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mercoledì 30 novembre 2016

Nuovo Enchiridion sul Diaconato: Presentazione


Ieri pomeriggio, presso la Pontificia Università Antonianum di Via Merulana a Roma, è stato presentato il Nuovo Enchiridion sul Diaconato, curato dal dott. Enzo Petrolino, diacono della diocesi di Reggio Calabria e presidente della Comunità del Diaconato in Italia, edito dalla LEV (Libreria Editrice Vaticana).
(Vedi dépliant di invito).

Interessanti i vari interventi che si sono succeduti, non solo nella presentazione del Volume in sé, prestigioso contributo per appassionare al diacono non solo gli "addetti", ma anche per l'occasione per riflettere sul diaconato stesso.

Alcuni cenni sugli interventi:
Il Prof. P. Edmondo Caruana, Capo redattore della LEV, presentando questa nuova edizione dell'Enchiridion, sottolineava la specificità del diaconato lungo la storia della Chiesa, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II.
L'Opera è un "pilastro", un "punto di riferimento anche per diffondere e spingere ad una nuova riflessione sul ministero diaconale": "la Chiesa ha bisogno dei diaconi".
S.E. Mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare di Roma e delegato per il Diaconato per quella Diocesi, nel commentare il Volume, ha sottolineato la stagione della riscoperta del diaconato, in una visione di Chiesa tutta ministeriale (emblematica la figura di Papa Francesco che lava i piedi, al Giovedì Santo, indossando la stola diaconale).
Il Volume "illumina l'identità diaconale, presentata a tutta la Chiesa, constatando che molti presbiteri non conoscono la figura del diacono" (e ne nutrono anche dei pregiudizi): il diaconato come "servizio permanente, e non ad ore"…
Perché "nella Chiesa in uscita i protagonisti sono i diaconi", dove è messa in evidenza "la centralità del popolo di Dio". I diaconi, "servi, quasi ossessionati della Comunità"!
Perché "la Chiesa in uscita è di per sé diaconale". I diaconi, "anticipazione e profezia" di questa Chiesa.
Mons. Ruzza concludeva considerando la necessita "della Chiesa italiana di fare una seria riflessione sul diaconato", pensando ai diaconi "anche come responsabili di piccole comunità", in prima linea "per l'annuncio del Vangelo".
La Prof.ssa Cettina Militello, Direttrice della Cattedra "Donna e Cristianesimo" della Pontificia Facoltà Marianum, ha presentato la questione sul diaconato femminile, presente nel Volume, e facendo riferimento alla Commissione istituita appositamente da papa Francesco (riunitasi per la prima volta il 25 novembre scorso. Una coincidenza: il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne).
La questione del diaconato femminile, ha sottolineato la Militello, non è nuova e di cui esiste una ricca bibliografia. Anche la Commissione Teologica Internazionale ne ha parlato a suo tempo.
La riflessione per il conferimento del diaconato alle donne, "apre la questione sulla ministerialità in quanto tale", perché "il vero problema verte sulla sacramentalità del ministero e quindi del diaconato". Diversamente, dare un "qualche riconoscimento alle donne non giova a nessuno, anzi…"!
Ma la ricchezza del ministero si manifesta nel suo essere un servizio, non nel "potere" che esercita. Da qui la necessità di ripensare la Ministerialità, anche ordinata, nella Chiesa.
Cettina Militello ha concluso sottolineando che il "diaconato è un ministero senza poteri", "di cui oggi la Chiesa ha estremo bisogno".
Ha concluso gli interventi il curatore del Volume, Enzo Petrolino, sottolineando, tra l'altro, come i documenti della Chiesa Italiana esprimono una ricchezza di contenuti sul diaconato, anche come visione del ministero diaconale in sé, ma che purtroppo non sono mai stati appieno realizzati (forse neanche conosciuti).
In Italia ci sono circa 4.400 diaconi. E ci si chiede: "Diaconi, per quale Chiesa?". Papa Francesco parla di "una Chiesa povera per i poveri, perciò - aggiunge Petrolino - diaconale".
Ha concluso ricordando le parole di Paolo VI: "il diaconato serve per il rinnovamento della Chiesa".

venerdì 25 novembre 2016

Avvento: pronti, senza paura


1a domenica di Avvento (A)
Isaia 2,1-5 • Salmo 121 • Romani 13,11-14a • Matteo 24,37-44
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Inizia l'«Avvento», un termine latino che significa avvicinarsi, camminare verso... Tutto si fa più prossimo, tutto si rimette in cammino e si avvicina: Dio, noi, l'altro, il nostro cuore profondo.
L'Avvento è un tempo di strade. L'uomo d'Avvento è uno che sa mettersi in cammino, come dice il Salmo: Andremo con gioia incontro al Signore: Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».

