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mercoledì 30 aprile 2014

Il Diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 182-183 (settembre/dicembre 2013)



Il diaconato a 50 anni dal Concilio Vaticano II


ATTI DEL XXIV CONVEGNO NAZIONALE
Napoli 21-24 Agosto 2013



Introduzione (Enzo Petrolino)

I discepoli di Emmaus (Vincenzo Mango)

Educare alla diaconia dell'ascolto per crescer nell'identità diaconale (Giuseppe Bellia)

La fede scaturisce dall'ascolto: la diaconia del servo di Jahwè (Rosanna Virgili)

Gruppi di lavoro (Gavino Mu)

Introduzione all'incontro delle spose (Montserrat Martinez)

Laboratorio delle spose (Ornella Di Simone)

Gruppo dei delegati (Luca Garbinetto)

Nord e Sud (d'Italia, dell'Europa, del mondo) ( Giuliana Martirani)

La diaconia edifica la Chiesa (Cettina Militello)

Diaconi testimoni di solidarietà (Giancamillo Trani)

Diaconi sentinelle di speranza per una società solidale (Alex Zanotelli)

Binario di solidarietà (Rosario Di Lorenzo)

Accogli e condividi (Giuseppe D'Antona)

Educare alla diaconia di Cristo servendo i poveri (Francesco Soddu)

Un'indagine sul diaconato in Italia: prospettive

Diaconi permanenti nella chiesa di papa Francesco (Bartolomeo Sorge)

Il diaconato a 50 anni dal Concilio Vaticano II (Enzo Petrolino)

Diaconi per la Chiesa universale (Crescenzio Sepe)



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domenica 27 aprile 2014

Testimoni della Misericordia



«San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia».
«In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava una speranza viva, insieme con una gioia indicibile e gloriosa».
«Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama».
 (Papa Francesco, dall'Omelia alla Canonizzazione dei Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II).


venerdì 25 aprile 2014

Misericordia, secondo nome dell'amore


2a domenica di Pasqua (A)

