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venerdì 31 gennaio 2014

L'offerta della sua e, con Lui, della nostra vita a Dio


Presentazione di Gesù al Tempio

Appunti per l'omelia

La quarta domenica del Tempo ordinario quest'anno coincide, a quaranta giorni dal Natale, con la festa della Presentazione al Tempio di Gesù. Con questo rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo che lo attendeva nella fede. Con questa festa si chiudono le celebrazioni legate alla nascita di Cristo e si apre il cammino verso il mistero della morte e risurrezione del Signore, preannunciata da Simeone alla Vergine Maria.
In questi Appunti mi sono fatto guidare dalle parole che Benedetto XVI ha pronunciato all'omelia del 2 febbraio dello scorso anno.
«Nel suo racconto dell'infanzia di Gesù, san Luca sottolinea come Maria e Giuseppe fossero fedeli alla Legge del Signore. Con profonda devozione compiono tutto ciò che è prescritto dopo il parto di un primogenito maschio. Si tratta di due prescrizioni molto antiche: una riguarda la madre e l'altra il bambino neonato. Per la donna è prescritto che si astenga per quaranta giorni dalle pratiche rituali, dopo di che offra un duplice sacrificio: un agnello in olocausto e una tortora o un colombo per il peccato; ma se la donna è povera, può offrire due tortore o due colombi (cfr Lv 12,1-8). San Luca precisa che Maria e Giuseppe offrirono il sacrificio dei poveri (cfr 2,24), per evidenziare che Gesù è nato in una famiglia di gente semplice, umile ma molto credente: una famiglia appartenente a quei poveri di Israele che formano il vero popolo di Dio. Per il primogenito maschio, che secondo la Legge di Mosè è proprietà di Dio, era invece prescritto il riscatto, stabilito nell'offerta di cinque sicli, da pagare ad un sacerdote in qualunque luogo. Ciò a perenne memoria del fatto che, al tempo dell'Esodo, Dio risparmiò i primogeniti degli ebrei (cfr Es 13,11-16).
È importante osservare che per questi due atti - la purificazione della madre e il riscatto del figlio - non era necessario andare al Tempio. Invece Maria e Giuseppe vogliono compiere tutto a Gerusalemme, e san Luca fa vedere come l'intera scena converga verso il Tempio, e quindi si focalizzi su Gesù che vi entra. Ed ecco che, proprio attraverso le prescrizioni della Legge, l'avvenimento principale diventa un altro, cioè la "presentazione2 di Gesù al Tempio di Dio, che significa l'atto di offrire il Figlio dell'Altissimo al Padre che lo ha mandato (cfr Lc 1,32.35).
Questa narrazione dell'Evangelista trova riscontro nella parola del profeta Malachia che abbiamo ascoltato all'inizio della prima Lettura: "Così dice il Signore Dio: Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, eccolo venire … Egli purificherà i figli di Levi … perché possano offrire al Signore un'offerta secondo giustizia (3,1.3). Chiaramente qui non si parla di un bambino, e tuttavia questa parola trova compimento in Gesù, perché "subito", grazie alla fede dei suoi genitori, Egli è stato portato al Tempio; e nell'atto della sua "presentazione", o della sua "offerta" personale a Dio Padre, traspare chiaramente il tema del sacrifico e del sacerdozio, come nel passo del profeta. Il bambino Gesù, che viene subito presentato al Tempio, è quello stesso che, una volta adulto, purificherà il Tempio (cfr Gv 2,13-22; Mc 11,15,19 e par.) e soprattutto farà di se stesso il sacrificio e il sommo sacerdote della nuova Alleanza.
Questa è anche la prospettiva della Lettera agli Ebrei, di cui è stato proclamato un passo nella seconda Lettura, così che il tema del nuovo sacerdozio viene rafforzato: un sacerdozio - quello inaugurato da Gesù - che è esistenziale: "Proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (Eb 2,18). E così troviamo anche il tema della sofferenza, là dove Simeone pronuncia la sua profezia sul Bambino e sulla Madre: "Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te [Maria] una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35). La "salvezza" che Gesù porta al suo popolo, e che incarna in se stesso, passa attraverso la croce, attraverso la morte violenta che Egli vincerà e trasformerà con l'oblazione della vita per amore. Questa oblazione è già tutta preannunciata nel gesto della presentazione al Tempio, un gesto certamente mosso dalle tradizioni dell'antica Alleanza, ma intimamente animato dalla pienezza della fede e dell'amore che corrisponde alla pienezza dei tempi, alla presenza di Dio e del suo Santo Spirito in Gesù. Lo Spirito, in effetti, aleggia su tutta la scena della presentazione di Gesù al Tempio, in particolare sulla figura di Simeone, ma anche di Anna. È lo Spirito "Paraclito", che porta la "consolazione" di Israele e muove i passi e il cuore di coloro che la attendono. È lo Spirito che suggerisce le parole profetiche di Simeone e Anna, parole di benedizione, di lode a Dio, di fede nel suo Consacrato, di ringraziamento perché finalmente i nostri occhi possono vedere e le nostre braccia stringere "la sua salvezza" (cfr 2,30)».
Una consolazione che passa attraverso la sofferenza e la croce, con «una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate - conclude Benedetto XVI - che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica», fino alla fine.


