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sabato 28 marzo 2015

La potenza dell'amore


Domenica delle Palme (B)
Isaia 50,4-7 • Sal 21 • Filippesi 2,6-11 • Marco 14,1-15,47
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Con la Domenica delle Palme inizia la Settimana Santa. Gli evangelisti dedicano un notevole spazio alla passione, morte e risurrezione di Gesù.
Professarsi seguaci di un Crocifisso era una follia, una vergogna, una scelta contraria al buon senso. Paolo scrive: «I giudei domandano miracoli e i greci cercano la sapienza; ma noi, noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,22-23). Fin dagli inizi della loro storia, i cristiani hanno scelto dei simboli della loro fede. Sulle tombe troviamo l'ancora, il pesce, il pescatore, il pastore, ma non la croce. Per lungo tempo hanno mostrato, per così dire, un certo pudore a riconoscersi nella croce. Solo nel IV secolo d.C. divenne il simbolo per eccellenza e si cominciò a fabbricare croci con i metalli più preziosi.
Durante la settimana santa, questo simbolo viene proposto alla nostra contemplazione. Venerare la croce non significa inchinarsi di fronte a un oggetto materiale e neppure soffermarsi sull'aspetto "doloristico" della passione di Gesù. La croce indica una scelta di vita, quella del dono di sé. Contemplarla vuol dire credere alla "potenza" dell'amore e prenderla come punto di riferimento di ogni scelta e decisione.

Alcuni aspetti specifici del vangelo di Marco:

* Gesù non reagisce al bacio di Giuda e al gesto violento compiuto da uno dei presenti. Marco rileva questo fatto per sostenere la fede dei cristiani delle sue comunità duramente provate dalla persecuzione. Anche loro, come Gesù, sono chiamate a confrontarsi con falsità, ipocrisie, violenze. Il discepolo che, come Pietro, ritiene di poter risolvere le ingiustizie ricorrendo alla violenza, in realtà complica soltanto la situazione;

* Gesù reagisce molto "umanamente" di fronte alla sofferenza e alla morte: «Cominciò a sentire grande spavento e angoscia». La nostra umanità non è "sublimata" in uno sforzo eroico di "obbedienza" ad un disegno strano, ma scopre la forza di un amore più grande della sofferenza e della morte;

* Gesù fa l'esperienza dell'impotenza, del fallimento nella lotta contro l'ingiustizia, la menzogna, l'oppressione. Chi si impegna a vivere con coerenza la fede in Gesù, deve mettere in conto anche il sentirsi "abbandonato" da Dio e il chiedersi se vale la pena di "combattere" contro il male. Gesù crocifisso e abbandonato, che trasforma il dolore in amore, diventa luce, riferimento, sostegno, speranza;

* «Veramente quest'uomo era figlio di Dio», professa il centurione di fronte a Gesù in croce. Con il prodigio della sua vita, plasmata dall'amore, Gesù "converte" chi si apre a lui.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Davvero quest'uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (1/04/2012)
L'anima mia è triste fino alla morte (Mc 14,34)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Nel grido del suo abbandono! (31/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 25 marzo 2015

Dal «Sì» della Vergine


Annunciazione del Signore (25 marzo)
Isaia 7,10-14; 8,10 • Sal 39 • Ebrei 10,4-10 • Luca 1,26-38
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Commento alla Solennità odierna tratto da: Caudio Arletti, «Ai suoi discepoli spiegava ogni cosa», Commento ai Vangeli festivi dell'anno B, EDB.

