Questo Blog continua nella nuova versione
venuto per servire
(clicca qui per entrare)


sabato 28 febbraio 2015

Nell'ascolto ci si scopre "figli" e "fratelli"


2a domenica di Quaresima (B)
Genesi 22,1-2.9-13.15-18 • Sal 115 • Romani 8,31-34 • Marco 9,2-10
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

«Questi è il Figlio mio, l'amato»: è la seconda e ultima volta che il Padre parla. Dopo la trasfigurazione, il Padre non dirà più nulla. Ma nella morte e risurrezione Gesù si rivela la Parola in cui il Padre si esprime, rivelando definitivamente il suo disegno sull'umanità. Per questo dice: «Ascoltatelo!».
A differenza degli altri evangelisti, Marco non racconta le apparizioni del Risorto, eppure tutto il suo vangelo va riletto alla luce della morte e risurrezione di Gesù. L'invito a «non raccontare ad alcuno» può essere letto in questa luce.
Non è facile comprendere perché la via di Gesù passi attraverso la croce. Non è facile comprendere che anche nel dolore, nella sofferenza, nel peccato, nelle fatiche, nella fragilità umana si compia il progetto del Padre. La trasfigurazione diventa una specie di "verifica".
Collocata al centro della vita di Gesù, la trasfigurazione è figura di quella risurrezione che la sua Parola opera nel cuore della vita e della storia, che ha il suo inizio nell'ascolto, si compie nel battesimo, si alimenta nell'eucaristia e si completa nella visione del suo volto. La trasfigurazione diventa così la rivelazione della verità di Dio sull'uomo, che si compie nel mistero pasquale («Veramente quest'uomo era Figlio di Dio», esclamerà un pagano sotto la croce: Mc 15, 39).
Ascoltare significa, allora, seguire Gesù e sperimentare che la sua Parola ci libera dal male, dalla febbre, dalla lebbra, dalla paralisi e ci ridà la mano per toccarlo, per accogliere la sua vita, per ricevere il suo pane che ci apre occhi e orecchi per riconoscerlo (Mc 1, 21-8, 29). Soprattutto ci libera dal male più grande: dal sentire Dio "antagonista" del nostro bene e ritrovarlo Padre, riscoprendo il nostro rapporto di figliolanza innestato in quello di Gesù, il "figlio amato"!
L'ascolto non è solo un fatto conoscitivo (bei discorsi, belle idee, belle ideologie), ma è anzitutto mettere in pratica. Si trasforma così in un'esistenza pasquale, dove si passa dall'egoismo all'amore, dalla tristezza alla gioia, dall'inquietudine alla pace, dall'impazienza alla pazienza, dalla malevolenza alla benevolenza, dall'infedeltà alla fedeltà, dalla durezza di cuore alla mitezza, dalla balìa delle passioni alla padronanza di sé, dallo sparlare al "bene-dire", dire bene.
Qui dentro si può trovare in germe la realizzazione del "sarete come Dio" (cf Gen 3,15), suggerito dal demonio, ma realizzato solo nell'ascolto del Figlio.
Allora possiamo veramente chiederci: come viviamo i momenti di buio, di fatica, di morte? E davanti alle difficoltà come reagiamo? E quanto ascoltiamo e viviamo la Parola e come la testimoniamo?



-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Rabbì, è bello per noi essere qui (Mc 9,5)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (4/03/2012)
Fu trasfigurato davanti a loro (Mt 9,2)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Il dolore trasformato in amore (2/03/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