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
I miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2,30)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Enzo Bianchi


giovedì 30 gennaio 2014

Il diacono e le sfide del nostro tempo [1]


La rivista Il Diaconato in Italia dedica il n° 181 al diaconato dentro le sfide del nostro tempo.
Nel riportare i vari articoli nel mio sito di testi e documenti, segnalo questi interventi.







Sfide del tempo o sfide del Vangelo? (Editoriale)
di Giuseppe Bellia
Il termine "sfida", soprattutto se associato a "il nostro tempo", è diventato una sorta di tormentone pastorale che ha finito per contagiare anche altri ambiti come la società, la politica, l'economia e la scuola, per citarne solo alcuni. In realtà tensioni, nemmeno tanto sotterranee e nascoste, traversano e inquietano credenti e chiese perché si ha la sensazione che qualcosa si è inceppato o peggio che qualcosa sta scricchiolando dall'interno della «casa di Dio che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15), È a servizio di questa verità che non è teorema, slogan o dottrina che si vuole prendere sul serio quanto lo Spirito Santo non cessa di dire alle chiese anche attraverso il grido e le domande sincere degli uomini del nostro tempo, nostri compagni di viaggio verso quel senso ultimo dell'esistere umano che noi cristiani diciamo di conoscere e di perseguire.
[…]
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Le grandi trasformazioni del nostro tempo (Contributo)
di Luca Bassetti
Saper interrogare le Scritture è ciò che nel nostro tempo non abbiamo imparato a fare. Sono mancati i maestri? Si sono spenti gli animi? Le luci devono essere riaccese.

Il tessuto sociale
Viviamo un tempo di forti trasformazioni sociali, politiche culturali, economiche di carattere sempre più globale e di natura talmente complessiva e pervasiva da essere praticamente ingovernabili non solo dai singoli o dalle comunità locali, ma anche dagli stati nazionali. Tali cambiamenti hanno un carattere congiunturale ed epoca le talmente profondo da comportare decisive ripercussioni in ogni aspetto della vita, dalla quotidianità della gente comune, alle scelte dei governi, alle politiche della comunità internazionale. […]

Cosa dicono le Scritture
Uno scritto breve, di epoca tarda, in apparenza disorganizzato e letterariamente affatto strutturato, dal tenore scarsamente teologico e dal tono piuttosto pratico, quasi moralistico, tanto da apparire addirittura ovvio e banale nel suo argomentare, la Lettera di Giacomo, per molto tempo trascurata nella considerazione delle Chiese, è oggi da più parti alquanto rivalutata. Testo probabilmente della terza generazione cristiana, che tenta di ricapitolare l'essenziale della fede nel Signore Gesù e dell'esistenza da essa ispirata, in un tempo in cui le chiese, forse ormai consolidate nella loro articolazione istituzionale e nel loro concreto vissuto, rischiavano tuttavia di esprimere una fede vuota, spiritualizzata e distante dai problemi reali, ispirata ad un sentire gnosticheggiante, che finisce col vanificare l'incarnazione in tutte le sue implicazioni non solo teologico-ecclesiali, ma anche etico-sociali. […]
[…]
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Chiesa e diaconi: tra routine e profezia? (Presentazione)
di Giovanni Chifari
Saper discernere la dimensione spirituale del tempo in cui si vive è un'operazione necessaria per comprendere quale diaconia suggerisce lo Spirito per il bene della sua Chiesa e per questo mondo tormentato e assetato di speranza. Si tratta cioè di leggere in che modo lo Spirito partecipa a questo tempo, quali moti e sussulti, provocazioni e stimoli, aperture e spinte, in modo da poter conoscere quali sono le reali odierne sfide distinguendole dai falsi allarmi o dalle presunte minacce. Una sfida così intesa diviene ricerca delle vie mediante le quali lo Spirito intende superare l'elemento di criticità, che possiamo anche chiamare peccato personale o anche strutturale, che le ha originate e che ancora attende di essere trasceso: una situazione di vulnerabilità, una ferita che invoca conversione e profezia.

