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venerdì 30 settembre 2016

La fede, un "niente" che può "tutto"


27a domenica del Tempo ordinario (C)
Abacuc 1,2-3;2,2-4 • Salmo 94 • 2 Timoteo 1,6-8.13-14 • Luca 17,5-10
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Accresci in noi la fede!
Gesù ha appena avanzato la sua proposta "unica misura del perdono è perdonare senza misura", che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai. Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio.

Se aveste fede quanto un granello di senape…
Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede e introduce come unità di misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi. Non si tratta di quantità, ma di qualità della fede! Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragilità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.
Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati impensabili.
La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare.
Fuori metafora, i discepoli del Vangelo sono chiamati a riempire l'orizzonte di imprese al di sopra delle forze umane.

Siamo servi inutili…
Segue poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili.
Capiamo bene: servo inutile significa non determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola.
Allora si capisce che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che questa forza vivificante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all'utile, scommette sulla gratuità, senza cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli sono affidati. Mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi esso è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. È il nome dell'opera compiuta da Gesù, venuto per servire, non per essere servito. Come lui anch'io sarò servo, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se aveste fede quanto un granello di senape... (Lc 17,6)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (6 ottobre 2013)
Accresci in noi la fede! (Lc 17,6)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La potenza inaudita della fede (4/10/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 8.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

lunedì 26 settembre 2016

Il "terzo Figlio" del Padre Misericordioso


Ho davanti agli occhi la scena commovente dell'abbraccio del Padre misericordioso al figlio che se ne era andato e che alla fine, spinto dal bisogno, era ritornato a casa. Come pure la scena della supplica del Padre all'altro fratello che, arrabbiato e risentito, non voleva entrare in casa.
E in casa si faceva festa!

Davanti a questa scena, che prende il cuore, ci viene manifestata la vera natura di Dio che è Padre: la misericordia e il perdono.
Ma chi ci ha rivelato e ci rivela il Padre, in tutta la sua "grandezza"? È Gesù, il Figlio,… il Diacono del Padre, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,28).

In questa scena papa Francesco ci fa intravvedere la presenza di «un terzo figlio»: «È quello che non ritenne un privilegio l'essere come [il Padre], ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo (Fil 2,6-7). Questo Figlio-Servo è Gesù! È l'estensione delle braccia e del cuore del Padre: Lui ha accolto il prodigo e ha lavato i suoi piedi sporchi; Lui ha preparato il banchetto per la festa del perdono. Lui, Gesù, ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre» (Angelus, 6 marzo 2016).

Ecco, in sintesi, la figura del diacono!


venerdì 23 settembre 2016

Le piaghe del povero, carne di Cristo


26a domenica del Tempo ordinario (C)
Amos 6,1.4-7 • Salmo 145 • 1 Timoteo 6,11-16 • Luca 16,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

C'era un uomo ricco,…
Un povero, di nome Lazzaro,…

La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro inizia con il tono di una favola: c'è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben presto la vita stessa presenta il conto. Il cuore della parabola non sta però in una sorta di capovolgimento nell'aldilà: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vita soffrirà nell'altra. Il messaggio è racchiuso in una parola posta sulla bocca di Abramo, la parola "abisso", un grande abisso è stabilito tra noi e voi.

Tra noi e voi è fissato un grande abisso…
Questo baratro separava i due personaggi già in terra: uno affamato e l'altro sazio, uno in salute e l'altro coperto di piaghe, uno che vive in strada l'altro al sicuro in una bella casa. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separava dal povero e invece l'ha ratificato e reso eterno. L'eternità inizia quaggiù, l'inferno non sarà la sentenza improvvisa di un despota, ma la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore.

Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non è moralistica, non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti.
Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell'esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c'è, non lo riguarda: ma erano in cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1Gv 3,15). Tocchiamo qui uno dei cuori del Vangelo, il cui battito arriva fino al giorno del giudizio finale: Avevo fame, avevo freddo, ero solo, abbandonato, l'ultimo, e tu hai spezzato il pane, hai asciugato una lacrima, mi hai regalato un sorso di vita.
Il male è l'indifferenza, lasciare intatto l'abisso fra le persone. Invece il primo miracolo è accorgersi che l'altro, il povero esiste, e cercare di colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa.

