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venerdì 29 settembre 2017

Dio crede in noi, sempre


26a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 18,25-28 • Salmo 24 • Filippesi 2, 1-11 • Matteo 21,28-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Un uomo aveva due figli...
In quei due figli è rappresentato ognuno di noi, con in sé un cuore diviso, un cuore che dice "sì" e uno che dice "no", che dice e poi si contraddice: infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (cf Rm 7,15.19).
Il primo figlio che dice "no", è un ribelle; il secondo che dice "sì" e non fa', è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I due fratelli, pur così diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del padre come di un estraneo che impartisce ordini; la stessa idea della vigna come di una cosa che non li riguarda.

"Non ne ho voglia". Ma poi si pentì…
Qualcosa viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto "no": "si pentì". Pentirsi significa cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere, di vedere il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia…

Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?
In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi. Questa volontà del padre è avere figli che collaborino, come parte viva, alla gioia della casa.
La morale evangelica non è quella dell'obbedienza, ma quella della fecondità, dei frutti buoni: volontà del Padre è che voi portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga (cf Gv 15,8.16).

I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio
Frase dura, perché si rivolge a noi che a parole diciamo "sì", ci diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone, cristiani di facciata e non di sostanza. Ma anche consolante, perché in Dio non c'è condanna, ma la promessa di una vita buona, per gli uni e per gli altri. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo, nelle prostitute e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire "sì". Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch'io cominciare la mia conversione verso un Dio che non è dovere, ma amore e libertà.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
...ma poi si pentì e vi andò (Mt 21,29)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (28/09/2014)
(vai al testo…)
  Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? (Mt 21,31) - (25/09/2011)
(vai al testo…)
 Ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso ( Fil 2,3) - (26/09/2008)
(vai al post "L'umiltà del servizio")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Fare la volontà del Padre, sull'esempio di Gesù (26/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 8.2014)
  di Marinella Perroni (VP 8.2011)
  di Enzo Bianchi

venerdì 22 settembre 2017

Il Dio che viene a cercarmi anche quando si sarà fatto molto tardi


25a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 55,6-9 • Salmo 144 • Filippesi 1,20c-24.27a • Matteo 20,1-16
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna
Questa parabola ci assicura che il mondo nuovo che deve nascere è vigna e passione di Dio, al punto che arriva a definire se stesso come vite e noi come tralci, per dire che il progetto di Dio per il mondo, sua vigna, è una vendemmia profumata, un vino di festa, una promessa di felicità: io sono vigna e passione di Dio! Il suo campo preferito, di cui ha cura uscendo per ben cinque volte, da un buio all'altro, a cercare operai.

Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente?
I padrone esce a cercare operai fino quasi al tramonto, pressato da un motivo che non è il lavoro, tantomeno la sua incapacità di calcolare le braccia necessarie. C'è dell'altro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente?. Il padrone si interessa e si prende cura di quegli uomini, più ancora che della sua vigna. Qui seduti, senza far niente: il lavoro è la dignità dell'uomo.

Quando fu sera il padrone disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e dai loro la paga cominciando dagli ultimi…
Il punto di svolta del racconto risiede nel momento della paga: comincia dagli ultimi della fila e dà a chi ha lavorato un'ora sola lo stesso salario concordato con quelli dell'alba. Finalmente un Dio che non è un «padrone», nemmeno il migliore dei padroni. Non è un contabile. Un Dio ragioniere non converte nessuno. È un Dio buono! Quel denaro regalato ha lo scopo di assicurare il pane per oggi e la speranza per domani a tutte le case.

Sei invidioso perché io sono buono?
È il Dio della bontà senza perché, che trasgredisce le regole del mercato. Un Dio che sa ancora saziarci di sorprese. Non segue la logica della giustizia, ma lo fa per eccesso, per dare di più. Vuole garantire vite, salvare dalla fame, aggiungere futuro. È commovente vedere questo Dio che accresce vita, con quel denaro immeritato che giunge benedetto e benefico a quattro quinti dei lavoratori.

I primi nel ritirare il denaro mormoravano contro il padrone…
Gli operai della prima ora, quando ricevono il denaro pattuito, sono delusi: non è giusto, dicono, noi meritiamo di più degli altri. Ma il padrone: Amico, non ti faccio torto. Il padrone non è stato ingiusto, ma generoso. Non toglie nulla ai primi, aggiunge agli altri. E lancia tutti in un'avventura sconosciuta: quella della bontà. Che non è giusta, è oltre, è molto di più.