Appunti per l'omelia

Abbiamo visto il Signore! Questa è la gioiosa notizia che gli Apostoli danno a Tommaso, che, incredulo, vuole toccare con mano. Ma è il lieto annuncio che viene rivolto anche a noi oggi, che pur non vedendo siamo chiamati a credere. Il Signore risorto, infatti, è vivo nella sua Chiesa e ci dà realmente la possibilità di passare dalla paura alla fede, dalla tristezza alla gioia, dalla morte alla vita. (Vedi anche gli Appunti per l'omelia degli scorsi anni: La nostra vita con il Risorto - La comunità vivificata dal Risorto).
Ma questa seconda domenica di Pasqua prende il nome di "Domenica della Divina Misericordia". Nelle diverse letture (riprendo per questa occasione l'omelia che Giovanni Paolo II ha tenuto in occasione della canonizzazione di Maria Faustyna Kowalska, il 20 aprile 2000, domenica seconda di Pasqua), la liturgia sembra disegnare il cammino della misericordia che, mentre ricostruisce il rapporto di ciascuno con Dio, suscita anche tra gli uomini nuovi rapporti di fraterna solidarietà. Cristo ci ha insegnato che "l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma è pure chiamato a «usar misericordia» verso gli altri: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5, 7)" (Dives in misericordia, 14). Egli ci ha poi indicato le molteplici vie della misericordia, che non perdona soltanto i peccati, ma viene anche incontro a tutte le necessità degli uomini. Gesù si è chinato su ogni miseria umana, materiale e spirituale. Il suo messaggio di misericordia continua a raggiungerci attraverso il gesto delle sue mani tese verso l'uomo che soffre.
"Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia" (Sal 118, 1). Così canta la Chiesa nell'Ottava di Pasqua, quasi raccogliendo dalle labbra di Cristo queste parole del Salmo; dalle labbra di Cristo risorto, che nel Cenacolo porta il grande annuncio della misericordia divina e ne affida agli apostoli il ministero: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20, 21-23).
Prima di pronunciare queste parole, Gesù mostra le mani e il costato. Addita cioè le ferite della Passione, soprattutto la ferita del cuore, sorgente da cui scaturisce la grande onda di misericordia che si riversa sull'umanità. Da quel cuore suor Faustina Kowalska vedrà partire due fasci di luce che illuminano il mondo: "I due raggi rappresentano il sangue e l'acqua".
Sangue ed acqua (cf Gv 19, 34)! Se il sangue evoca il sacrificio della croce e il dono eucaristico, l'acqua, nella simbologia giovannea, ricorda non solo il battesimo, ma anche il dono dello Spirito Santo. Attraverso il cuore di Cristo crocifisso la misericordia divina raggiunge gli uomini. Questa misericordia Cristo effonde sull'umanità mediante l'invio dello Spirito che, nella Trinità, è la Persona-Amore. E non è forse la misericordia un "secondo nome" dell'amore (cf Dives in misericordia, 7), colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?
Disse Gesù a Suor Faustina: "L'umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia" (Diario, p. 132). Non è un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo. La luce della divina misericordia illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio. Come gli Apostoli un tempo, è necessario però che anche l'umanità di oggi accolga nel cenacolo della storia Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e ripete: Pace a voi! Occorre che l'umanità si lasci raggiungere e pervadere dallo Spirito che Cristo risorto le dona. È lo Spirito che risana le ferite del cuore, abbatte le barriere che ci distaccano da Dio e ci dividono tra di noi, restituisce insieme la gioia dell'amore del Padre e quella dell'unità fraterna.
Non è facile amare di un amore profondo, fatto di autentico dono di sé. Questo amore si apprende solo alla scuola di Dio, al calore della sua carità. Fissando lo sguardo su di Lui, sintonizzandoci col suo cuore di Padre, diventiamo capaci di guardare ai fratelli con occhi nuovi, in atteggiamento di gratuità e di condivisione, di generosità e di perdono. Tutto questo è misericordia!
Nella misura in cui l'umanità saprà apprendere il segreto di questo sguardo misericordioso, si rivela prospettiva realizzabile il quadro ideale proposto nella prima lettura: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (At 4, 32). Qui la misericordia del cuore è divenuta anche stile di rapporti, progetto di comunità, condivisione di beni. Qui sono fiorite le «opere della misericordia», spirituali e corporali. Qui la misericordia è divenuta concreto farsi «prossimo» verso i fratelli più indigenti.
È a questo amore che l'umanità di oggi deve ispirarsi per affrontare la crisi di senso, le sfide dei più diversi bisogni, soprattutto l'esigenza di salvaguardare la dignità di ciascuna persona umana. Il messaggio della divina misericordia è così, implicitamente, anche un messaggio sul valore di ogni uomo. Ogni persona è preziosa agli occhi di Dio, per ciascuno Cristo ha dato la sua vita, a tutti il Padre fa dono del suo Spirito e offre l'accesso alla sua intimità.
Questo messaggio consolante si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza.
Misericordias Domini in aeternum cantabo (Sal 88 [89], 2).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Mio Signore e mio Dio (Gv 20,28)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


martedì 22 aprile 2014

Vivere la Pasqua ogni giorno


Mi ha fatto bene quanto letto oggi nel sito dei Focolari, e che riporto, sapendo che il Vangelo vissuto nel quotidiano è l'arma vincente per testimoniare sempre la gioia che il Risorto ci dona.

L'amore reciproco vissuto, preso sul serio, porta gioia e pace vera. Alcuni esempi in giro per il mondo.

Autostop
Stavo tornando a casa con mia moglie in auto quando notiamo un autostoppista. Lo sorpassiamo, ma sentiamo l'assurdità di essergli passati accanto facendo finta di non vederlo. Decidiamo di tornare indietro. È uno studente del Senegal diretto ad Anversa, che sta già da molto tempo per strada con i suoi abiti estivi. Ha molto freddo e lo invitiamo a pranzo a casa nostra. Dopo aver mangiato gli proponiamo di portarlo ad Anversa (25 km da casa nostra). Lui è felice e commosso. Al momento di salutarlo, sento che non posso abbandonarlo così, al freddo. Gli do il cappotto, il migliore che ho. Tornando a casa, canto da solo. (L. H., Belgio).