L'odierna solennità ci pone davanti a un duplice «sì». Il primo è pronunciato nel grembo della santissima Trinità dal Figlio, il Verbo che si farà carne. Il secondo, invece, lo udiamo salire da un'anonima piccola borgata della Galilea. I due «sì» stanno fra loro come una cascata che presenti una doppia caduta d'acqua: un primo getto, altissimo, che precipita verso il basso dando origine a un piccolo laghetto da cui, a sua volta, l'acqua scende di nuovo verso il basso, con la stessa purezza cristallina e con la medesima abbondanza.
Il fiat della Vergine, in questo 25 marzo, deve spingere i nostri occhi più in alto, là dove li conduce la seconda lettura con il suo categorico inizio. Non è possibile che offerte animali possano sanare il cuore dell'uomo e la sua malattia mortale. Serve un coinvolgimento radicale. Dio non poteva amarci con i guanti bianchi. Non poteva certo soccorrerci dal cielo, come semplice spettatore. Cristo è entrato nel mondo attraverso l'offerta del proprio corpo, tessuto nel grembo della Vergine. Egli è venuto per fare la volontà del Padre, abolendo così il primo sacrificio per istituirne uno nuovo e definitivo che possiamo definire sacrificio esistenziale. Altare, vittima e sacerdote si identificano completamente. Ma non poteva che essere così. Ciò che l'uomo non sa osare, come mostra bene la prima lettura, per una sorta di pudore verso il proprio Dio che, in realtà, è piuttosto autosufficienza mascherata, il Signore stesso lo opera. Non abbiamo potuto stancare la pazienza del nostro Dio. Egli ci ha dato il segno supremo della sua azione nel mondo: un concepimento verginale. Tutta la persona umana e tutto Dio, finalmente insieme, come la terra fertile finalmente raggiunta dal seme che, solo, le può dare vita. Il «sì» della Vergine, su cui fissiamo la nostra attenzione maggiormente nel tempo di Avvento, oggi ci appare come un riflesso e come un'eco di quello scandito nel cuore della santissima Trinità. L'uomo non potrebbe dare nessun assenso al suo Dio se prima la sua azione non avesse creato lo spazio di una nuova libertà finalmente non intimorita dall'infinito e dall'eterno, ma attratta da esso, come compimento della propria esistenza. Questo è l'Immacolata concezione, primo effetto storico della Pasqua del Cristo, per quanto ancora lontana dal realizzarsi. È quanto afferma l'autore della Lettera agli Ebrei quando scrive che noi «mediante quella volontà siamo stati santificati» (Eb 10,10).
Il testo lucano ci presenta solo l'epilogo di quanto preparato da secoli, prima della fondazione del mondo. Nei suoi Esercizi spirituali, Ignazio di Loyola, contemplando il mistero dell'incarnazione, muove proprio dalla decisione eterna della santissima Trinità di operare la salvezza del mondo.
Ancora una volta, gli snodi fondamentali della storia della salvezza ci allontanano da una prospettiva moralistica ma ci invitano ad alzare gli occhi al cielo per cogliere l'origine di un segno che, secondo le parole di Isaia ad Acaz, si è rivelato capace di unire «l'alto» al «profondo degli inferi» (Is 7,10). Tutta la creazione è stata raggiunta e abbracciata. Nulla è rimasto fuori.
La pentecoste che si rovescia nel grembo della Vergine è principio e sintesi delle altre che verranno a compiersi successivamente. Dio e l'uomo non sono più lontani. La creazione è riavvicinata. L'opera e la storia dell'uomo sono compiute.
L'eucaristia che celebriamo lo testimonia: secondo la dottrina dei padri, proprio nella sacra Scrittura e nel sacramento del corpo e sangue di Cristo vediamo ancora perpetuarsi e farsi attuale il mistero dell'incarnazione. Questa volta, il grembo che lo Spirito vuole raggiungere è il nostro: egli ci «apre l'orecchio», secondo l'espressione del salmo responsoriale. Appaga la nostra fame e sete di lui; assume il lavoro delle nostre mani - i frutti della terra - e l'espressione della nostra intelligenza - la parola nella sua dimensione scritta - perché Dio sia finalmente tutto in tutti.
Il «sì» eterno del Figlio interpella la nostra coscienza e la nostra libertà perché venga concesso un terzo assenso, il nostro, indispensabile non solo perché il Verbo possa farsi carne in tutte le situazioni che visitiamo nel nostro quotidiano, ma anche affinché l'ascolto della Parola e la comunione al corpo e sangue di Cristo non sia una finzione ma vero incontro. Il fiume di grazia che ha inondato la terra attende di diffondersi ancora in mille rigagnoli, per bagnare la terra tutta, perché ogni cuore divenga luogo di una personalissima e verace pentecoste.