Il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo
Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel naufrago della vita dignità e rispetto, riportare uomo fra gli uomini colui che era solo un'ombra fra i cani. Perché il cammino della fede inizia dalle piaghe del povero, carne di Cristo, corpo di Dio.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Un povero stava alla porta di un uomo ricco… (Lc 16,20)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (29 settembre 2013)
Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro (Lc 16,29)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Scoprire il senso della vita (27/09/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 8.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

sabato 17 settembre 2016

Intervista sul diaconato a:
 Mons. Adriano Tessarollo, Vescovo di Chioggia
 Mons. Roberto Busti, Vescovo di Mantova


Riprendo le interviste ai vescovi delle diocesi italiane sul diaconato permanente e i diaconi delle loro diocesi, pubblicate nella rivista L'Amico del Clero della F.A.C.I. (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia).
Le interviste sono curate da Michele Bennardo.

Michele Bennardo, diacono permanente della diocesi di Susa, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. È professore di religione cattolica nella scuola pubblica e docente di Didattica delle competenze e di Didattica dell'Insegnamento della Religione Cattolica e Legislazione scolastica all'ISSR della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino. È autore di numerosi testi e articoli e dal 2005 collabora con L'Amico del Clero.

Ho riportato le varie interviste nel mio sito di testi e documenti.

Nel numero 2 (febbraio 2015) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Adriano Tessarollo , Vescovo di Chioggia.

Alla domanda: "Come giudica per la Chiesa in generale, e per la diocesi di Chioggia in particolare, il ripristino del diaconato permanente?", Mons. Tessarello ha risposto: «È senz'altro una buona opportunità. Vi sono naturalmente problemi particolari, ne indico tre: a) la formazione. Per accedere al diaconato è richiesto un curriculum di studi spesso di difficile completamento per molti di loro, in quanto si tratta di persone sposate con figli in tenera o giovane età, che sono impegnati nel lavoro spesso non vicino a casa.
A Chioggia per esempio non abbiamo uno studio teologico, quindi il riferimento è Padova o Venezia che richiede un'ora di viaggio di auto (Istituto Superiore di Scienze Religiose o Facoltà Teologica, con orari difficilmente compatibili con impegni di lavoro e di famiglia). Il curriculum degli studi teologici spesso non contempla gli ambiti specifici del ministero diaconale; b) il sostegno economico. In genere non è previsto alcun contributo alle spese nel periodo formativo e anche nell'esercizio del ministero. Questo ha anche un peso per la famiglia, che non tutti possono sostenere; c) la qualificazione ministeriale. L'identità si colloca ancora tra quella del catechista, o catechista degli adulti, dell'animatore, del lettore e dell'accolito, del servizio Caritas, dell'aiuto al presbitero nei compiti amministrativi (a seconda delle capacità e inclinazioni), a seconda dei bisogni della parrocchia individuati e richiesti da parroco e compatibili col tempo a disposizione del diacono stesso».

E alla domanda: "Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?", ha risposto: «Definire meglio l'identità del diacono, superando l'idea che sia un sostituto di dove non arriva il parroco e affidandogli pubblicamente, davanti alla sua comunità parrocchiale, con mandato preciso da parte del vescovo, un suo incarico specifico e possibilmente un contributo perché possa svolgere il servizio affidatogli e richiedendo la rendicontazione delle spese di rimborso».
Vai all'intervista…

Nel numero 1 (gennaio 2015) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Roberto Busti, Vescovo di Mantova.

Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Busti ha risposto: «Sono i requisiti di fondo necessari per chi, seguendo la chiamata del Signore, si fa suo discepolo, ascolta la sua Parola e imita il suo comportamento. Il Diaconato in particolare è chiamato a mettere in luce un aspetto della figura di Gesù, cioè la sua dedicazione come servo; non però come servo occasionale e tuttofare, ma come "ordinato", cioè in forma stabile, con finalità precise e dentro la Chiesa».