Le intuizioni profonde
Scorrendo la storia del secolo scorso, così hanno fatto don Sturzo, La Pira e Dossetti con intuizioni che si sono rivelate prodighe e feconde, che hanno reso attuale il Vangelo nella società. […]

L'enciclica Lumen Fidei
Presentazione dell'Enciclica […]

Nel segno del servizio
La fede si esprime nel servizio, nel quotidiano costante e silenzioso martirio spirituale di chi si dona agli altri perché ha riconosciuto che è questa la via che ha tracciato il Maestro e Signore, che come annuncia l'Evangelo, è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mc 10,43). L'enciclica non trascura questo ineludibile passaggio, insistendo spesso sul legame tra fede e servizio. […]
[…]
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lunedì 27 gennaio 2014

Sull'esempio di Cristo


È sempre bene richiamare alla mente, per rinfrancare il cuore e la volontà, sulla propria identità, come può essere quella di chi è chiamato alla diaconia ordinata, come, peraltro, per ogni discepolo di Gesù che vive la propria diaconia.
Durante la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, papa Francesco ci ha ricordato che è importante, se non indispensabile, per poter giungere all'unità (dono di Dio e non opera umana!) camminare insieme, pregare insieme, nonostante le nostre diversità, anzi, credendo che proprio queste diversità sono un dono che ognuno deve saper cogliere per sé.
Questo vale per il dialogo con i cristiani di diverse confessioni, ma vale (ed è qui che si gioca la mia credibilità e testimonianza!) anche e soprattutto all'interno delle nostre comunità, parrocchiali od altro.
Mi sono chiesto allora quale fosse la via più appropriata per fare questo tratto di cammino di fede "insieme". Non c'è altro modo: il discepolo sarà come il suo Maestro. Da Lui imparerà la via da percorrere, la verità da annunciale, la vita piena che nasce dalla gioia dell'incontro con Lui. La strada? Quella da Lui percorsa: si è fatto uno di noi!
Scrive san Fulgenzio di Ruspe: «… nel mistero dell'Incarnazione del Signore, … il Figlio di Dio "pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di servi", cioè "si umiliò facendosi obbediente fino alla morte" (Fil 2,6-8) e si abbassò rendendosi "inferiore agli angeli" (Eb 2,7), senza perdere tuttavia l'uguaglianza della divinità con il Padre… Il Figlio, pur restando uguale al Padre, si è reso inferiore, perché si degnò di diventare simile all'uomo. Egli poi si rese inferiore, quando spogliò se stesso prendendo la condizione di servo».
È bello costatare in Gesù che il suo farsi uno di noi, non gli fa perdere il suo essere Dio: esempio inconfutabile che nell'amore, che tutto dà, noi raggiungiamo la pienezza del nostro essere, la nostra vera identità.
E continua san Fulgenzio: «L'umiliazione di Cristo dunque è il suo stesso annientamento; e tuttavia il suo annientamento null'altro è se non il rivestirsi della condizione di servo. Cristo dunque, pur rimando Dio, Unigenito di Dio, al quale offriamo sacrifici come al Padre, diventando servo si è fatto sacerdote e così per mezzo suo possiamo offrire una vittima viva, santa, gradita a Dio. Tuttavia Cristo non avrebbe potuto essere offerto da noi come vittima, se non fosse diventato vittima per noi. In lui la nostra stessa natura umana è vera vittima di salvezza».
Non c' è altro modo perché il nostro "essere per gli altri" porti quei frutti che possono generare la vita nella comunità degli uomini e la nostra diaconia essere presenza di quella di Cristo.