Io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te…
La bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l'amore è giusto, è altra cosa, è di più. Se l'operaio dell'ultima ora io lo sento come mio fratello o mio amico, allora sono felice con lui, con i suoi bambini, per la paga eccedente. Se invece mi ritengo operaio della prima ora e misuro le fatiche, se mi ritengo un cristiano esemplare, che ha dato a Dio tanti sacrifici e tutta la fedeltà, che ora attende ricompensa adeguata, allora posso essere urtato dalla retribuzione uguale data a chi ha fatto molto meno di me.
È drammatico: si può essere credenti e non essere buoni!

Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace che Tu sia buono, perché sono io l'ultimo bracciante. Non mi dispiace, perché so che verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto tardi.
Io non ho bisogno di una paga, ma di grandi vigne da coltivare, grandi campi da seminare, e della promessa che una goccia di luce è nascosta anche nel cuore vivo del mio ultimo minuto.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Andate anche voi nella mia vigna (Mt 20,7)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (21/09/2014)
(vai al testo…)
 Sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15) - (18/09/2011)
(vai al testo…)
 Andate anche voi nella mia vigna (Mt 20,7) - (19/09/2008)
(vai al post "Anche noi chiamati")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  La gratuità di Dio (19/09/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 8.2014)
  di Marinella Perroni (VP 8.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

giovedì 21 settembre 2017

Matrimonio e Ordine: due Sacramenti di Servizio


Ho letto un intervento di Carlo de Cesare, diacono della diocesi di Napoli, sul tema "Due Sacramenti di servizio: Matrimonio e Ordine; e modalità di vita nell'ambito del Sacramento dell'Ordine", dove si affronta il discorso sul diaconato uxorato nella Chiesa Latina.
Dopo aver illustrato la figura del ministro ordinato nel suo stato di vita e nella propria Chiesa di appartenenza, si affronta il discorso sul diacono sposato e lavoratore nella sua disponibilità di tempo per il ministero, e vi si legge tra l'altro:
«[…] I due Sacramenti non sono in concorrenza tra di loro. È possibile che una scelta escluda l'altra, ma nell'Ordine e nel Matrimonio la convivenza è possibile perché il celibato per i presbiteri nella Chiesa Romana e Ambrosiana è una prassi disciplinare, non teologica. L'incompatibilità esiste tra chi emette voti solenni di castità, povertà e obbedienza, ma questa consacrazione non è un Sacramento.
E non c'e neanche alcuna ragione di creare primazie o subordinazioni tra i Sacramenti dell'Ordine e del Matrimonio.
"Prima viene la famiglia, poi il lavoro, e solo dopo il ministero?". La vita di un ministro non può essere segmentata, parcellizzata e gerarchizzata in questo modo.
Questo modo di pensare, nell'ipotesi in cui si dovesse veramente verificare, obbligherebbe sia il singolo che tutto il collegio Diaconale ad uniformarsi al basso, al minimo dell'impegno, e questo sarebbe francamente avvilente.
La vita diaconale sposata è una vita di diaconia di coppia. Non può non essere così. […]
Noi diaconi uxorati viviamo una realtà sui generis, in senso letterale: di un genere e una specie propria che non è dei diaconi celibi, non è dei diaconi inseriti in un ordine religioso…
I due sacramenti, quindi, non si sommano, ma si fondono in noi in una nuova ed unica ontologia, che è quella del "diacono uxorato". […]
Bisogna quindi "impegnare" il diacono sposato in maniera consona alla sua vocazione e al suo stato di marito, padre e lavoratore.
Un professionista, un funzionario, un artigiano, un lavoratore coscienzioso e attento ai principi evangelici, di mattina al lavoro con responsabilità ed impegno, non può essere messo il pomeriggio a fare il sacrista o solamente a intonare il Rosario per gli anziani. Per questo basta un laico di buona volontà. Anche l'utilizzo del diacono per coprire esigenze quasi esclusivamente liturgiche non è adatto. Se ci sono la Via Crucis o impegni devozionali di routine in Parrocchia, non si chiama il diacono per lasciare qualche ora libera al parroco, e comunque non lo si ordina per affidargli quasi esclusivamente cose di questo genere.
[…]
Diventa necessario che il Vescovo, nella preparazione dei candidati al diaconato, chiarisca che la vita diaconale di una persona sposata ha bisogno anche di tempi particolari da dedicare al servizio del ministero. Ci sono particolari attività lavorative che non permettono spazi di attività extra, il Vescovo valuterà attentamente se è il caso di ordinare queste persone.
Dopo l'ordinazione, il mandato sia chiaro anche per il carico temporale dell'impegno.
Penso sia necessario che sia il Vescovo sia l'ordinando sappiano a quale impegno si vada incontro e ognuno delle parti faccia le dovute valutazioni.
Si va comodamente in Paradiso anche da laici, non c'e bisogno di rifugiarsi in un Sacramento che prevede un impegno di cuore e di orologio. Il "servizio", che il diacono può dare alla comunità cristiana, impegna tempo ed energie. […]».
(vai all'intero articolo)