E alla domanda: "Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua diocesi?", ha risposto: «Attualmente i Diaconi ordinati sono dodici e altri dieci sono gli aspiranti. Sarà la loro presenza positiva nelle comunità a dissipare dubbi e perplessità. Il Diaconato ha un ruolo ministeriale di grande valore: è un ministero "ordinato" e nello stesso tempo è vicino alla vita dei laici. Questo ruolo intermedio può essere di grande aiuto ai Presbiteri per esercitare la Presidenza e alle comunità di sentire valorizzata la vita laicale».
Vai all'intervista…

venerdì 16 settembre 2016

I poveri che ci aprono le porte della casa del cielo


25a domenica del Tempo ordinario (C)
Amos 8,4-7 • Salmo 112 • 1 Timoteo 2,1-8 • Luca 16,10-13
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il padrone lodò quell'amministratore disonesto
La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sorprendente: l'uomo ricco loda il suo truffatore. Sorpreso a rubare, l'amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell'amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti. Con questa scelta, inconsapevolmente, egli compie un gesto profetico, fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l'accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia.
Il personaggio più interessante della parabola, su cui fermare l'attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull'amicizia.

Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta
Qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne.
Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo e gioioso, elevata a progetto di vita, fatta misura dell'eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro.
Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l'abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita.

Nessuno può servire due padroni... Non potete servire Dio e la ricchezza
Affermazione netta: il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell'amore e nella amicizia. Sono ottimi servitori ma pessimi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell'umano, mangiano il cuore. Cominci a pensare al denaro, giorno e notte, e questo ti chiude progressivamente in una prigione. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione.

La parabola inverte il paradigma economico su cui si basa la società contemporanea: è il mercato che detta legge, l'obiettivo è una crescita infinita, più denaro è bene, meno denaro è male. Se invece legge comune fossero la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l'accumulo ma l'amicizia, crescerebbe la vita buona.
Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che apra cioè brecce per il nascere di un mondo nuovo.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (15 settembre 2013)
Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Una scelta senza compromessi (20/09/2013)

Commenti alla Parola:
  di Cettina Militello (VP 8.2016)
  di Marinella Perroni (VP 8.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

giovedì 15 settembre 2016

Intervista sul diaconato a:
 Mons. Mario Delpini, Vescovo Ausiliare di Milano
 Mons. Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia


Riprendo le interviste ai vescovi delle diocesi italiane sul diaconato permanente e i diaconi delle loro diocesi, pubblicate nella rivista L'Amico del Clero della F.A.C.I. (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia).
Le interviste sono curate da Michele Bennardo.

Michele Bennardo, diacono permanente della diocesi di Susa, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. È professore di religione cattolica nella scuola pubblica e docente di Didattica delle competenze e di Didattica dell'Insegnamento della Religione Cattolica e Legislazione scolastica all'ISSR della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino. È autore di numerosi testi e articoli e dal 2005 collabora con L'Amico del Clero.

Ho riportato le varie interviste nel mio sito di testi e documenti.

Nel numero 3 (marzo 2015) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Mario Delpini, Vescovo Ausiliare di Milano.

Alla domanda: "Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?", Mons. Delpini ha risposto: «Il diaconato è una vocazione per adulti, cioè si rivolge a uomini che hanno già maturato e vissuto in modo affidabile la loro vocazione al matrimonio o al celibato. Quindi, il primo requisito indispensabile è che si possano riconoscere come uomini maturi che hanno dato buona prova di sé nella loro vita familiare, professionale, ecclesiale.
Il secondo requisito indispensabile è la disponibilità a un cammino di formazione che li abiliti per il ministero che sarà loro affidato. Il diaconato non è infatti un premio alla carriera, ma la vocazione a un modo nuovo di essere a servizio della Chiesa. Si impone quindi una formazione che richiede una disponibilità a un modo nuovo di pensarsi nella Chiesa, di impegnare il tempo, di vivere i rapporti. Ne consegue che i punti qualificanti di questa formazione a cui devono essere disponibili riguardano le forme e i tempi della preghiera, la competenza teologica e pastorale, la coscienza di appartenenza al clero con l'implicazione dell'obbedienza al Vescovo, la disciplina nell'uso del tempo che è richiesto per il ministero e che, in particolare per i diaconi sposati, deve essere armonizzato con i ritmi della famiglia.
Un terzo requisito indispensabile è che rivelino attitudini ad esporsi al cospetto della comunità cristiana e del contesto in cui sono mandati come uomini di Chiesa. La predicazione, l'assunzione di servizi diocesani, la destinazione a prestazioni ministeriali nelle comunità locali richiedono una particolare forma di libertà spirituale e di scioltezza che non è richiesta a tutti i cristiani, ma ai ministri ordinati sì».