venerdì 24 gennaio 2014

La gioia di seguire Gesù


3a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Gesù inizia il suo ministero non in Giudea e nella capitale Gerusalemme, che sono il centro della vita religiosa di Israele, ma in Galilea, regione di periferia, dove abitano anche molti pagani e che è circondata da territori pagani: Gesù è il Messia anche dei pagani (cf Mt 4,12-23). Nella presenza e attività di Gesù in Galilea Matteo vede compiersi la stupenda visione profetica di Isaia (cf Is 8,23-9,3). È come l'esplodere della luce nelle tenebre e della vita in un luogo di morte. Dove arriva Gesù arriva la luce e la vita per tutti, anche per i pagani. È Lui, Gesù, "la luce" e "la vita". Lo è con la sua persona, la sua parola, la sua opera.
«Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino"». Sono le prime parole che Gesù rivolge alla gente che incontra ed esprimono in sintesi il suo intero messaggio.
Innanzitutto, l'annuncio di una "buona notizia" che riempie di gioia chi la riceve: il regno dei cieli, di Dio, è vicino. Il regno di Dio non è qualcosa di diverso o di separato da Dio, ma indica Dio stesso che, Signore e Re del suo popolo, interviene e si manifesta come Signore e Re impegnandosi in favore degli uomini. Se potessimo capire chi è Dio, nella sua infinita bontà e misericordia, felicità e bellezza, capiremmo qualcosa del "regno di Dio": Dio, che è Padre e Amore, si fa incredibilmente vicino per eliminare ogni situazione di ingiustizia e di dolore. Dio è qui e dona tutto ciò che ha e tutto ciò che è. Il Regno non è ancora completamente presente nella sua pienezza. Gesù, infatti, ci insegna a pregare: "Venga il tuo Regno!". Ma è già una realtà, che attende di diventare perfetta.
A questo lieto annuncio Gesù premette l'appello "convertitevi", volgetevi a Dio, volgete a Lui la faccia e il cuore, ascoltatelo attentamente con fiducia: non voltargli le spalle cercando la salvezza e la felicità lontano da Lui.
Ma il muoversi di Dio verso gli uomini esige come risposta il muoversi degli uomini verso di Lui.
L'imperativo «Convertitevi!» viene subito ripreso e precisato da un altro imperativo: «Venite dietro a me!». La conversione infatti, nel cogliere la presenza del Regno di Dio, consiste nel seguire una persona, nel legarsi a Gesù, nel diventare suoi discepoli.
Segue poi il racconto di una vocazione, di una chiamata. Parole semplici e scarne: Gesù passa, vede qualcuno (di cui si fa menzione del mestiere) e lo chiama a seguirlo. Non domanda altro. Il chiamato lascia tutto, aderisce a Gesù, lo segue. Ecco le componenti essenziali della vocazione! Da una parte c'è l'iniziativa di Gesù: Gesù passa. Gesù vede, sceglie. Non è uno sguardo distratto e gettato a caso, ma uno sguardo di intensissimo amore. Attraverso lo sguardo di Gesù è tutta la Trinità che mette gli occhi addosso a una persona.
Dall'altra parte l'iniziativa di Gesù provoca la risposta dei chiamati. Risposta che è caratterizzata da prontezza e gioia senza rimpianto. Risposta che è rottura con la situazione anteriore di professione e di famiglia. Risposta che è dono totale a chi chiama per condurre una nuova esistenza caratterizzata dalla comunione con Lui e da una missione: «Vi farò pescatori di uomini», non catturando più pesci uccidendoli, ma uomini salvandoli dalla morte. Questa risposta esprime la fede con cui il discepolo, senza chiedere spiegazioni, si affida interamente a chi lo chiama.
Gesù, chiamando i discepoli, li lega ciascuno alla sua persona e nello stesso tempo li inserisce in una comunità dove Lui è il centro. Non li stacca dagli altri uomini, ma vuole che la comunione con Lui e tra loro si espanda nella missione: è la realtà della Chiesa.
Anche oggi Gesù continua a passare accanto a me, mi vede col suo sguardo carico d'amore, mi chiama a fare quel passo concreto di fedeltà a Lui e io in ogni gesto decido se seguirlo o meno.
Ogni volta che ascolto il suo «Vieni dietro a me!», rispondo subito: «Sì, Gesù, io vengo dietro a te!».