Litigi
Un giorno in cui ero particolarmente nervoso, a farne le spese era stata soprattutto mia moglie. Credendo di far sbollire il mio malumore, uscii di casa e passai il pomeriggio dai nostri vicini, annoiandomi davanti alla tv. Appena rientrato, la vocetta severa del piccolo Milos mi fece trasalire: «Papà, non sai che Gesù non vuole che si litighi?». Fu una lezione salutare. Corsi a dare un bacio a mia moglie. I bambini, vero "termometro" della nostra unità familiare. (Stjepan, Croazia).

Pigrizia
Talvolta è difficile per me impegnarmi in un lavoro per via della mia pigrizia. Come quella volta: dovevo riordinare la biblioteca dove c'era una grande confusione di libri per terra, ma non mi andava di fare niente. D'un tratto mi è sembrato che qualcuno mi suggerisse dentro: «Sii amore!». Al che ho deciso di fare tutto per Dio e per quelli che avrebbero usato la biblioteca. Quando ho finito, ho sentito una grande gioia in cuore e ho capito che questa gioia era un dono di Dio. (T., Brasile).



sabato 19 aprile 2014

La gioia piena che il Risorto ci dona


Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore (A)

Appunti per l'omelia

"È risorto! È vivo!". È l'annuncio che la Chiesa da duemila anni fa risuonare senza tregua, con una gioia incontenibile ed un entusiasmo dirompente, in ogni angolo della terra. La Pasqua per i credenti è la festa delle feste. È la festa della vita, di quella vita che non soltanto sfugge temporaneamente alla morte, ma riporta una vittoria piena e definitiva sul "nemico ultimo" e inesorabile degli uomini.
Il Signore Gesù è vivo non solo nel ricordo amoroso di una comunità che si richiama in qualche modo a Lui, vivo non solo nei poveri in cui Egli ha detto di identificarsi; ma è vivo, Lui in persona, corporalmente vivo in una umanità trasformata da Dio, con un cuore di carne che palpita per te, per me oggi.
Questo annuncio (cf At 10,37-43) parla appunto di Gesù di Nazaret, che passò facendo del bene a tutti, e che i nemici uccisero appendendolo a una croce. Tutto pareva finito e le immense speranze accese da quest'uomo sepolte con lui. Ma «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno». C'è chi lo ha visto. C'è chi lo ha incontrato vivo: alcuni «testimoni prescelti da Dio», i quali hanno «mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti».
I due discepoli, che il mattino di Pasqua si recarono alla tomba (cf Gv 20,1-9), correvano stimolati dall'inquietudine e spinti dall'amore, ma con tanto buio nell'animo, il buio dell'incredulità. Una volta però entrati nel sepolcro, davanti a quelle bende che prima avevano avvolto il Crocifisso e ora giacevano lì, afflosciate, nella stessa posizione, davanti al sudario che rimaneva intatto senza più fasciare il capo di Gesù, ecco accendersi nel cuore del discepolo un'intuizione folgorante: «Vide e credette». Potremmo anche dire: cominciò a credere. È l'inizio di una fede che diventerà perfetta la sera di Pasqua, quando il Risorto incontrerà i discepoli, i quali «gioirono nel vedere il Signore».
Così per noi, se la fede pasquale nasce e cresce nel nostro cuore, tutto l'orizzonte della nostra vita si illumina!
E Gesù ripete anche a me, a noi, oggi: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). Lo ripete a ogni uomo e ogni donna che percorre instancabilmente tutte le strade, amico discreto e silenzioso di quanti cercano un senso alla loro vita e di quanti hanno smesso di cercarlo o non lo cercano ancora. «Sono con voi» ripete, mentre bussa tenacemente alle porte di tutti i cuori nella speranza di essere accolto.
Ma la risurrezione non è soltanto un avvenimento futuro che i cristiani attendono con fiducia. I cristiani sanno di essere risorti con Cristo nel Battesimo e di vivere già in comunione con Lui una vita nuova.
Il nostro cammino quaresimale ci ha portati qui, a incontrare il Risorto, a sentirci scoppiare in cuore la gioia di essere risorti con Lui. Ognuno può dire: io oggi "incomincio". Non importa se la vita prosegue con le sue sorprese e difficoltà. Io però mi sento nuovo. Sento che il Risorto cammina al mio fianco e io posso dialogare con Lui. È il Cristo giovane - duemila anni di storia non lo hanno invecchiato -, giovane come il mattino di Pasqua, l'amico di ogni momento. Una presenza che non ci verrà mai più tolta. E siamo sicuri che la mia vita, la nostra vita, non finirà in un naufragio totale. È l'esperienza che attende di essere testimoniata con coraggio ed entusiasmo. È il dono più grande che possiamo offrire a ogni persona che incontriamo e all'intera società.
Sì, perché augurando a ciascuno "Buona Pasqua!" (che è come dire "Cristo è risorto! - Sì, è veramente risorto!") comunico al fratello, e lui a me, la gioia di sentirci risorti con Cristo: Io sono risorto! Tu sei risorto! Io sono passato dal torpore e dalla grettezza a un dinamismo nuovo, dalla sfiducia al gusto e alla gioia di vivere, dalla morte alla vita.
È partecipare della gioia piena che il Risorto ci dona!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Andate a dire: È risorto dai morti (Mt 28,7)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi



venerdì 18 aprile 2014

Il Mistero di quei tre giorni



"Si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse di un asciugamano e cominciò a lavare i piedi dei discepoli"...
Poi Gesù riprese le sue vesti (ma del grembiule l'evangelista non dice che se l'è tolto!) e disse: "Capite quello che ho fatto per voi? … Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come ho fatto a voi: dovete lavare i piedi gli uni agli altri".


Infatti, "il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti".
Egli "liberamente si consegnò alla morte", "si caricò dei nostri peccati"… Per noi "svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo"…
Con quel "grido" sperimentò anche l'abbandono del Padre, ma a Lui si affidò "consegnando nelle sue mani il suo spirito".


Nel silenzio del sepolcro dove tutto sembrava finito, il cuore della Madre, provato da così grande dolore, avendo "perso" tutto, la stessa "Opera di Dio", è modello materno per ogni discepolo del Figlio; e, nulla volendo per sé, attende nella fede l'adempimento delle promesse.




martedì 15 aprile 2014

Il Servo di Jahwè






«Dall'identità teologica del diacono, scaturiscono con chiarezza i lineamenti della sua specifica spiritualità che si presenta essenzialmente come spiritualità del servizio. Il modello per eccellenza è il Cristo Servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini. Egli si è riconosciuto annunciato nel servo del primo carme del Libro di Isaia» (Norme per la formazione dei diaconi permanenti, 11).




«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (Is 42,1-3.6-7).



domenica 13 aprile 2014

Chi sono io?


Domenica delle Palme, inizio della Settimana Santa…
Chi sono io davanti a Gesù che inizia il suo cammino verso il Calvario? A quali persone, che hanno a che fare con Gesù, io rassomiglio?
Domande inquietanti… Domande che nell'omelia papa Francesco oggi ci pone…

«A quale di queste persone io rassomiglio?».
«Chi sono io? Chi sono io, davanti al mio Signore? Chi sono io, davanti a Gesù che entra di festa in Gerusalemme? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre?».
«Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi. Il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, alcuni maestri della legge, che avevano deciso di ucciderlo. Aspettavano l'opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro?».
«Abbiamo sentito anche un altro nome: Giuda. 30 monete. Sono io come Giuda?».
«O sono come i discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano cosa fosse tradire Gesù? Come quell'altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io, traditore? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni: sono io come loro?».
«Sono io come Pilato che quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone?».
«Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente, per umiliare Gesù. Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, sputano addosso a Lui, lo insultano, si divertono con l’umiliazione del Signore?».