E alla domanda: "Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua arcidiocesi?", ha risposto: «In diocesi di Milano i diaconi sono 139, mentre in formazione ci sono 15 candidati e 12 aspiranti. Per il futuro mi immagino che con la testimonianza offerta, con il diffondersi della loro presenza, con la cura per la loro formazione e destinazione la vocazione al diaconato sia conosciuta, apprezzata, valorizzata per il bene delle nostre comunità. Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti? Ho constatato che le candidature al diaconato in questi anni sono state costanti anche senza iniziative specifiche. Ne ho dedotto che l'intenzione e il desiderio di mettersi a disposizione per il diaconato è frutto di alcuni preti che hanno la franchezza di fare proposte, dei diaconi stessi che con la loro testimonianza rivelano l'attrattiva di questo ministero, della sensibilità di alcuni fedeli che sentono il desiderio di un "di più" nella loro vita cristiana e si fanno avanti per un percorso di formazione per essere non "di più", ma discepoli che portano a compimento la propria vocazione imitando Gesù che è venuto per servire. Non sento tanto il bisogno di incrementare il numero dei diaconi permanenti, quanto di aiutare ciascuno a trovare la sua vocazione e che niente di ciò che lo Spirito semina nella nostra Chiesa vada perduto. La pubblicazione della nuova edizione del Direttorio diocesano per il diaconato permanente offrirà l'occasione per richiamare a tutta la Diocesi questa vocazione e descriverne i tratti caratteristici. La cura per le vocazioni al diaconato si inserisce nella responsabilità per le vocazioni, in particolare per le vocazioni a servizio della diocesi (preti diocesani, diaconi permanenti, ausiliarie diocesane, ordo virginum, fratelli oblati diocesani, romite ambrosiane) ed è stata raccomandata come "priorità pastorale" durante questo anno pastorale 2014/15. Confido che queste raccomandazioni suscitino una risposta attenta, fiduciosa e generosa in tutte le comunità».
Vai all'intervista…

Nel numero 4 (aprile 2015) de L'Amico del Clero è pubblicata l'intervista a Mons. Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia (emerito dal 24/01/2016).

Alla domanda: "Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?", Mons. Giudici ha risposto: «Dopo tanti secoli di assenza, il diacono risulta una figura nuova e viene alle volte avvertito dai preti come un concorrente. Una strada possibile per superare questo problema è la determinazione precisa dei compiti che gli sono assegnati quando riceve la sua destinazione».

E alla domanda: "Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?", ha risposto: «È indispensabile favorire una maggiore conoscenza di questo ministero da parte dei preti e dei laici; occorre parlarne e soprattutto trovare figure significative che vivano bene i loro ministero diaconale».
Vai all'intervista…

sabato 10 settembre 2016

Evangelizzare, questione di stile: "Farsi tutto a tutti"


«Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io» (1Cor 9, 6-19.22-23).
È il brano di san Paolo che papa Francesco ha commentato all'omelia di ieri, venerdì 9 settembre, a Santa Marta, spiegando in modo semplice ed inequivocabile lo stile dell'evangelizzazione.
Sono parole che illuminano e, in un certo senso, confermano il modo come operare al servizio della comunità che mi è stata affidata. Non solo, ma la chiave per ogni testimonianza al vangelo, in ogni ambiente, ad ogni occasione è: "Farsi tutto a tutti".
È quel "farsi uno" con ogni prossimo che mi spinge ad accoglie in me, nel mio cuore, la persona che il Signore mi mette accanto, facendo mie le sue ansie, le sue gioie, le sue preoccupazioni, le sue speranze ed aspettative...
È il cuore di una genuina diaconia, premessa e fondamento per ogni annuncio evangelico.
«"Annunciare il Vangelo non è per me un vanto", dice san Paolo. Dunque, continua Francesco, non ci si deve certo vantare di andare a evangelizzare: vado a fare questo, vado a fare quell'altro, quasi che evangelizzare sia fare una passeggiata. Sarebbe come ridurre l'evangelizzazione a una funzione: io ho questa funzione. E sto parlando di cose che succedono in qualche parrocchia nel mondo, quando il parroco ha sempre la porta chiusa».
«Ma questo è proprio l'atteggiamento di chi si vanta, ha insistito il Papa, è ridurre il Vangelo a una funzione o anche a un vanto: io vado a evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti… Anche fare proselitismo è un vanto. Invece, evangelizzare non è fare proselitismo».
«L'evangelizzazione si fa con la testimonianza e poi con la parola, stando ben attenti a non cadere nella tentazione di ridursi a funzionari…. Ricordando "lo stile" evangelizzatore di san Paolo, il suo "farsi tutto a tutti" senza cercare il vanto personale».
«Tutti noi abbiamo l'obbligo di evangelizzare, che non è bussare alla porta al vicino e alla vicina e dire: "Cristo è risorto!". È anzitutto vivere la fede, è parlarne con mitezza, con amore, senza voglia di convincere nessuno, ma gratuitamente. Perché evangelizzare è dare gratis quello che Dio gratis ha dato a me».