Come furono i giorni di Noè…
L'Avvento è tempo di attenzione. Il Vangelo ricorda i giorni di Noè, quando «nei giorni che precedettero il diluvio gli uomini mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». Alimentarsi, sposarsi sono azioni della normalità originaria della vita... impegnati a vivere, a semplicemente vivere. Con il rischio però che la routine non faccia avvertire la straordinarietà di ciò che sta per accadere: e non si accorsero di nulla. Loro, del diluvio; noi, dell'occasione di vita che è il Vangelo.
Si può correre il rischio di avere una condotta anche buona, ma di vivere il lavoro, il matrimonio, l'uso dei beni come fossero il tutto della vita; e di dimenticare che la vita ha uno sbocco finale. Più che di malvagità, si tratta della ricerca dello "star bene" e dell'incoscienza di fronte all'affare più serio, decisivo e, al tempo stesso, affascinante della vita: l'incontro con Gesù e, in lui, col Padre.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà
Avvento: tempo per attendere, perché qualcosa o qualcuno manca. Attendere è declinazione del verbo amare.
Avvento: tempo per desiderare e attendere quel Dio che viene…, come un ladro. Che viene in silenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tutto. Si accorgono di lui i desideranti, quelli che vegliano col cuore vigile, che sanno vedere nel dolore e nell'amore la presenza di Dio incamminato nel mondo.

Uno verrà portato via e l'altro lasciato…
La sorte diversa, che riguarda certo l'aldilà ma segna il cammino della storia personale e sociale, non dipende solo da "cosa" facciamo, ma da "come" lo viviamo. Ha una luce diversa il fatto di pensare la vita tutta racchiusa nell'oggi e il desiderio di un incontro costruito giorno per giorno con Lui. Perché il nostro modo di preparare e vivere il Natale è cercare un incontro vivo e vero con Gesù. Ed il pensiero dell'aldilà ci fa vivere con più radicalità, stupore e libertà gli impegni dell'aldiquà.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vegliate dunque! (Mt 24,42)
(vai al testo)

Vedi anche analoghe Parola-sintesi a suo tempo pubblicate:
 Anche voi tenetevi pronti (Mt 24,44) - (1/12/2013)
(vai al testo…)
 La nostra salvezza è più vicina (Rm 13,11) - (28/11/2010)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Il nostro vegliare operoso (29/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 10.2016)
  di Gianni Cavagnoli (VP 10.2013)
  di Marinella Perroni (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Stefano Pachì)

venerdì 18 novembre 2016

Un re che muore amando, che dona tutto se stesso


34a domenica del Tempo ordinario (C)
Solennità di Cristo Re dell'Universo

2 Samuele 5,1-3 • Salmo 121 • Colossesi 1,12-20 • Luca 23,35-43
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso… e noi
Gesù sta morendo e tutti lo deridono: «Ecco il re!». Sono scandalizzati i devoti, gli uomini religiosi: ma che Dio è questo che lascia morire il suo eletto? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re usa la forza! «Salva… salva… salva… te stesso!» per tre volte. C'è forse qualcosa che vale più di aver salva la vita? Sì. Qualcosa vale di più: l'amore vale più della vita.
E appare un re giustiziato, ma non vinto; un re con una derisoria corona di spine che muore ostinatamente amando; un re che noi possiamo rifiutare, ma che non potrà mai più rifiutare noi.

I soldati gli si accostavano per porgergli dell'aceto
Il vino nella Bibbia è il simbolo dell'amore, l'aceto è il suo contrario, il simbolo dell'odio. Tutti odiano quell'uomo, lo rigettano. Di che cosa hanno bisogno questi che uccidono e deridono e odiano il loro re? Di una condanna definitiva, della pena di morte? No, hanno bisogno di un supplemento d'amore. E Dio si mette in gioco, si gioca il tutto per tutto per conquistare l'uomo. C'è un malfattore, uno almeno che intuisce e usa una espressione rivelatrice: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena... Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell'uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Perché il primo dovere di chi ama è di essere con l'amato.

