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domenica 30 aprile 2017

Il mese di Maggio con don Tonino Bello




Propongo per il Mese di Maggio una raccolta giornaliera di testi mariani di don Tonino Bello, da Maria, donna dei nostri giorni.

Vai ai testi giornalieri…







  1 Maggio – Maria, donna feriale
  2 Maggio – Maria, donna senza retorica
  3 Maggio – Maria, donna dell'attesa
  4 Maggio – Maria, donna innamorata
  5 Maggio – Maria, donna gestante
  6 Maggio – Maria, donna accogliente
  7 Maggio – Maria, donna del primo passo
  8 Maggio – Maria, donna missionaria
  9 Maggio – Maria, donna di parte
10 Maggio – Maria, donna del primo sguardo
11 Maggio – Maria, donna del pane
12 Maggio – Maria, donna di frontiera
13 Maggio – Maria, donna coraggiosa
14 Maggio – Maria, donna in cammino
15 Maggio – Maria, donna del riposo
16 Maggio – Maria, donna del vino nuovo
17 Maggio – Maria, donna del silenzio
18 Maggio – Maria, donna obbediente
19 Maggio – Maria, donna di servizio
20 Maggio – Maria, donna vera
21 Maggio – Maria, donna del popolo
22 Maggio – Maria, donna che conosce la danza
23 Maggio – Maria, donna del sabato santo
24 Maggio – Maria, donna del terzo giorno
25 Maggio – Maria, donna conviviale
26 Maggio – Maria, donna del piano superiore
27 Maggio – Maria, donna bellissima
28 Maggio – Maria, donna elegante
29 Maggio – Maria, donna dei nostri giorni
30 Maggio – Maria, donna dell'ultima ora
31 Maggio – Santa Maria, compagna di viaggio

Vai ai testi giornalieri…

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Vedi anche:
Il Mese di Maggio con papa Francesco (raccolta di testi mariani tratti dagli interventi di papa Francesco sulla Vergine Maria).
Vai ai testi giornalieri…

venerdì 28 aprile 2017

Gesù, invisibile presenza che nulla chiede e tutto dà


3a domenica di Pasqua (A)
Atti 2,14a.22-33 • Salmo 15 • 1 Pietro 1,17-21 • Luca 24,13-35
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus
La strada da Gerusalemme a Emmaus è metafora delle nostre vite, racconta sogni in cui avevamo tanto investito e che hanno fatto naufragio...
I due discepoli abbandonano la città di Dio per il loro villaggio, escono dalla grande storia e rientrano nella normalità del quotidiano. Tutto finito, si chiude, si torna a casa. Emmaus dista da Gerusalemme due ore di cammino, due ore trascorse a parlare di quel sogno in cui avevano tanto sperato, un sogno naufragato nel sangue.

Mentre conversavano Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro
Loro se ne stanno andando e lui li raggiunge. Con Dio succede questa cosa controcorrente: non accetta che ci arrendiamo, Dio non permette che abbandoniamo il campo. Con Dio c'è sempre un dopo. Un Dio delle strade, continuamente in cerca di noi.

Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele…
E cominciando da Mosè, spiegò loro in tutte le Scritture…

Noi speravamo…, invece... Nella loro idea il Messia non poteva morire sconfitto, il Messia doveva trionfare sui nemici. Non hanno capito e lui riprende a spiegare. E interpretando le scritture, mostrava che il Cristo doveva patire. Fa comprendere quella che è da sempre l'essenza del cristianesimo: la Croce non è un incidente, ma la pienezza dell'amore, che cambia la comprensione di Dio e della vita.
I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c'è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembrava assurdo, sulla croce. La mano di Dio così nascosta da sembrare assente, sta tessendo il filo d'oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.

Non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture?
Il primo miracolo si compie già lungo la strada. Trasmettere la fede non è consegnare delle nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione chi ascolta. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: Resta con noi, Signore, rimani con noi, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell'eternità. No, lui non se n'è mai andato

Lo riconobbero nello spezzare il pane
Spezzare il pane e darlo. Lui che non ha mai spezzato nessuno, spezza se stesso. Lui che non chiede nulla, offre tutto di sé. E proprio in quel momento scompare.
Il vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n'è andato altrove, è diventato invisibile, ma è lì con loro. Scomparso alla vista, ma non assente, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega e interpreta la vita, Pane per la fame di vita.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Egli entrò per rimanere con loro (Lc 24,29)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31) - (4/05/2014)
(vai al testo…)
 Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31) - (8/05/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  In cammino con il Risorto (02/05/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 4.2014)
  di Marinella Perroni (VP 4.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

mercoledì 26 aprile 2017

Il Diaconato in Italia
 Le sfide diaconali della misericordia



Il diaconato in Italia n° 201
(novembre/dicembre 2016)

Le sfide diaconali della misericordia
«Giustizia e pace si baceranno»






ARTICOLI
Come formare oggi alla giustizia? (Giuseppe Bellia)
Diaconi: pace da accogliere e da donare (Enzo Petrolino)
Giustizia e pace: per ricostruire il tessuto sociale (Gaetano Marino)
Per una coscienza della storia (G. Chifari)
Don Alberto, don Beppe e il libro "galeotto" (Giorgio Agagliati)
Vocazione all'amore (Omelia Di Simone)

SPECIALE
Introduzione alla giornata di studio per i 50 anni della Comunità del diaconato permanente in Italia (Massimo Camisasca)
La profezia di Alberto Altana e la Comunità del diaconato (Vittorio Cenini)
Un prete consegnato al suo ministero (Francesco Braghiroli)
Don Alberto Altana profeta della diaconia (Pippo Piacentini)
Don Giuseppe Dossetti e il diaconato (Enrica Bedini)
A 50 dalla nascita della Comunità (Giacomo Casoli)

TESTIMONIANZE
«Il seme cadde nel buon terreno» (Francesco Giglio)
Convegno dei diaconi del Triveneto (Gino Cintolo)
Giornata regionale dei diaconi della Campania (Pasquale Violante)


