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sabato 31 maggio 2014

La carità che porta all'unità


Nella festa della Visitazione di Maria il pensiero va a quel suo "andare in fretta" dalla cugina Elisabetta: incontro di due donne e del mistero di due bambini. Un andare ed un incontrarsi la cui unica ragione è l'amore. Un amore sperimentato nell'intimo del cuore, come viene espresso dal Cantico dei Cantici: «Alzati amica mia, mia tutta bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia… mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce…». È una voce che narra le «grandi cose» che il Signore ha compiuto e compie. È un amore che fa incontrare. È una carità che porta all'unità.
Per tutti i discepoli di Gesù, e quindi a maggior ragione per chi esercita una diaconia nella comunità, sono un richiamo quanto scritto da san Gregorio di Nissa nelle omelie sul Cantico dei Cantici, di cui riporto un brano.

«Se davvero l'amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei cantici: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta, l'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice" (Ct 6,9).
Tutto ciò lo dimostra chiaramente il Signore nel vangelo.
Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo ed un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un'unica vocazione, animati da una medesima speranza.
Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del vangelo: "Perché tutti siano una cosa solo. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (G v 17,21).
Il vincolo di questa unità è un'autentica gloria. Nessuna infatti può negare che lo Spirito Santo sia chiamato "gloria". Dice infatti il Signore: "La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro" (Gv 17,22). Egli possedette tale gloria sempre ancora prima che esistesse questo mondo. Nel tempo poi la ricevette quando assunse la natura umana. Da quando questa natura fu glorificata dallo Spirito Santo, tutto ciò che connette con questa gloria, diviene partecipazione dello Spirito Santo.
Per questo dice: "La gloria che tu hai dato a me io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità" (Gv 17,22-23). Perciò colui che dalla fanciullezza è cresciuto raggiungendo la piena maturità di Cristo, viene a trovarsi in quello stato tutto speciale, che solo l'intelligenza, illuminata dalla fede, può percepire. Allora diviene capace della gloria dello Spirito Santo attraverso una vita lontana dai vizi e improntata alla santità. Costui dunque è quella perfetta colomba, alla quale guarda lo Sposo, quando dice: "Una sola la mia colomba, la mia perfetta"».

venerdì 30 maggio 2014

Fare di ogni persona un discepolo


Ascensione del Signore (A)

Appunti per l'omelia

Nella festa dell'Ascensione del Signore, la Chiesa celebra sempre il mistero della Risurrezione di Gesù, manifestando di Gesù il suo "novo essere", uno stato di vita radicalmente nuovo, quello della vita di Dio.
Nel racconto di Luca (cf Atti 1,1-11), Gesù risorto, dopo essere apparso «per quaranta giorni», incontra per l'ultima volta i discepoli ed orienta il loro sguardo al futuro che li attende: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni… fino ai confini della terra». Con queste parole Gesù delinea l'esperienza, il servizio della Chiesa nella storia. Alla base di questa esperienza è il dono dello Spirito. È Lui la fonte inesauribile di vita che comunica luce, energia, coraggio per la missione. Che è quella di rendere testimonianza al Signore Risorto: «sarete testimoni di me», della mia persona, protesi verso tutti… «fino ai confini della terra».
L'ascensione inaugura così il tempo dei testimoni, che con la forza dello Spirito, renderà presente Gesù, raggiungendo ogni uomo ed ogni donna della storia, fino al giorno del suo "ritorno".
Nel racconto evangelico di Matteo (cf Mt 28,16-20), vediamo Gesù che incontra i suoi discepoli venuti all'appuntamento con Lui sul monte in Galilea. È Lui che prende l'iniziativa: si fa vedere e si avvicina. E la reazione dei discepoli è quella di una fede mescolata al dubbio, che nel cammino dei credenti non di rado rimane un compagno inseparabile. Ma tutta l'attenzione è concentrata su Gesù e specialmente sulle parole che pronuncia. Matteo non racconta l'Ascensione. Intende piuttosto sottolineare il fatto che il Maestro non è partito, ma resta nella Chiesa, nella quale continua a risuonare la sua voce. Una dichiarazione apre e un'altra chiude un ordine perentorio del Risorto: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Nella risurrezione Gesù ha ottenuto da Dio la sovranità universale. È ormai per sempre il "Figlio dell'uomo", il "Signore" glorioso che "siede alla destra del Padre", condividendo con Lui la cura di tutte le creature e specialmente il potere di salvare gli uomini. Un'autorità, un potere che ora Gesù partecipa agli "Undici": «Andate dunque e fate discepoli...», anzi, "andando fate discepoli". È la missione che affida loro. Non si tratta di aspettare nell'immobilismo, ma di mettersi in movimento verso gli uomini, che sono tutti candidati a diventare discepoli di Gesù. «Fare discepoli», che significa non semplicemente offrire un messaggio, ma mettere in relazione personale con Gesù, in uno stato di totale appartenenza a Lui. Che è come dire: fateli diventare ciò che voi già siete, cioè discepoli come voi e insieme con voi.
E come? "Battezzando... e insegnando ad osservare…". Atri due participi usati da Matteo, oltre al primo: "Andando", "Battezzando", "Insegnando"; mettendosi sempre "in movimento", guidati dallo Spirito.
Nel Battesimo il credente incontra il Risorto ed entra in un rapporto definitivo di appartenenza al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo. L'insegnamento: «Tutto ciò che vi ho comandato», sintetizzate da Matteo in primo luogo nel discorso della Montagna. Si tratta di apprendere, ma soprattutto di attuare nella vita l'insegnamento di Gesù.
Fare di ogni persona un discepolo di Gesù! È questo l'impegno della Chiesa e dei cristiani in ogni tempo. Ma non è un'impresa impossibile, perché il Signore risorto ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo».
Con l'Ascensione Gesù è divenuto veramente l' "Emmanuele", il "Dio con noi".

(Immagine: Velasco Vitali, Ascensione (2012), tempera su carta)


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli (Mt 28,19)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


lunedì 26 maggio 2014

Atti del Convegno Diaconi 2013 [4]


La rivista Il Diaconato in Italia pubblica nel n° 182/183 gli Atti del XXIV Convegno Nazionale (Napoli 21-24 agosto 2013).
Nel riportare i vari articoli nel mio sito di testi e documenti, segnalo questo ulteriore intervento.