venerdì 20 febbraio 2015

Convertirsi, guardare nella direzione del Vangelo


1a domenica di Quaresima (B)
Genesi 9,8-15 • Sal 24 • 1Pietro 3,18-22 • Marco 1,12-15
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Tradizionalmente la prima domenica di Quaresima ci pone in contatto con Gesù che nel deserto subisce l'assalto del diavolo, ma non soccombe, riporta vittoria su di lui e sulle sue suggestioni. Quest'anno ascoltiamo il racconto di Marco, che è molto più breve rispetto alle narrazioni di Matteo e di Luca.
Ritirandosi nel deserto, Gesù fa un'esperienza autenticamente biblica. Pensiamo ai quarant'anni trascorsi nel deserto dal popolo di Israele, o all'esperienza del profeta Elia, che attraversa il deserto, sostenuto da un misterioso cibo donatogli da Dio, per arrivare al monte Oreb (Sinai).
Gesù fa anche l'esperienza più autenticamente umana dell'uomo sotto ogni latitudine: per maturare le scelte e l'impostazione della propria vita, è necessario il silenzio, la solitudine. Una solitudine, però, riempita dalla presenza di Dio, vissuta nel dialogo con Lui.
Si direbbe che molti, anche cristiani praticanti, nel ritmo spesso frenetico e vorticoso del nostro tempo, hanno paura di fermarsi a riflettere: forse temono di spaventarsi di fronte al profondo vuoto interiore; non se la sentono di rimettere in questione tante scelte di comodo; non se la sentono di buttare giù una certa maschera dal loro volto. E così si continua a giocare e a scommettere su tante cose secondarie, magari anche banali o negative, e non ci si decide mai a scegliere l'essenziale. Occorre la sapienza e il coraggio di "ritirarsi nel deserto". E ciò è possibile anche nel frastuono della città.
Proprio per questo, il deserto è pure il luogo della tentazione. Per Israele il tempo del deserto era stato il tempo del primo amore e del fidanzamento col Signore, ma anche il tempo dei grandi tradimenti, dei gravi peccati del popolo.
Anche Gesù nel deserto, dove si è ritirato per prepararsi alla missione, è raggiunto dalla tentazione di Satana. Marco – diversamente da Matteo e Luca – nota che la tentazione è un fatto permanente, che accompagna Gesù durante tutto il soggiorno nel deserto.
Marco non rivela il contenuto della tentazione, come faranno invece Matteo e Luca. Ma lungo tutto il Vangelo di Marco vediamo Gesù continuamente impegnato a correggere nei discepoli e nella folla quella falsa concezione secondo cui la salvezza viene da un messianismo facile e trionfalistico e non esclusivamente dall'amore che si abbandona a Dio e si fa servizio fino al dono di sé.
La tentazione che Gesù sente forte, quando prepara il suo piano d'azione, è proprio quella di operare la salvezza attraverso la via del potere e del successo. Un progetto agli antipodi del progetto di Dio: salvare gli uomini col servizio disarmato e apparentemente impotente di chi ama fino a donare se stesso. Questa tentazione si ripresenterà puntualmente a Gesù in ogni tappa del suo ministero e assumerà una violenza inaudita nell'ora della croce. La tentazione prende le forme più diverse e cerca di separare Gesù dal Padre, boicottando il disegno di Dio.
Perseverando nella sua scelta controcorrente, rimanendo fedele al Padre e al suo progetto fino in fondo, Gesù ribalta la tentazione, alla quale aveva ceduto Israele nel deserto e, prima ancora, l'umanità ai suoi inizi.
A tale vittoria di Gesù sembra alludere Marco notando che "gli angeli lo servivano" (nel senso soprattutto che lo proteggevano contro gli assalti del Maligno: cfr. Sal 91, 11-13).
Non possiamo pretendere che ci sia risparmiata la prova. Ma possiamo affrontarla guardando a Gesù! Egli ci insegna a pregare il Padre "non ci indurre in tentazione", fa' che non soccombiamo alla tentazione di tradirti, di perdere la fiducia in te. In definitiva è su questa che il tentatore cerca di insidiare, portando un figlio di Dio a non guardare a Dio come Padre, a vedere la propria vita in Lui.