(Vai ai testi…)

venerdì 21 aprile 2017

Dalle piaghe aperte, non sangue ma luce e misericordia


2a domenica di Pasqua (A)
Atti 2,42-47 • Salmo 117 • 1 Pietro 1,3-9 • Giovanni 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Mentre erano chiuse le porte… venne Gesù…
I discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei. Hanno tradito, sono scappati, hanno paura… Raffigurazione di un gruppo di persone allo sbando, e quindi poco affidabili… E tuttavia Gesù viene!
È una comunità dove non si sta bene, con porte e finestre sbarrate, dove manca l'aria. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non ai margini, ma, dice il Vangelo «in mezzo a loro». E dice: «Pace a voi!». Non si tratta di un augurio o di una promessa, ma di una affermazione: la pace è! È scesa dentro di voi, è iniziata e viene da Dio. Una pace sulle nostre paure, sui nostri sensi di colpa, sulle insoddisfazioni che scolorano i nostri giorni…

Tommaso non era con loro quando venne Gesù…
Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi…

Tommaso vuole delle garanzie, ed ha ragione, perché se Gesù è vivo, cambia tutto. Tommaso sperimenta la fatica di credere, come noi. Eppure in nessuna parte del Vangelo è detto che la fede senza dubbi, granitica, sia più sicura e affidabile della fede intrecciata alle domande. Non esiste fede esente da domande e da dubbi. Tommaso però, pur dissentendo dagli altri apostoli, non abbandona il gruppo, rimane e il gruppo, a sua volta, non lo esclude. Modello per le nostre assemblee: quando i dubbi sorgono, quando situazioni difficili o errori della comunità ti scoraggiano, non andartene, non isolarti, non sentirti escluso, resta all'interno della comunità. Non stancarti di porre le tue domande: qualcuno, custode della luce, ti porterà la risposta.

Otto giorni dopo… venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo...
Mi conforta pensare che se trova chiuso, Gesù non se ne va; se tardo ad aprire, otto giorni dopo è ancora lì. Venne Gesù... poi disse a Tommaso... Gesù viene, non per essere acclamato dai dieci che credono, ma per andare in cerca proprio dell'agnello smarrito, lascia i dieci al sicuro e si dirige verso colui che dubita: Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca! A Tommaso basta quel gesto. Colui che tende le mani verso di te, voce che non ti giudica ma ti incoraggia e ti chiama, è Gesù. Non possiamo sbagliare! C'è un foro nelle sue mani, c'è un colpo di lancia nel suo fianco, sono i segni dell'amore, che Gesù non nasconde, anzi, quasi esibisce: il foro dei chiodi, toccalo; lo squarcio nel costato, puoi entrarci con una mano. Piaghe che non ci saremmo aspettati, convinti che la risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le ferite del venerdì santo. E invece no! L'amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebili ormai, proprio come l'amore. Ma dalle piaghe aperte non sgorga più sangue, bensì luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, che trema, ci sono tutte le nostre mani.

Mio Signore e mio Dio!
Tommaso passa dall'incredulità all'estasi: Mio Signore e mio Dio! Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei. Mio come lo è il cuore e, senza, non sarei. La vitalità di Dio mi è compagna, l'avverto quale energia vitale che sale, si dilata dentro e mette gemme di luce. Mi offre due mani piagate perché ci riposi e riprenda fiato e coraggio. E dico a me stesso: Io appartengo a un Dio vivo, non a un Dio compianto.
Questa è la parola che mi è compagna, dolce, fortissima: Io appartengo a un Dio vivo!

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
I discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Mio Signore e mio Dio (Gv 20,28) - (27/04/2014)
(vai al testo…)
 Tutti i credenti stavano insieme (At 2,44) - (01/05/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Misericordia, secondo nome dell'amore (25/04/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 4.2011)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

giovedì 20 aprile 2017

Seguimi!


L'invito di Gesù a seguirlo risuona in modo speciale oggi, giorno anniversario della mia ordinazione diaconale. Seguire Lui ha una connotazione ben precisa: è seguirlo nel suo "dare la vita", in quel suo essere "venuto non per farsi servire, ma per servire e dare la vita" (cf Mt 20,28).
San Paolo scrive: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,2). È una scelta di Dio che ha una precisa configurazione: scegliere Dio in Gesù crocifisso e abbandonato.
Scrive Chiara Lubich a questo proposito: «La scelta di Dio è una sola: la scelta di Dio in Gesù Abbandonato. È in Lui il Dio-Amore che abbiamo scelto, è in Lui la volontà di Dio su di noi, è in Lui la possibilità d'attuazione del Comandamento nuovo, della misura cioè dell'amore che esso richiede. È Gesù Abbandonato vissuto la possibilità, l'unica possibilità, per avere Gesù fra noi. È amando Lui che riusciremo ad essere "altra Maria". Amando Lui concorreremo efficacemente a realizzare il Testamento di Gesù. Con Lui vivremo veramente la Chiesa. […]
Gesù Abbandonato è il nostro stile d'amore. Egli ci insegna ad annullare tutto in noi e fuori di noi, per "farci uno" con Dio; ci insegna a far tacere pensieri, attaccamenti, a mortificare i sensi, a posporre persino le ispirazioni per potersi "fare uno" con i prossimi, che vuol dire servirli, amarli.
La radicalità che caratterizza la scelta di Gesù Abbandonato (…) ci arriva come un monito non solo ad abbracciare tutti i dolori che sopravvengono quale l'incontro con lo Sposo, atteso, e quindi accolto sempre, subito, con gioia, ma a contemplare in Lui la misura del nostro amore per il prossimo: misura senza misura nel dovere di dar tutto, nel non riservare nulla per se stessi, nemmeno i valori più spirituali, nemmeno i più divini; a imitare da Lui la sua misura d'amare, nella pratica eroica di tutte le virtù che l'amore contiene. […]
Lì è tutto. È tutto l'amore di un Dio».
(Cf. Chiara Lubich, L'unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova)

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Rimando ad altri post relativi alla mia ordinazione diaconale.