Nel periodo di Pasqua ci viene proposta la lettura degli Atti degli Apostoli. In questo contesto è interessante l'articolo che segnalo (sempre dagli Atti del Convegno):
La fede scaturisce dall'ascolto: la diaconia del servo di Jahwè
di Rosanna Virgili (docente di Esegesi Biblica)

È una lettura illuminata della figura di Filippo, uno dei Sette, che pone in risalto l'attualità del ministero diaconale: «Filippo era un apostolo di Samaria, un diacono apostolo. Gesù agli inizi degli Atti aveva chiesto agli Apostoli di annunciare e aveva dato loro una consegna: voi annuncerete questo Vangelo a partire da Gerusalemme. Gerusalemme, quindi, diventa la prima città da evangelizzare. In seguito aveva citato la Samaria, salendo verso il Nord. Cominciamo allora a pensare che essere diacono delle mense fosse qualcosa di gran lunga maggiore rispetto a quello che un buon cristiano della domenica possa pensare. Il diacono non è un semplice cameriere. Assolutamente no! È invece un grande apostolo. Se pur i diaconi servivano le mense occorre dire che queste non erano delle semplici cene poiché contenevano un primo momento di condivisione del cibo e, un secondo momento, della memoria della Cena del Signore. Quindi, c'era una funzione da parte del diacono, potremmo dire ante litteram, sacramentale. Era così che si servivano le mense».
Poi viene illustrato l'episodio dell'eunuco, ministro di Candace. È una splendida descrizione della figura e della missione del diacono, che non sale in cattedra, ma si mette alla pari… ascolta e sa interpretare le esigenze più profonde dell'animo umano.

   Vai all'articolo…


venerdì 23 maggio 2014

La consolante promessa di Gesù


6a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

La pagina del Vangelo della liturgia odierna (cf Gv 14,15-21) fa seguito a quella della scorsa domenica. Nell'Ultima Cena, un interrogativo inquietante stringe di angoscia il cuore dei discepoli: se la morte porta via il loro Maestro, come sarà il loro futuro senza di Lui? Ma Gesù li assicura: nel tempo che seguirà la sua morte e risurrezione, il loro rapporto con Lui continuerà. Anzi, avrà un vertice di intensità. La sua presenza non sarà tolta.
Il brano si apre e si chiude con una dichiarazione di Gesù sull'amore personale che i discepoli gli portano: «Se mi amate... Chi ama me...». Gesù rimane una persona viva e presente. Ecco perché i suoi, coloro che Egli amò sino alla fine, possono amarlo e crescere in una relazione di amicizia con Lui. Gesù ci tiene al loro amore. Un amore che si esprime sicuramente con le parole (e queste dichiarazioni d'amore piacciono a Gesù; basta pensare alla richiesta di Gesù a Pietro: "Mi ami più di costoro?"), ma l'amore sincero e genuino si manifesta con i fatti: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti... Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama». L'amore a Gesù si prova con l'obbedienza alla volontà del Padre, si prova con l'attuare le parole di Gesù, i suoi comandamenti che, all'inizio del suo discorso nell'Ultima Cena, Egli ha già riassunti nell'amore scambievole: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Quando i cristiani sono attenti a compiere in ogni momento e con perfezione ogni volontà di Dio, appena conosciuta; quando si esercitano nell'arte di amare curando anche le più piccole sfumature nel rapporto fraterno tra di loro e con ogni altra persona: ogni volta, Gesù riceve e sperimenta con gioia il loro amore personale.
Ma questo amore provoca come risposta un nuovo amore da parte di Gesù, un dono smisurato che Gesù ottiene per i suoi: «E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre». È un Dono, il Dono del Padre, che Gesù ottiene con la sua preghiera ed è una presenza, una compagnia permanente. I termini con cui Gesù lo descrive dicono già qualcosa della sua identità: un altro Paraclito, cioè un "Avvocato difensore" che assisterà, proteggerà i discepoli. "Un altro" rispetto a Gesù, che rimane il primo "Paraclito". Colui che il Padre sta per donare continuerà l'opera di Gesù, sarà come "un altro Gesù", in relazione strettissima con Lui. Una persona che appare chiaramente distinta dal Padre e da Gesù.
Lo Spirito della verità. Un nuovo titolo che getta luce sulla sua realtà e sul ruolo che deve svolgere. Gesù è la "Verità", l'unica rivelazione, piena e definitiva, del Padre e del suo amore per gli uomini. Lo "Spirito" (l'alito vitale di Dio e del suo Figlio, il loro respiro, la loro forza infinita d'amore) con la sua azione interiore farà capire, penetrare in profondità e assimilare questa rivelazione di Gesù.
Lo Spirito difenderà e rafforzerà la fede dei discepoli; ma il "mondo", gli uomini che si ostinano nel rifiutare la rivelazione di Gesù, "non lo può ricevere". Per i discepoli però è una Persona amica e inseparabile, che "rimane sempre con loro", vicina e in relazione continua con loro («rimane presso di voi»), presente dentro di essi («sarà in voi») quale radice e fonte del loro credere e del loro amare.
Ed alla fine Gesù richiama il mezzo per giungere alla perfetta comunione con Lui. Volgendo lo sguardo oltre la cerchia dei suoi diretti discepoli, afferma per tutta l'umanità e per tutti i tempi: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama». Chi pratica questo amore operoso attirerà l'amore del Padre, che lo accoglierà nella comunione con Lui: «sarà amato dal Padre mio». E troverà anche l'amore di Gesù: «e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gesù gli rivelerà la sua persona, la sua realtà di Figlio che dimora nel Padre. Anzi, lo trascinerà sempre più con Lui nel vortice d'amore della sua relazione col Padre.
L'amore è la fonte della luce, è il cammino per giungere alla verità: "Non si entra nella verità che attraverso la carità", dice sant'Agostino.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi ama me, sarà amato dal Padre mio (Gv 14,21)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 21 maggio 2014

Come è la mia vita per gli Altri?