«Sono io come il Cireneo che tornava dal lavoro, affaticato, ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce?».
«Sono io come quelle donne coraggiose, e come la mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio? Sono io come Giuseppe, il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore, per dargli sepoltura? Sono io come queste due Marie che rimangono alla porta del Sepolcro, piangendo, pregando?».

«Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio? Che questa domanda ci accompagni durante tutta la settimana».



venerdì 11 aprile 2014

Vegliare e soffrire con Lui


Domenica delle Palme (A)

Appunti per l'omelia

Dopo l'entusiasmo osannante dell'entrata di Gesù a Gerusalemme, la liturgia di questa domenica ci introduce nella contemplazione della passione del Signore secondo Matteo. L'evangelista è particolarmente attento a sottolineare che nella passione di Gesù si compie il disegno di Dio annunciato dalle Scritture (cf Is 50,4-7), che possiamo pure contemplare nel grandioso inno paolino (cf Fil 2,6-11), dove troviamo presentata la passione inseparabile con la glorificazione di Gesù da parte del Padre.
Guardando al racconto di Matteo possiamo soffermarci su due momenti estremamente significativi, che si corrispondono: la preghiera di Gesù nell'orto degli Ulivi ed il suo grido desolato sulla croce.
Matteo descrive anzitutto la "passione interiore" di Gesù. Schiacciato dall'angoscia e da una tristezza mortale, Gesù la confida al Padre nel suo dialogo solitario con Lui, mentre i discepoli dormono: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!...»; manifestando la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Lui. Se Dio è suo padre, perché non lo sottrae alla prova? Ma subito scatta la fiducia e l'abbandono senza riserve:«Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».
Nella preghiera Gesù trova la forza per superare la tentazione, rimanendo fedele a Dio e accettando la Passione. Si rivela, così, veramente Figlio di Dio, a Lui perfettamente unito nell'amore.
Anche a me Gesù chiede di ripetere con Lui al Padre, in ogni circostanza fosse pure drammatica: "Si compia la tua volontà... ciò che tu vuoi anch'io lo voglio!".
L'agonia di Gesù continua nella storia della Chiesa, nella storia dell'umanità sofferente, nella storia di milioni di uomini terribilmente provati nel corpo e nello spirito. In ciascuno di essi Gesù continua a implorare la nostra attenzione, continua a ripeterci nel tentativo di scuoterci dal sonno: «Restate qui e vegliate con me... Non siete capaci di vegliare con me una sola ora?».
«Vegliate con me». Vegliare è essere in comunione con Cristo, è condividere la sua stessa esperienza di vita. È difficile cancellare dal nostro animo la scena di Gesù che, in preda a indicibile angoscia, va mendicando un po' di compagnia per la sua solitudine. E gli amici gli hanno negato la loro presenza… non lo hanno capito, non hanno capito il dramma che stava vivendo. Gli amici dormivano...
Quante volte Gesù ci passa accanto implorando un gesto di attenzione, di solidarietà, di amicizia!. È un nostro fratello povero, bisognoso soprattutto di affetto... È sempre Lui, Gesù, e noi... restiamo insensibili, continuiamo a dormire?
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Queste parole, le uniche che Matteo pone sulle labbra di Gesù morente, esprimono una desolazione estrema: l'isolamento di Gesù è totale, la sua solitudine è senza misura. Anche il Padre tace e pare abbandonarlo completamente, ritirando la sua presenza. Di più, Gesù vive il dramma unico del "figlio" che si sente abbandonato da colui che egli considerava e chiamava il suo "Abba", papà: la sua morte è vista, allora, come la rovina e il fallimento della "causa" stessa di Dio. Ma la ragione ultima espressa nel grido di Gesù è da ricercarsi nella sua scelta di spingere la sua solidarietà con gli uomini peccatori fino alle estreme conseguenze. Fino al punto, cioè, di sperimentare, di assaporare l'abisso della lontananza da Dio in cui si trovano gli uomini che sono preda del peccato.
Ma, come ha scritto Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, «mentre si identifica col nostro peccato, "abbandonato" dal Padre, Egli "si abbandona" nelle mani del Padre» (NMI 26). Così Gesù, gridando sulla croce, fa suo il grido di tutti i poveri, sofferenti, oppressi della storia. Fa suo il grido dell'umanità infelice e lo lancia verso Dio. Non un grido di disperazione, ma di sconfinata fiducia. «Il grido di Gesù sulla croce non tradisce l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti» (NMI 26).
Gesù in croce appare come il Povero per eccellenza, il quale riassume in sé tutto il dolore che, dall'ingresso del peccato nel mondo, ha travagliato l'umanità.
Sulla croce c'è il Dolore, ma guardando il Crocifisso, vi scopriamo paradossalmente l'altra faccia della stessa realtà, l'estremo dell'Amore.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Padre, si compia la tua volontà (Mt 26,42)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi



mercoledì 9 aprile 2014

Per il sì pieno e definitivo…


Ho trovato in questo scritto che riporto, tratto dal blog di Fabio Ciardi, dal titolo "La risposta ultima di apa Pafnunzio", una ulteriore spinta a portare a termine con frutto questo cammino quaresimale, nella preziosità del tempo che Dio mi concede.


Il tempo rallenta nel deserto. I minuti si fanno lunghi come ore, dilatati dal silenzio e dalla solitudine, misurati dall'ampiezza dell'orizzonte. Il cammino interiore di apa Pafnunzio in questo spazio d'immensità, procedeva con ritmo calmo e perseverante come quello delle carovane dei cammellieri.
È arido e secco il deserto. Apa Pafnunzio sentiva prosciugarsi l'intimo dell'anima, fino all'essenziale, come le rocce attorno alla sua cella.
Aveva dunque eliminato l'inutile zavorra? Le maschere dell'io, nel lungo e fedele avanzare, si erano sciolte per lasciare emergere il suo vero volto? Aveva finalmente raggiunto l'identità con se stesso?
Gli sembrava lineare il percorso intrapreso, guidato dalla speranza verso una meta certa. Oppure, senza accorgersene, stava vagando in percorsi circolari, come nei quarant'anni di deserto del popolo di Dio in cerca della terra promessa?
Gli spazi del deserto gli si aprirono e gli mostrarono il villaggio d'origine, le grandi città di Alessandra, di Antiochia, di Ninive abitate da uomini e donne che non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. Loro, che non conoscevano né il silenzio, né la distensione del tempo, né l'essenzialità e la leggerezza del deserto, sarebbero mai giunti a cogliere la verità del loro io, avrebbero mai scoperto e raggiunto il progetto di Dio su di loro? Perché questo è il vero io di ognuno.
A notte si addormentò lasciando la domanda in sospeso. Il deserto, con la sua lunga estensione del tempo, avrebbe provveduto alla risposta.
La risposta arrivò proprio durante la notte. Gli fu donata in sogno.
Sognò d'essere al termine dell'interminabile tempo del deserto. Perché anche l'interminabile tempo del deserto, ha un tempo segnato. Era finalmente giunto alla fine del lungo pellegrinaggio. Così lungo da sembrare profezia ed esperienza d'eternità, mentre ora s'accorgeva di quanto quell'interminabile tempo fosse stato breve, un soffio appena. Soltanto adesso sarebbe iniziata la vera eternità, eterno presente.
Iddio gli mostrò come da sempre l'aveva pensato, a cosa veramente l'avesse chiamato. I momenti della vita, di successo o di fallimento, le scelte compiute fino ad allora, quelle sbagliate e quelle riuscite, gli parvero soltanto delle tappe, profili provvisori e incompleti della sua vera identità. Ora capiva finalmente chi era chiamato ad essere, quale fosse la sua vera identità. Per ogni uomo, per ogni donna sarebbe dunque giunto il momento della verità.
Era il momento più importante, il più solenne, determinante per il passaggio nell'eternità. Era l'estrema possibilità per la risposta alla chiamata, per il sì pieno e definitivo, ed essere se stesso.
Apa Pafnunzio si svegliò ebbro di gioia, e disse il suo sì.