Gratitudine! (20/04/2016)
Stare nella tua casa (20/04/2015)
Chiara, mia moglie (26/04/2011)
Il diacono e il suo vescovo (20/04/2011)
Modello di ogni diaconia (19/04/2011)
Il mio sì (20/04/2010)
Ricordando quel giorno (19/04/2009)
Eccomi (19/04/2008)
Per conoscerci… (la nostra esperienza) (24/02/2008)

martedì 18 aprile 2017

Il diaconato in Italia: 200 numeri sempre a servizio dei diaconi


Dal sito ZENIT (Il mondo visto da Roma) (https://it.zenit.org/ - Chiesa e Religione) Riporto l'articolo di Giovanni Chifari sul numero 200 della Rivista Il diaconato in Italia. Giovanni Chifari è docente di Teologia biblica presso l'Istituto Scienze Religiose "Giovanni Paolo II" di Foggia e collabora alla Rivista Il diaconato in Italia.
Del n° 200 della Rivista ho già parlato in un mio post del 10 aprile.

Questo l'articolo di Zenit:

Il diaconato in Italia: 200 numeri sempre a servizio dei diaconi

In quasi mezzo secolo è stata testimone degli epocali cambiamenti della Chiesa, dal Concilio ad oggi
4 Gennaio 2017 – Giovanni Chifari

Il diaconato in Italia, periodico bimestrale della comunità del diaconato in Italia, ha recentemente pubblicato il suo 200° numero. Una storia lunga quasi mezzo secolo, che dall'aprile del 1968 vede la rivista offrire un servizio a favore del ministero diaconale nella nostra Chiesa. Fondata e diretta da don Alberto Altana, la rivista è in seguito diretta per oltre venticinque anni dal presbitero e teologo biblico don Giuseppe Bellia che nell'editoriale ricorda come sia «l'unica a occuparsi a tutto campo del servizio diaconale seguendo il cammino che va dal discernimento alla formazione e dal ministero alle nuove frontiere di impegno apostolico». In questa segnalazione seguiremo alcune linee dell'editoriale del duecentesimo.

In crisi già dal IV secolo, per il mutato paradigma organizzativo delle Chiese, dal modello della diaconia di Cristo a quello del cursus honorum recepito dall'Impero, il diaconato si avvia verso una graduale ibernazione che durerà oltre dieci secoli, giungendo a Trento ormai atrofizzato. Proprio nel Concilio tridentino si profilò l'ipotesi di rilancio e di ripristino ma dovranno passare altri quattrocento anni prima della decisione del Concilio Vaticano II. Che sono dunque, rispetto a quest'arco temporale, i quasi cinquant'anni di attuale restaurazione? Comprendiamo quindi la confessione che Giuseppe Dossetti fece a Carlo Maria Martini: "Il diaconato sarà il tema più importante dell'ecclesiologia concreta dell'avvenire". È questo uno dei "luoghi" di servizio della rivista "Il diaconato in Italia", pagine che testimoniano altresì tappe e tempi del percorso storico pastorale delle nostre chiese.

Nei primi vent'anni (1968-1988), sotto la direzione di don Alberto Altana, la rivista accompagna i primi passi del ministero, offrendo preziosi spunti e indicazioni, monitorando costantemente la ricezione del diaconato nelle diocesi europee e nel mondo, e contribuendo a creare senso di identità e di appartenenza. Con impegno e generosità ci si muove su un terreno ignoto e si punta sull'informazione e la condivisione di esperienze, favorendo il confronto su temi e prime problematiche che si presentano nell'esercizio del ministero. Sono anni in cui appare prevalente un approccio passionale e gli scritti non riescono a trattenere sentimenti che oscillano dall'entusiasmo allo scoraggiamento di fronte ai possibili futuri scenari del servizio diaconale. La rivista riporta il dibattito ecclesiale che va suscitando la ripresa del diaconato e l'annosa questione del diaconato delle donne, si sofferma più volte sul rapporto tra diaconato e laicato e cerca di valorizzare la specificità del carisma diaconale.

Alla fine degli anni Ottanta sorgono però nuove esigenze, «si doveva passare dalla fase pionieristica e un po' volontaristica degli inizi – rileva il direttore – a una stagione più aperta e pensata, ma non per questo meno appassionata e generosa». Il diaconato si inizia a diffondere un po' più capillarmente, specialmente nel sud Italia, e lì dove accolto contribuisce a ridisegnare il volto delle nostre chiese. Da qui la necessità che anche la rivista si facesse carico di un diverso tipo di accompagnamento, puntando di più sulla formazione ministeriale dei diaconi. Inizia in questi anni, a partire dal 1991, la collaborazione di don Giuseppe Bellia, con alle spalle un'esperienza di anni di deserto in terra santa al seguito di don Giuseppe Dossetti e un tempo di esperienza missionaria in Messico e in Brasile, oltre che una competenza teologica. Il suo profilo è suggerito proprio da don Giuseppe Dossetti, in seguito alle richieste dei diaconi di Reggio Emilia, per le gravi condizioni di salute di don Alberto Altana e in vista dell'urgenza di rilanciare la rivista sul piano dei contenuti e della riflessione teologica. Il contributo di don Bellia, che si era occupato da oltre cinque anni della formazione dei diaconi nella diocesi di Lucca, sotto il Vescovo Giuliano Agresti, ha consentito di individuare alcuni aspetti imprescindibili dai quali era necessario ripartire. Si trattava della sacramentalità del diaconato, del legame tra i diaconi e la persona del Vescovo, che il teologo biblico vede «non come una sudditanza amorfa» ma come «un'obbedienza creativa». In sintonia con la riflessione dossettiana, precisava che la diffusione del diaconato doveva essere in stretta connessione con «la promozione, guida e discernimento delle funzioni» operate dai vescovi. Inoltre si doveva riscoprire il ruolo dei diaconi come «animatori ordinari del servizio nelle comunità dei credenti» ed essi stessi dovevano potersi percepire come «lieti promotori di fraternità» che donano «qualità evangelica ai rapporti interpersonali».