Vedi anche il video proposto dal CTV...

venerdì 9 settembre 2016

Dio è in cerca di me, l'amato perduto


24a domenica del Tempo ordinario (C)
Esodo 32,7-11.13-14 • Salmo 50 • 1 Timoteo 1,12-17 • Luca 15,1-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo…
Le tre parabole della misericordia sono davvero il Vangelo del Vangelo! Sale dal loro fondo il vero volto di Dio, ed è la più bella notizia che potevamo ricevere.
Gesù accoglieva i peccatori e mangiava con loro. E questo scandalizzava i farisei: Questi peccatori sono i nemici di Dio! E Gesù per tre volte a mostrare che Dio è amico di quanti gli sono nemici. Pubblicani e prostitute sono lontani da Dio! E quindi sono da evitare… Ma Gesù racconta che Dio è vicino a quanti si sono perduti lontano.

Scribi e sacerdoti si ribellano a questa idea di Dio. Loro pensano di conoscere, di circoscrivere i luoghi di Dio: Dio è nel tempio, nell'osservanza della legge, nei sacrifici, nella religione, nella penitenza. E Gesù abbatte tutti questi recinti: Dio è nella vita, là dove un figlio soffre e si perde, è nella paura della pecora smarrita, è accanto all'inutilità della moneta perduta, nella fame del figlio prodigo. I farisei, i moralisti dicono: troverai Dio come risultato dei tuoi sforzi. Gesù dice: sarà Dio a trovare te; non fuggire più, lasciati abbracciare, dovunque tu sia, e ci sarà gioia libertà e pienezza.
Le tre parabole sottolineano la pena di Dio che cerca, ma molto di più la gioia quando trova.

Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una…
Ecco allora la passione del pastore, il suo inseguimento per steppe e pietraie. La pecora perduta non torna da sé all'ovile; non è pentita, ma è a rischio della vita; non trova lei il pastore, ma è trovata; non è punita, ma caricata sulle spalle, perché sia più leggero il ritorno.
Un Dio pastore che è in cerca di noi molto più di quanto noi cerchiamo lui. Se anche noi lo perdiamo, lui non ci perde mai.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una…
Un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, madre in ansia che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota; che accende la lampada e si mette a spazzare ogni angolo e troverà il suo tesoro, lo troverà sotto tutta la spazzatura raccolta nella casa. E mostra come anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare, in noi e negli altri, un piccolo grande tesoro anche se in vasi di creta, pagliuzze d'oro nella corrente e nel fango.

…mio figlio era morto ed è ritornato in vita… E cominciarono a far festa
Anche la parabola del figlio prodigo (icona impareggiabile del cuore di Dio che è Padre), come le altre due, terminano con un identico crescendo. L'ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra, che convoca amici e vicini.
Da che cosa nasce la felicità di Dio? Nasce da un innamoramento! Questo perdersi e cercarsi, questo ritrovarsi e perdersi di nuovo, è la trama del Cantico dei Cantici, una trama d'amore. Dio è l'Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: avete visto l'amato del mio cuore?
Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Io non fuggirò più.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Mi alzerò e andrò da mio padre (Lc 15,18)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (15 settembre 2013)
Rallegratevi con me perché ho trovato la mia pecora (Lc 15,6)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La gioia di Dio che perdona (13/09/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Marinella Perroni (VP 7.2013)
  di Claudio Arletti (VP 8.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

martedì 6 settembre 2016

Il Diaconato in Italia
 Diaconi profeti di misericordia



Il diaconato in Italia n° 197/198
(marzo/giugno 2016)