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Vedi anche Commento alla Parola:
  di Enzo Bianchi


venerdì 20 marzo 2015

Lui ci attira a sé


5a domenica di Quaresima (B)
Geremia 31,31-34 • Sal 50 • Ebrei 5,7-9 • Giovanni 12,20-33
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Appunti per l'omelia

Alcuni Greci volevamo "vedere" Gesù.
«Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: "Signore, vogliamo vedere Gesù"». (Gv 12,20-21).
Il desiderio di una vita "piena" ci accompagna, ma non sempre riusciamo a comprenderlo e a manifestarlo. Altre volte abbiamo paura nel cercare risposte vere alle domande.
Questi Greci ci indicano il cammino da percorrere: vedere, che è conoscere in profondità chi è Gesù e capirlo nella novità del suo messaggio.
E noi, dove cerchiamo le risposte ai nostri desideri più profondi?

Filippo e Andrea andarono a dirlo a Gesù.
«Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù» (Gv 12,22)
Per incontrare Gesù, i greci passano attraverso la mediazione dei suoi discepoli. La testimonianza della comunità cristiana, a partire dalla famiglia, è necessaria per arrivare a Gesù.
La Chiesa non è prima di tutto istituzione, gerarchia, ma l'insieme dei discepoli: essa è "via" per incontrare Gesù. All'interno di essa sta la nostra testimonianza personale.
Così, la nostra Chiesa è via per incontrare Gesù? E noi siamo via per l'incontro con Gesù?

È giunta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato.
«Gesù rispose loro: "È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato".
"Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!". La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato". Disse Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori»
(Gv 12,23.27-30).
L'«ora» è il momento della Pasqua, morte e risurrezione di Gesù: il cuore del cristianesimo.
Un momento in cui anche Gesù è tentato di fuggire: L'anima mia è turbata.
Perché soffrire? Perché morire? Perché sentirsi abbandonato dal Padre?
Gesù ha condiviso tutto di noi, si è fatto con noi tenebra, malinconia, stanchezza, contrasto... tradimento, solitudine, senso di orfanezza... È l'Agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo.
L'«ora» è il momento cruciale della vita di Gesù, in cui è espresso il culmine dell'amore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Per questo nella "croce" si rivela il volto di Dio, la sua "gloria".

Se il chicco di grano … Chi ama la sua vita … Attirerò tutti a me …
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,24-26.32)
La vita che Gesù dona rinnova la "vita" delle persone e delle comunità. Porta a scoprire la legge fondamentale della vita: «Siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14).
La fraternità universale, la pace, l'unità che portiamo in cuore come desiderio profondo possono essere il frutto di un amore vissuto sulla via tracciata da Gesù: un amore che si dona.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vogliamo vedere Gesù (Gv 12,21)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (25/03/2012)
Se uno mi vuol servire, mi segua (Gv 12,26)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Se il chicco di grano… (23/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

giovedì 19 marzo 2015

Giuseppe, il viandante della fede


L'Editoriale del n. 3, marzo 2015, di Vita Pastorale, a cura di Paolo Antoci, è dedicato alla figura di san Giuseppe, «viandante della fede», un giovane «allegro di cuore, di mente e di viso», un «uomo della gioia», non «vecchio malinconico».
Ecco l'articolo che qui riporto.