Ripercorrendo il cammino della rivista degli ultimi venticinque anni, mi sembra che uno dei punti più qualificanti dell'apporto dato alla rivista sia stato proprio quello di aver inserito la riflessione sul diaconato dentro le coordinate della ricerca teologica e dello stesso dinamismo teologale, consolidando la dimensione sacramentale della diaconia ordinata nelle diverse chiese. Un percorso, ancora in itinere, che si è dispiegato assumendo quali coordinate orientative il primato della Scrittura e la centralità dell'Eucarestia in Cristo e nella Chiesa come sorgenti del servizio, dentro un'ecclesiologia di comunione, ontologica e non funzionale, autentica eredità del Concilio Vaticano II. Lettura che ha gradualmente educato a una visione del diaconato non solamente come segno sacramentale del Cristo servo, ma anche del Cristo sposo, nella consapevolezza che esso appartiene al sacramento dell'Ordine sacro.

Nello stesso tempo si registra la fiducia accordata all'apporto delle scienze umane, utili per delineare il profilo sociologico del diacono, e lo spazio alla voce delle donne e alla loro sensibilità nel testimoniare la diaconia materna della Chiesa. Linea editoriale che ha altresì puntato alla valorizzazione dei binomi tematici discernimento-formazione, diaconia-carità, pace-fraternità, servizio ai poveri, agli ultimi e verso ogni forma di marginalità.

Insomma quella fase "più pensata" effettivamente c'è stata e ha aiutato a non far cadere nell'oblio quella ricchezza sacramentale e teologica, già per troppi secoli ibernata. «A che serve infatti una diaconia ingessata?» scrive il direttore nell'editoriale del giubileo del duemila. E poi ancora: Il diaconato è percepito come "profezia" per le nostre Chiese? È necessario ripensare o riqualificare il servizio dei diaconi? La diaconia ordinata non è paradigma della kenosi divina? Come non spegnere lo Spirito, esaminare le profezie e discernere ogni cosa?

In questi ultimi anni la rivista si è altresì avvalsa del contributo puntuale e appassionato del diacono Enzo Petrolino che ha contribuito a tenere sempre vivo, anche sul piano delle pubblicazioni, il legame tra sviluppo del diaconato e cammino della Chiesa, con delle analisi attente ai convegni nazionali ecclesiali, alla raccolta dei documenti e dei pronunciamenti magisteriali sul diaconato e a una visione attuale e incarnata del servizio dei diaconi. Similmente la rivista va avanti anche attraverso l'imprescindibile contributo di chi nel segno di un'inevidente e silenziosa diaconia, serve Cristo e la Chiesa.

Con speranza e fiducia, facciamo infine nostro l'invito di don Giuseppe Bellia nell'editoriale del duecentesimo numero.

«Il nostro compito rimane quello degli inizi: se il diaconato è interpretato e vissuto secondo l'intendimento evangelico è tutta la chiesa a essere promossa per una conformazione sempre più piena alla diaconia di Cristo. Questo non può essere realizzato volontaristicamente ma solo con la fattiva collaborazione di vescovi, teologi, presbiteri, diaconi, ma anche attraverso una rinnovata attenzione di parrocchie, comunità e famiglie. Il nostro augurio è d'incontrare il consenso e la collaborazione di nuovi lettori, invitati a intrattenere un fruttuoso dialogo con la nostra rivista».

In questo nuovo anno, la rivista, con cadenza bimestrale, si occuperà del tema: I diaconi chiamati ad accogliere, ascoltare e servire. Fra gli appuntamenti da non perdere, il Convegno Nazionale a Cefalù (Pa) dal 2 al 5 agosto sul tema Diaconi educati all'accoglienza e al servizio dei malati.

lunedì 17 aprile 2017

L'ultima parola non è la morte, ma la vita!


Papa Francesco al Regina Caeli di oggi ha chiesto "gesti di solidarietà e accoglienza", affermando che siamo chiamati ad essere uomini e donne nuovi secondo lo Spirito.
La testimonianza, infatti, del nostro amore reciproco sarà il segno concreto che Gesù è vivo in mezzo a noi: il segno che ci fa vedere e credere, autentica diaconia.
Imbattersi nel sepolcro, che è questo mondo, e non trovarvi un cadavere, ma i segni di una presenza, di uno che è vivo, che ci attende e ci precede!

Clicca qui per vedere il video
Di seguito le sue parole:


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In questo lunedì di festa, detto "Lunedì dell'Angelo", la liturgia fa risuonare l'annuncio della Risurrezione proclamato ieri: «Cristo è risorto, alleluia!». Nell'odierno brano evangelico possiamo cogliere l'eco delle parole che l'Angelo rivolse alle donne accorse al sepolcro: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "È risuscitato dai morti"» (Mt 28,7). Sentiamo come diretto anche a noi l'invito a "fare presto" e ad "andare" ad annunciare agli uomini e alle donne del nostro tempo questo messaggio di gioia e di speranza. Di speranza certa, perché da quando, all'aurora del terzo giorno, Gesù crocifisso è risuscitato, l'ultima parola non è più della morte, ma della vita! E questa è la nostra certezza. L'ultima parola non è il sepolcro, non è la morte, è la vita! Per questo ripetiamo tanto: "Cristo è risorto". Perché in Lui il sepolcro è stato sconfitto, è nata la vita.

In forza di questo evento, che costituisce la vera e propria novità della storia e del cosmo, siamo chiamati ad essere uomini e donne nuovi secondo lo Spirito, affermando il valore della vita. C'è la vita! Questo è già incominciare a risorgere! Saremo uomini e donne di risurrezione, uomini e donne di vita, se, in mezzo alle vicende che travagliano il mondo - ce ne sono tante oggi -, in mezzo alla mondanità che allontana da Dio, sapremo porre gesti di solidarietà, gesti di accoglienza, alimentare il desiderio universale della pace e l'aspirazione ad un ambiente libero dal degrado. Si tratta di segni comuni e umani, ma che, sostenuti e animati dalla fede nel Signore Risorto, acquistano un'efficacia ben superiore alle nostre capacità. E questo è così. Sì, perché Cristo è vivo e operante nella storia per mezzo del suo Santo Spirito: riscatta le nostre miserie, raggiunge ogni cuore umano e ridona speranza a chiunque è oppresso e sofferente.