La mia vita per gli Altri! Mi piace sintetizzare così (con gli Altri con la "A" grande!) il discorso che papa Francesco ha rivolto lunedì 19 maggio 2014 all'Assemblea Generale dei Vescovi italiani.
La mia vita per gli Altri, essere "per" gli Altri, essere "gli" Altri!
Ed ho cercato di riferire a me quanto detto dal papa ai vescovi, per cogliere l'essenza della nostra missione di rappresentare Cristo, Servo e Signore, in seno alla comunità, senza lasciarci prendere dalla frenetica attività pastorale e distogliere lo sguardo da Colui che ci ha mandati in mezzo alla gente. Quello che il papa dice ai vescovi, lo sento detto a me, non solo perché al diacono sono imposte le mani per il "ministero di cui il vescovo è titolare", ma anche perché anch'io debbo avere il Cuore di Cristo per servire come Lui desidera la comunità che mi è affidata.
Solo un rapporto personale con Gesù, solo una fede autentica ed illuminante mi potrà sostenere nella mia azione pastorale, la fede che «è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana». «Se ci allontaniamo da Gesù Cristo, se l'incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative».
«È tentazione la fretta pastorale, al pari della sua sorellastra, quell'accidia che porta all'insofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso. Tentazione è la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull'abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del mattino di Pasqua».
«Spiritualità – dice il papa - è ritorno all'essenziale, a quel bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria».
Il papa invita i vescovi ad essere «pastori di una Chiesa che è corpo del Signore», e perseguire, sopra ogni cosa, il dono prezioso ed essenziale dell'unità, perché «la mancanza o comunque la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l'eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare – disposti a volte anche a portare su di sé la prova di un'ingiustizia – piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio»…; contro «la pretesa di quanti vorrebbero difendere l'unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa», superando decisamente quel «ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute», con lo slancio apostolico di chi è mosso dallo Spirito.
Contro ogni tentazione, «l'antidoto più efficace, promana dall'unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili: quella pace che consente di non lasciarsi sopraffare dai conflitti – che poi, a volte, si rivelano crogiolo che purifica – come anche di non cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove». Perché, «una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme».
«Servire il Regno – infatti - comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi all'incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia».
E sento rivolto a me, a noi discepoli del Signore Gesù, l'invito di papa Francesco ad essere «semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri».


lunedì 19 maggio 2014

Atti del Convegno Diaconi 2013 [3]


La rivista Il Diaconato in Italia pubblica nel n° 182/183 gli Atti del XXIV Convegno Nazionale (Napoli 21-24 agosto 2013).
Nel riportare i vari articoli nel mio sito di testi e documenti, segnalo questi ulteriori interventi.







Introduzione
di Enzo Petrolino (Presidente della Comunità del Diaconato in Italia)

«Fratelli nostri santi diaconi, Stefano, Lorenzo, Efrem, Arialdo, Vincenzo con la vostra intercessione ottenete a questi fratelli quell'amore che vi ha contraddistinto, quella carità pastorale che ha consumato la vostra vita. Ottenete loro di prestare sempre con gioia il servizio della Parola e dell'altare, di essere segni luminosi e viventi della diaconia di Gesù alla sua Chiesa». Carissimi fratelli diaconi, carissime spose e voi tutti cha siete qui per questo XXIV Convegno della Comunità del Diaconato, vi saluto e vi accolgo con le parole del Cardinale Martini pronunciate in una delle sue omelie nelle numerose ordinazioni diaconali della Diocesi di Milano. «La Chiesa, Lumen Gentium, si è riunita qui oggi, perché dove sono due o tre riuniti nel nome di Gesù lì è Lui ed è la sua Sposa».
Noi, piccolo gregge, ci siamo radunati per riflettere e pregare sul nostro ministero diaconale che il Concilio Vaticano II ha voluto restituire, in tutto il suo splendore, alla Chiesa perché sempre più si mostrasse al suo Sposo nella varietà dei ministeri e dei carismi. Il nostro essere radunati qui è contraddistinto da un unico titolo, quello di essere servi della Parola, della Mensa, della Carità. Ognuno, vescovo, presbitero, diacono, laico, sposa, figlio è chiamato alla diaconia in Cristo che si consuma nello scorrere quotidiano della nostra vita e la trasforma in offerta gradita a Dio. Solo in questo spirito di servizio e di ecclesialità potremo capire fino in fondo quale grande dono ci ha fatto il Concilio ridonando alla Chiesa il ministero del diaconato nella sua forma permanente.
[…]
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I discepoli di Emmaus
di Vincenzo Mango (Delegato per il diaconato, diocesi di Napoli)

Sembrano tanti 50 anni. In realtà,. dall'esperienza fatta, dopo tanti secoli di silenzio, si deve riconoscere che il diaconato ha segnato un tempo davvero provvidenziale nella vita della Chiesa e un segno del soffio fecondo dello Spirito. È vero che finora esso ha compiuto ancora i primi passi anche se incerti, graduali o non ancora iniziati in alcuni luoghi; e più veloci in altri. Ma abbiamo già una varietà di esperienze a seconda di come, dove e quando si è introdotto nella vita delle diocesi. Un bilancio, pertanto, anche se solo approssimativo e non pienamente sufficiente, è necessario, per valutarne la sua incidenza e il suo sviluppo, nel desiderio comune di poter offrire, con questo convegno, una parola più chiara sulla sua identità e la sua funzione per il servizio nella Chiesa di oggi. Sarà questo, pertanto, il lavoro di questo convegno.
Siamo lieti di ospitarlo proprio a Napoli in quest'anno che coincide con la celebrazione del quarantesimo del cammino del diaconato nella nostra diocesi, grazie al grande fervore del venerato Card. Corrado Ursi. Il mio compito di introdurre il convegno con questo tempo di preghiera sottolinea la volontà di consegnare i nostri lavori nelle mani di Dio, percorrendo insieme il cammino di conversione dei discepoli di Emmaus, rimasti frastornati dall'esperienza incredibile della morte di Gesù. Erano delusi, pensando che quella morte, poneva fine ai loro sogni di riscatto del popolo dall'oppressione romana. Decisero, pertanto, di allontanarsi da Gerusalemme per fare ritorno al loro passato: Emmaus. Invece, fu quel cammino a sconvolgere la loro vita e a scoprire proprio in quella borgata il senso vero della loro chiamata. "Tutto accadde in un cammino con la forza della Parola".
[…]
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Educare alla diaconia dell'ascolto per crescere nell'identità diaconale
di Giuseppe Bellia (Direttore della Rivista Il diaconato in Italia)