«Che bello che i giovani siano "viandanti della fede", felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!» (EG 106). È una delle bellissime affermazioni di Papa Francesco scritte nell'Evangelii gaudium, trattando della pastorale giovanile. Una semplice frase che mi ha portato a pensare a san Giuseppe, al giovane carpentiere di Nazaret.
Al virile sposo di Maria ridiamo quell'età giusta che gli si addice; d'altronde la Sacra Scrittura non ci ha mai riportato un'età adulta del santo patriarca, né tanto meno un'età senile. San Bernardino da Siena, a tal proposito, definì "sciocchi" quei pittori che raffiguravano il nostro santo come: "vecchio malinconioso", in realtà egli «era tutto il contrario, allegro di cuore, di mente e di viso, veggendosi in tanta grazia di Dio». Infatti, come Dio ha scelto per incarnarsi una giovane vergine nella perfetta e fiorente femminilità, perché non avrebbe scelto uno sposo che incarnasse anche lui la verginità, nella perfetta e integra mascolinità?
«La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro comunione sponsale ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un'età avanzata ed a considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria. È il caso di supporre, invece, che egli non fosse allora un uomo anziano, ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere con affetto verginale la relazione sponsale con Maria» (Giovanni Paolo II, 21.8.96). Che bello, dunque, riavere un san Giuseppe giovane!

Guardiamolo anche come "viandante della fede" perché è stato lui, dopo Maria santissima, a portare Gesù in ogni strada e in ogni piazza. E continua ancora questo compito, cioè a portare il Figlio di Dio in ogni angolo della terra, in quanto egli è il Protector sanctae Ecclesiae, il custode e patrono della Chiesa.
Immaginiamolo quando teneva in braccio il divino infante percorrendo strade e piazze di Betlemme, di Nazaret e di Gerusalemme; immaginiamolo già trentenne mentre accompagnava con la mano il suo ragazzo adolescente; immaginiamolo ancora quarantenne o cinquantenne al lavoro a fianco del Figlio di Dio diventato ormai suo "garzone" di bottega. Di Gesù, infatti, viene detto: «Non è costui il carpentiere?» (Mc 6,3), «il figlio del carpentiere?» (Mt 13,55), «il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22). I concittadini conoscevano Gesù come discendente davidico, conoscevano la sua storia patriarcale e regale, proprio perché egli era «figlio di Giuseppe di Nazaret» (Gv 1,45; 6,42) e nel Nazareno hanno riconosciuto il Messia, il Salvatore, «colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti» (Gv 1,45).
Anche noi, oggi, possiamo ben dire che abbiamo conosciuto il Figlio di Dio per mezzo di san Giuseppe perché egli era il padre, non naturale ma neanche adottivo. «La crescita di Gesù in sapienza, in età e in grazia avvenne nell'ambito della santa famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di allevare, ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre» (RC 16). «Nei vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù.
Difatti, la salvezza, che passa attraverso l'umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare. Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere l'ordinatore della nascita del Signore, colui che ha l'incarico di provvedere all'inserimento ordinato del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta privata o nascosta di Gesù è affidata alla sua custodia» (RC 8).

Egli, dunque, è per noi tutti il giovane viandante della fede: «Egli è colui che è posto per primo da Dio sulla via della "peregrinazione della fede", sulla quale Maria andrà innanzi in modo perfetto» (RC 5). «La fede di Maria si incontra con la fede di Giuseppe. Se Elisabetta disse della madre del redentore: "Beata colei che ha creduto", si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Ciò che egli fece è purissima "obbedienza della fede". Si può dire che quello che Giuseppe fece lo unì in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accettò come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettato nell'Annunciazione» (RC 4). «La via propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della fede si concluderà prima. Tuttavia segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario» (RC 6). «Giuseppe, il quale sin dall'inizio accettò mediante "l'obbedienza della fede" la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all'uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità» (RC 21).

Guardiamolo anche come uomo della gioia. Un po' troppo ci soffermiamo normalmente sugli aspetti dolorosi della "via di fede" di san Giuseppe: premuroso di trovare un alloggio a Betlemme, impaurito nel fuggire in Egitto, preoccupato di tornare in Giudea, addolorato nel cercare suo figlio dodicenne rimasto a Gerusalemme. Eppure a questi aspetti sofferenti, la tradizione cristiana non ha mai trascurato di affiancare le allegrezze che il padre di Gesù ha vissuto nella sua "peregrinazione" terrena. Afferma infatti Papa Francesco all'inizio dell' Evangelii gaudium: «Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG 1).
È per questo che mi piace pensare al santo carpentiere non come un personaggio triste, silenzioso, malinconico, dormiente e distante, ma come colui che, nella sua giovane virilità, è stato felice perché era accanto a Gesù Cristo, fonte della nostra gioia e dunque non possiamo non immaginarlo come una persona gioiosa; gioiosa perché già beata, beata perché già uomo giusto (Mt 1, 19), cioè pio e santo.
È per questo che può essere di esempio e di aiuto per tutti noi. «Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie» (EG 6). Proprio come fece il santo patriarca.