Diaconi profeti di misericordia
«Ti abbiamo visto straniero…»






EDITORIALE
La diaconia segno profetico della misericordia (Giuseppe Bellia)

GIUBILEO
Giubileo dei diaconi servitori di Cristo (Papa Francesco)
Discorso alla delegazione del Centro Internazionale del Diaconato (Papa Francesco)
Pellegrinaggio dei diaconi francesi (Beniamino Stella)
La priorità e l'urgenza della misericordia secondo il cuore di Dio (Beniamino Stella)
Il diacono immagine della misericordia nella pastorale (Enzo Petrolino)
Il diacono immagine della misericordia per la Nuova Evangelizzazione nella famiglia (Giorgio Agagliati)
Per la promozione della Nuova Evangelizzazione nell'ambiente familiare (Tonino Cantelmi)
Il diacono per la promozione della Nuova Evangelizzazione nella pastorale (Andrea Spinelli)
I Diaconi e la Nuova Evangelizzazione nell'ambiente di lavoro (Carlo De Cesare)
Misericordia e Nuova Evangelizzazione nel lavoro (Giuseppe Colona)

ARTICOLI
Le opere della misericordia oggi (Maurilio Guasco)
«Quando mai ti abbiamo visto affamato?» (Giovanni Chifari)
Diaconi profeti di misericordia: i quattro passi del samaritano (Giorgio Agagliati)
«Ti abbiamo visto affamato» (Andrea Spinelli)
La visione profetica della misericordia in Luca (Giuseppe Bellia)
«Hai amato in noi ciò che tu amavi nel figlio» (Paola Castorina)
I diaconi profeti e palatini di misericordia (Francesco Giglio)
Il coraggio di parlare (Gaetano Marino)

TESTIMONIANZE
Le opere di misericordia spirituale (Pasquale Violante)
Servizio di ascolto in Duomo (Bruno Colombo)
Educare oggi alla responsabilità e alla virtù (Piero Meroni)


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venerdì 2 settembre 2016

Per seguirlo Gesù chiede di amare di più


23a domenica del Tempo ordinario (C)
Sapienza 9,13-18 • Salmo 89 • Filèmone 9b-10.12-17 • Luca 14,25-33
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù si voltò e disse: Se uno viene a me…
Gesù, vedendo la folla numerosa che lo segue, si volta per metterla in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui. Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece adesioni meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità.
E indica tre condizioni per seguirlo. Condizioni radicali.

Non può essere mio discepolo:

1) Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre…, e perfino la propria vita
Parole che sembrano dure, eccessive, quasi una crocifissione del cuore con i suoi affetti, e invece ne sono la risurrezione. Infatti il verbo centrale su cui poggia tutta l'architettura della frase è: se uno non mi ama di più... Non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non ruba amori, aggiunge un "di più". Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un potenziamento.
Gesù è il sigillo, la garanzia che se stai con Lui, se lo tieni con te, i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi.

2) Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me
La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della malattia da sopportare. Ma nel Vangelo la parola "croce" contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, amore che non si arrende, non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine. Gesù possiede la chiave dell'andare fino in fondo alle ragioni dell'amore.

Così, amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda. Prendo su di me una porzione grande di amore, altrimenti non vivo; prendo la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non amo.

3) Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi
La rinuncia che Gesù chiede non è innanzitutto un sacrificio ascetico, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: «Io ho, accumulo, e quindi sono e valgo».
"Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti", ha detto Martin Luther King.

Questo è l'invito di Gesù: lasciare giù le cose e prendere su di sé la qualità dei sentimenti. Imparare non ad avere di più, ma ad amare di più.
Allora seguire Cristo ed il Vangelo equivarrà a vivere una vita "piena".

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se uno viene a me e non mi ama più della propria vita… (Lc 14,26)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (8 settembre 2013)
Se uno viene a me e non mi ama più della propria vita… (Lc 14,23)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Le condizioni per seguire Gesù (6/09/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Marinella Perroni (VP 7.2013)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)