In questo senso Gesù ci annuncia che "Il tempo è compiuto", che c'è Qualcuno che ha cuore la nostra vita, la nostra felicità: "Il Regno di Dio – Dio stesso – è vicino".
Convertirsi (con-vertere = guardare verso) non è prima di tutto guardare ai nostri peccati, ma a Colui che ci dà la notizia più bella per la nostra esistenza: "Convertitevi e credete al Vangelo".
Restituire a Dio il primo posto nella vita vuol dire lasciarsi affascinare dalla "buona notizia" del Regno, l'amore del Padre che si dona in Gesù.
Nessuno, qualunque sia la sua situazione e il suo stato d'animo, vuol perdere l'appuntamento con la felicità.
Come non provare il desiderio di "ricominciare", nella novità del cuore e delle opere, in questo tempo che è vera "primavera dello Spirito", in cui "tutto rifiorisce ... e noi, resi sempre più nuovi dal perdono del Signore, possiamo cantare un canto nuovo"? (da un inno quaresimale).




-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto (Mc 1,12)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (26/02/2012)
Convertitevi e credete nel Vangelo (Mt 4,4)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Credere nel Vangelo, la novità di Dio! (24/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 18 febbraio 2015

In cammino verso la Pasqua


In questa Quaresima, appena iniziata, mi sono giunte meditazioni quotidiane ispirate alla liturgia di ogni giorno, che vorrei condividere con i lettori di questo blog.
Sono di fr. Tarcisio Luigi Colombotti OFM. Abbiamo condiviso, tempo fa, un bel perido di collaborazione pastorale nella parrochia dove eravamo impegnati.
Riporto qui, oggi, primo giorno di Quaresima, l'Introduzione e la meditazione del Mercoledì delle Ceneri, mentre riporterò le altre nel mio sito di testi e documenti, con un riferimento nei riquadri di questo blog.

"Un modesto aiuto per arrivare alla Pasqua meno distratti" ha scritto fr. Tarcisio.




INTRODUZIONE

La Quaresima si presenta alla Comunità cristiana come una "scuola vitale" di formazione nello Spirito e cioè: annuncio di salvezza e salvezza attuale-presente e quindi coinvolgente nell'oggi della Chiesa celebrante. Il progetto formativo ha due fondamenti: l'Eucaristia e la Liturgia delle Ore. L'una e l'altra però trovano il loro perno gravitazionale nelle pericopi evangeliche di ogni giorno: così le Domeniche danno le grandi tappe del cammino e le ferie i passi quotidiani che costruiscono gradualmente nei discepoli, la statura di Cristo.
La salita verso la Pasqua allora si manifesta come un cammino che inizia da una chiamata-decisione di conversione e si sviluppa alla scuola della pedagogia liturgica intenzionata a formare nel cristiano l'autentica conformità a Cristo.
Camminando al passo della liturgia ogni giorno presento una meditazione sostando prevalentemente su alcuni passi dell'Ufficio delle letture e della liturgia della parola della messa del giorno. Il confronto quotidiano con la Parola ci aiuterà a rinnovarci nello Spirito per una celebrazione pasquale in novità di spirito.

NB. – All'interno di ogni meditazione non metto nessun riferimento di citazioni bibliche o patristiche al fine di non appesantire il testo stesso. Si possono trovare o nelle letture della messa del giorno o nell'Ufficio delle letture.


