».

Quando poi tra cristiani realizziamo il comandamento dell'amore reciproco, permettiamo a Dio di intervenire in maniera tutta particolare, come scrive Chiara Lubich:
«Ogni attimo in cui cerchiamo di vivere il Vangelo è una goccia di quell'acqua viva che beviamo. Ogni gesto d'amore per il nostro prossimo è un sorso di quell'acqua. Sì, perché quell'acqua così viva e preziosa ha questo di speciale, che zampilla nel nostro cuore ogniqualvolta l'apriamo all'amore verso tutti. È una sorgente - quella di Dio - che dona acqua nella misura in cui la sua vena profonda serve a dissetare gli altri, con piccoli o grandi atti di amore. E se continuiamo a dare, questa fontana di pace e di vita darà acqua sempre più abbondante, senza mai prosciugarsi. E c'è anche un altro segreto che Gesù ci ha rivelato, una specie di pozzo senza fondo a cui attingere. Quando due o tre si uniscono nel suo nome, amandosi dello stesso suo amore, Lui è in mezzo a loro. Ed è allora che ci sentiamo liberi, pieni di luce, e torrenti di acqua viva sgorgano dal nostro seno. È la promessa di Gesù che si avvera perché è da lui stesso, presente in mezzo a noi, che zampilla acqua che disseta per l'eternità» [2].

Letizia Magri

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[1] Nel mese di febbraio viene proposta questa Parola di Dio, che un gruppo di fratelli e sorelle di varie Chiese ha scelto in Germania, da vivere lungo tutto l'anno.
[2] Cfr. C. Lubich, La fonte della vita, Città Nuova, 46, [2002], 4, p. 7.


Fonte: Città Nuova n. 1/Gennaio 2018