La Vergine Maria, testimone silenziosa della morte e della risurrezione del suo figlio Gesù, ci aiuti ad essere segni limpidi di Cristo risorto tra le vicende del mondo, perché quanti sono nella tribolazione e nelle difficoltà non rimangano vittime del pessimismo e della sconfitta, della rassegnazione, ma trovino in noi tanti fratelli e sorelle che offrono loro sostegno e consolazione. La nostra Madre ci aiuti a credere fortemente nella risurrezione di Gesù: Gesù è risorto, è vivo qui, fra noi, e questo è un mirabile mistero di salvezza con la capacità di trasformare i cuori e la vita. E interceda in modo particolare per le comunità cristiane perseguitate e oppresse che sono oggi, in tante parti del mondo, chiamate a una più difficile e coraggiosa testimonianza.

sabato 15 aprile 2017

L'ultima parola della vita umana è soltanto e sempre l'amore


Pasqua di Risurrezione
Atti 10,34a.37-43 • Sal 117 • Colossesi 3,1-4 [1Corinzi 5,6-8] • Giovanni 20,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)


Appunti per l'omelia

Facciamo l'uomo a nostra immagine…
Il cammino della Quaresima si era aperto con lo sguardo lanciato agli inizi dell'umanità: il primo uomo e la prima donna, però, vinti dalle parole suadenti del serpente, avevano trasformato il rapporto di fiducia e di armonia con Dio in un rapporto di conflitto. Dio non era più colui che desiderava unicamente il loro bene, ma uno di cui avrebbero dovuto diffidare, uno che geloso del proprio benessere cerca di tenerne lontano chi potrebbe insidiarlo. Il "comando" di Dio viene visto non più come indicazione di luce, ma come imposizione, se non come minaccia di castigo.

L'uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui…
Il cammino ora si chiude con l'immagine di un altro uomo, non più accanto ad un albero, ma appeso ad un legno: un legno che risuona veramente di morte, di condanna, di sconfitta, di castigo. Una violenza che non solo proviene dall'uomo, ma che sembra provenire da Dio stesso.
Su quel legno si ripropone l'interrogativo del primo uomo e dell'uomo di sempre: «Ma è poi vero che Dio vuole unicamente il mio bene, la mia pace?». Quell'uomo, che è condannato proprio perché si è detto "Figlio di Dio", da quel legno grida, quasi urla quanto di più disperato si possa pensare: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Colui che nella vita non aveva fatto altro che proclamare il proprio rapporto di "figliolanza" con Dio («Io e il Padre siamo una cosa sola», «Io faccio sempre ciò che è gradito al Padre mio») non ha più lo sguardo interiore che sorregge questa certezza: il Padre è soltanto un Dio che lo abbandona al proprio destino.
Eppure, dal fondo di quel grido, emerge qualcosa di inaspettato: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». Nonostante tutte le apparenze contrarie, quel Dio rimane il Padre a cui è possibile rinnovare il proprio "sì", una fiducia più forte di qualsiasi tradimento, di qualsiasi sconfitta, di qualsiasi rifiuto, di qualsiasi oscurità ...

Pace a voi! … Non abbiate paura…
Le prime parole pronunciate da quell'uomo, all'uscita sorprendente dall'ombra del sepolcro, nell'incontro con coloro che di lui si erano fidati e che in certo modo da lui si sentivano traditi, sono: «Pace a voi!». Parole che riecheggiano nell'invito rivolto alle donne accorse al sepolcro: «Non abbiate paura», «Non temete».
Gesù risorto è il segno più evidente che il rapporto con Dio non può essere un rapporto di paura, di diffidenza, di rancore: quel Dio che il "vecchio uomo" aveva visto come antagonista, l' "uomo nuovo" Gesù ce lo svela come Padre, uno di cui ci si può fidare al di là di ogni apparenza contraddittoria.
Dio non è uno che si diverte a "castigare" per poi donarci il premio: basta ripensare alle parole di Gesù di fronte al cieco nato. La sofferenza non è frutto di un "castigo", ma semmai di una "debolezza" di Dio stesso di fronte alla libertà dell'uomo.

Dio vide che era cosa molto buona…
La Pasqua dimostra che questo Dio, in Gesù, si è fatto carico di ogni "peso" dell'uomo: se l'uomo ha rotto il rapporto di armonia che lo lega al suo creatore (All'inizio della creazione "Dio vide che era cosa molto buona"), è Dio stesso che si fa carico della disarmonia e la ricompone. Il vuoto d'amore creato dal "no" del primo uomo e che si è ribaltato nel rapporto dell'uomo con l'uomo, dell'uomo con la natura, è riempito dal "sì" di Gesù.

La Pasqua allora non è tanto la vittoria della "potenza" di Dio, capace di far risorgere un morto, ma è la vittoria dell'amore. Forse questo è l'aspetto più difficile e, al tempo stesso, più affascinante della fede in Gesù: credere che l'ultima parola della vita umana è soltanto e sempre l'amore.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Entrò nel sepolcro... e vide e credette (Gv 20,8)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicate:
Andate a dire: È risorto dai morti (Mt 28,7) - (20/04/2014)
(vai al testo)
Andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti" (Mt 28,7) - (24/04/2011)
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Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'amore che non può essere annullato dalla morte (26/03/2016)
  "Doveva" risorgere (04/04/2015)
  La gioia piena che il Risorto ci dona (19/04/2014)
  È vivo, Lui la nostra speranza! (30/03/2013)
  È risorto! (07/04/2012)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi

mercoledì 12 aprile 2017

Gesù abbandonato: mistero di Dolore e di Amore


All'inizio di questo Triduo Santo ho cercato di focalizzare l'anima di fronte al Mistero dell'Amore del Figlio di Dio, manifestazione massima dell'Amore della Trinità: l'abbandono di Gesù in croce, la sua kenosi, porta spalancata del Paradiso, "pupilla dell'occhio di Dio", che ci proietta nella luce della sua Risurrezione.
Riporto alcuni stralci di un discorso di Maria Voce, attuale presidente del Movimento dei Focolari, sul tema "Gesù abbandonato nell'esperienza di Chiara Lubich".