venerdì 15 settembre 2017

Perdonare: acquisire il cuore di Dio, fare ciò che Dio fa


24a domenica del Tempo ordinario (A)
Siracide 27,30-28,7 • Salmo 102 • Romani 14,7-9 • Matteo 18,21-35
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Quante volte devo perdonare?... Fino a settanta volte sette
"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette", cioè sempre. L'unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po' più avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l'amore di Dio non ha misura.
Perché devo perdonare? Perché devo rimettere il debito? Perché cancellare l'offesa di mio fratello? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio; perché il Regno è acquisire per me il cuore di Dio e poi immetterlo nelle mie relazioni.

…gli doveva diecimila talenti…
Perdonare sempre! Gesù lo dice con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore, qualcosa come il bilancio di uno stato: un debito insolvibile. "Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava..." e il re provò compassione. Il re non è il campione del diritto, ma il modello della compassione: sente come suo il dolore del servo, lo fa contare più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell'oro.

Appena uscito trovo uno dei suoi compagni…
Il servo perdonato, "appena uscito", trovò un servo come lui che gli doveva qualche denaro. "Appena uscito": non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un'ora dopo. "Appena uscito", ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l'esperienza di come sia grande un cuore di re, presolo per il collo, lo strangolava gridando: Ridammi i miei centesimi, lui perdonato di miliardi! In fondo, era suo diritto, è giusto e spietato.

L'insegnamento della parabola è chiaro: rivendicare i miei diritti non basta per essere secondo il vangelo. La giustizia non basta per fare l'uomo nuovo. «Occhio per occhio, dente per dente», debito per debito: è la linea della giustizia. Ma mentre l'uomo pensa per equivalenza, Dio pensa per eccedenza. Sull'eterna illusione dell'equilibrio tra dare e avere, fa prevalere il disequilibrio del fare grazia che nasce dalla compassione, dalla pietà.

Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?
Non dovevi essere anche tu come me? Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa. Acquisire il cuore di Dio, per immettere la sovrabbondanza dell'amore di Dio dentro i rapporti ordinati del dare e dell'avere. Perdonare significa - secondo l'etimologia del verbo greco aphíemi - lasciare andare, lasciare libero, troncare i tentacoli e le corde che ci annodano malignamente in una reciprocità di debiti. Assolvere significa sciogliere e dare libertà. La nostra logica ci imprigiona in un labirinto di legami.
Occorre qualcosa di illogico: il perdono, fino a settanta volte sette, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica, fino ad agire come agisce Dio.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il padrone ebbe compassione di quel servo (Mt 18,27)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Quante volte dovrò perdonargli? (Mt 18,21) - (11/09/2011)
(vai al testo…)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2017)
  di Marinella Perroni (VP 8.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 8 settembre 2017