Il servizio del diacono, è questa una verità spesso obliata nel sentire comune delle nostre comunità, è chiamato a essere ed è costituito a pieno titolo ministro della Parola. Una diaconia ministeriale che è condivisa con tutto l'ordine sacerdotale, secondo il proprio grado, ma non per questo di minore intensità nell'operato della grazia. Al pari di tutto il popolo profetico e sacerdotale serve la parola di Dio nella misura dell'ascolto credente, fatto d'intelligenza e di perseveranza. […]
Non è cosa da poco allora avere una visione adeguata del ruolo che l'ascolto riveste nel discernimento, nella formazione e nell'esercizio del ministero diaconale. In questa prospettiva identitaria della vocazione e della diaconia ordinata si vuole qui presentare un percorso di lettura dell'ascolto biblico che, alla luce dell'evento pasquale di Cristo, ripercorre le tappe di un cammino non concluso ma esemplare per chi si lascia guidare dal vento imprevedibile dello Spirito. Ci soffermeremo quindi, in breve, sui seguenti punti: dapprima si guarderà all'atto dell'ascolto secondo le Scritture, come via di accesso alla relazione personale con Dio e con i fratelli; in un secondo momento si prospetteranno alcune linee di teologia biblica dell'atto dell'ascolto che identifica la vocazione diaconale e dispone al servizio ministeriale.
[…]
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domenica 18 maggio 2014

Il diacono, di fronte al "malcontento"


Il racconto degli Atti degli Apostoli (6,1-7) sull'istituzione dei "Sette", di cui si parla nella liturgia di questa domenica, V di Pasqua-Anno A, è stato oggetto della riflessione di papa Francesco al Regina coeli di oggi.
È una riflessione che riguarda me direttamente, come diacono, ma anche tutti coloro che nella comunità prestano un servizio. Anzi, interessa la comunità stessa in quanto è essa il luogo in cui viviamo la nostra esperienza di discepoli di Gesù; esperienza che porta il segno delle nostre quotidiane vicissitudini, delle nostre gioie, delle nostre sconfitte.
È prezioso quanto detto dal papa: i "sette", i primi diaconi, vengono istituiti per far fronte ad una situazione di malcontento nella comunità: «nella Chiesa delle origini emergono le prime tensioni e i primi dissensi». «Serpeggia il malcontento, ci sono lamentele, corrono voci di favoritismi e disparità di trattamento».
«Questo succede anche nelle nostre parrocchie!».
Ecco che il diacono è in primo luogo colui che contribuisce, in prima persona, ad appianare le divisione, a portare la concordia, la comunione. «Nella vita, i conflitti ci sono, il problema è come si affrontano», dice il papa.
L'esempio degli Apostoli è un po' il paradigma di una azione pastorale che mira all'equilibrio, all'armonia, al rispetto dei ruoli, a saper delegare, ad essere "un corpo vivo", ad essere veramente Chiesa…
Gli Apostoli «convocano una riunione allargata anche ai discepoli, discutono insieme la questione. Tutti. I problemi infatti non si risolvono facendo finta che non esistano! Ed è bello questo confronto schietto tra i pastori e gli altri fedeli. Si arriva dunque ad una suddivisione dei compiti. Gli Apostoli fanno una proposta che viene accolta da tutti: loro si dedicheranno alla preghiera e al ministero della Parola, mentre sette uomini, i diaconi, provvederanno al servizio delle mense per i poveri».
È significativo che la scelta dei "sette" non è fatta perché questi sono esperti nella distribuzione dei viveri! «Questi sette non vengono scelti perché esperti in affari, ma in quanto uomini onesti e di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza; e sono costituiti nel loro servizio mediante l'imposizione delle mani da parte degli Apostoli».
Sono così delineate le caratteristiche di chi svolge un servizio, una diakonia, nella comunità!
Ed è descritto, come dice il papa, il modo di risolvere i problemi, il modo di rapportarsi all'interno della comunità: «da quel malcontento, da quella lamentela, da quelle voci di favoritismo e disparità di trattamento, si arriva ad una soluzione. Confrontandoci, discutendo e pregando, così si risolvono i conflitti nella Chiesa. Confrontandoci, discutendo e pregando. Con la certezza che le chiacchiere, le invidie, le gelosie non potranno mai portarci alla concordia, all'armonia o alla pace. Anche lì è stato lo Spirito Santo a coronare questa intesa e questo ci fa capire che quando noi lasciamo allo Spirito Santo la guida, Egli ci porta all'armonia, alla unità e al rispetto dei diversi doni e talenti».
E così, conclude il papa, «niente chiacchiere, niente invidie, niente gelosie!».
Ecco definita, in sintesi, la figura del diacono!

Vedi anche il Post "Animare la carità nella comunità".


sabato 17 maggio 2014

Il diacono esperto in umanità


Si svolgerà a Roma il 21 giugno 2014, presso la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, un incontro per diaconi, candidati al diaconato e spose, promosso dalla Comunità del Diaconato in Italia.

Il titolo dell'Incontro: Il diacono esperto in umanità.
Relatore: Mons. Arturo Aiello, vescovo di Teano-Calvi, Membro della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata.

Altri interventi:
Saluto ed Introduzione di Enzo Petrolino, Presidente della Comunità del Diaconato in Italia.
Il diaconato in Campania (diac. Giuseppe Daniele, Coordinatore Diaconato Regione Campania).
Interventi in aula.





