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martedì 30 agosto 2016

La grande attrattiva del tempo moderno




Un breve soggiorno ad Avila ed a Segovia, le città di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce.

Nell'incontrare questi due grandi santi non si può non immergersi in quella alta contemplazione che è l'incontro con Dio e l'unione con Lui.
Certo, la mia vita e la mia condizione di persona al servizio di Dio e del prossimo nel mondo comporta un modo di essere diverso…; ma è forte l'attrattiva ad entrare nella "cella" interiore per intrattenersi in intimo colloquio con Colui che è e diventa sempre più il tutto della vita… e che, peraltro, incontro in ogni prossimo che il Signore mi mette accanto.



In questo mio riflettere, mi è parsa quanto mai attuale questa meditazione di Chiara Lubich:



L'attrattiva del tempo moderno:

Ecco la grande attrattiva
Del tempo moderno:
penetrare nella più alta contemplazione
e rimanere mescolati fra tutti,
uomo accanto a uomo.

Vorrei dire di più: perdersi nella folla,
per informarla del divino,
come s'inzuppa
un frusto di pane nel vino.

Vorrei dire di più:
fatti partecipi dei disegni di Dio
sull'umanità,
segnare sulla folla ricami di luce
e, nel contempo, dividere col prossimo
l'onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.

Perché l'attrattiva
Del nostro, come di tutti i tempi,
è ciò che di più umano e di più divino
si possa pensare,
Gesù e Maria:
il Verbo di Dio, figlio d'un falegname;
la Sede della Sapienza, madre di casa.








venerdì 26 agosto 2016

La gioia di chi dà non per interesse


22a domenica del Tempo ordinario (C)
Siràcide 3,17-20.28-29 • Salmo 67 • Ebrei 12,18-19.22-24 • Matteo 11,29
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare
Gesù amava i banchetti, li adottava a simbolo della fraternità e a pulpito del suo annuncio di un Dio e un mondo nuovi. Invitarlo però era correre un bel rischio, il rischio di gesti e parole capaci di mettere sottosopra la cena, di mandare in crisi padroni e invitati.

Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti
Diceva agli invitati una parabola, notando come entrare nella sala era entrare in un clima di competizione, osservando come si dissolveva in invidie e rancori il senso della cena insieme che è la condivisione. Vedendo la corsa ai primi posti, reagisce opponendo a quella ricerca di potere un gesto eloquente e creativo: Quando sei invitato va a metterti all'ultimo posto. Ma non per umiltà, non per modestia, ma per creare fraternità, per dire all'altro: prima tu e dopo io; tu sei più importante di me; vado all'ultimo posto non perché io non valgo niente, ma perché tu, fratello, sia servito per primo e meglio. L'ultimo posto non è una condanna, è il posto di Dio, venuto per servire e non per essere servito. La pedagogia di Gesù è opporre ai segni del potere il potere dei segni, segni che tutti capiscono, che parlano al cuore. All'ultimo posto non per umiltà ma per rovesciare, per invertire la scala di valori su cui poggia la nostra convivenza e per delineare un altro modo di abitare la terra.

Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici…
E poi, rivolto a colui che l'aveva invitato, aggiunge: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini. Sono i legami normali che garantiscono l'eterno equilibrio del dare e dell'avere, la difesa dei tuoi beni e gli interessi del tuo gruppo; sono i legami che tengono insieme un mondo che si difende e si protegge, che segue la legge un po' gretta della reciprocità e del baratto, e che non crea inclusione.

Quando offri una cena invita poveri…
Ma c'è, alla periferia del tuo mondo ce n'è un altro, e ti riguarda: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Accogli quelli che nessuno accoglie, crea comunione con chi è escluso dalla comunione, dona senza contraccambio, dona in perdita a coloro che davvero hanno bisogno e non possono restituire niente. Gesù ha un sogno: un mondo dove nessuno è escluso, una città da costruire partendo dalle periferie, dagli ultimi della fila, dagli uomini del pane amaro.