Cristo tra noi, generatore di vita e di fraternità:
 anima di ciò che esiste


23a domenica del Tempo ordinario (A)
Ezechiele 33,1.7-9 • Salmo 94 • Romani 13,8-10 • Matteo 18,15-20
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, tu va'…
Queste parole tracciano le regole di base per la convivenza fraterna. La prima: se qualcuno ti ferisce, tu non chiudere la comunicazione, non lasciare che l'offesa occupi tutta la scena, non metterti in atteggiamento di vittima o di sudditanza di fronte al male - questo lo renderebbe più forte -, ma fa tu il primo passo, riapri tu il dialogo. È il primo modo per de-creare il male, per esserne liberati.
Ma che cosa mi autorizza a intervenire nella vita dell'altro? La pretesa della verità? No, solo la parola fratello. Ciò che ci abilita al dialogo è la fraternità che tentiamo di vivere, non la verità che crediamo di possedere. Il dialogo politico è quello in cui si misurano le forze, ma il dialogo evangelico è quello in cui si misurano le sincerità.
Non nell'isolamento del privato, non nell'illusione dei grandi numeri: tutto inizia dalla più piccola comunità: io-tu. Lontano dalle istituzioni, nel cuore della vita, tutto inizia da io-tu.

Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello
Una espressione inusuale e commovente: "guadagnare" un uomo, "acquistare" un fratello, arricchirsi di persone. Il vero guadagno della mia vita corrisponde alle relazioni buone che ho costruito. Ogni persona vale quanto valgono i suoi amori e le sue amicizie. Come una comunità si misura dalla qualità dei rapporti umani che si sono instaurati. Il fratello è un guadagno, un tesoro per me, per te, per il mondo. Investire in fraternità è l'unica politica economica che produce vera crescita.
Dio è un Dio di comunione che ci sospinge gli uni verso gli altri. Senza l'altro, l'uomo non è uomo: il Vangelo ci chiama a pensare sempre in termini di "noi".

Tutto quello che legherete sulla terra...
Il potere di sciogliere e legare non ha nulla di giuridico, non è conferito alla gerarchia, ma è per tutti i credenti: è il potere di creare comunione o separazione. Consiste nel mandato fondamentale di tessere nel mondo strutture di riconciliazione: ciò che abbiamo riunito attorno a noi, le persone, gli affetti, le speranze, lo ritroveremo unito nel cielo; e ciò che avremo liberato attorno a noi, di energie, di vita, di audacia e sorrisi, non sarà più dimenticato, è storia santa.

Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro
Ciò che scioglieremo avrà libertà per sempre, ciò che legheremo avrà comunione per sempre. Nel Vangelo di oggi un crescendo di comunità. Fino alla affermazione ultima: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.
Non semplicemente nell'io, non semplicemente nel tu, il Signore sta tra l'io e il tu, nel legame. In principio ad ogni vita, il legame, come nella stessa Trinità!
La costruzione del mondo nuovo inizia dai mattoni elementari io-tu, dalle relazioni quotidiane. Ma c'è un terzo tra i due, un terzo tra me e te, il cui nome è Amore: collante delle vite, unità dei mondi.
È tra noi, ad una condizione: che siamo riuniti nel suo nome. Non per interesse, non per superficialità, non per caso, ma nel suo nome: amando ciò che lui amava, preferendo coloro che lui preferiva, sognando il suo sogno di un mondo fatto di fratelli, dove il giusto e il peccatore, il violento e l'inerme si tengono per mano, partecipi della follia divina di prenderci cura di chi ci ha fatto del male…
E Cristo tra noi genera la vita: è anima e vita di tutto ciò che esiste, presenza trasformante dell'io e del tu che diventano noi.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20) - (07/09/2014)
(vai al testo…)
 Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20) - (04/09/2011)
(vai al testo…)
 Pienezza della legge è la carità (Rm 13,10) - (07/09/2008)
(vai al post "L'unico debito")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  La fraternità, frutto della presenza di Gesù tra i suoi (05/09/2014)

Ed anche il post: Uomini di comunione (04/09/2011)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

mercoledì 6 settembre 2017

Il Logos è divenuto carne per divinizzarci


All'inizio dell'anno pastorale si è tutti protesi a programmare un itinerario pastorale efficiente, a stendere programmi dettagliati, a prepararci spiritualmente.
Mi sono chiesto più volte se la nostra pastorale, spesso conservativa, ci faccia sperimentare quella novità alla quale lo Spirito continuamente ci sospinge. Mi preparerò anch'io per la parte affidatami. Ma la prima e forse l'unica sostanziale preoccupazione è il contatto semplice continuo con le persone che mi sono affidate nel mio servizio diaconale, persone con le loro reali aspettative e difficoltà, con le quotidiane sofferenze che ognuno porta in sé.
Ho letto, nel numero 202 della rivisita Il Diaconato in Italia, l'articolo di Giuseppe Bellia («A quanti l'hanno accolto», excursus sul Prologo del vangelo di Giovanni) che mi ha aiutato in questo approccio di inizio anno pastorale. Ne riposto la parte conclusiva (le parti evidenziate sono mie).