MERCOLEDÌ DELLE CENERI

La Santa Quaresima è un laborioso cammino verso la Pasqua: Protesi alla gioia pasquale, sulle orme di Cristo Signore, seguiamo l'austero cammino della santa Quaresima. E camminiamo tenendo gli occhi fissi sul Christus passus, sull'uomo dei dolori. Scrive san Clemente romano: "Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza".
Il Cristo crocifisso è l'icona che la liturgia propone alla nostra venerazione con il primo Invitatorio: Venite adoriamo Cristo Signore: per noi ha sofferto tentazione e morte. San Francesco chiamandolo l'Amore non amato coglie tutta la profondità della crocifissione, il segno più alto dell'amore di Dio verso l'uomo. Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine, fino al culmine di dare la vita. Non c'è amore più grande di Colui che da la vita per…! Davanti a questa drammatica e sconvolgente icona la liturgia, nel secondo Invitatorio ci dice di aprirci all'ascolto: Ascoltate, oggi, la voce del Signore: non indurite il vostro cuore. Si può resistere alla voce dell'Amato? Per seguirlo occorre cambiare rotta, direzione, occorre una virata forte che avviene solo con la conversione del cuore. Ed ecco il grido del profeta: Convertitevi, e fate penitenza, fatevi nuovi nel cuore e nello spirito. Il fascino di questo richiamo impregnato d'amore diventa irresistibile e fa cantare alla chiesa in preghiera: Il mio cuore è pronto per te, per te, mio Dio. E subito l'orante si sente avvolto come in un manto di salvezza e di giustizia e, tutto trasformato in creatura santa, la sua vita diventa un canto di lode al Signore in un cammino di rinnovata fedeltà ai suoi comandamenti. La gioia di questa trasformazione, opera della grazia, è immensa perché la Chiesa orante si riscopre un popolo consacrato al Signore, scelto per essere privilegiato fra tutti i popoli, riscattato dall'Egitto e che Dio ama con fedeltà indefettibile.
Consapevoli di essere oggetto di tanta predilezione viviamo nella gioia anche durante il tempo della penitenza e quando digiuniamo non ci mostriamo tristi, come gli ipocriti. Il nostro Dio è il Vivente, Colui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.
Siamo solo al primo giorno del grande tempo della conversione e della penitenza: lo vogliamo vivere attendendo alla salvezza con timore e tremore per essere irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati per splendere come astri nel mondo ed essere testimoni visibili del vangelo della gioia, attenti ai poveri senza che la sinistra sappia quel che fa la destra, felici solo di essere visti e benedetti dal Padre. In questo sta la nostra beatitudine.
Preghiamo. Concedi, Signore, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per Cristo Signore nostro.


lunedì 16 febbraio 2015

Il colore della mia città


Un articolo del periodico Città Nuova (n. 1/2 2015), di Tanino Minuta (amico che seguo nelle sue pubblicazioni e con vero piacere nel suo blog In... visibile), mi ha fatto riflettere sul modo di rapportarmi con le persone che quotidianamente incontro al supermercato e fuori della porta della chiesa che chiedono l'elemosina o cercano di vendermi qualcosa.
Ecco l'articolo:

Il colore della mia città
Qualunque sia la provenienza di chi ti capita d'incontrare per strada, il rispetto reciproco è una condizione immutabile.