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venerdì 16 maggio 2014

Gesù, l'unica Via


5a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

Il brano evangelico di questa domenica (cf Gv 14,1-12) ci riporta all'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Essi sono tristi, impauriti e in preda all'angoscia per l'imminente partenza del Maestro. Gesù sa che questa situazione rappresenta un pericolo per la loro fede. Ecco perciò l'esortazione: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». Parole di grande attualità: anche per noi, nelle circostanze più tragiche e difficili per la fede, risuonano come un accorato invito di Gesù, come un antidoto efficace contro l'angoscia.
La fede, che è abbandono e fiducia illimitata in Dio, il Padre onnipotente, va riposta in Gesù. È in Lui che il Padre si rivela e opera in comunione inseparabile : «Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me». Gesù assicura i discepoli che questa fiducia in Lui è saldamente fondata: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore». C'è una grande casa paterna dove Gesù ci precede. Per Lui, infatti, morire non è precipitare in un baratro senza fondo, ma «passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1). Ma in Lui, nel Padre, Gesù preparerà con cura un posto per ciascuno dei suoi: «verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi». Gesù non riesce a immaginare il suo futuro dopo la morte senza i suoi. Ciò che sogna e spera per sé, lo sogna e spera anche per loro. Gesù ci vuole partecipi del suo stesso destino e della sua stessa felicità!
Gesù, già fin d'ora (e non soltanto nella sua ultima venuta al termine della storia o nel nostro incontro personale con lui nella morte), riempie il cuore di una dolcissima speranza e anche di una insopprimibile nostalgia. A partire dalla sua risurrezione, infatti, Egli vive ormai per sempre nel seno del Padre e si fa vicino ai suoi, li unisce a sé ed essi già ora, nella loro esistenza terrena, vengono a trovarsi con Lui nell'abbraccio amoroso del Padre. È lì che noi viviamo di continuo, è lì che abbiamo il nostro "posto" stabile, anche se troppo spesso non ne siamo consapevoli.
Per vivere, però, in comunione col Padre è assolutamente necessario il nostro stare con Gesù. Gesù, infatti, dopo aver parlato del suo ritorno alla casa del Padre, parla della via che i suoi amici devono percorrere per raggiungerla. I discepoli non soltanto vengono condotti da Gesù al Padre, ma essi stessi devono mettersi in cammino. La via però è di nuovo Gesù stesso! Egli, che già aveva affermato: «Io sono la porta» (Gv 10, 7.9), ora afferma senza veli: «Io sono la via, la verità e la vita». Come è l'unica porta, Gesù è anche l'unica via verso il Padre: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
Gesù è l'unica via al Padre, poiché è l'unica verità, l'unica vita.
Egli è la verità. Gesù non è soltanto colui che rivela Dio come Padre, ma in tutto quello che dice, in tutto quello che fa', in tutto quello che è, Egli è rivelazione di Dio, è manifestazione palpabile di Dio Amore. E non è una rivelazione parziale di Dio, ma la rivelazione completa, totale, definitiva del Padre. Per conoscere Dio non abbiamo bisogno di nessun altro, se non di Gesù solo. Di Lui, che è il Figlio unico che in tutto quello che è, che dice e che fa, si rivela come il Figlio in relazione perfetta d'amore col Padre.
Gesù è la vita: la vita divina, la comunione eterna d'amore tra il Padre e il proprio Figlio nello Spirito Santo. Vita che Gesù fin d'ora dona ai credenti, immettendoli nel circuito della comunione trinitaria.
Lo intuisce oscuramente Filippo quando chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Richiesta che esprime l'anelito più profondo del cuore umano: poter vedere Dio e soprattutto Dio come Padre. Filippo, però, pensa a una manifestazione eclatante di Dio. Non sa invece che la sua attesa e la sua preghiera Dio le ha già esaudite donando Gesù. Per questo Gesù non può nascondere la sua delusione: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre». Perché: «Io sono nel Padre e il Padre è in me».
Perciò chi guarda con fede al Figlio vede, in Lui e per Lui, il Padre. Incontrare Gesù è incontrare semplicemente il Padre!
E la conseguenza di chi crede in Gesù è di compiere le opere che Gesù stesso compie. Continua, cioè, ad amare come Gesù ha amato, ad operare come Gesù ha operato. Anzi, nell'esistenza e nella attività di coloro che per la fede sono uniti a Lui, Egli stesso continua a rivelare il Padre e a condurre gli uomini a Lui. Addirittura, Gesù aggiunge che i discepoli faranno opere più grandi ancora di quelle compiute da Lui, perché il Risorto in loro continuerà la sua opera di manifestare l'amore del Padre in un raggio sempre più vasto, grande come il mondo.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vado a prepararvi un posto (Gv 14,2)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


martedì 13 maggio 2014

Gesù, il Diacono Pastore


In questi giorni in cui la liturgia ci parla del Buon Pastore e ci presenta le caratteristiche con cui Egli si presenta a noi, mi è venuto spontaneo confrontarmi con alcune caratteristiche descritte nel vangelo di Giovanni (cf Gv 10,1s).
«Il buon pastore dà la propria vita per le pecore… Conosce le sue pecore ed esse conoscono lui; così come il Padre conosce il Figlio, il Figlio conosce noi...
Conoscono la sua voce, che non è quella di un estraneo».
«Il Padre mi ama, perché io do la mia vita».
«Io sono venuto, perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».
L'amore del Pastore per le sue pecore è un amore che accoglie sempre, «anche quelli che non sono di questo recinto», è un amore che serve di un servizio che ti fa entrare nella "sua famiglia"…
Sono le caratteristiche tipiche di «Colui che non è vento per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita…» (cf Mc 10,45): segno distintivo di chi è chiamato (ma tutti, in modo loro proprio, lo sono) a portare e a suscitare l'esperienza dell'incontro con Gesù, la "Porta" attraverso cui passare per entrane nella Vita. Parlo dei diaconi e della diaconia che ogni discepolo vive.
Nel Direttorio per la vita dei diaconi è scritto: «Per i diaconi la vocazione alla santità significa sequela di Gesù in questo atteggiamento di umile servizio, che non si esprime soltanto nelle opere di carità, ma investe e modella tutto il modo di pensare e di agire» (n. 45). «È necessario che i diaconi si adoperino per conformare la loro vita a Cristo, che con la sua obbedienza al Padre "fino alla morte e alla morte di croce", ha redento l'umanità» (n. 47). «Bisogna ricordare che la diaconia di Cristo ha come destinatario l'uomo, ogni uomo che nel suo spirito e nel suo corpo porta le tracce del peccato, ma è chiamato alla comunione con Dio» (n.49).


domenica 11 maggio 2014

Il Diaconato in Italia – Indice 2014



Il Diaconato in Italia
Periodico bimestrale di animazione per le chiese locali

Indice 2014 (anno 46°)







Titolo dell'annata:
LA DIACONIA DELLA MISERICORDIA E DELLA SPERANZA


Temi monografici:

n° 184 – gennaio/febbraio 2014
Misericordia luogo diaconale:
fortezza e mitezza dell'amore


n° 185 – marzo/aprile 2014
Diaconi ministri della speranza
nelle periferie del mondo


n° 186 – maggio/giugno 2014
Il mistero dei diaconi
per una profezia nella storia


n° 187 – luglio/agosto 2014
Una chiesa povera per i poveri
perciò diaconale


n° 188/189 – settembre/dicembre 2014
Donna e famiglia diaconale
e sfide per l'evangelizzazione




(Vai ai testi…)



sabato 10 maggio 2014

Atti del Convegno Diaconi 2013 [2]
 Diaconi per la Chiesa a 50 anni dal Concilio


Segnalo due interventi, che ho riportano nel mio sito di testi e documenti, a conclusione del Convegno Nazionale dei Diaconi (cf. Atti del Convegno - Napoli, agosto 2013).
Uno di Enzo Petrolino, presidente della Comunità del Diaconato in Italia, da titolo "Il diaconato a 50 anni dal Concilio Vaticano II"; l'altro del card. Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, nell'omelia della Messa al termine del Convegno, "Diaconi per la Chiesa universale".