Egli non ha fatto nulla di male
Definizione stupenda di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, tutto bene. E si preoccupa fino all'ultimo non di sé ma di chi gli muore accanto. Che gli si aggrappa: Ricordati di me quando sarai nel tuo regno. E Gesù non si ricorda, fa molto di più, lo porta con sé, se lo carica sulle spalle come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, per riportarla a casa, nel regno: sarai con me! E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.

Ricordati di me…
Non ha nessun merito da vantare questo malfattore. Ma Dio non guarda ai meriti. Non ha virtù da presentare questo ladro. Ma Dio non guarda alle virtù. Guarda alla povertà, al bisogno, come un padre o una madre guardano al dolore e alle necessità del figlio.
Sarai con me: la salvezza è un regalo, non un merito. E se il primo che entra in paradiso è quest'uomo dalla vita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gesù, ricordati di me... (Lc 23,42)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (24 novembre 2013)
Oggi con me sarai nel paradiso (Lc 23,43)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Il Re che offre la sua vita (22/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

venerdì 11 novembre 2016

Il male si vince con la perseveranza


33a domenica del Tempo ordinario (C)
Malachia 3,19-20a • Salmo 97 • 2 Tessalonicesi 3,7-12 • Luca 21,5-19
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Delle belle pietre e dei doni votivi… non sarà lasciata pietra su pietra…
Con il suo linguaggio apocalittico il brano del vangelo odierno non racconta la fine del mondo, ma il significato, il mistero del mondo. Vangelo dell'oggi ma anche del domani, del domani che si prepara nell'oggi. Se lo leggiamo attentamente notiamo che ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un tornante che apre l'orizzonte, la breccia della speranza: non è la fine, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina.

Badate di non lasciarvi ingannare… Sentirete di guerre e di rivoluzioni… Ma nemmeno un cappello del vostro capo andrà perduto…
Al di là di profeti ingannatori, anche se l'odio sarà dovunque, ecco questa parola struggente: Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato di ogni mio frammento. Il vangelo ci conduce sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall'altro il versante della tenerezza che salva.

Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita
La vita - l'umano in noi e negli altri - si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime.
Perseveranza vuol dire: non mi arrendo. Nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più crudeli, ma io non mi arrendo.
Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arrendo. Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. Perché il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche: la violenza si autodistruggerà.

Ma la parola di Gesù non delude: Alzate il capo, la vostra liberazione è vicina.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (Lc 21,19)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (17 novembre 2013)
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (Lc 21,19)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Nell'attesa di quel giorno… (15/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

giovedì 10 novembre 2016

Nuovo Enchiridion sul Diaconato





venerdì 4 novembre 2016

È l'amore che vince la morte


32a domenica del Tempo ordinario (C)
2 Maccabei 7,1-2.9-14 • Salmo 16 • 2 Tessalonicesi 2,6-3,5 • Luca 20,27-38
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La donna, alla risurrezione, di chi sarà moglie se tutti e sette l'anno avuta in moglie?
La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l'hanno sposata sarà moglie quella donna nella vita eterna?
Per loro la sola eternità possibile sta nella generazione di figli, nella discendenza. Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, rompe l'accerchiamento, dilata l'orizzonte e rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell'uomo ma l'eternità stessa di Dio.

Quelli che risorgono non prendono né moglie né marito
Con questa risposta Gesù non dichiara la fine degli affetti. Afferma piuttosto che quelli che risorgono, sì, non si sposano, ma danno e ricevono amore sempre, con una capacità di amare più perfetta e per sempre. Perché amare è la pienezza dell'uomo e di Dio, perché ciò che nel mondo è valore non sarà mai distrutto. Ogni amore vero si aggiungerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, portando non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.

Non possono più morire, perché sono uguali agli angeli
Gesù adopera l'immagine degli angeli per indicare l'accesso ad una realtà di faccia a faccia con Dio, non per asserire che gli uomini diventeranno angeli, creature incorporee e asessuate. No, perché la risurrezione della carne rimane un tema cruciale della nostra fede. Il Risorto dirà: non sono uno spirito, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho (cf Lc 24,36). La risurrezione non cancella il corpo, non cancella l'umanità, non cancella gli affetti. Dio non fa morire nulla dell'uomo. Lo trasforma. L'eternità non è durata, ma intensità; non è pallida ripetizione infinita, ma scoperta "di ciò che occhio non vide mai, né orecchio udì mai, né mai era entrato in cuore d'uomo..." (1Cor 2,9).

Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi
In questo «di» ripetuto 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono di Dio. Così totale è il legame, che il Signore fa sì che il nome di quanti ama diventi parte del suo stesso nome.
Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Legando la sua eternità alla nostra, mostra che ciò che vince la morte non è la vita, ma l'amore. Il Dio di Isacco, di Abramo, di Giacobbe, il Dio che è mio e tuo, vive solo se Isacco e Abramo sono vivi, solo se tu e io vivremo.
La nostra risurrezione soltanto farà di Dio il Padre per sempre.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tutti vivono per Lui (Lc 20,38)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (10 novembre 2013)
Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,38)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Figli della risurrezione (8/11/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

mercoledì 2 novembre 2016

Nella propria vita la presenza costante di Gesù


Parola di Vita – Novembre 2016

«Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13)

Ci sono momenti nei quali ci sentiamo contenti, pieni di forze e tutto sembra facile e leggero. Altre volte siamo assaliti da difficoltà che amareggiano le nostre giornate. Possono essere i piccoli fallimenti nell'amare le persone che ci sono accanto, l'incapacità di condividere con altri il nostro ideale di vita. Oppure sopraggiungono malattie, ristrettezze economiche, delusioni familiari, dubbi e tribolazioni interiori, perdita di lavoro, situazioni di guerra, che ci schiacciano e appaiono senza via di uscita. Ciò che pesa maggiormente in queste circostanze è sentirci costretti ad affrontare da soli le prove della vita, senza il sostegno di qualcuno capace di darci un aiuto decisivo.
Poche persone come l'apostolo Paolo hanno vissuto con tanta intensità gioie e dolori, successi e incomprensioni. Eppure egli ha saputo perseguire con coraggio la sua missione, senza cedere allo scoraggiamento. Era un supereroe? No, si sentiva debole, fragile, inadeguato, ma possedeva un segreto, che confida ai suoi amici di Filippi: "Tutto posso in colui che mi dà la forza". Aveva scoperto nella propria vita la presenza costante di Gesù. Anche quando tutti lo avevano abbandonato, Paolo non si è mai sentito solo: Gesù gli è rimasto vicino. Era lui che gli dava sicurezza e lo spingeva ad andare avanti, ad affrontare ogni avversità. Era entrato pienamente nella sua vita divenendo la sua forza.
Quello di Paolo può essere anche il nostro segreto. Tutto posso quando anche in un dolore riconosco e accolgo la vicinanza misteriosa di Gesù che quasi si identifica e prende su di sé quel dolore. Tutto posso quando vivo in comunione d'amore con altri, perché allora Egli viene in mezzo a noi, come ha promesso (cf Mt 18,20), e sono sostenuto dalla forza dell'unità. Tutto posso quando accolgo e metto in pratica le parole del Vangelo: mi fanno scorgere la strada che sono chiamato a percorrere giorno dopo giorno, mi insegnano come vivere, mi danno fiducia.
Avrò la forza per affrontare non soltanto le mie prove personali, o della mia famiglia, ma anche quelle del mondo attorno a me. Può sembrare un'ingenuità, un'utopia, tanto immani sono i problemi della società e delle nazioni. Eppure "tutto" possiamo con la presenza dell'Onnipotente; "tutto" e solo il bene che Egli, nel suo amore misericordioso, ha pensato per me e per gli altri attraverso di me. E se non si attualizza subito, possiamo continuare a credere e sperare nel progetto d'amore di Dio che abbraccia l'eternità e si compirà comunque.
Basterà lavorare "a due", come insegnava Chiara Lubich: «Io non posso far nulla in quel caso, per quella persona cara in pericolo o ammalata, per quella circostanza intricata… Ebbene io farò ciò che Dio vuole da me in quest'attimo: studiare bene, spazzare bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini… E Dio penserà a sbrogliare quella matassa, a confortare chi soffre, a risolvere quell'imprevisto. È un lavoro a due in perfetta comunione, che richiede a noi grande fede nell'amore di Dio per i suoi figli e mette Dio stesso, per il nostro agire, nella possibilità d'aver fiducia in noi. Questa reciproca confidenza opera miracoli. Si vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha fatto immensamente meglio di noi» [1].

Fabio Ciardi

[1] Chiara Lubich, Scritti Spirituali/2, Città Nuova, Roma 19972, pp.194-195.

Fonte: Città Nuova n.10, Ottobre 2016