C'è una frase nel Vangelo che colpisce perché ne indica la strada: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). È ciò che ha fatto Gesù. Per amore del Padre e per amore nostro. Egli, infatti, ha manifestato il suo amore per noi lungo tutta la sua vita, ma «soprattutto col sacrificio di sé in croce e nell'abbandono».
Gesù sulla croce. Venuto sulla terra per ricondurre gli uomini (che si erano allontanati da Dio con il peccato) nella piena comunione con lui, prende su di sé ogni aspetto negativo dell'uomo: i suoi dolori, le sue angosce, la sua disperazione, le sue pene, i suoi peccati…, rendendosi lui stesso, che era l'Innocente, simile all'uomo peccatore.
«Per riportare all'uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del "volto" del peccato», dice Giovanni Paolo II. Dopo aver assunto su di sé tutta la realtà del male – realtà che è prima di tutto assenza di amore –, Gesù sperimenta sulla croce anche l'abisso di non sentire più neppure l'unione con il Padre, tanto che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27,46). Ma, pur sperimentando la separazione dal Padre, si riabbandona a lui e si fa così «artefice e via dell'unità degli uomini con Dio e tra loro».

Chiara [Lubich] scopre in quel "grido" il dolore più grande di Gesù e si sente chiamata a essere, insieme alle sue prime compagne (e a quanti avrebbero seguito il suo Ideale), la "risposta d'amore" proprio a questo grido.
Gesù abbandonato le si manifesta, infatti, come «la viva dimostrazione dell'amore di Dio qui in terra». In lui riconosce il vertice dell'amore perché – non esita ad affermare con parole che risultano molto espressive – in lui si concentra il culmine del dolore.
Ben lo evidenzia un noto "canto" di lode e di gratitudine, dedicato proprio a Gesù abbandonato e sgorgato spontaneo dal suo cuore:

«Perché avessimo la Luce Ti facesti cieco.
Perché avessimo l'unione provasti la separazione dal Padre.
Perché possedessimo la Sapienza Ti facesti "ignoranza".
Perché ci rivestissimo dell'innocenza, divenisti "peccato".
Perché sperassimo quasi Ti disperasti…
Perché Dio fosse in noi Lo provasti lontano da Te.
Perché fosse nostro il Cielo sentisti l'Inferno.
Per darci un lieto soggiorno sulla terra, tra cento fratelli e più, fosti estromesso
dal Cielo e dalla terra, dagli uomini e dalla natura.
Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio di amore infinito».

In questa misura d'amore senza misura, che Gesù nell'abbandono ha avuto per ogni uomo sulla terra, ogni nostro dolore è stato trasformato, ogni vuoto riempito, ogni peccato redento. La nostra lontananza da Dio è stata superata nella ritrovata comunione con lui e fra noi.
In Gesù abbandonato è racchiusa, quindi, la chiave per penetrare e dare risposta al mistero più profondo che avvolge la vita dell'uomo e dell'intera umanità.

Ogni perché dell'uomo trova risposta nel grande perché di Gesù abbandonato, e il non senso del dolore acquista senso.

(Tratto da Unità e Carismi, 1/2017)

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Vedi anche altri post a suo tempo pubblicati:
  Il dolore e la sofferenza sono "solo" germogli di rinascita (23/03/2016)
  Pasqua, passaggio di Dio e passaggio dell'uomo (01/04/2015)
  Il mistero di quei tre giorni (18/04/2014)
  Il Servo di Jahwè (15/04/2014)
  Nati da quel Sangue (6/04/2012)
  Li amò sino alla fine (2/04/2010)
  Il nostro modello (30/03/2010)
  Nel deserto del mondo… (9/04/2009)
  Quel seme che muore per dar vita (6/04/2009)
  Il sepolcro vuoto (19/03/2008)

lunedì 10 aprile 2017

Il Diaconato in Italia, n° 200



Nel n. 200 della Rivista Il Diaconato in Italia leggo l'articolo di Enzo Petrolino (Presidente della Comunità del Diaconato in Italia), dal titolo Sfogliando e rileggendo i 200 numeri della Rivista.
Rimandando all'intero articolo nel mio sito di testi e documenti, riporto qui alcuni stralci.



Sfogliando e rileggendo i duecento numeri della Rivista si può cogliere - anche se in modo sintetico ma significativo - come la Comunità del diaconato in Italia abbia percorso il suo cammino di riflessione teologia e pastorale, attraverso la Rivista Il diaconato in Italia, tenendo conto di quanto la Chiesa italiana ha proposto ed offerto con gli orientamenti decennali alle nostre chiese locali. […]

È del dicembre del '71 il documento fondamentale della reintroduzione del diaconato nella Chiesa italiana, La restaurazione del diaconato permanente in Italia. Il diaconato, in esso, è visto come il dono di una «grazia sacramentale» destinata a rendere «più profonda la comunione ecclesiale», a «ravvivare l'impegno missionario», a promuovere «il senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio», ad «accentuare la dimensione comunitaria e missionaria della Chiesa e della pastorale», col fine di «una più diffusa evangelizzazione», per «la salvezza dell'umanità» (cf. artt. 6, 8, 9, 16). Secondo l'indirizzo dell'episcopato, il diacono deve promuovere una «presenza pastorale capillare» (art. 16) e diventare l'animatore di «comunità minori», viste soprattutto come articolazioni delle parrocchie (art. 19). […]

Sicuramente un tratto che ha contraddistinto la Rivista è l'aver trasversalmente approfondito, riportando anche tante esperienze e testimonianze, il ministero diaconale in rapporto ad una chiesa serva e povera, perciò ministeriale e missionaria. Pertanto, «la scelta conciliare dei poveri» ha sollecitato i diaconi ad una vera e propria conversione di pensieri e di atteggiamenti. Gli ultimi dati ci dicono che in Italia ci sono più di otto milioni di persone sulla soglia della povertà. Tre milioni non hanno nulla. Tali disagi hanno investito anche i diaconi, soprattutto quelli che svolgono il loro servizio a tempo pieno o sono in pensione. Ma dentro il grande contenitore di una crisi che sappiamo generalizzata, esistono situazioni differenti di sofferenza e livelli diversi di disagio. […]