«Nel piccolo centro del Lazio, dove vivo, incontro ogni giorno giovani di Paesi non europei che vendono borse "firmate", cd, calzini, cinture... Cercano di succhiare linfa dalla nostra "opulenza". Un giorno mi ha stupito un ragazzo dall'aria indiana che invece di vendere rose distribuiva dépliant di propaganda. Stava mettendo in ogni cassetta postale la sua pubblicità. Proveniva dal Bangladesh e lavorava per far venire in Italia altri fratelli. Questi del Bangladesh sono miti. Non impongono la loro merce, non sono falsi. Un altro, proveniente dall'Africa, s'era messo a raccontarmi di una figlioletta gravemente malata e bisognosa di cure urgenti. Vendeva calzini apparentemente buoni. Ne ho preso un pacco di tre paia. L'ho rivisto qualche giorno dopo. Stavolta diceva di non essere sposato: aveva dimenticato il copione che gli era stato necessario precedentemente. Ho risposto all'africano che i calzini erano tutti di misure diverse e difettosi: «Vedi, tu mi hai imbrogliato e io ho fatto girare la notizia tra quelli che conosco di non comprare nulla da te. Se tu fossi stato sincero, ti avrei aiutato...». Lui è scoppiato a piangere. Stavolta ferito nel suo orgoglio e anche perché, mentre gli parlavo, dei conoscenti si erano fermati ad ascoltare e a sostenermi. «Povera gente! - commentava un conoscente che aveva assistito alla scena - Ma non meno poveracci di quelli che ti imbrogliano sulla carne, su chi ruba sul cemento, su chi guadagna da un'impresa pubblica, su chi ti vende fiori che non durano».
A proposito di fiori, ricordo un fatto che m'era successo quando abitavo a Budapest. Una vecchietta all'uscita della metropolitana vendeva fiori. C'era la neve ed era già tarda sera. Vedendola intirizzita dal freddo, le ho detto che le avrei comprato tutti i fiori che aveva, così avrebbe potuto andare a casa. Saranno stati cinque-sei mazzetti di crisantemi. Al momento di chiedermi i soldi, mi sono accorto che lo aveva moltiplicato non per sei ma per dieci. Credevo di non aver capito bene. Lei mi ha ripetuto il prezzo. Avrei voluto aiutarla (anche perché quei fiori li avrei buttati), ma lei non ha capito il gesto e voleva per di più sfruttare la situazione. Con tanto dispiacere le ho dovuto dire che non avevo più bisogno di quei fiori. Al che ha cominciato a imprecare piena di rabbia. Mi sono allontanato amareggiato.
Strada facendo, m'è venuta in mente la parabola del Vangelo che racconta dell'invito alla festa. Siccome i veri invitati avevano delle scuse per non partecipare, sono stati chiamati tanti altri dalle strade. Fin allora non avevo capito come mai quelli che avevano fatto il favore di partecipare, ma non avevano il vestito della festa, fossero stati cacciati via. Quella sera la vecchietta, che preferiva morire di freddo pur di non desistere dalla sua avidità, mi ha fatto capire qual era "il vestito". Se un amore gratuito ti investe, devi saper rispondere con la stessa gratuità. Se non conosci questa legge, non è sorprendente che tu venga scartato».