La gioia della fede, la gioia del Vangelo, la gioia promessa dal Padre e realizzata nel Figlio, questa gioia san Giuseppe l'ha ricevuta in dono in una stalla a Betlemme, l'ha custodita nella sua casa a Nazaret, l'ha offerta nel Tempio a Gerusalemme, l'ha fatta conoscere al mondo in Egitto, la porta ogni giorno a ognuno di noi, a ogni persona che riesce ad accogliere in cuor suo il celebre invito: "Ite ad Joseph", "Andate da Giuseppe". Per tale motivo lo sposo di Maria è il nostro giovane viandante della fede!

domenica 15 marzo 2015

Dio, ricco di misericordia…


«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo; per grazia siete salvati» (Ef 2,4-5).

Il messaggio evangelico della misericordia è una costante della predicazione e dell'azione di papa Francesco.
Venerdì scorso, 13 marzo 2015, presso la basilica di San Pietro durante la Liturgia Penitenziale per la Riconciliazione, i fedeli hanno potuto gustare il dolce suono della parola "misericordia".
Al termine dell'omelia, papa Francesco ha indetto un Anno Santo (che partirà dalla prossima solennità dell'Immacolata Concezione, 8 dicembre 2015, e si concluderà il 20 novembre 2016, domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re).
«Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: "Siate misericordiosi come il Padre" (cfr Lc 6,36)».

Il perdono è il perno del messaggio evangelico. Il richiamo di Gesù - sottolinea il Papa - «spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona», ma a «guardare oltre, a puntare sul cuore» delle persone per «vedere di quanta generosità ognuno è capace».
La Chiesa - ha quindi ribadito papa Francesco - deve essere «la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta». E allora «più è grande il peccato e maggiore dev'essere l'amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono».
E «per rendere più evidente» la missione della Chiesa di «essere testimone della misericordia», il Papa ha deciso di indire questo Giubileo straordinario, che ha affidato alla Madre della Misericordia: «Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia perché siamo tutti peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ogni donna del nostro tempo».

Per vedere (servizio del Centro Televisivo Vaticano) una breve sintesi dell'omelia, clicca qui.

Per ascoltare l'annuncio dell'indizione del Giubileo, nel servizio di Adriana Masotti di Radio Vaticana, clicca qui.