Riporto alcuni stralci dell'intervento di Petrolino, dove l'autore inserisce il discorso sul diaconato permanente nel contesto di tutta la prospettiva ecclesiale del Concilio Vaticano II, riportandolo all'oggi.
«Provo a descrivere gli aspetti che ritengo costituiscano, oggi, la questione del diaconato. Vorrei evidenziare anzitutto alcuni punti critici, per poi indicare anche le ragioni della speranza. È in primo luogo indispensabile ed urgente interrogarci sul servizio che, come diaconi, abbiamo offerto alla comunità cristiana e al mondo in questi anni postconciliari: questo ci consentirà di capire in che misura abbiamo contribuito ad allargare l'orizzonte della diaconia di Cristo all'intera vita e missione della Chiesa in questo nostro tempo.
Capire, cioè, se attraverso il nostro agire è maturata nelle nostre comunità una "coscienza diaconale", ovvero la consapevolezza di quella comunionalità - inaugurata e fortemente voluta dal Concilio - che si traduce nella partecipazione e nella corresponsabilità a tutti i livelli e nelle sue diverse forme».
«La caratteristica del Cristianesimo - lo sappiamo - è l'incarnazione e l'incarnazione è un "mistero di solidarietà, di compagnia, di comunione". È questa una forte provocazione per evitare che il diacono si chiuda nel recinto del sacro, ed aiutarlo - al contrario - a farsi ministro di una Chiesa che è chiamata, come amava ripetere Giovanni Paolo II, a trovare se stessa "fuori" di se stessa. Questa dovuta e necessaria conversione verso i poveri collocherà i diaconi nel loro giusto contesto ecclesiale e ministeriale, rendendo finalmente visibile lo stretto legame della mensa del corpo di Cristo con la mensa dei poveri, e dell'eucaristia con la carità».
«Credo si possa affermare che la dimensione secolare della vocazione dei diaconi è vissuta in modo ancora troppo debole. Tale vocazione, cioè, sembra essere giocata troppo sulla dimensione pastorale e molto meno su quella secolare, che risulta troppe volte poco vissuta, poco capita, poco valorizzata. Non appare ancora sufficientemente chiaro, infatti, che la presenza dei diaconi nella famiglia, nella scuola, nelle professioni, nella politica, nella cultura, non si limita a una questione privata, giocando solo sulla coerenza della testimonianza personale, ma costituisce un modo peculiare di contribuire alla missione della Chiesa. Questa comprensione del valore missionario della vocazione diaconale vissuta nel mondo forse è troppo poco presente nella coscienza delle nostre comunità e nella stessa coscienza dei diaconi».

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Il card. Sepe riprende il concetto di un diacono che esce dal tempio per incontrare la gente là dove vive, secondo le aspettative dal Concilio.
«Il Diaconato permanente è frutto della Chiesa del Concilio, della Chiesa cioè aperta al mondo, della Chiesa che sa uscire dalle proprie mura per incontrare l'uomo e tutti gli uomini nelle condizioni e situazioni particolari nelle quali si trovano a vivere».
«Voi, cari diaconi, se volete essere figli del Concilio, dovete incarnare nella società di oggi la fede che sa aprirsi all'altro, che sa uscire dalle mura sacre; una fede che sa dialogare con l'altro nella realtà nella quale la comunità degli uomini si trova a vivere. Una fede vera è una fede che si fa serva, una fede che si incarna nella carità; una fede intimista, una fede autoreferenziale non è la vera fede in Cristo; non è quello che Cristo ci ha invitati a portare nel mondo, non è la fede missionaria».
«Non si può perciò pensare, come qualche volta succede, che il diacono c'è solo per il culto, per la Parola, per cui basta semplicemente partecipare alle celebrazioni liturgiche della domenica o a quelle del sabato per dire che abbiamo realizzato il nostro dovere e la missione diaconale affidataci. Non basta.
Bisogna sapere andare al di là e cercare Dio che è presente in ogni uomo, in ogni parte; Dio che si trova in ogni città, vicolo, piazza, casa…».
«Non bisogna dividere la sacralità dalla umanità perché questa umanità è stata resa sacra proprio da Cristo, che è diventato uomo, che si è rivolto ad ogni uomo…».
«Uscire dal tempio, andare incontro alla gente che vive situazioni di marginalità morale e materiale, non avere paura di gettarvi nella mischia; non avere paura di sporcarvi le mani, ma avere il coraggio, come il Signore, di porsi accanto al fratello, di accompagnarlo e rendere ragione della speranza che c'è nei vostri cuori».