sabato 14 febbraio 2015

Una parola "antica" capace di incantare


6a domenica del Tempo ordinario (B)
Levitico 13,1-2.45-46 • Sal 31 • 1Corinzi 10,31-11,1 • Marco 1,40-45
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il brano di Vangelo odierno (cf Mc 1,40-45), come già altre volte, presenta un'apparente contraddizione: da una parte, Gesù guarisce il lebbroso e gli ordina di presentarsi al sacerdote in testimonianza della guarigione avvenuta, dall'altra, gli proibisce di parlare dell'accaduto con qualsiasi altra persona.
Gesù afferma di essere venuto per "predicare" e va in cerca delle persone per annunciare loro il regno di Dio, eppure sfugge all'assalto delle folle ritirandosi in luoghi deserti (Mc 1,45).
Perché tutto questo? Egli compie segni che lo rivelano Messia e contemporaneamente vorrebbe nasconderlo; cerca la gente e contemporaneamente se ne separa. E non solo prende le distanze dalle folle, ma anche dai discepoli stessi: «Tutti ti cercano» gli dicono i discepoli, ed egli ribatte: «Andiamocene altrove, perché io predichi anche là» (cf Mc 1,37-38).
Abbiamo già notato che sia il suo modo di insegnare che quello di operare ha qualcosa di sorprendente che fa esclamare alle persone: «Che cos'è mai questo?» (Mc 1,27).
Anche nel brano di oggi l'evangelista mette in evidenzia come Gesù guarisca unicamente con la forza della sua parola: «Lo voglio, guarisci!» e ciò che lo muove non è la voglia di stupire o di convincere gli avversari, ma è la logica della compassione: «Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò...».
C'è un altro elemento di novità notevole: Gesù sembra prendere le distanze dall'Antico Testamento stesso. Per l'A.T. il lebbroso era un "impuro", un colpito da Dio e diventava causa di impurità per chiunque lo accostasse: per questo era un intoccabile e doveva essere messo al bando dal convivere sociale. Il libro del Levitico (cf Lv 13,1-2.45-46), ad esempio, scrive: «Il lebbroso porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: "Impuro! Impuro!" Sarà impuro finché durerà in lui il male; e impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dal'accampamento». Per questo Gesù invia il lebbroso dal sacerdote, perché l'uomo sia reintegrato nel convivere civile.
Ma il modo con cui la guarigione è avvenuta ha qualcosa di radicalmente nuovo: Gesù non soltanto guarisce con l'energia della sua parola, ma con un gesto inusuale e proibito: toccando un intoccabile. Il regno di Dio, che si annuncia in Gesù, è una realtà di vita in cui cadono anche le barriere del puro e impuro.
È per questo che i miracoli vanno letti non come gesti strabilianti, ma come delle "parole speciali", attraverso le quali Gesù annuncia e porta la novità del regno di Dio.
È una "novità" in continuo pericolo di fraintendimento: Gesù non vuole prima di tutto mettere in evidenza se stesso, ma il rapporto tra la persona e Dio, il Padre. Un rapporto in cui non si catturi Dio per i propri interessi o lo si pieghi al proprio modo di vedere le cose, ma in cui la fiducia nel Padre diventi il fondamento di sicurezza della propria esistenza: io voglio bene a Dio non per quello che mi dà, ma per quello che è, sapendo che proprio in Lui c'è già un "disegno" di vita che supera le mie aspettative stesse.
La novità portata da Gesù non è una pura novità cronologica, nel senso di qualcosa non detto mai prima o di non sentito da altre parti; è invece una novità qualitativa, qualcosa che rigenera, rinnova e ringiovanisce. Ed è per questo che il Vangelo è sempre "vecchio", da una parte, perché è sempre lo stesso, eppure fa sentire "vecchio" te, ti spinge a rigenerarti e purificarti: lo ascoltiamo sempre da capo e non finisce mai di stupirci e di incantarci.
Ma proprio per questo occorre cercare nel Vangelo quello che il Vangelo vuole dare, non quello che vorremmo noi: occorre lasciarci conquistare da Gesù, non dai suoi "miracoli".
Tutto questo non ci impedisce di chiedere: il lebbroso chiede a Gesù «Se vuoi, puoi purificarmi!». È una preghiera che nasce non dalla pretesa di accaparrare il favore di Gesù, ma dalla fiducia interiore che la propria situazione sia già conosciuta e stia già a cuore a lui: «Lo voglio, sii purificato!».
Non per nulla Gesù ci invita a chiedere con la certezza che non dobbiamo rendere edotto Dio di ciò di cui abbiamo bisogno.
«Qualunque cosa chiedete, abbiate fede di averla già ottenuta», con la consapevolezza interiore che la risposta di Dio è sempre, in fondo, ciò che corrisponde alle nostre attese più profonde.




-------------
Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Lo voglio, sii purificato! (Mc 1,41)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (12/02/2012)
Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La compassione di Dio (10/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2015)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

mercoledì 11 febbraio 2015

Vita sempre sacra, anche se fragile


Giornata del Malato.
Papa Francesco: vita sempre sacra, anche se fragile


Al termine dell'udienza generale, nell'odierna 23.ma Giornata Mondiale del Malato, Papa Francesco ha rivolto un pensiero ai malati, affidandoli alla Beata Vergine di Lourdes di cui ricorre oggi la memoria. Nel messaggio per la ricorrenza, il Pontefice sottolinea l'importanza della "sapienza del cuore" per servire il fratello che soffre.


Riporto il servizio di Alessandro Gisotti di Radio Vaticana.

Per ascoltare il servizio clicca qui.