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


giovedì 23 gennaio 2014

Amare la chiesa altrui come la propria


Papa Francesco, alla catechesi di ieri mercoledì 22, ha invitato tutti «a riconoscere con gioia i doni di Dio presenti in altre comunità». È bello poter guardare a tutti i discepoli di Gesù, a qualsiasi tradizione appartengano, con quell'occhio puro che sa cogliere la presenza dello Spirito ed apre ad un dialogo sincero, non su conquiste da fare o da vantare, ma sul comune desiderio di servire l'unico Signore e dare quella testimonianza di comunione «perché questo scandalo venga meno e non sia più tra noi».
Questo dialogo e questa apertura del cuore e della mente rappresenta una diaconia essenziale ed insostituibile affinché le nostre comunità siano e crescano secondo il Cuore di Dio. E questo a partire dalla "nostra" comunità, quella in cui siamo inseriti ed operiamo; a riconoscere in seno alla propria chiesa di appartenenza i doni che lo Spirito elargisce per l'utilità comune, senza gelosia o presunta superiorità.
«Paolo rimprovera i corinzi - dice papa Francesco - per le loro dispute, ma anche rende grazie al Signore "a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza" (1,4-5). Queste parole di Paolo non sono una semplice formalità, ma il segno che egli vede prima di tutto (e di questo si rallegra sinceramente) i doni fatti da Dio alla comunità. Questo atteggiamento dell'Apostolo è un incoraggiamento per noi e per ogni comunità cristiana a riconoscere con gioia i doni di Dio presenti in altre comunità. Malgrado la sofferenza delle divisioni, che purtroppo ancora permangono, accogliamo le parole di Paolo come un invito a rallegrarci sinceramente delle grazie concesse da Dio ad altri cristiani. Abbiamo lo stesso Battesimo, lo stesso Spirito Santo che ci ha dato la Grazia: riconosciamolo e rallegriamoci».
«È bello – conclude il papa - riconoscere la grazia con cui Dio ci benedice e, ancora di più, trovare in altri cristiani qualcosa di cui abbiamo bisogno, qualcosa che potremmo ricevere come un dono dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle».
Se il Vangelo ci comanda di amare il nostro prossimo come noi stessi, è altrettanto vero: "amare la chiesa altrui come la propria", presupposto per una reciprocità che dà testimonianza di quell'amore vicendevole che ci fa riconoscere come discepoli di Gesù (cf Gv 13,35).


martedì 21 gennaio 2014

Il Diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 181 (luglio/agosto 2013)


Il diacono e le sfide del nostro tempo


Sommario


EDITORIALE
Sfide del tempo o sfide del Vangelo? (Giuseppe Bellia)

INTERVISTA
Cercare e trovare Dio in tutte le cose (papa Francesco, Civiltà Cattolica)

CONTRIBUTO
Le trasformazioni del nostro tempo (Luca Bassetti)

IL PUNTO
Il diacono con l'occhio rivolto al mondo (Andrea Spinelli)

ANALISI
La sfida della politica (Bartolomeo Sorge)

APPROFONDIMENTO
La famiglia oggi: inquietudini e risorse (Carlo Maria Martini)

FOCUS
Diaconi e migrantes (Raffaele Iaria)

SERVIZIO
Linee di speranza per il nostro tempo (Enzo Petrolino)

ANNUNCIO
La conferenza internazionale di Velehràd (Redazione)

CONFRONTI
Le gioie e le attese di questi uomini (Francesco Giglio)

PRESENTAZIONE
Chiesa e diaconi; tra routine e profezia? (Giovanni Chifari)

ATTUALITÀ
«Pregiatissimo dottor Scalfari» (papa Francesco)

PICTURES
Babele o Pentecoste? (Paola Castorina)


Rubriche

RIFLESSIONI
A servizio dell'uomo (Maria Concetta Bottino)


Riquadri

Cristiani e politica (T. Bello)
Meraviglia e intelligente stupore (Rassegna stampa)



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(Vai ai testi…)




venerdì 17 gennaio 2014

Colui che toglie il peccato del mondo


2a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Il Vangelo di questa domenica (cf Gv 1,29-34), ancora sulla lunghezza d'onda dell'Epifania, della manifestazione cioè di Gesù, riporta la testimonianza di Giovanni Battista: «Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'anello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!"». La realtà più vera di Gesù, la sua identità e missione, nascosta alla percezione comune, viene rivelata dal profeta.
«Ecco l'agnello di Dio…». Un titolo notissimo, quasi logorato dall'uso, che rimanda all'agnello pasquale, sacrificato nel tempio e poi consumato nella cena pasquale. Evento che evoca la liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto e soprattutto la redenzione messianica, di cui quella dell'Esodo era una figura.
Gesù è l'Agnello pasquale, che col suo sacrificio ha operato la liberazione definitiva dell'umanità. L'opera di questo "agnello", figura di per sé quanto mai inerme e fragile, è poderosa: «toglie il peccato del mondo». La forza del male, che è ribellione a Dio, inimicizia contro di Lui, rifiuto egoistico di Dio e del prossimo, si esprime in un cumulo crescente di colpe personali e collettive, come un fiume in piena che si ingrossa sempre più e che nulla sembra poter arginare: è il "peccato del mondo", soprattutto la sua incredulità di fronte alla rivelazione di Gesù.
"L'agnello di Dio" (che appartiene cioè a Dio, non un agnello che l'umanità offre a Lui, ma che Dio stesso dona all'umanità) elimina, distrugge, fa scomparire, caricandolo su di sé, il peccato del mondo con tutta la malizia dell'umanità che separa da Dio.
Gesù è l'unica persona che toglie il peccato e può quindi riconciliaci con Dio, riportandoci alla perfetta comunione con Lui e donandoci l'energia per non peccare più. Non esiste nessuna situazione di così tragica lontananza da Dio, nessun peccato così grave, che Gesù non possa cancellare e trasformare. Egli è infatti la rivelazione della misericordia di Dio che è più forte di ogni peccato e rigenera l'uomo col perdono.
E questa opera di Gesù è legata al dono dello Spirito: è Lui che "battezza nello Spirito Santo", dona lo Spirito, effonde l'abbondanza dello Spirito Santo, ci "immerge" nello Spirito Santo, che è la pienezza infinita della vita, dell'amore e della gioia di Dio.
Non c'è esperienza del perdono senza l'esperienza dello Spirito Santo! È lo Spirito che dopo il battesimo di Gesù, "discende e rimane su di Lui", quello Spirito che Gesù, possedendolo in pienezza, può a sua volta pienamente comunicare.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 10 gennaio 2014