Il coraggio della speranza
Tutti siamo chiamati al servizio nella comunione, perché è nella fraterna koinonìa che si apprende e si esercita la diakonìa cristiana. Su questa frontiera difficile ma ineludibile si consuma, per i diaconi, la sfida della missione: per servire il Vangelo e i poveri, essi devono «uscire dal tempio» e diventare uomini della strada che vanno da Gerusalemme a Gerico, ovvero da Gerusalemme ad Emmaus, per farsi buon Samaritano, compagni di viaggio di chi è tormentato dal dubbio, dall'insicurezza del futuro, dalla difficoltà a trovare lavoro, dalla paura di perderlo e di non poter provvedere alla propria famiglia, dall'arroganza della minaccia mafiosa di fronte alla quale si resta il più delle volte soli... dai molti interrogativi riguardanti la verità di Dio operante nella storia dell'uomo attraverso segni visibili e scelte concrete, e il senso di un presente da migliorare e di un futuro da progettare e costruire insieme. […]

Proprio l'anno scorso sulla spinta del Sinodo sulla Famiglia si è tenuto il Convegno a Campobasso che ha avuto per tema "La famiglia del diacono scuola di umanità. È emersa la necessità di far crescere sempre di più delle coppie diaconali, che ispirandosi alla fede e alla volontà di vivere seguendo Cristo, possono lavorare per i bisognosi, i poveri, con coloro che non hanno nulla, i bambini senza aiuto, le famigli in difficoltà (economiche e spirituali). È emerso, ancora una volta, che in questo servizio riveste un ruolo importante quello della sposa del diacono, con la sua presenza discreta e fattiva. […]

La Comunità in questi cinquantenni post-conciliari ha cercato di dare il suo piccolo contributo anche attraverso la Rivista Il diaconato in Italia ed i Convegni di studio promossi a livello diocesano, regionale e nazionale, che con tante difficoltà e gli scarsi abbonamenti, cerca di portare avanti per contribuire a dare un sostegno alla formazione dei candidati e dei diaconi.
In questo la Comunità ha ancora un suo ruolo di informazione e di indirizzo. Di fatto, in Italia, la Rivista è oggi l'unico punto di riferimento per l'informazione circa lo sviluppo del diaconato nelle nostre diocesi e nel mondo. Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita pastorale della Chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all'origine della chiamata ed è lui che dispone ogni itinerario ministeriale.

venerdì 7 aprile 2017

Morire d'amore è cosa da Dio


Domenica delle Palme (A)
Isaia 50,4-7 • Salmo 21 • Filippesi 2,6-11 • Matteo 26,14 - 27,66
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Pilato, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso
In questa settimana per due volte la Chiesa si raccoglie nella lettura della Passione di Cristo, del patire di un Dio appassionato. Il racconto della morte di Gesù in croce è la lettura più bella e regale di tutto l'anno. E mentre i credenti di tutte le fedi invocano Dio nei giorni della loro sofferenza, ora i cristiani vanno a Dio nei giorni della sua sofferenza.

Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni…
Ha salvato altri non può salvare se stesso…
La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.
Un uomo con le braccia spalancate in un abbraccio che non si rinnegherà in eterno. Un uomo che non chiede niente per sé, non grida da lì in cima: ricordatemi, cercate di capire, difendetemi... Fino all'ultimo dimentica se stesso e si preoccupa di chi gli muore a fianco: oggi, con me, sarai nel paradiso.

Davvero costui è il Figlio di Dio!
La vicenda drammatica del Calvario ruota attorno alle due cose che toccano il nervo di ogni vita: l'amore e il dolore, la lingua universale dell'uomo. Lo ha capito per primo, non un discepolo, ma un estraneo. Alla morte di Gesù, infatti, il primo atto di fede è quello di un lontano, un centurione pagano: "Davvero costui era figlio di Dio!".
Non da un sepolcro che si apre, non dallo sfolgorio di luce, di un sole mai visto, no, ma davanti e dentro la tenebra del venerdì, vedendolo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, questo soldato esperto di morte dice: era figlio di Dio. Morire così è rivelazione. Morire d'amore è cosa da Dio.

Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Per trascinarlo fuori, in alto, con sé. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato. Lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa e riguardo la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sei tu il re dei Giudei? (Mt 27,11)
(vai al testo…)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata:
 Padre, si compia la tua volontà (Mt 26,42) - (13/04/2014)
(vai al testo…)
 Obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2,8) - (17/04/2011)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Vegliare e soffrire con Lui (11/04/2014)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 3.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 3.2014)
  di Marinella Perroni (VP 3.2011)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 5 aprile 2017

Correre dove non c'è unità e farla:
 «Come angeli del Suo Abbandono!»


Il diacono, con il suo specifico contributo, è chiamato a far sì che, nella comunità dove è inviato a servire, regni la concordia e l'unità.
Infatti, egli principalmente non comanda né dirige (salvo incarichi particolari, che svolge comunque con stile diaconale e non clericale), piuttosto fa sì che gli altri operino in armonia; si butta nella breccia ed "assorbe" la disunità.
Papa Francesco, rispondendo al diacono Robero Crespi durante la sua visita a Milano, ha definito il diacono come il "custode del servizio nella Chiesa".

In riferimento al contributo che il diacono, sorretto dalla grazia sacramentale propria, può dare alla comunità, dove spesso si fa fatica a mantenere la concordia e l'unità, mi è di luce questo scritto (che riporto) di Chiara Lubich. È tratto dallo stralcio di una lettera, datata 1° aprile 1948, indirizzata a padre Valeriano Valeriani, ofm conv. e ai suoi confratelli di Assisi.