Accanto a chi soffre, sperando contro ogni speranza. A conclusione dell'udienza generale, Francesco saluta i membri delle Associazioni genitori oncologia pediatrica. Alza lo sguardo il Papa come a cercare, tra i pellegrini in Piazza San Pietro, quelle mamme e quei papà che vivono una prova che toglie il respiro: una figlia, un figlio malati di tumore. A loro, come alle piccole degenti delle suore di San Giuseppe e ai volontari dell'Unitalsi, il Pontefice rivolge parole di incoraggiamento. E invita tutti a crescere "nell'amore per il Signore, nella sapienza del cuore e nel servizio generoso al prossimo sofferente nel corpo e nello spirito".

Occhi per il cieco e piedi per lo storpio

Le parole assumono un significato particolare perché vengono pronunciate nella 23.ma Giornata Mondiale del Malato, voluta da San Giovanni Paolo II sotto la protezione della Beata Vergine Maria di Lourdes che, proprio oggi, si festeggia con particolare devozione da parte degli ammalati:

"Cari giovani, disponetevi ad essere 'occhi per il cieco e piedi per lo storpio'; cari ammalati, sentitevi sempre sostenuti dalla preghiera della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, amate la vita che è sempre sacra, anche quando è segnata dalla fragilità e dalla malattia".

Il tempo accanto al malato è santo

L'espressione utilizzata dal Papa "occhi per il cieco e piedi per lo storpio", tratta dal Libro di Giobbe, è al centro anche del Messaggio per la Giornata che Francesco ha dedicato alla "sapienza del cuore" che ci spinge a servire il fratello, nella consapevolezza che "il tempo passato accanto al malato è un tempo santo". Nel documento, il Papa ribadisce inoltre che è una "menzogna" indurre a credere che le vite gravemente malate "non sarebbero degne di essere vissute". Anzi, Francesco evidenzia che "le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore", "possono diventare testimoni viventi" della fede.
(Da Radio Vaticana)