Siamo diventati Cristo


Battesimo del Signore (A)

Appunti per l'omelia

Con il Battesimo al Giordano per mano di Giovanni Gesù opera una ulteriore sua manifestazione, una ulteriore sua epifania. L'innocente Figlio di Dio si mette in fila assieme ai peccatori per essere battezzato, provocando l'imbarazzo e il rifiuto di Giovanni, che però accetta soltanto dopo la dichiarazione di Gesù: «... conviene che adempiamo ogni giustizia», cioè la volontà di Dio che il proprio Figlio si faccia solidale in tutto con gli uomini peccatori.
La scena è estremamente suggestiva e ricca di significato (cf Mt 3,13-17).
«Si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui».
Nell'Antico Testamento lo Spirito del Signore investiva temporaneamente i suoi servi e li rendeva capaci di svolgere la missione che era loro affidata. Lo Spirito, poi, secondo i profeti, avrebbe "riposato" sul Messia (cf Is 42, 1-7): «Ecco il mio servo... il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui». E la promessa si realizza in Gesù.
Non è facile poi interpretare il simbolo della colomba. Evoca lo Spirito che aleggiava sulle acque all'inizio della creazione e, quindi, indica che con Gesù ha inizio la nuova creazione? Oppure la colomba è immagine della sposa-Israele e quindi Gesù viene manifestato come lo sposo messianico che incomincia a incontrare la sua sposa, cioè il popolo, attuando la nuova alleanza? Oppure nell'immagine della colomba veniva raffigurata la Presenza di Dio. Vale a dire, come la colomba si posa nel suo nido, così la potenza di Dio ha trovato finalmente la sua casa in Gesù?
Qualunque sia il senso preciso dell'immagine, il segno della colomba ci fa concentrare su Gesù e sulla voce di Dio: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento». È l'unica volta che nei primi tre vangeli si ode la voce di Dio (qui e nella trasfigurazione di Gesù). Se Dio parla è per rivelarci chi è Gesù. Innanzitutto, è il Messia: le parole di Dio richiamano quelle già ascoltate nella prima lettura sul Servo del Signore. Ma nel testo evangelico il Padre dice «Figlio mio», non intendendo soltanto il Messia, ma il suo Figlio unico, oggetto di tutto il suo amore. In questo modo Dio rivela l'identità di Gesù quale figlio amatissimo. Ma nello stesso tempo è tutta la famiglia della Trinità che si manifesta in questo evento.
Allora, nel guardare al battesimo di Gesù siamo invitati a vicenda a riscoprire il dono del nostro battesimo. Forse per molti rimane il "tesoro nascosto" che uno possiede in casa sua, ma non lo sa o non ha interesse a cercarlo. Il loro battesimo somiglia a uno di quei pacchi-dono che si ricevono a Natale e che per incuria è rimasto incartato, non è mai stato svolto. Essi non hanno ancora scoperto che cosa Dio ha regalato loro attraverso il battesimo. Però, è l'invito ad andare alla scoperta di questo tesoro e vedere finalmente che cosa c'è in quel pacco dono che abbiamo ricevuto da Dio all'inizio della nostra vita. È riscoprire la nostra trasformazione radicale, una nuova creazione, una nuova nascita. Sono queste le espressioni che tentano di descrivere ciò che nel battesimo è accaduto in una persona, al di là di ciò che appare esternamente. Sant'Agostino, rivolgendosi ai neo-battezzati, lo evoca con parole colme di entusiasmo: "Rallegriamoci e rendiamo grazie a Dio. Non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo. Capite, fratelli, vi rendete conto della grazia di Dio verso di noi? Stupite, gioite: noi siamo diventati Cristo".
Si tratta quindi di essere veramente responsabili di un tale dono: l'appartenenza a Gesù, prodotta dal battesimo, ci impegna a vivere come Lui, che «passò beneficando e risanando tutti» (At 10,38).
Quel rito lontano mi ha segnato per sempre e io ogni giorno, ogni momento, sono chiamato a verificare come vivo la mia appartenenza a Cristo, a Dio. Prima ancora di fare qualunque cosa viene il mio "essere di Cristo", la mia appartenenza a Lui: prima viene la mia relazione con Lui, senza la quale cade e si svuota anche l'attività più intensa e brillante.
Se con il battesimo "siamo diventati Cristo", anche su ciascuno di noi il Padre dice: «Questi è il Figlio mio… Tu sei il Figlio mio, l'amato…».
Il Padre con infinito amore continua a dichiararlo a Gesù e Gesù nel suo cuore gli risponde senza sosta: "Tu sei il mio Abbà, il mio papà!"