venerdì 13 marzo 2015

Il "Giudizio" di Dio


4a domenica di Quaresima (B)
2Cronache 36,14-16.19-23 • Sal 136 • Efesini 2,4-10 • Giovanni 3,14-21
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Nicodemo, personaggio ragguardevole, è alla ricerca della luce e ha intuito che gliela può dare il giovane rabbi di Nazareth (cf Gv 3,14-21).
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto».
Gesù si rifà alla storia del suo popolo e la interpreta come un simbolo di quanto sta per accadere a lui. Guardare a Gesù innalzato significa "credere in lui", tenere gli occhi puntati sull'amore che egli ha manifestato. La croce è punto di riferimento di ogni sguardo del credente, che in essa vede sintetizzata la proposta di vita fatta dal Maestro.
Dall'alto della croce Gesù proclama che l'uomo riuscito secondo Dio è colui che si è reso volontariamente "schiavo" per amore, servo dei propri fratelli fino a consumare la vita per loro.
Oggi i serpenti che feriscono, che avvelenano l'esistenza e che spengono la vita, si chiamano orgoglio, invidie, risentimenti, passioni sregolate. Solo lo sguardo rivolto a colui che è stato innalzato può curare dal veleno di morte che essi iniettano nel cuore dell'uomo.
«Dio ha tanto amato il mondo…».
Il Padre non ha mandato Gesù per «giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». A differenza di Matteo, Giovanni afferma che il giudizio di Dio non viene pronunciato alla fine dei tempi, ma oggi. Di fronte a ogni scelta che l'uomo è chiamato a fare, il Padre indica cioè ciò che è conforme al bene e ciò che è conforme al male. Non si afferma che alla fine Dio rifiuterà per sempre chi ha sbagliato. Dio non scaccerà nessuno. Egli vuole che «tutti gli uomini siano salvati». È l'uomo che, con le sue scelte di fondo, accoglie o si autoesclude dal regno dei cieli.
Paolo giunge ad affermare: «Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 8,39).
Noi affermiamo nel Credo: «Di là verrà a giudicare…».
Che cos'è questo di là? Gesù risorto ha promesso ai discepoli di rimanere con loro «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
E qui sta la sorpresa: è dalla croce che egli giudica il mondo.
Rovesciando le prospettive e i valori del mondo, Gesù "giudica" le sconfitte una vittoria, il servizio un potere, la povertà una ricchezza, la perdita un guadagno, la morte una rinascita. È con Gesù crocifisso che siamo chiamati a confrontarci, perché lui solo dice la verità sulle scelte dell'uomo.
Non incute paura il giudizio del Crocifisso: costituisce, sì, la più severa condanna di ogni malvagità, ma da lui ogni persona si sente ripetere: «Io non sono venuto per condannare, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi fa la verità viene verso la luce (Gv 3,21)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (18/03/2012)
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio (Gv 3,16)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La gioia di sentirsi ed essere amati (16/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

giovedì 12 marzo 2015

Ero in carcere…


«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36).
Ogni volta che penso a questa frase del vangelo mi viene spontaneo accostarla all'altra dello stesso discorso di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato». Sì, perché molto spesso l'atteggiamento che si ha nei confronti dei malati è accompagnato da sentimenti di compassione e di compartecipazione della sofferenza altrui, mentre, in genere, nei confronti dei carcerati il primo pensiero è di giudizio per quello che la persona in carcere ha commesso. Gesù, invece, mettendo sullo stesso piano malati, affamati… e carcerati (nei quali Lui stesso si identifica!!!) indica l'atteggiamento del cuore che è pieno di carità, tenerezza e compassione.
Una diaconìa che è carità che sa prendere su di sé le sofferenze altrui, quale ne sia la causa.
Sono questi i sentimenti che mi vengono spontanei, pensando a papa Francesco che celebrerà il prossimo Giovedì Santo la Messa in "Coena Domini" nel carcere di Rebibbia, dove laverà i piedi a detenuti e detenute.

Riporto qui di seguito l'intervista rilasciata da don Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia, al microfono di Sergio Centofanti di Radio Vaticana.

Per ascoltare l'intervista clicca qui


R. – Siamo super-felici, perché il Papa ha accolto l'invito che gli ho rivolto incontrandoci in una Messa a Sana Marta, a settembre; ci aveva detto che nei limiti del possibile sarebbe venuto il Giovedì Santo. Il fatto che abbia mantenuto questa promessa ci fa molto, molto piacere: è una cosa bella. Ripeteremo l'esperienza di tre anni fa, con Papa Ratzinger, in un contesto diverso e con una persona diversa.

D. – Per i detenuti, cosa significa questa visita?

R. – Significa sicuramente un'attenzione importante della Chiesa di Roma in particolare alla loro condizione. Diciamo sempre che sono i più disgraziati; in questo caso, far vedere che sono figli di Dio amati dalla Chiesa e in particolare dal Papa, è per loro molto, molto importante. Tra l'altro, sarà la prima volta in cui celebreremo con uomini e donne detenute, quindi spostando le detenute del carcere femminile da noi: sarà una cosa molto bella.

D. – Che ricordo c'è della visita di Benedetto XVI?

R. – Un ricordo molto vivo, perché allora fu un dialogo di domande e risposte con il Papa, e lui si lasciò andare anche a confidenze personali e quindi fu una cosa veramente fraterna. In questo caso, la celebrazione sicuramente ha una solennità diversa ma il gesto della "Lavanda dei Piedi" ai detenuti e alle detenute, sarà il momento davvero non solo liturgicamente determinante, ma sarà il momento anche emotivamente molto bello.

