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venerdì 5 settembre 2014

La fraternità, frutto della presenza di Gesù tra i suoi


23a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il vangelo di questa domenica (cf Mt 18,50-20) ci propone un brano di un nuovo discorso di Gesù, dove Egli enuncia alcune regole di vita comunitaria, indica come si vive all'interno della sua famiglia, una famiglia di fratelli dove ognuno è prezioso agli occhi del Padre che circonda di speciale misericordia i "piccoli", i cristiani più fragili e più a rischio di venir meno nella fede.
In questa "famiglia" ognuno deve sentirsi responsabile affinché nessuno si perda. La Chiesa è, appunto, una famiglia dove ognuno è legato all'altro e responsabile dell'altro. Così, se un nostro fratello commetterà una colpa o farà azioni che lo portano ad allontanarsi dalla comunità, che cosa si deve fare?
Deve scattare l'operazione "ricupero" e nessun tentativo va tralasciato. A cominciare dal dialogo strettamente personale in cui si cerca di convincere il fratello e di farlo ragionare, "ammonendolo fra te e lui solo". Si svolge, così, in suo favore il servizio della "sentinella" che lo mette in guardia dal pericolo che lo minaccia (cf Ez 33,7-9). È una "correzione", motivata soltanto dall'amore e fatta con amore umile e discreto, che potrà avere un risultato positivo: «se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello», lo avrai ricuperato alla famiglia che aveva lasciato o stava per lasciare, e lo avrai legato a te con un vincolo nuovo e profondo.
Se invece «non ascolterà», se la tua iniziativa personale fallisce, l'interessamento per lui ti porterà a coinvolgere altre persone e cercare insieme di persuaderlo. «Se poi non ascolterà, dillo alla comunità»; non nel senso che il fratello colpevole viene denunciato pubblicamente alla comunità perché essa lo estrometta, quanto piuttosto perché l'intera comunità, in una "congiura" d'amore, faccia pressione su di lui.
Se poi «non ascolterà neanche la comunità», se non accetterà la parola chiarificatrice e vincolante della comunità, guidata dai suoi responsabili, allora «sia per te come il pagano e il pubblicano»: lo considererai fuori della comunità perché ha deciso lui di esserci, custodendo però nel tuo cuore il desiderio e la speranza che vi possa rientrare.
In ogni modo, tutto ciò che la comunità cristiana, guidata dai suoi capi, compie a questo riguardo, viene approvato "in cielo", coinvolge l'intervento di Dio stesso. Insomma, la qualità di vita di una comunità cristiana, e l'efficacia della sua testimonianza, dipendono dalla qualità dei rapporti fraterni tra i suoi membri e dall'attenzione reciproca; perché la vera fraternità non tollera che si lasci andare il fratello per la sua strada, verso la rovina, ma porta a fare ogni sforzo per ricondurlo sulla retta via.
Ma l'interessamento al fratello si esprime anche nella preghiera per lui, soprattutto nella preghiera comune: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà». La preghiera è infallibilmente esaudita, non in base al numero delle persone che pregano. Non è la pluralità delle voci che assicura l'efficacia della preghiera, ma l'«accordo» delle voci, che suppone ed esprime l'unione dei cuori. Si tratta di essere profondamente armonizzati e uniti nella carità. Carità, amore scambievole, che è un «debito» da pagare lietamente e inesauribilmente (cf Rm 13,8-10). La preghiera che nasce da questo "accordo" ottiene! Perché quando c'è tale unità, tale "sinfonia", Gesù stesso è presente tra i fedeli, pregando con loro. E Lui non può non essere ascoltato dal Padre.
In effetti, Gesù aggiunge: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
«Riuniti nel suo nome», che significa non solo radunati materialmente insieme per invocarlo, ma che li unisce tra loro la medesima fede in Lui, l'impegno di attuare la sua volontà che è in definitiva l'amarci scambievolmente come Lui ci ha amati. Perché essere "riuniti nel suo nome", richiama quell'accordarsi tra di loro.
Queste parole di Gesù indicano, dunque, la condizione che rende possibile la sua presenza tra i suoi: l'amore reciproco, la disposizione a dare la vita l'un per l'altro "genera" la presenza di Cristo in mezzo a loro. D'altra parte, però, l'affermazione di Gesù dice che l'amore, l'unità nel suo nome, che i discepoli realizzano, è frutto della sua presenza, è dono suo.
La presenza di Cristo tra i suoi non è una presenza statica e inerte, ma una presenza dinamica e di una efficacia irresistibile. Una presenza che genera una festa continua, una festa contagiosa. Una presenza che dona luce, gioia permanente. È una presenza che fa Chiesa. "Dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, lì è la Chiesa" dice san Bonaventura. E Origene: "Quando due o tre sono uniti nella fede nel suo nome, Gesù viene in mezzo a loro, sedotto e attratto dal loro accordo".



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


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