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venerdì 9 maggio 2014

Gesù, l'unico Pastore


4a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

La quarta domenica di Pasqua è detta "del Buon Pastore". Il testo evangelico odierno (Gv 10,1-10) apre un lungo discorso dove Gesù rivela chi è per gli uomini e soprattutto per i suoi discepoli, che cosa fa per loro e come essi si comportano con Lui. Gesù presenta se stesso in contrapposizione a coloro che non sono pastori, ma «ladri e briganti»: cioè i responsabili di Israele, che non promuovono il vero bene del popolo, e quanti, mossi da un falso messianismo, procurano la sua rovina.
Le immagini che Gesù porta, pur ispirandosi alle usanze della vita pastorale nella Palestina di allora, si riferiscono all'immagine biblica, molto nota, di Dio pastore che ama il suo popolo, raffigurato come un gregge: si prende cura di esso, condanna i falsi pastori, lo riconduce dall'esilio e lo raduna dalla dispersione.
Più direttamente ancora, Gesù si richiama alla situazione che sta vivendo a Gerusalemme: durante la festa delle Capanne e nel Tempio offre la sua rivelazione. Egli è la "luce del mondo" e lo ha mostrato guarendo un uomo cieco dalla nascita (cf Gv 9). Quest'uomo ha ricuperato la salute integrale arrivando alla fede piena in Gesù e testimoniandolo coraggiosamente, al punto da subire l'espulsione dalla comunità. Gesù rivolge il presente discorso agli avversari che hanno scacciato il cieco guarito. Si presenta ad essi come il vero Pastore del popolo. In effetti, nell'Antico Testamento le "pecore" indicano spesso i membri del popolo di Israele. Il termine "recinto", poi, non designa mai un recinto per le pecore, ma indica quasi sempre il vestibolo davanti alla Tenda nel deserto o davanti al Tempio. Indica quindi simbolicamente il Tempio di Gerusalemme, che rappresenta il giudaismo. Il pastore legittimo delle pecore, colui che entra per la porta, è Gesù, nuovo Pastore di Israele, che si è presentato al Tempio di Gerusalemme per rivelarsi ai Giudei durante la festa delle Capanne. Tutte le pecore del recinto, cioè tutti i Giudei, hanno potuto conoscere la sua dottrina, ma solo alcune di esse sono le «sue pecore». Tra esse il cieco guarito. Egli le «conduce fuori», come Dio aveva fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto. Gesù costituisce così un nuovo gregge, la Chiesa. Ed i rapporti tra il Pastore e le sue pecore sono descritti in questi termini: «cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono». Egli cioè le guida ed esse vivono con Lui, condividono il suo progetto, attuano la sua volontà.
Ma questa rivelazione iniziale di Gesù è piuttosto oscura e non viene compresa. Gesù allora riprende l'immagine della «porta» e del «pastore» sviluppandole e applicandole a sé: «Io sono la porta delle pecore». Una volta uscite dal recinto del giudaismo, le pecore devono passare attraverso la porta che è Gesù per accedere alla salvezza e alla vita: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvato». Altrove Gesù dirà: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). La salvezza sta appunto nel rapporto pieno col Padre.
La "porta", però, non è soltanto un luogo di passaggio attraverso cui si entra, ma appartiene già al recinto stesso. Riferita a Gesù, l'immagine della "porta" non significa soltanto che per accedere alla salvezza, per incontrare il Padre, occorre passare attraverso di Lui, che è appunto il "mediatore" della salvezza. Ma indica inoltre che questi beni della vita e della salvezza le pecore li trovano in Gesù. Vale a dire, Gesù non è soltanto la porta, la via di accesso; è anche il nuovo recinto, il nuovo Tempio in cui i suoi possono trovare i beni messianici e incontrare il Padre.
Al di là dei suoi primi destinatari, i nemici di Gesù, la sua rivelazione oggi raggiunge noi e intende comunicarci una certezza di fede: Gesù è l'unico Pastore, l'unica Porta.
Gesù è l'unico che ci dà la vita vera e piena, l'unico che ci salva. L'unico che ci ama.
L'iniziativa parte da Lui: «Chiama le sue pecore, ciascuna per nome»!
E le sue pecore «conoscono la sua voce». Sono felici di appartenergli, hanno un'intesa profonda con Lui. «Lo seguono». È la "sequela" che esprime la relazione essenziale del discepolo col proprio maestro, e significa riconoscenza lieta e colma di stupore: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al Pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,25).
Allora posso dire anch'io con tutto me stesso, con il cuore colmo di gioia e di riconoscenza: «Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla!».



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chiama le sue pecore, ciascuna per nome (Gv 10,3)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


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