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Vedi anche questi Post:
Il compiacimento del Padre (7 gen. 2012)
Essere scelti dall'amore eterno di Dio (11 gen. 2013)


Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
In lui ho posto il mio compiacimento (Mt 3,17)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


sabato 4 gennaio 2014

Essere "epifania" di Dio


Epifania del Signore (A)

Appunti per l'omelia

La parola appropriata per interpretare il mistero del Natale è l'Incarnazione: il Figlio di Dio si è fatto uomo per legarci a sé e fare di noi altrettanti Lui, figli di Dio. Oggi questo mistero del Dio fatto uomo lo contempliamo da un'altra angolazione: Epifania, cioè manifestazione. Dio che, parzialmente e in modi diversi, si era rivelato nella natura e nella storia, ora si manifesta pienamente in Gesù. In Lui Dio ci ha detto tutto e donato tutto, anzi si è detto tutto e si è dato tutto. Gesù è la rivelazione definitiva di Dio. Questa manifestazione di sé in Gesù, Dio la offre non a un popolo privilegiato, ma a tutti gli uomini di ogni tempo. Nessuno può dire: "Io ne sono escluso. Per me il Salvatore non è venuto".
I "Magi", di cui il Vangelo ci parla, non sono ebrei e rappresentano tutte le genti, chiamate ad incontrare il Cristo. Rappresentano noi. Noi, che oggi lo possiamo incontrare nella Chiesa, la nuova Gerusalemme: "Cristo è la luce delle genti… La luce di Cristo risplende sul volto della Chiesa" (LG 1).
Il prenderne coscienza riempie l'animo di una gioia umile e riconoscente: perché proprio a me, proprio a noi, è stata data la grazia di abitare in questa città e godere di tanta luce? E questo dono ravviva in noi la responsabilità che deriva da questo incontro e quella del nostro impegno per l'evangelizzazione.
Come i Magi, anche noi siamo chiamati ad intraprendere un cammino, a volte faticoso, ma carico di speranze: è il cammino della fede.
La ricerca di Dio è l'atteggiamento più conforme alla natura dell'uomo. Scrive Pascal: "Io conosco soltanto due categorie di uomini onesti: coloro che, una volta trovato Dio, lo servono incondizionatamente, e coloro che non l'hanno ancora trovato ma lo cercano tenacemente". E aggiunge: "Chi dubita e non cerca è disonesto e anche infelice". La fede resta sempre una ricerca ed il credente non è mai un arrivato, ma è sempre in cammino.
Il Signore mi attende, ci attende… e si aspetta da noi che siamo "epifania" di Lui, in modo che chi ci incontra possa vedere Lui e sentire il suo cuore.