E sarai beato perché non hanno da ricambiarti
Sarai beato, troverai la gioia e il senso pieno del vivere nel fare le cose non per interesse, ma per generosità. È la legge della vita: per star bene l'uomo deve dare, amando per primo, in perdita, senza contraccambio. Sarai beato: perché Dio regala gioia a chi produce amore.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (1° settembre 2013)
Chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Umiltà e Gratuità (30/08/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Marinella Perroni (VP 7.2013)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

venerdì 19 agosto 2016

Gesù ci riconosce dal "suo odore"


21a domenica del Tempo ordinario (C)
Isaia 66,18-21 • Salmo 116 • Ebrei 12,5-7.11-13 • Luca 13,22-30
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Sforzatevi di entrare per la porta stretta…
Per la porta larga vuole passare chi crede di avere addosso l'odore di Dio, preso tra incensi, riti e preghiere, e di questo si vanta. Per la porta stretta entra "chi ha addosso l'odore delle pecore", come dice papa Francesco; vi entra l'operaio di Dio con le mani segnate dal lavoro, dal cuore buono. È la porta del servizio!

Quando il padrone di casa chiuderà la porta, voi busserete: Signore aprici
E lui: non so di dove siete, non vi conosco. Avete false credenziali.
Infatti quelli che vogliono entrare si vantano di cose poco significative: abbiamo mangiato e bevuto con te, eravamo in piazza ad ascoltarti... ma questo può essere solo un alibi, non significa che abbiano accolto davvero il suo Vangelo. La sua Parola è vera solo se diventa carne e sangue. A molti contemporanei di Gesù succedeva proprio questo: di sedere a mensa con lui, ascoltarlo parlare, emozionarsi, ma tutto finiva lì, non ne avevano la vita trasformata. Così noi possiamo partecipare a messe, ascoltare prediche, dirci cristiani, difendere la croce come simbolo di una civiltà, ma tutto questo non basta. La misura è nella vita.
La fede autentica scende in quel mio profondo dove nascono le azioni, i pensieri, i sogni, e da là erompe a plasmare tutta intera la mia vita, tutte le mie relazioni. Perché le cose di Dio e le cose dell'uomo sono indissolubili. Infatti quelli che bussano alla porta chiusa hanno compiuto sì azioni per Dio, ma nessuna azione per i fratelli. Non basta mangiare Gesù che è il pane, occorre farsi pane.

Allontanatevi da me… Non vi conosco…
Il riconoscimento sta nella giustizia. Dio non mi riconosce per formule, riti o simboli, ma perché ho mani di giustizia. Mi riconosce non perché faccio delle cose per lui, ma perché con lui e come lui faccio delle cose per gli altri. Non so di dove siete: i vostri modi di vedere gli altri sono lontanissimi dai miei, voi venite da un mondo diverso rispetto al mio...

Vi sono ultimi che saranno primi…
La conclusione della parabola è piena di sorprese. Prima di tutto è sfatata l'idea della porta stretta come porta per pochi, per i più bravi: tutti possono passare. Oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. Il sogno di Dio: far sorgere figli da ogni dove. Li raccoglie, per una offerta di felicità, da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e da lui considerati primi.

Gesù li riconosce dall'odore, lui che con le pecore sperdute, sofferenti, malate si è mischiato per tutta la vita. Li riconosce perché hanno il suo stesso odore.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vi sono ultimi che saranno primi (Lc 13,30)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (25/08/2013)
Sforzatevi di entrare per la porta stretta (Lc 13,2)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La porta per la felicità (16/08/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 7.2016)
  di Marinella Perroni (VP 7.2013)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

sabato 13 agosto 2016

In Maria splende il nostro luminoso destino


Assunzione della B.V. Maria
Apocalisse 11,19;12,1-6.10 • Sal 44 • 1Corinzi 15,20-26 • Luca 1,39-56
(Visualizza i brani delle Letture)
(Vedi anche i brani delle Letture della Messa vespertina nella vigilia)