D. – Qual è la situazione, oggi, di Rebibbia?

R. – Una situazione con un po' meno sovraffollamento, ma le persone che ci stanno hanno sempre le problematiche di prima, perché purtroppo sul carcere – a parte qualche provvedimento deflattivo sui numeri - non è successo niente di nuovo.

D. – Quali sono le sue attese?

R. – Questa è una visita strettamente pastorale. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci faccia sentire parte della società, che ci faccia sentire cristiani di una Chiesa più ampia e non segregati. Questo il Papa lo farà e questo noi desideriamo.

D. – Che cosa chiede ai politici?

R. – Noi chiediamo davvero che il carcere non sia semplicemente la punizione e la vendetta della società rispetto a chi commette dei reati, a chi delinque; ma il carcere chiederemmo che fosse – come dice la Costituzione – un luogo di recupero, un luogo di ri-socializzazione, un luogo dove si possa anche mettere qualche base per tornare a vivere – meglio! – quando si esce.

martedì 10 marzo 2015

Gesù, il centro gioioso dell'annuncio del Vangelo


Nella mia quotidiana azione pastorale nella "periferia" di una parrocchia dove il vescovo mi ha mandato, ho pensato molto a quanto papa Francesco ha detto, nei giorni scorsi, nelle rispettive udienze al Cammino Neocatecumenale ed al Movimento di Comunione e Liberazione. Mi sono state di sprone per un servizio che mi fa guardare oltre le mie azioni e la mia persona per rendermi conto che, annunciare con gioia il Vangelo di Gesù, è servire concretamente il prossimo, facendomi carico di ogni sua sofferenza e gioia.

«Prima ancora che con la parola - dice il papa ai membri convenuti per la missio ad gentes del Cammino Neocatecumenale - , è con la vostra testimonianza di vita che manifestate il cuore della rivelazione di Cristo: che Dio ama l'uomo fino a consegnarsi alla morte per lui e che è stato risuscitato dal Padre per darci la grazia di donare la nostra vita agli altri. Di questo grande messaggio il mondo di oggi ha estremo bisogno. Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie dell'Europa e dell'America e in tante città dell'Asia! Quanto bisogno ha l'uomo di oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama e che l'amore è possibile!».
È sempre presente la tentazione di ridurre l'azione pastorale ad «una semplice conservazione», mentre il papa ci sprona continuamente ad "uscire": «In diverse occasioni ho insistito sulla necessità che la Chiesa ha di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Quante volte, nella Chiesa, abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire… Quante volte! Questa è la cosa più importante da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa».

Allora è essenziale tenere lo sguardo fisso su Gesù, in un rapporto continuo e rinnovato con Lui. Dice il papa al Movimento di Comunione e Liberazione: «Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest'Uomo, il falegname di Nazaret, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. (…) E non si può capire questa dinamica dell'incontro che suscita lo stupore e l'adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell'incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. (…)
Il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere "decentrati": al centro c'è solo il Signore!».