«[…] Charles De Foucauld ci ha insegnato che, anche in pieno deserto, si può gridare il Vangelo con la vita; e tuttavia "come sono belli i piedi di coloro che annunziano il vangelo di Cristo" (Rm 10,15). Si evangelizza testimoniando, gridando il Vangelo con la vita, quando non ci è permesso di annunciare la parola della salvezza… […]
Come evangelizzare però, senza aver già sperimentato la salvezza di Cristo? Se i testimoni non si mostrano redenti, salvati, pacificati e portatori di pace, gioiosi come può il vangelo diventare lo strumento salvifico di una storia sacra per tutti?
La ragione per cui molte indicazioni pastorali, anche se vivaci e creative, non toccano la vita reale delle chiese e le profondità del cuore dell'uomo risiede nel fatto che non sembrano scaturire da un processo di conversione; sono come devono essere e come ci si aspetta: senza stupore. Oltretutto si dà per scontato in un'epoca tumultuosa come la nostra, non più post-cristiana, ma ormai post-umana come molti la definiscono, una visione dell'uomo che non ha effettiva consistenza antropologica. Viviamo in una società satolla ed intorpidita, dominata da un capitale che si è mimetizzato, diventando biologico e adesso perfino inorganico, che opera in un anonimato che non lascia spazi a interrogazioni morali, rispondendo solo a criteri di successo, di efficienza, di potere.
Nell'indifferenza generale è saltato il principio di solidarietà, in fabbrica come in politica. Il fragile mondo dell'emigrazione, con la sua strutturale insicurezza segnala a tutti noi che in forza della fede come figli di Abramo siamo chiamati a riconoscere il nostro stato di viandanti: siamo tutti ospiti e forestieri sulla terra, perché chiunque crede fa di sé un nomade e un pellegrino.
Il prologo giovanneo ci ha mostrato il Logos venuto nel mondo per realizzare una piena relazione tra cielo e terra, e, divenuto carne, è entrato nella storia degli uomini perché il mondo avesse l'opportunità di entrare nella vita divina: incarnazione della Parola e divinizzazione dell'uomo sono dunque realtà inseparabili che ci interpellano chiedendoci la conversione del cuore, il cambiamento dei costumi, e finalmente un intelligenza adeguata, per dire Cristo dovunque e a tutti.
Tra rifiuto e accettazione la Parola continua ad offrire anche agli uomini del nostro tempo, a quanti hanno accettato di credere al mistero dell'incarnazione, la grazia di diventare figli conferendo così alla storia umana una precisa intenzionalità sacra, per la sua origine e per la sua destinazione. Nella debolezza dello straniero ogni cristiano intravede l'immagine del suo Signore crocifisso e, attraverso l'accoglienza e il dono dell'evangelizzazione, può indurre ogni emarginato a partecipare all'incarnarsi della Parola nel mondo perché la storia possa continuare a rivelarsi ancora come storia sacra».

lunedì 4 settembre 2017

Testimoniare la Vita!


Lina Balestrieri è una delle due donne vittime del terremoto che ha colpito l'isola di Ischia il 21 agosto 2017. Da molti anni, assieme al marito Antonio Cutaneo e ai loro sei figli (due adottati, disabili), Lina faceva parte del Cammino Neocatecumenale dove svolgeva il servizio di catechista.
Lina (59 anni) è morta mentre, assieme ad Antonio e ad altri fratelli (in piena estate, tempo che per molti significa "rilassamento" anche dalle cose di Dio e della comunità) andava a preparare una "Celebrazione della Parola" per i fratelli della sua parrocchia.
Alla fine della celebrazione delle esequie, il marito Antonio ha letto una commovente testimonianza sulla vita di Lina.