domenica 6 aprile 2014

Il tempo della misericordia


"Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo si poteva trovare con più facilità?" si chiede papa Francesco, parlando ai preti di Roma il 6 marzo 2014. E risponde: "Sulle strade. La vita di Gesù era nella strada". Con questo suo stile di vita, Gesù "ci invita a cogliere la profondità del suo cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente che incontra… persone stanche e sfinite… e ne sentì compassione".
"Un po' come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri".
Oggi, nella Chiesa tutta "è il tempo della misericordia"!
Il papa, parlando ai preti (e tra questi c'erano anche i diaconi), è come se parlasse a ciascun seguace di Gesù, seguace che è presenza di Lui che serve.
"A immagine del Buon Pastore, il prete (e non solo…) è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti".
"La Chiesa oggi possiamo pensarla come un ospedale da campo… C'è bisogno di curare le ferite... Misericordia significa prima di tutto curare le ferite… (Prima curare) la ferita, e poi vediamo le analisi…".
Prima curare le "ferite aperte", dice il papa, poi vedere come guarirle… Forse non ci sarà rimedio, ma sicuramente l'amore di misericordia, non abbandona, dà sollievo, accompagna, non lascia soli…
E questo "per me - dice il papa – in questo momento è più importante".
"E ci sono anche ferite nascoste, perché c'è gente che si allontana per non far vedere le ferite…". Ferite anche, forse, causate dai nostri scandali, dalla nostra durezza di cuore…
Non si trovano soluzioni oggettive, soddisfacenti, per casi particolari? Allora, queste persone, sono lasciate sole o peggio giudicate dai benpensanti come non degne? Non degne, soprattutto, di stare in mezzo alla comunità dei credenti, che si raduna magari per incontrare Cristo e per testimoniarlo? Oppure l'amore sa trovare soluzioni che non emarginano e non escludono?
È in gioco la nostra credibilità di discepoli di Gesù! E il papa ci incoraggia: "Non aver vergogna della carne di tuo fratello…". Come il buon Samaritano aprire il cuore: ognuno "si lasci commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in una azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona".

Colgo allora tre atteggiamenti «essenziali, nella prospettiva della vita eterna di ogni uomo: il fermarsi, come fece il buon Samaritano, accanto alla sofferenza del suo prossimo, l'aver compassione di essa, ed infine il dare aiuto» (cf Salvifici doloris, 30).

venerdì 4 aprile 2014

Colui che possiede la pienezza della Vita


5a domenica di Quaresima (A)