Appunti per l'omelia

La morte è stata inghiottita nella vittoria
Le grandi solennità e feste mariane lungo l'anno liturgico ci aiutano a comprendere la natura e la missione della Chiesa. In ognuna di queste ricorrenze noi contempliamo in Maria ciò che la Chiesa dovrebbe essere: sposa pura e immacolata per il suo Signore (Immacolata concezione), madre che genera Dio nel mondo per grazia dello Spirito (Maria madre di Dio), serva obbediente alla Parola (Annunciazione) ma anche sorella premurosa che soccorre chi è in difficoltà e vive lo scambio della fede (Visitazione)…
L'odierna solennità non si presta facilmente ad applicazioni morali. Nell'assunzione al cielo non vediamo ciò che la comunità cristiana deve essere, ma ciò che sarà per pura grazia di Dio. Non c'è infatti vita talmente virtuosa da meritare di diritto un simile destino di gloria. L'Immacolata concezione, madre di Dio, non poteva conoscere la corruzione del sepolcro, certo, ma questo ancora per un eccezionale dono dall'alto, consequenziale alla divina maternità.

Un segno grandioso apparve nel cielo
Oggi è molto difficile percepire la vita cristiana nella sua totalità, incluse la morte e la vita eterna. Sembrano verità lontane e inattuali. Tutto sembra consumarsi in questo orizzonte terreno, fino a quando l'età o la malattia non presentano davvero alla nostra coscienza il problema della finitudine umana.
La pasqua mariana, come potremmo chiamare l'assunzione della Vergine, presenta delle implicazioni precise per il nostro presente: ci offre l'unica prospettiva realmente accettabile, per un cristiano, da cui osservare i giorni che passano.

Tutte le generazioni mi chiameranno beata
Il testo evangelico, nell'inno del Magnificat, attribuisce a Maria una beatitudine senza confine nel tempo. La sua maternità ha realmente qualcosa di universale, patrimonio di chiunque, un giorno, sentendosi indegno di rivolgersi a Dio, alza gli occhi verso colei il cui manto si stende a coprire ogni dolore e ogni afflizione, senza distinzioni: Tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Ma c'è di più. Diversamente, rimarremmo ancora intrappolati dentro a un compimento solo mondano della promessa divina. La vicenda di Maria è invece entrata nell'eternità, tutta intera, in un modo che anticipa quello che può accadere per ciascuno di noi. Spesso crediamo erroneamente che la vita eterna inizi dopo la morte e che noi vi entreremo quando ci saremo presentati al cospetto di Dio. Se però così fosse, la vita eterna non sarebbe tale, avendo inizio con la nostra morte. Se è eterna deve essere da sempre, senza avere un principio. Non possiamo essere noi a entrare nell'eternità, ma deve essere l'eternità, che ci precede, a entrare nella nostra concreta esistenza storica.

In Cristo tutti riceveranno la vita
Ma già qui sulla terra la separazione non è netta. Sappiamo infatti che l'amore non avrà mai fine (1Cor 13,8). La vita eterna, cioè, consiste nell'amore pienamente realizzato e compiuto. Scrive san Giovanni nella sua prima lettera che, chi ama, è passato dalla morte alla vita (1Gv 3,14). Al contrario, il nostro percorso sembrerebbe andare dalla vita alla morte! Ma è l'amore che conferisce ai nostri atti e ai nostro gesti un valore eterno. Tutto quanto è avvolto dall'amore, come dalle bende che avvolsero il corpo di Cristo nel sepolcro, non può conoscere la fine. Se l'amore non avrà mai fine, ogni gesto d'amore, ogni oggetto che rendo strumento d'amore per Dio e i fratelli, sono già parte della vita eterna la quale entra nel nostro quotidiano salvando e permeando di sé tutto quanto è impregnato d'amore. Per questa ragione la speranza nell'eternità non sconfessa l'impegno e la dedizione, ma li consacra. Vivere protesi al futuro pieno di Dio non significa ignorare il fratello che domanda il mio aiuto qui, ora. Perché tutto l'amore che vivo qui, da subito, è già vita eterna. Ritroverò tutto l'amore che ho vissuto e tutto ciò che ho fatto con amore in paradiso. Non può conoscere la fine né la consumazione. Noi risorgeremo assieme a tutto ciò con cui abbiamo amato gli altri. Per questo le nostre relazioni non sono un passatempo di questa vita, ma il tessuto che costituirà la nostra esistenza definitiva. Non si tratta solo di ricevere il premio eterno. È molto di più. È la vita senza fine di Dio che colora i miei giorni e prende possesso dei frammenti più luminosi del mio agire.