«[…] Non è stato facile vivere accanto ad una santa senza essere santo, soprattutto in una santità perfezionata dal martirio. La rivoluzione totale avvenne il giorno in cui accogliemmo le reliquie dei Santi coniugi Martin, la conoscenza della loro storia illuminò i nostri volti facendo maggiore chiarezza sul nostro cammino. Il chicco di grano ha prodotto il cento.
Il 21 agosto il nostro treno si fermò in un punto preciso della storia dove Cristo, via, verità e vita, ci chiamava a stare. Finito di recitare il Santo Rosario con la Parola di Dio in pugno eravamo pronti per preparare una nuova Celebrazione della Parola all'improvviso la terra tremò, una parete della chiesa crollò e sperimentai le parole del Vangelo "Uno sarà preso, un altro sarà lasciato", e in pochi istanti mi trovai a vivere la scena del calvario tenendo tra le mani il corpo di Lina martoriato e il volto pieno di sangue, ho visto il volto sofferente di Cristo, mi sono sentito come Giovanni ai piedi della croce insieme alla Madonna, ho sentito con l'orecchio del cuore le parole di Cristo rivolte ai miei figli: ecco tua madre, ma Cristo ha vinto la morte!
Il treno della nostra vita riparte carico di doni e destinazioni con un passeggero in meno ma con una guida sicura dal cielo; l'ultimo vagone di questo treno lo avevamo lasciato ancora vuoto per riempirlo di nuovi progetti di Dio, tra cui realizzare una casa famiglia per accogliere bambini disabili, ma improvvisamente quel giorno si è riempito abusivamente di sciacalli e di cretini.
Che cosa è la verità? Preferirei lo stesso silenzio di Gesù, ma davanti a tutte le falsità e alle superficialità di tanta stampa e televisione e gli inutili tentativi di ricostruire le dinamiche dei fatti davanti all'ateismo, al paganesimo, alle nuove false ideologie, davanti a tutti quelli che dicono "dov'è il tuo Dio?", a quanti bussano e chiedono ancora che cos'è la verità, la risposta è una soltanto: "Lina ha scelto la parte migliore che non le sarà mai tolta". Questa è la verità! Piuttosto, un'altra è la domanda "Oh morte dov'è la tua vittoria?" e dov'è infatti la vittoria della morte in una donna che ha sempre annunciato con forza le parole di San Paolo: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno"?
Cristo è veramente risorto, alleluja!».

domenica 3 settembre 2017

Il Diaconato in Italia
 Luoghi e forme della diaconia agli ultimi



Il diaconato in Italia n° 203
(marzo/aprile 2017)

Luoghi e forme della diaconia agli ultimi





ARTICOLI
Luoghi e forme della diaconia agli ultimi (Giuseppe Bellia)
La diaconia di Gesù verso i sofferenti (Giovanni Chifari)
Il sabato del diacono (Giorgio Agagliati)
Papa Francesco a Milano (Enzo Petrolino)
Diaconato e teologia (II parte) (José Gabriel Mesa Angulo)

INTERVISTE
Le domande ai diaconi (Roberto Massimo)
Per camminare con le tue gambe (Paolo Bendinelli)
E riceveranno cento volte tanto (Franco Brogi)
Scendendo in miniera (Stefano Innocenti)
Coinvolti dalla gioia (Andrea Masini)
Vivere alla presenza del Signore (Guido Miccinesi)
Frammenti di speranza (Franca e Vincenzo Testa)

TESTIMONIANZE
Incontrare l'Uomo (Luigi Vidoni)
Dalla diocesi di Napoli (Giuseppe Daniele e Gaetano Marino)
Una lectio divina per una nuova solidarietà (Enzo Petrolino)
Incontrando i più piccoli (Francesco Giglio)
Come gioielli in uno scrigno (Raffaella Gay)
Gli occhi per il cieco, i piedi per lo zoppo (Andrea Spinelli)


(Vai ai testi…)

sabato 2 settembre 2017

Perdere per trovare: noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato


22a domenica del Tempo ordinario (A)
Geremia 20,7-9 • Salmo 62 • Romani 12,1-2 • Matteo 16,21-27
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva soffrire molto e venire ucciso
Per la prima volta si profila la follia della croce. Dio sceglie di non assomigliare ai potenti, ma ai torturati e uccisi del mondo. Questo è lo scandalo del cristianesimo, un Dio che entra nel dolore e nella morte perché nel dolore e nella morte entra ogni suo figlio. Potere vero per lui è amare, è la supremazia della tenerezza e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerò.