Correre dove non c'è unità e farla

Facciamo dell'Unità fra noi (che ci dona la pienezza del gaudio, della pace, della forza) il trampolino per correre, saltare dovunque dove non è unità e farla!
Anzi: come Gesù ha preferito la Croce per Sé e non il Tabor, preferiamo anche noi di stare con chi non è in unità, onde soffrire con Lui ed esser certi che il nostro è puro amore! Poi portiamo le conquiste che il Signore ci ha dato di fare nel piccolo ovile di Gesù: l'Unità.
È per questo, Fratelli, che [...] abbiamo preso come unico scopo della vita, come unica Meta, come tutto:
Gesù Crocefisso che grida: «Dio mio, Dio mio perché anche tu mi hai abbandonato?»
È Gesù nel massimo Dolore! Disunità infinita... per dar a noi l'Unità perfetta che raggiungeremo relativamente quaggiù e poi assolutamente in Paradiso.
Gesù così infinitamente addolorato ha bisogno della nostra consolazione.
Che cosa manca a Gesù così angosciato? Quale medicina per guarire il Suo dolore?
Dio!
È Dio che Gli manca! Come darglielo noi?
Stando uniti Lo avremo fra noi e Gesù che nascerà dalla nostra unità consolerà il nostro Amore Crocefisso!
Ecco perché dobbiamo crescere la nostra Unità in quantità d'amore e di anime! Vogliamo che il Re si ingigantisca fra noi! E allora andremo a cercar di ricomporre ogni disunità tanto più che in ogni anima disunita sentiamo gemere più o meno forte il grido del nostro Gesù!
Fratelli, amiamo Gesù e soprattutto siamo gli angeli del Suo abbandono!
Ho sperimentato che ogni anima che si trova in prima fila nell'Unità e per l'Unità, sa reggersi soltanto appoggiandosi su un Dolore-Amore così forte come quello di Gesù Crocefisso e abbandonato!

Tratto da: Chiara Lubich, Gesù abbandonato, a cura di Hubertus Balumeiser, Città Nuova
Icona di don Claudio Doglio


sabato 1 aprile 2017

Dalla tristezza alla gioia


Parola di vita – Aprile 2017
(Clicca qui per il Video del Commento)

«Resta con noi, perché si fa sera» (Lc 24,29)

È l'invito rivolto allo sconosciuto, incontrato lungo la via da Gerusalemme al villaggio di Emmaus, dai due compagni di viaggio che «conversavano e discutevano» tra loro di quanto accaduto nei giorni precedenti in città.
Egli sembrava essere l'unico a non saperne nulla e per questo i due, accogliendo la sua compagnia, gli raccontano di «un profeta potente in parole ed opere davanti a Dio e agli uomini», nel quale avevano riposto la loro fiducia. Era stato consegnato dai capi dei loro sacerdoti e dalle autorità giudaiche ai Romani, poi condannato a morte e crocifisso [1]. Una immane tragedia, di cui non riuscivano a comprendere il senso.

Lungo il cammino, lo sconosciuto, partendo dalla Scrittura, aiuta i due a cogliere il significato di quegli avvenimenti e riaccende nel loro cuore la speranza. Giunti ad Emmaus, lo trattengono a cena: «Resta con noi, perché si fa sera»; mentre sono a mensa insieme, lo sconosciuto benedice il pane e lo condivide con loro. Un gesto che permette di riconoscerlo: il Crocifisso era morto ed ora è risorto! E subito i due cambiano programma: tornano a Gerusalemme a cercare gli altri discepoli e dare loro la grande notizia.

Anche noi possiamo essere delusi, indignati, scoraggiati per un tragico senso di impotenza di fronte a ingiustizie che colpiscono persone innocenti e inermi. Anche nella nostra vita non mancano il dolore, l'incertezza, l'oscurità… E quanto vorremmo trasformarli in pace, speranza, luce, per noi e per gli altri.
Vogliamo incontrare Qualcuno che ci capisca fino in fondo e ci illumini il cammino della vita?

Gesù, l'Uomo-Dio, per essere sicuro di raggiungere ognuno di noi nel profondo della propria situazione, ha accettato liberamente di sperimentare come noi il tunnel del dolore. Il dolore fisico, ma anche quello interiore: dal tradimento da parte dei suoi amici fino alla sensazione di essere abbandonato [2] da quel Dio che aveva sempre chiamato Padre. Per la sua fiducia incrollabile nell'amore di Dio, ha superato quell'immenso dolore riaffidandosi a Lui [3] e da Lui ha ricevuto nuova vita.

Su questo stesso cammino ha portato anche noi uomini e vuole accompagnarci: «Egli è presente in tutto ciò che ha sapore di dolore… Proviamo a riconoscere Gesù in tutte le angustie, le strettoie della vita, in tutte le oscurità, le tragedie personali e altrui, le sofferenze dell'umanità che ci circonda. Sono lui, perché egli le ha fatte sue … basterà fare qualcosa di concreto per alleviare le "sue" sofferenze nei poveri … per trovare una nuova pienezza di vita» [4].

Racconta una bambina di sette anni: «Ho sofferto tanto quando il mio papà è stato messo in prigione. Ho amato Gesù in lui. Così non ho pianto davanti a lui quando siamo andati a fargli visita».

Così una giovane sposa: «Ho accompagnato mio marito Roberto negli ultimi mesi della sua vita, dopo una diagnosi senza speranza. Non mi sono allontanata da lui un attimo. Vedevo lui e vedevo Gesù… Roberto era in croce, davvero in croce». Il loro amore reciproco è diventato luce per i loro amici, coinvolti in una gara di solidarietà che non si è più interrotta, ma si è estesa a tanti altri, dando vita all'associazione di promozione sociale "Abbraccio Planetario". «L'esperienza vissuta con Roberto - dice un suo amico - ci ha trascinati a seguirlo in un vero e proprio cammino verso Dio. Spesso ci domandiamo quale significato abbiano la sofferenza, la malattia, la morte. Credo che tutti coloro che hanno avuto il regalo di percorrere questo pezzo di strada al fianco di Roberto abbiano ora ben chiara quale sia la risposta».

In questo mese tutti i cristiani celebreranno il mistero della morte e risurrezione di Gesù. È un'occasione per riaccendere la nostra fede nell'amore di Dio che ci permette di trasformare il dolore in amore; ogni distacco, separazione, fallimento, e la stessa morte, possono diventare anche per noi sorgente di luce e pace. Sicuri della vicinanza di Dio a ciascuno di noi, in qualsiasi situazione, ripetiamo con fiducia la preghiera dei discepoli di Emmaus: «Resta con noi, perché si fa sera».

Letizia Magri

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[1] Cf. Lc 24,19ss.
[2] Cf. Mt 27,46; Mc 15,34.
[3] Cf. Lc 23,46.
[4] Cf. Chiara Lubich, Parola di vita/aprile – La porta, CN, 43, [1999], 6, p. 47.

Fonte: Città Nuova n. 3/Marzo 2017
Icona: Atelier Saint André