sabato 7 febbraio 2015

Il dono più grande: il Vangelo


5a domenica del Tempo ordinario (B)
Giobbe 7,1-4.6-7 • Sal 146 • 1 Corinzi 9,16-19.22-23 • Marco 1,29-39
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia
C'è un'apparente contraddizione nel brano di Vangelo odierno: Gesù, da una parte, compie miracoli e guarigioni e, dall'altra, quando i discepoli vengono a prenderlo per riportarlo tra la folla, risponde: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38).
Gesù concentra la sua missione nel "predicare", nell'annunciare il regno di Dio, come abbiamo sentito due domeniche fa: «Il regno di Dio è vicino... credete al Vangelo» (Mc 1,15).
In questa logica che senso hanno allora i miracoli? E perché Gesù prende le distanze da chi lo cerca per i miracoli?
È sorprendente per la folla il "modo" con cui Gesù predica: «insegnava loro come uno che ha autorità» (Mc 1,22), così è sbalorditivo anche il "modo" con cui compie i miracoli: «comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (Mc 1,27). Gesù, nel guarire o nel cacciare i demoni, non fa uso di esorcismi lunghi, strani, pieni di formule e gesti magici, ma si impone semplicemente con la sua parola, il suo comando. Ed è per questo che la folla si meraviglia.
Anche nel brano di oggi (cf Mc 1,29-39) si parla della guarigione della suocera di Pietro: il Vangelo dice con tutta semplicità: «Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano». Il verbo greco andrebbe tradotto letteralmente "la sollevò" ed evoca, nel linguaggio evangelico, la risurrezione di Gesù e la vita nuova che dona il Battesimo. Il racconto della guarigione termina dicendo che «ella li serviva». È questa la vera risurrezione, l'autentica guarigione che Gesù vuole operare: renderci come Lui, che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» fino al punto di dare la sua vita (cf Mc 10,45). Ed è per questo che la rivelazione più profonda di chi è Gesù e di chi è Dio avviene sulla croce, che è il culmine non tanto del dolore, ma dell'amore.
I miracoli vanno letti in questa luce: non sono tanto dei gesti compiuti per stupire o per convincere, e nemmeno dei puri segni di attenzione a chi ne ha bisogno, ma sono delle "parole" speciali, non verbali, con cui Gesù comunica se stesso e il messaggio di vita che egli porta.
Rientrano nella logica del far scoprire il Regno di Dio, un regno che passa per strade diverse da quelle che sovente gli uomini si attendono: non eliminano perciò la logica della fede, ma la richiedono. E la logica della fede è una logica d'amore: non è su ragionamenti, su dimostrazioni, su dottrine o norme che si concentra la fede, ma sulla persona di Gesù. Lui si fa conoscere a chi lo ama, a chi vive la sua parola.
I miracoli, stranamente, anticipano quanto avverrà al momento della croce: Gesù non si è autoescluso da questo momento, ma ci ha fatto vedere che c'è qualcosa più forte del dolore e della morte stessa, che è l'amore del Padre. Il miracolo diventa segno di questa vittoria di Dio presente là dove l'amore è vissuto in pienezza come l'ha vissuto Gesù. La logica della croce non è eliminabile, perché non si può eliminare la logica dell'amore, che richiede sempre, in ogni circostanza, il superamento dell'egoismo e dell'individualismo per mettersi nella strada del servizio e della gratuità.
Il miracolo, in questo senso, indica che la liberazione che l'amore di Dio porta nella nostra vita è completa, riguarda tutta la persona, nel suo aspetto corporale e spirituale.
La "fuga" di Gesù ha proprio il senso di non stravolgere il significato profondo del suo intervento: se ti guarisco, sembra dire Gesù, non è semplicemente per darti un corpo più sano, ma per renderti persona "salvata": persona capace di entrare nella logica di Dio stesso.
In questa luce è profondamente indicativo che Gesù si ritiri per "pregare": non è semplice atto di ossequio al Padre, ma rimettere in consonanza la propria vita con chi ne è la ragione profonda.
Se Gesù dice che è venuto per "predicare", allora la preghiera non è puramente la richiesta di qualcosa o catturare il favore di Dio, ma il momento che ci immerge nella sua parola per farne la linea di vita della nostra esistenza.



Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Guarì molti affetti da varie malattie (Mc 1,34)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (5/02/2012)
Guarì molti e scacciò molti demoni (Mc 1,34)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Manifestazione "umana" dell'amore divino (3/02/2012)

Commenti alla Parola:
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Enzo Bianchi




lunedì 2 febbraio 2015

L'incontro di Dio


Presentazione al tempio del Signore
La festa odierna può essere definita la festa dell'incontro, secondo l'originario nome orientale della festa. Incontro di Dio con il suo popolo, nel Tempio, luogo di una promessa realizzata: l'Uomo-Dio è presentato a Dio, il Figlio al Padre, per mano della madre Maria e di Giuseppe, custode del questo "scrigno divino" che è la famiglia di Nazaret.
È l'incontro con il Signore nel contesto di una famiglia. È l'incontro con Dio che si manifesta nei poveri e negli ultimi. È la realizzazione di una promessa, è la manifestazione della luce di Dio che si realizza nel Bambino Gesù…
Veramente il nostro incontro con il Signore prende forma e corpo nel nostro incontro con il prossimo! Non è forse questa la strada che il Padre ha scelto, in Gesù, di incontrarci e di stringersi a sé?
È lì, nel servizio reciproco, nell'amore vicendevole, che possiamo fare esperienza di "luce", di "pace", pure nella "spada che trafigge l'anima", perché l'incontro con il Signore, nel "segno della contraddizione", non lascia mai le cose come stanno… Perché è segno di "caduta" e di " risurrezione" per molti, "affinché siano svelati i pensieri di molti cuori".


Vedi anche il post: L'amore fa vedere! (2/02/2012)

Vedi anche il Commento alla Parola:
  di Enzo Bianchi
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)

Visualizza i brani delle Letture