Pietro si mise a rimproverarlo…
È la sorpresa di Pietro: Dio non voglia, questo non ti accadrà mai! Tu vuoi salvare questo mondo che ha problemi immensi, lasciandoti uccidere? Sei un illuso, il mondo non sarà salvo per un crocifisso in più. Usa altri mezzi: il potere, il miracolo, l'autorità. Ed è proprio questo che Gesù rifiuta. Sceglie invece i mezzi più poveri: l'amore disarmato, il cuore limpido, il non fare violenza mai, il perdono fino alla fine.
Ma per Pietro è una cosa così inedita e sconvolgente da rifiutarla categoricamente: nella logica umana scegliere di stare dalla parte delle vittime, dei deboli, significa esautorarsi di ogni potere.
Gesù allora lo invita a entrare in questa rivoluzione, ad aprirsi al nuovo che irrompe per la prima volta nella storia: «Pietro, torna a metterti dietro di me, riprendi ad essere discepolo».

Se qualcuno vuol venire dietro a me…
Non è solo Pietro a seguire questa logica, ma tutti i discepoli. E allora Gesù allarga a tutti lo stesso invito: «Se qualcuno vuole venire dietro a me...» e detta le condizioni. Condizioni da vertigine.
La prima: Rinneghi se stesso. Parole pericolose se capite male. Rinnegare se stessi non vuol dire mortificarsi, buttare via i talenti. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente dalla vita realizzata. Rinnega te stesso vuol dire: non sei tu il centro dell'universo; impara a sconfinare oltre te. Non una mortificazione, ma una liberazione.
Seconda condizione: Prenda la sua croce e mi segua. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del vangelo, che abbiamo interpretato come esortazione alla rassegnazione: soffri con pazienza, accetta, sopporta le inevitabili croci della vita. Ma Gesù non dice «sopporta», dice «prendi». Non è Dio che manda la croce. È il discepolo che la prende, attivamente. La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d'amore, amore fino a morirne.
Sostituiamo croce con amore, ed ecco: Se qualcuno vuole venire con me, prenda su di sé il giogo dell'amore, tutto l'amore di cui è capace e mi segua.

Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà
Ecco la parola centrale del brano: Chi perderà la propria vita così nella follia dell'amore di Dio, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l'accento sul perdere la vita. Ma a ben guardare l'accento non è posto sul perdere, ma sul trovare.
Seguire Gesù è vivere un'esistenza che assomigli alla sua, è trovare la vita, realizzare pienamente la propria esistenza. Perché l'esito finale è «trovare vita». Quella cosa che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tutti i giorni che è dato loro di vivere è realizzare pienamente se stessi.
Gesù ne possiede la chiave. Perdere per trovare. È la legge dell'amore: se tu dai ti arricchisci, se trattieni per te ti impoverisci. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me… (Mt 16,24)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24) - (31/08/2014)
(vai al testo…)
 Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente (Ger 20,29) - (28/08/2011)
(vai al testo…)
 Il Figlio dell'uomo (…) renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16,27) - (31/08/2008)
(vai al post "Essere dono")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Andare dietro a Gesù (29/08/2014)

Ed anche il post: La passione del profeta (28/08/2011)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 7.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 7.2014)
  di Marinella Perroni (VP 7.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 1 settembre 2017

Un invito sconvolgente


Parola di vita – Settembre 2017
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24)

Gesù è nel mezzo della sua vita pubblica, nel pieno del suo annuncio che il Regno di Dio è vicino, e si prepara ad andare a Gerusalemme. I suoi discepoli, che hanno intuito la grandezza della sua missione ed hanno riconosciuto in lui l'Inviato di Dio atteso da tutto il popolo di Israele, si aspettano finalmente la liberazione dalla potenza romana e l'alba di un mondo migliore, portatore di pace e prosperità.
Ma Gesù non vuole alimentare queste illusioni; dice chiaramente che il suo viaggio verso Gerusalemme non lo porterà al trionfo, ma piuttosto al rifiuto, alla sofferenza ed alla morte; rivela anche che il terzo giorno risorgerà. Parole difficili da comprendere ed accettare, tanto che Pietro reagisce e mostra di rifiutare un progetto tanto assurdo; cerca anzi di dissuadere Gesù.
Dopo un secco rimprovero a Pietro, Gesù si rivolge a tutti i discepoli con un invito sconvolgente:

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Ma cosa chiede Gesù ai suoi discepoli di ieri e di oggi, con queste parole? Vuole che disprezziamo noi stessi? Che ci votiamo tutti ad una vita ascetica? Ci chiede di cercare la sofferenza per essere più graditi a Dio?
Questa Parola ci esorta piuttosto ad incamminarci sui passi di Gesù, accogliendo i valori e le esigenze del Vangelo per assomigliare a Lui sempre di più. E questo significa vivere con pienezza la vita tutta intera, come ha fatto Lui, anche quando sul cammino appare l'ombra della croce.