Appunti per l'omelia

Nei brani evangelici delle ultime domeniche Gesù si è rivelato progressivamente: come "l'acqua viva" che disseta il nostro bisogno di felicità e di infinito (l'incontro con la samaritana); come "la luce" che rischiara le nostre tenebre donandoci la fede (la guarigione del cieco nato). Nel brano di questa domenica (cf Gv 11,1-45) Gesù, risuscitando Lazzaro da quattro giorni nel sepolcro, si rivela come Colui che possiede la pienezza della vita e la comunica.
La storia narrata in questo capitolo evidenzia, con accenti toccanti, non solo il rapporto tenero e profondo che legava Gesù alla famiglia di Lazzaro, ma il miracolo strepitoso operato da Gesù contiene un messaggio immensamente più profondo. Gesù, richiamando Lazzaro dalla tomba, rivela se stesso, chi è Lui per l'uomo, per ogni uomo:«Io sono la risurrezione e la vita». Questa dichiarazione solenne di Gesù a Marta rappresenta il culmine del racconto. Quando Gesù giunge a Betania, la situazione è irreparabile: Lazzaro è nel sepolcro già da quattro giorni. Ma Gesù, pur incontrandolo ormai prigioniero della morte, la sconfigge con la sua parola e libera il proprio amico.
Il grido che chiama «Lazzaro, vieni fuori!» è la voce di Colui che nell'ultimo giorno chiamerà i morti dai loro sepolcri. Gesù risusciterà i morti e sarà il contenuto della loro vita di risorti. Essi parteciperanno, cioè, alla sua vita gloriosa, saranno con Lui realizzati supremamente come uomini. Questo futuro che Gesù apre ai credenti non può essere un miraggio, frutto della fantasia degli uomini, inventato dalla loro disperazione davanti alla morte; ma semplicemente ciò che Dio ha promesso e che ha già cominciato ad attuare proprio in Lui, Gesù, il primo dei risorti. Se davanti alla tomba di Lazzaro Gesù pensa che presto un'altra tomba si aprirà per accogliere anche Lui, Egli però sa vedere nella morte dell'amico, nella propria morte, nella morte di noi tutti un significato nuovo, per cui la morte diventa un sonno in attesa del risveglio. Al di là, perciò, dell'esperienza lacerante della morte, il credente è invitato a vedere l'unica realtà che sembra vera e definitiva per gli uomini, la vittoria di Cristo, il suo amore che salva l'uomo. Gesù è l'unico che davanti alla morte dell'amico continua a sperare. La tomba non può essere l'abitazione definitiva dei suoi amici.
La risurrezione di Lazzaro, però, non è soltanto simbolo della risurrezione futura, ma è anche segno di un dono che il Signore Gesù già ora fa a chi crede. La "vita eterna" il credente la possieda già fin d'ora in attesa dell'esplosione e maturazione finale di tale vita. Già adesso, nel presente, Gesù è per tutti i credenti quella vita divina, ineffabile, eterna che non morirà mai. Se Gesù è in te, in me, non moriremo: «Io sono la risurrezione e la vita».
Ma occorre credere. Come già nell'incontro con la samaritana e col cieco guarito, così Gesù vuole condurre alla fede vera Marta e i discepoli: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Credi questo?». Credere significa non solo accettare le verità annunciate da Gesù, ma dire un sì totale a Lui, consegnarsi a Lui accogliendo e vivendo le sue parole, i suoi insegnamenti, che sono riassunti nell'amore. In tal modo si apre la porta a Lui, che è la Vita, perché dimori permanentemente in noi.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Io sono la risurrazione e la vita (Gv 11,25)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 2 aprile 2014

La sofferenza, via di salvezza


Nono anniversario della "partenza" per il Cielo dell'amatissimo Giovanni Paolo II, fra pochi giorni proclamato santo.
Pensando a lui, in questo giorno, nell'affidarmi alla sua intercessione, ho fatto mio un suo pensiero, che ho preso dalla Lettera apostolica Salvifici doloris, e mi accompagni nella mia diaconia, nel mio "essere per gli altri", nell'incontrare Gesù nell'incontro con le persone che Dio mi pone accanto o per le quali prego ed ho in cuore, pur non incontrandole direttamente.
L'uomo, infatti, è la "via della Chiesa", è la via dell'incontro con Dio.
Giovanni Paolo II ha scritto che «in Cristo ogni uomo diventa la via della Chiesa. Si può dire che l'uomo diventa in modo speciale la via della Chiesa, quando nella sua vita entra la sofferenza. … La sofferenza sembra essere, ed è, quasi inseparabile dall'esistenza terrena dell'uomo.
Dato dunque che l'uomo, attraverso la sua vita terrena, cammina in un modo o nell'altro sulla via della sofferenza, la Chiesa in ogni tempo dovrebbe incontrarsi con l'uomo proprio su questa via. La Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In un tale incontro l'uomo diventa la via della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti» (Salvifici doloris, 3).
Questo anche, e soprattutto, perché Gesù stesso ha preso su di sé tutta la nostra sofferenza, redimendola, illuminandola, facendola diventare fonte e strumento di salvezza.
Così anche noi, soffrendo con Cristo, partecipiamo «alla redenzione dell'uomo»; ed «ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo» (Salvifici doloris, 19)