sabato 7 marzo 2015

Gesù, nuovo "tempio" per l'uomo di oggi


3a domenica di Quaresima (B)
Esodo 20,1-17•• Sal 18 • 1Corinzi 1,22-25 • Giovanni 2,13-25
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il vangelo afferma che Gesù risorto è il "nuovo tempio". Ci possono aiutare a comprenderlo le parole di Paolo nella seconda lettura: il Risorto è colui che è passato per la via della croce.
Al tempo dei Romani, la crocifissione implicava non solo torture, ma vergogna, fallimento personale, esclusione dalla società. Gesù vive nel suo cammino un crescendo di abbandoni:
* i discepoli dormono, poi fuggono;
* il popolo prima lo acclama, poi lo schernisce;
* i malfattori si aggiungono al coro;
* il cosmo stesso: "si fece buio su tutta la terra".
Con la sua passione, Gesù attraversa e fa proprio tutto il dramma dell'uomo: l'angoscia, il buio, fino al silenzio di Dio, l' "abbandono".
Eppure, dentro questa storia ce n'è un'altra: il rapporto che lega Gesù al Padre. Tutta la vita di Gesù è obbedienza al Padre, anche all'inizio della passione: «Abbà, non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Prega ancora Dio come l'unico dal quale può ricevere una risposta: «Dio mio, Dio mio…» (Mc 15,34). E a lui si abbandona: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Proprio nel momento più doloroso della sua vita, Gesù manifesta chi è: il "figlio".
In questa luce comprendiamo il comportamento di Gesù: «non fate della casa del Padre mio un mercato!». Il nuovo culto è «offrire la vostra esistenza come sacrificio a Dio gradito» (Rm 12,1); «non dimenticatevi della beneficenza e di condividere i vostri beni con gli altri, perché di tali sacrifici si compiace il Signore» (Eb 13,16); «religione pura è visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni» (Gc 1,27).
Il "sacrificio" gradito al Padre è il dono della vita, sono le opere di amore, il servizio generoso prestato al fratello, specialmente il più povero, l'emarginato, colui che ha fame, che è nudo. Chi si china davanti al fratello per servirlo, compie un gesto sacerdotale. Unito a Gesù "tempio di Dio", fa salire al cielo il "profumo soave di un'offerta pura e santa".
Che senso hanno, allora, le solenni liturgie, le processioni, i pellegrinaggi, le preghiere comunitarie, le pratiche devozionali? Sono segni, in particolare i sacramenti, attraverso i quali il Padre ci comunica il suo Spirito e noi gli manifestiamo la gratitudine per questo dono (cfr. preghiera eucaristica: "per la comunione al corpo e al sangue del Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo").
L'errore è ritenere che l'esecuzione dei riti basti da solo a stabilire un buon rapporto col Padre e che la partecipazione a solenni celebrazioni possa sostituire le opere concrete d'amore.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2,21)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (11/03/2012)
Molti credettero nel suo nome (Gv 2,23)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Il nuovo tempio (9/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


venerdì 6 marzo 2015

Il Diaconato in Italia



Il diaconato in Italia n° 188/189
(settembre/dicembre 2014)

Donna e famiglia diaconale
e sfide per l'evangelizzazione






ARTICOLI
Evangelizzare le famiglie compito diaconale (Giuseppe Bellia)
Uomo e donna, immagine e linguaggi (Maria Rao)
Donna e famiglia diaconale (Omelia Di Simone)
Donne senza famiglia (Manuela Latini)
Modelli antichi e novità del Vangelo (Rita Torti)
Essere e non essere (Anna e Giorgio Agagliati)
Con occhi, cuori e mani di donne (Giuliana Martirani)
La diaconia del genio femminile (Gaetano Marino)
Dalla vita di preghiera alla diaconia nella famiglia e nella società (Enzo Petrolino)
Esperienza di comunità (Cecilia e Emanuele Berti)
La missione della donna (Francesco Giglio)
Riflessioni di una famiglia diaconale (Stefano e Beatrice Cigna)
Cosa dicono le spose dei diaconi? (Montserrat Martìnez)
Sulla Instrumentum laboris (Paolo Giusto)
Profezia e famiglia (Anna Rosaria Gioeni)
Chiara Lubich, vocazione di una donna alla santità (Francois-Marie Léthel)

TESTIMONIANZE
A Cuba una chiesa diaconale (Enzo Petrolino)
Cara Franca (Vincenzo Testa)
Servizio fecondo (Andrea Spinelli)
Abbandono ed esilio (Piero Garella)
Un diacono esigente (Comunità diaconale di Brescia)

RIQUADRI
Matrimoni e convivenze
Sulla collaborazione dell'uomo e della donna (Congregazione per la dottrina della fede)
Papa Francesco agli sposi
La metafora del riso (L. Menapace)
Figlio dell'Uomo (E. Granziera)
A tutte le famiglie
Sinodo di umiltà (M. Gentilini)
I diaconi annunciatori del vangelo.


(Vai ai testi…)