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Non possiamo negarlo: ognuno ha la sua croce: il dolore, nelle sue varie forme, fa parte della vita umana, ma ci appare incomprensibile, contrario al nostro desiderio di felicità. Eppure è proprio lì che Gesù ci insegna a scoprire una luce inaspettata. Come avviene quando, entrando talvolta in alcune chiese, scopriamo quanto meravigliose e luminose siano le loro vetrate, che dall'esterno apparivano buie e senza bellezza.
Se vogliamo seguirlo, Gesù ci chiede di fare un completo capovolgimento di valori, spostando noi stessi dal centro del mondo e rifiutando la logica della ricerca dell'interesse personale. Ci propone di fare più attenzione alle esigenze degli altri, che alle nostre; di spendere le nostre energie per far felici gli altri, come lui, che non ha perso un'occasione per confortare e dare speranza a quelli che ha incontrato. E con questo cammino di liberazione dall'egoismo può iniziare per noi una crescita in umanità, una conquista della libertà che realizza pienamente la nostra personalità.

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Gesù ci invita ad essere testimoni del vangelo, anche quando questa fedeltà è messa alla prova dalle piccole o grandi incomprensioni dell'ambiente sociale in cui viviamo. Gesù è con noi, e ci vuole con Lui in questo giocarci la vita per l'ideale più ardito: la fraternità universale, la civiltà dell'amore.
Questa radicalità nell'amore è un'esigenza profonda del cuore umano, come testimoniano anche personalità di tradizioni religiose non cristiane, che hanno seguito la voce della coscienza fino in fondo. Scrive Gandhi: "Se qualcuno mi uccidesse e io morissi con una preghiera per il mio assassino sulle labbra, e il ricordo di Dio e la consapevolezza della sua viva presenza nel santuario del mio cuore, allora soltanto si potrà dire che ho la nonviolenza dei forti" [1].
Chiara Lubich ha trovato nel mistero di Gesù crocifisso e abbandonato la medicina per sanare ogni ferita personale ed ogni disunità tra persone, gruppi e popoli, ed ha condiviso con tanti questa scoperta. Nel 2007, in occasione di una manifestazione di Movimenti e Comunità di varie Chiese a Stoccarda, ha scritto:
"Pure ciascuno di noi, nella vita, soffre dolori almeno un po' simili ai suoi. ( …) Quando sentiamo (….) questi dolori, ricordiamoci di lui che li ha fatti propri: sono quasi una sua presenza, una partecipazione al suo dolore. Facciamo come Gesù, che non è rimasto impietrito, ma aggiungendo a quel grido le parole: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46), si è riabbandonato al Padre.
Come lui anche noi possiamo andare al di là del dolore e superare la prova dicendogli: "Amo in essa te, Gesù abbandonato; amo te, mi ricorda te, è una tua espressione, un tuo volto". E, se nel momento seguente ci buttiamo ad amare il fratello e la sorella e ad attuare ciò che Dio vuole, sperimentiamo, il più delle volte, che il dolore si trasforma in gioia (…). I piccoli gruppi in cui viviamo (…) possono conoscere piccole o grandi divisioni. Anche in quel dolore possiamo vedere il Suo volto, superare quel dolore in noi e far di tutto per ricomporre la fraternità con gli altri. (…) La cultura della comunione ha come via e modello Gesù crocifisso e abbandonato"
 [2].

Letizia Magri

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[1] M.K. Gandhi, Antiche come le montagne, Ed. di Comunità, Milano 1965, pp. 95-96.
[2] C. Lubich, Per una cultura di comunione - Incontro Internazionale "Insieme per l'Europa" - Stoccarda, 12 maggio 2007 - sito web http://www.together4europe.org/

Fonte: Città Nuova n. 8/Agosto 2017