Il Cantico di Maria si chiude con le parole «per sempre», ben oltre «tutte le generazioni». Il suo corpo, ossia tutto il suo quotidiano, è stato permeato dall'amore pasquale, invaso dall'eternità di Dio. Non lei è entrata nell'eternità. Ma l'eternità, che è da sempre, è entrata in lei. Per questo non ha conosciuto la corruzione del sepolcro. In lei splende il nostro luminoso destino.

(passi e spunto da "Ricordatevi come vi parlò" di Claudio Arletti)


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza)
già a suo tempo pubblicata
 Beata colei che ha creduto (Lc 1,45) (15/08/2015)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2014)
(vai al testo…)
 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente (Lc 1,49) (15/08/2013)
(vai al testo…)
 L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46) (15/08/2012)
(vai al testo…)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
 Come Maria… (13/08/2015)
 La "cose grandi" compiute da Dio (14/08/2014)
 Gioia e gratitudine immensa (14/08/2013)
 La meraviglia del Cielo (14/08/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2016)
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

venerdì 12 agosto 2016

Quel fuoco che rompe la falsa pace


20a domenica del Tempo ordinario (C)
Geremia 38,4-6.8-10 • Salmo 39 • Ebrei 12,1-4 • Luca 12,49-53
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra…
Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma la divisione.
Abbiamo conosciuto sicuramente uomini e donne ardenti, appassionati di Dio e dell'uomo… Li abbiamo visti passare fra noi come fuoco e come spada. Mi viene alla mente la figura di padre Turoldo (che, già da giovane, ho avuto la fortuna di incontrare e sentir predicare). Era sorprendente, e liberante, quanto diceva: io mi sento mandato a rompere le false paci dei conventi. Pace apparente, rotta da un modo più evangelico di intendere la vita, da qualcuno che vuole riproporre il sogno di Dio. Forse quando va in frantumi un vecchio equilibrio, nella casa o nella comunità, quella che si rompe non è una pace autentica ma una situazione sbagliata, fondata su mancanza di saggezza, su egoismi e silenzi.

…quanto vorrei che fosse già acceso!
Sono venuto a portare il fuoco, l'alta temperatura morale in cui avvengono le vere trasformazioni del cuore e della storia. E come vorrei che divampasse!
Stare vicino a Lui è stare vicino al fuoco. È proprio il caso di domandarci se siamo discepoli di un Vangelo che brucia dentro, che ci infiamma qualche volta almeno, oppure se abbiamo una fede che rischia di essere solo un tranquillante, una fede sonnifero… O siamo disinteressati a tutto, ai problemi ambientali, a ciò che tocca violenza e armi, passivi di fronte alle ingiustizie, senza fuoco?

D'ora innanzi… si divideranno…
La fede è abbracciare il progetto di vita del Maestro, convinti che un altro mondo è possibile; non tanto mettere in pace la coscienza, ma risvegliarla! E la pace di chi si dona, di chi ama, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare né vendicarsi diventa precisamente la spada, cioè l'urto inevitabile con chi pensa che vivere è dominare, arricchire, divertirsi.
Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? – ci ripete Gesù. È l'invito pieno di energia e di futuro, rivolto alla folla cioè a tutti, a non seguite il pensiero dominante, a non accodarsi all'opinione della maggioranza.

Il cristiano, intelligente e libero, si differenzia tra chi si domanda che cosa c'è di buono o di sbagliato in ciò che accade, e chi non si domanda niente!
Siate profeti! Siate profeti anche scomodi, dice il Signore: fate divampare la goccia di fuoco che lo Spirito ha deposto in voi.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (18/08/2013)
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Fuoco che tutto trasforma (16/08/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2016)
  di Marinella Perroni (VP 7.2013)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)

lunedì 8 agosto 2016

Seppellire i morti


Riprendo l'approfondimento delle Opere di Misericordia attraverso le riflessioni di Enzo Bianchi, Priore di Bose, pubblicate su Vita Pastorale, cercando di "recuperare l'elementare grammatica dell'amore misericordioso di Dio".