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venerdì 9 maggio 2014

Gesù, l'unico Pastore


4a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

La quarta domenica di Pasqua è detta "del Buon Pastore". Il testo evangelico odierno (Gv 10,1-10) apre un lungo discorso dove Gesù rivela chi è per gli uomini e soprattutto per i suoi discepoli, che cosa fa per loro e come essi si comportano con Lui. Gesù presenta se stesso in contrapposizione a coloro che non sono pastori, ma «ladri e briganti»: cioè i responsabili di Israele, che non promuovono il vero bene del popolo, e quanti, mossi da un falso messianismo, procurano la sua rovina.
Le immagini che Gesù porta, pur ispirandosi alle usanze della vita pastorale nella Palestina di allora, si riferiscono all'immagine biblica, molto nota, di Dio pastore che ama il suo popolo, raffigurato come un gregge: si prende cura di esso, condanna i falsi pastori, lo riconduce dall'esilio e lo raduna dalla dispersione.
Più direttamente ancora, Gesù si richiama alla situazione che sta vivendo a Gerusalemme: durante la festa delle Capanne e nel Tempio offre la sua rivelazione. Egli è la "luce del mondo" e lo ha mostrato guarendo un uomo cieco dalla nascita (cf Gv 9). Quest'uomo ha ricuperato la salute integrale arrivando alla fede piena in Gesù e testimoniandolo coraggiosamente, al punto da subire l'espulsione dalla comunità. Gesù rivolge il presente discorso agli avversari che hanno scacciato il cieco guarito. Si presenta ad essi come il vero Pastore del popolo. In effetti, nell'Antico Testamento le "pecore" indicano spesso i membri del popolo di Israele. Il termine "recinto", poi, non designa mai un recinto per le pecore, ma indica quasi sempre il vestibolo davanti alla Tenda nel deserto o davanti al Tempio. Indica quindi simbolicamente il Tempio di Gerusalemme, che rappresenta il giudaismo. Il pastore legittimo delle pecore, colui che entra per la porta, è Gesù, nuovo Pastore di Israele, che si è presentato al Tempio di Gerusalemme per rivelarsi ai Giudei durante la festa delle Capanne. Tutte le pecore del recinto, cioè tutti i Giudei, hanno potuto conoscere la sua dottrina, ma solo alcune di esse sono le «sue pecore». Tra esse il cieco guarito. Egli le «conduce fuori», come Dio aveva fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto. Gesù costituisce così un nuovo gregge, la Chiesa. Ed i rapporti tra il Pastore e le sue pecore sono descritti in questi termini: «cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono». Egli cioè le guida ed esse vivono con Lui, condividono il suo progetto, attuano la sua volontà.
Ma questa rivelazione iniziale di Gesù è piuttosto oscura e non viene compresa. Gesù allora riprende l'immagine della «porta» e del «pastore» sviluppandole e applicandole a sé: «Io sono la porta delle pecore». Una volta uscite dal recinto del giudaismo, le pecore devono passare attraverso la porta che è Gesù per accedere alla salvezza e alla vita: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvato». Altrove Gesù dirà: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). La salvezza sta appunto nel rapporto pieno col Padre.
La "porta", però, non è soltanto un luogo di passaggio attraverso cui si entra, ma appartiene già al recinto stesso. Riferita a Gesù, l'immagine della "porta" non significa soltanto che per accedere alla salvezza, per incontrare il Padre, occorre passare attraverso di Lui, che è appunto il "mediatore" della salvezza. Ma indica inoltre che questi beni della vita e della salvezza le pecore li trovano in Gesù. Vale a dire, Gesù non è soltanto la porta, la via di accesso; è anche il nuovo recinto, il nuovo Tempio in cui i suoi possono trovare i beni messianici e incontrare il Padre.
Al di là dei suoi primi destinatari, i nemici di Gesù, la sua rivelazione oggi raggiunge noi e intende comunicarci una certezza di fede: Gesù è l'unico Pastore, l'unica Porta.
Gesù è l'unico che ci dà la vita vera e piena, l'unico che ci salva. L'unico che ci ama.
L'iniziativa parte da Lui: «Chiama le sue pecore, ciascuna per nome»!
E le sue pecore «conoscono la sua voce». Sono felici di appartenergli, hanno un'intesa profonda con Lui. «Lo seguono». È la "sequela" che esprime la relazione essenziale del discepolo col proprio maestro, e significa riconoscenza lieta e colma di stupore: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al Pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,25).
Allora posso dire anch'io con tutto me stesso, con il cuore colmo di gioia e di riconoscenza: «Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla!».



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chiama le sue pecore, ciascuna per nome (Gv 10,3)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 7 maggio 2014

Diaconi nella Chiesa di papa Francesco
 (Atti del Convegno Diaconi 2013 [1])


Ho riportato nel mio sito di testi e documenti l'intervento che p. Bartolomeo Sorge ha tenuto al Convegno Nazionale del Diaconato, che si è tenuto a Napoli nell'agosto scorso.


Così l'inizio dell'articolo:
«Oggi la cultura secolarizzata ha fatto suoi molti valori della cultura cristiana (quali la dignità della persona, la solidarietà, la qualità della vita) e li presenta come meramente «laici», ignorandone la radice religiosa. Il cristianesimo, cioè, non è visto come un fenomeno di natura trascendente, ma tutt'al più come una "religione civile", utile sotto diversi aspetti alla vita sociale. Questo processo di secolarizzazione, ha portato con sé l'eclissi del senso morale, sfociando nel «relativismo etico»: "È avvenuta - rilevano ancora i nostri vescovi - alla fine del secondo millennio cristiano una vera e propria eclissi del senso morale. Con questo non vogliamo né possiamo dire che la gente sia più cattiva di un tempo: piuttosto è diventato difficile perfino parlare dell'idea del bene, come di quella del male, senza suscitare non tanto reazioni, quanto molto più semplicemente una forte incomprensione"» […]

Ecco alcuni sottotitoli:
L'impostazione pastorale di papa Francesco è profetica.
La svolta di papa Francesco: prima la testimonianza di fede, poi la dottrina.
Rilettura profetica della Gaudium et spes: i nodi che il Concilio non potè sciogliere; il taglio alla radice di ogni forma di clericalismo.
Una Chiesa povera: la Chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offerti dall'autorità civile. Anzi essa rinuncerà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza» (GS 76).

Un particolare rilievo è stato dato, in questa relazione, all'apporto del card. Martini e di don Tonino Bello, ricordati rispettivamente nel 1° e nel 30° anniversario della loro morte.
Di don Tonino Bello ha riportato ampi stralci di una lettera scritta in occasione dell'ordinazione del primo diacono permanente della diocesi di Molfetta.
A questo proposito rimando al testo della lettera che ho riportato a suo tempo su questo blog.

Vai al testo completo…


lunedì 5 maggio 2014

Mese di maggio con papa Francesco


Il mese mariano 2014 con papa Francesco


Una raccolta di testi mariani tratti dagli interventi di papa Francesco sulla Vergine Maria: una traccia per un bel cammino per il mese di maggio, proposto da fr. Massimo della Chiesa francescana della Vergine Immacolata di Frascati (RM).
Proposta attuativa: Al termine della S. Messa, prima della Benedizione finale, si legge il brano proposto o la breve preghiera, si esegue un canto mariano e poi si conclude la celebrazione.



Nel mio sito di Testi e Documenti ho riportato tutta la raccolta, giorno per giorno (vai ai testi…).

(NB: I titoli sono miei)


  1 Maggio – San Giuseppe Lavoratore
  2 Maggio – L'ascolto di Maria
  3 Maggio – La decisione di Maria
  4 Maggio – L'azione di Maria
  5 Maggio – L'Immacolata nel disegno di Dio
  6 Maggio – Maria, la Madre
  7 Maggio – Il "sì" di Maria
  8 Maggio – Maria, la Tutta Bella
  9 Maggio – In Maria la Parola di Dio si è fatta carne
10 Maggio – In Maria la gioia piena
11 Maggio – Stile mariano dell'evangelizzazione
12 Maggio – Maria, mossa dallo Spirito Santo
13 Maggio – Vergine dell'ascolto e della contemplazione
14 Maggio – Maria, donna della fede
15 Maggio – Maria, sostegno nella fede
16 Maggio – Scelta per essere Madre di Dio
17 Maggio – La fedeltà di Maria
18 Maggio – Tutto è dono di Dio
19 Maggio – Maria, donna dell'ascolto
20 Maggio – Affidamento a Maria
21 Maggio – Custoditi fra le braccia di Maria
22 Maggio – Maria, aiuto nelle sfide della vita
23 Maggio – Maria sempre ci porta a Gesù
24 Maggio – Maria ci apre la porta a Dio
25 Maggio – Maria concepisce prima nella fede poi nella carne
26 Maggio – Offrire la nostra vita con l'umiltà e il coraggio di Maria
27 Maggio – Maria ci precede nel pellegrinaggio della fede
28 Maggio – Maria, la vera discepola di Gesù
29 Maggio – Maria, la Madre della gioia
30 Maggio – Maria, modello della fede della Chiesa
31 Maggio – Maria, modello di carità


(vai ai testi…)

venerdì 2 maggio 2014

In cammino con il Risorto


3a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

L'annuncio pasquale che Pietro rivolge a una grande folla, il giorno di Pentecoste (cf At 2,14-33) è una notizia sconvolgente: Dio ha risuscitato Gesù dai morti! Questo annuncio risuona oggi ai nostri orecchi ancora nuovo e provocatorio. Ci interpella con la stessa forza di allora: "Voi per opera di Gesù credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio". È l'esperienza che ci consente di rivivere il racconto evangelico dei discepoli di Emmaus (cf Lc 24,13-35).
La domenica di Pasqua Clèopa e un altro discepolo si allontanano da Gerusalemme profondamente delusi e amareggiati a causa della crocifissione del loro Maestro. Ma vi ritornano pieni di gioia recando l'annuncio pasquale. Tra questi due momenti si situa il loro cammino, durante il quale Gesù si unisce a loro senza essere riconosciuto, e la cena a Emmaus nella quale i loro occhi si aprono al Risorto.
«Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Gesù è quello di prima, ma è anche diverso: risorgendo dai morti è entrato in una dimensione radicalmente nuova, quella cioè di un corpo glorificato, permeato e trasfigurato dalla realtà di Dio. Se fosse tornato alla vita terrena di prima (come è stato per Lazzaro, uscito dalla tomba) i discepoli non avrebbero difficoltà a identificarlo. Ma per riconoscerlo nella sua nuova dimensione occorre la fede, che in essi però è spenta. Considerano infatti la morte del Maestro un fallimento irreparabile. Per essi non c'è futuro oltre la morte.
Ed è anche l'esperienza di tante persone oggi: la rassegnazione fatalistica davanti alla morte, l'incapacità di sospettare una vita nuova al di là della morte!
Ed è qui che comincia l'esperienza con Gesù, che inizia con lo sgombrare ai due uomini la via della fede. Prima, però, Gesù si avvicina a loro, si fa compagno di viaggio e li interroga, si interessa della loro vita, si lascia coinvolgere dai loro problemi, li provoca a uscire fuori dalla apatia e cammina con loro: se li fa amici, ottiene la loro fiducia. Ed essi si sentono amati, capiti, pronti ad affidarsi alla sua parola. Egli apre loro una prospettiva nuova, mostra, spiegando le Scritture, il cammino percorso da Gesù: la sua morte in croce non manifesta il suo fallimento, ma la sua incondizionata fedeltà a Dio. Per questo il suo cammino non finisce con la morte, ma attraverso di essa conduce alla gloria, alla comunione piena, eterna con Dio. È una vera conversione quella che la parola di Gesù opera lentamente in loro. Ora non sono più tristi, ma sentono «ardere il cuore» e desiderano prolungare la relazione con Lui: «Resta con noi…». Accolti da Lui, ora lo accolgono.
I discepoli sono, così, gradualmente portati a riconoscere il Risorto, a incontrarlo nel modo più intimo e forte. Ciò avviene a tavola, nel momento della fraternità conviviale, quando Egli spezza il pane, ed i loro occhi si aprono e lo riconoscono.
L'evangelista, usando vocaboli che evocano l'ultima cena di Gesù e il rito eucaristico, vuole assicurare i cristiani che, quando si riuniscono per "spezzare il pane", incontrano il Risorto, come accadde a Emmaus. Tutta la struttura, infatti, del racconto sembra proprio ricalcare lo schema della celebrazione eucaristica: alla "mensa della Parola" segue la mensa eucaristica, dove l'incontro col Risorto e col suo sacrificio pasquale si realizza pienamente.
La gioia della scoperta è tale che i due rifanno il cammino, questa volta da Emmaus a Gerusalemme, per comunicare ai fratelli la loro esperienza e per proclamare insieme: «Il Signore è davvero risorto!».
È la notizia sempre fresca e nuova che la Chiesa si sente responsabile di portare a ogni uomo, come il dono più grande che gli possa essere offerto.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


giovedì 1 maggio 2014

Accogliere e custodire il dono più prezioso


In una giornata bella, piena di sole, nella splendida cornice della "Festa della famiglia", presso il centro di Spiritualità "Santa Maria dell'Acero", che la diocesi di Velletri-Segni celebra ogni 1° maggio, anche quest'anno, come lo scorso, sono stati ammessi ufficialmente al cammino per il diaconato permanente due amici, Claudio Barone e Giuseppe Baroni, con i quali da qualche anno condividiamo il cammino di formazione e discernimento.
Nella gioia e nella commozione di questo giorno abbiamo goduto per quanto il Signore sta operando.
Una vera festa di famiglia, dove la chiesa domestica (impreziosita anche dalle famiglie di questi nostri fratelli candidati al diaconato, che hanno deciso di offrire, con la loro vita ed il loro impegno, un sevizio speciale nella chiesa diocesana) si inserisce luminosa, pur nelle difficoltà quotidiane, nella più grande chiesa locale, attorno al proprio vescovo.
Facciamo nostro l'augurio che il vescovo, mons. Vincenzo Apicella, ha rivolto a tutti di saper accogliere e custodire quanto il Padre ha di più caro, il suo Figlio Gesù, come è stato per san Giuseppe.