Le opere di misericordia/8
Seppellire i morti


La tomba diventa un tramite tra noi e il defunto.
Il seppellimento e la tomba sono espressione della fede nella risurrezione




Dal modo di seppellire i morti si misura il livello di umanizzazione della società. E dice la qualità umana di una società e anche la qualità della fede nella risurrezione della carne.

È significativo che nel Credo, la professione di fede cristiana, si ricordi che Gesù «morì e fu sepolto» (cf 1Cor 15,3-4), dove questa seconda parte non indica solo un evento puntuale, conseguenza della morte, ma anche una precisa azione compiuta da alcuni discepoli di Gesù (cf Mc 15,46-47 e par.; Gv 19,40-42): egli non solo raggiunse la terra, nell'antro di una grotta, ma "fu sepolto". I vangeli attestano che anche Giovanni il Battista, una volta decapitato, fu posto in un sepolcro dai suoi discepoli (cf Mc 6,29; Mt 14,12).
In verità tutta la Bibbia dedica molta attenzione al seppellimento e alla tomba… Chi invece non viene sepolto appare come castigato da Dio, come un empio che non merita la sepoltura (cf Dt 28,26; Is 34,3; Ger 16,4-6; 25,33; Sal 79,2-3) […]
Rincresce che i cristiani abbiano accettato con tanta facilità, per ragioni di spazio (che manca, si dice) ed economiche (costa meno), la cremazione del corpo e spesso pratichino la dispersione delle ceneri del defunto in fiumi, mari, boschi... Sono forse senza colpa quanti, ignoranti e inconsapevoli, finiscono per dare ai loro cari la sorte degli empi.
[…]
Nel Nuovo Testamento il seppellimento e la tomba sono anche espressione della fede nella risurrezione della carne, dei corpi dei credenti, oltre che onore e segno d'amore verso chi ha compiuto l'esodo da questa vita al Padre. Accompagnare il morto fino alla tomba è deporlo là dove, seppur andando in corruzione e ritornando a essere terra, ascolterà la voce del Signore che lo richiamerà alla vita eterna (cf Gv 5,25.28-29) e lo farà rivivere non come cadavere rianimato, non come terra ritornata a essere cenere, ma come corpo animato dalla vita dello Spirito Santo, vita eterna donata da Dio agli umani da lui creati e voluti quali figli. […]
Di fronte all'evento della separazione noi umani vogliamo affermare la forza della comunione vissuta e, sfidando la morte, osiamo sperare che tale comunione sarà ritrovata, perché non può andare perduta. Ciò che dà valore all'aver vissuto -lo sappiamo bene - è l'amore, la comunione: se questi fossero perduti per sempre, che senso avrebbe la vita? Ecco ciò che ispira l'azione del seppellire i morti, del porre un segno nello spazio, anche nel piccolo spazio della tomba, che una persona ha vissuto tra noi e che nella tomba vi sono i suoi resti; è un luogo che ce la ricorda, che diventa un tramite per continuare a dirle il nostro amore, la nostra cura, la nostra volontà che il legame continui, sebbene in forma diversa.
[…]
Va riconosciuto che, tra tutte le azioni di misericordia corporale, la sepoltura dei morti è quella di cui meno ci si preoccupa; anzi, oggi è diventata quasi impossibile da viversi con consapevolezza e sentimenti umani. La compassione, la misericordia anche verso i morti appartengono a quelle «leggi non scritte e non mutabili» che emergono, o dovrebbero emergere, dal cuore di ogni persona e che richiedono per chi muore un luogo, il cimitero, in cui si dorme e si riposa; in cui, per la fede cristiana, c'è il segno di una vita che non può andare perduta e che al di là della morte riceve una nuova forma, quella della vita eterna. Dal modo di seppellire i morti si misura il livello di umanizzazione di una società o di una generazione umana, come affermava già Pericle. E quando così non avviene, ecco apparire le fosse comuni delle stragi e dei genocidi, le tombe violate dal fanatismo razzista, i corpi abbandonati perché non c'è più umanità. Sì, il modo in cui si muore e in cui si seppelliscono i morti dicono la qualità umana di una società e anche la qualità della fede nella risurrezione della carne.
Infine, non si dimentichi che anche questa azione di misericordia corporale causa un grande bene a chi la compie: lo porta a riflettere sull'interrogativo della morte, su ciò che la morte è come enigma/mistero per ciascuno; a misurare il proprio limite; a discernere ciò che è essenziale alla vita; a riflettere su cosa sono gli altri per noi; a misurare se il nostro amore dura finché l'altro ci è utile oppure se resta anche quando l'altro non c'è più. La fede cristiana ci rivela che, con il battesimo, siamo stati con-morti con Cristo e siamo stati con-sepolti con lui, per rinascere con lui nella risurrezione (cf Rm 6,3-5; Col 2,12). Siamo dunque stati con-sepolti con Cristo, e praticare questa azione verso gli altri è dire "amen" al nostro cammino con Gesù verso il Padre, Dio.
Leggi tutto…

(Nella foto: il piccolo cimitero di Armo (RC) che accoglie i 45 migranti morti nel canale di Sicilia, 3.6.2016)

venerdì 5 agosto 2016

Dio viene e si pone a servizio della mia felicità!


19a domenica del Tempo ordinario (C)
Sapienza 18,6-9 • Salmo 31 • Ebrei 11,1-2.8-19 • Luca 12,32-48
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Nell'ora che non immaginate viene il figlio dell'uomo
Viene, ma non come una minaccia o un rendiconto che incombe. Viene ogni giorno ed ogni notte e cerca un cuore attento...come un innamorato, desidera essere desiderato...

Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone...
La parabola del signore e dei servi è scandita in tre momenti. Tutto prende avvio per l'assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come in principio l'Eden ad Adamo. Ci ha affidato la casa grande che è il mondo, perché ne siamo custodi con tutte le sue creature. E se ne va. Dio, il grande assente, che crea e poi si ritira dalla sua creazione. La sua assenza ci pesa, eppure è la garanzia della nostra libertà. Se Dio fosse qui visibile, inevitabile, incombente, chi si muoverebbe più? Un Dio che si impone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.

Quando il padrone arriva e bussa, gli aprono subito…
Nella notte i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fianchi, cioè sono pronti ad accoglierlo, a essere interamente per lui. Hanno le lucerne accese, perché è notte. Anche quando è notte, quando le ombre si mettono in via; quando la fatica è tanta, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, non mollare, continua a lavorare con amore e attenzione per la tua famiglia, la tua comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel poco che hai, come puoi, meglio che puoi. Vale molto di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio che ci circonda.

Beati quei servi che al suo ritorno il padrone troverà ancora svegli
Si attende così solo se si ama e si desidera, e non si vede l'ora che giunga il momento degli abbracci.
In verità vi dico, - quando Gesù dice così assicura qualcosa di importante - li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È il capovolgimento dell'idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l'impensabile: il signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della mia felicità!

…e passerà a servirli
Gesù ribadisce due volte, perché si imprima bene, l'atteggiamento sorprendente del signore: e passerà a servirli. È l'immagine clamorosa che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore, che solo lui ha mostrato cingendo un asciugamano. Allora non chiamiamolo più padrone, mai più, il Dio di Gesù Cristo, chino davanti a noi, le mani colme di doni.

Questo Dio è il solo che io servirò, tutti i giorni e tutte le notti della mia vita. Il solo che servirò perché è il solo che si è fatto mio servitore.

(spunti da Ermes Ronchi)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Anche voi tenetevi pronti (Lc 12,40)
(vai al testo)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (11/08/2013)
Dov'è il vostro tesoro, sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34)
(vai al testo…)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La fede di quel "piccolo gregge" (9/08/2013)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 6.2016)
  di Marinella Perroni (VP 6.2013)
  di Claudio Arletti (VP 7.2010)
  di Enzo Bianchi

(Illustrazione di Giorgio Trevisan)