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Vedi anche questi Post:
Guardare oltre, con nel cuore il mondo (5 gen. 2012)
L'incontro con Gesù, nella "casa", con Maria (4 gen. 2013)


Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


venerdì 3 gennaio 2014

Figli della Luce, generati dalla Parola


2a domenica dopo Natale (A)

Appunti per l'omelia

L'evangelista Giovanni nel prologo del suo Vangelo, riproposto per questa domenica, ci presenta quasi una sintesi anticipata dell'intero suo messaggio evangelico.
Qui tutta l'attenzione è concentrata sul Protagonista assoluto che è Gesù e sul dono della salvezza che Egli ci offre. Egli è presentato con vari titoli, Gesù Cristo… il Figlio Unigenito… Dio… Luce… Vita… In modo particolare Egli è il Verbo, la Parola.
Perché la Parola? Noi, attraverso la parola, comunichiamo con gli altri, ci facciamo conoscere, realizziamo un rapporto, costruiamo un'amicizia. Così Dio ha parlato e parla in diverse maniere: la realtà creata, la Legge di Mosè, i profeti... Ma in modo perfetto Dio ha parlato a noi in Gesù. Egli è la rivelazione palpabile di Dio Amore. È la Parola ultima e definitiva con cui Dio si manifesta, è il Rivelatore di Dio, la suprema Rivelazione di Dio. Per questo Egli è chiamato la Parola!
«In principio era il Verbo». Quando non c'era ancora nulla e Dio cominciò a creare l'universo, esisteva la Parola, prima del tempo, da sempre. Esisteva non da sola, solitaria, ma in compagnia: «e la Parola era presso Dio», cioè accanto a Lui e distinta da Lui, "rivolta verso Dio", in una relazione d'amore. «E il Verbo era Dio», distinto da Dio, ma sullo stesso piano, di uguale natura.
«Tutto è stato fatto per mezzo di Lui», dalla creazione del mondo a tutti gli interventi di Dio nella storia… «In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». In Lui, nel Verbo incarnato, c'è la pienezza traboccante della vita, luce piena; e tale pienezza è per tutti gli uomini. La sua vita in Dio e con Dio non è rimasta nascosta ma si è rivelata e si è comunicata: «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno vinta», nonostante il dominio del Maligno.
E «veniva nel mondo la Luce vera». Gesù, come un sole che sorge per ogni uomo della terra, lo illumina e lo salva, se egli lo accetta. Ecco, appunto, il fatto tragico e incomprensibile: il Verbo - che è Luce e Vita per gli uomini - è presente nel mondo, tra i suoi, e gli uomini, i suoi, lo rifiutano. Un paradosso scandaloso che perdura. Ma «a quanti lo hanno accolto... a quelli che credono... ha dato potere di diventare figli di Dio», generati da Dio.
Sì, perché il «Verbo si fece carne»! C'è una distanza abissale fra questi due estremi: da una parte il "Verbo", colui che da sempre era con Dio, Dio egli stesso, creatore; dall'altra la "carne", cioè l'uomo debole, fragile e mortale. L'amore li ha congiunti!
«E venne ad abitare in mezzo a noi», "piantò la sua tenda" in mezzo a noi, si fece uno dei miliardi di uomini che, come nomadi, sono passati e passeranno sulla terra. Ma soprattutto la sua umanità è il luogo della dimora di Dio tra gli uomini. Ormai Dio si fa incontrare in quest'uomo, che è Dio stesso divenuto uomo. In Lui i credenti possono riconoscere la sua «gloria», la sua realtà di Figlio di Dio, «pieno di grazia e di verità»: «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia». È la grazia della "Verità", della rivelazione su Dio Amore che Gesù offre, che Gesù è: «Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato».



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)


Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 1 gennaio 2014

Fraternità, fondamento e via per la pace


Fraternità, fondamento e via per la pace. È il titolo del messaggio di papa Francesco per questa Giornata mondiale della pace.
Ritengo questo messaggio illuminante e propositivo per la mia diaconia e per ogni cammino di servizio ad ogni persona, alla comunità.
Scrive infatti il Papa: «Ogni attività deve essere contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l'anima di quella fraternità che edifica la pace.
La fraternità (infatti) ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l'amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità» (n. 10).
È quella fraternità posta a base di ogni convivenza, perché «la fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune» (n. 8).
Ma come rendere possibile a livello planetario questa fraternità se non partendo dalla mia vita concreta, quotidiana, dal nostro essere realmente e genuinamente a servizio gli uni degli altri?
«Infatti – scrive il Papa -, la fraternità è una dimensione essenziale dell'uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura». Così, «le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l'assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello "scarto", che induce al disprezzo e all'abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati "inutili" (n. 1).
Ma «sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo potranno mai corrispondere pienamente all'anelito di fraternità, impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l'indifferenza, l'egoismo e l'odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le sorelle?». La risposta ce la dà il Signore Gesù: «poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli. La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell'amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo. Una paternità, dunque, efficacemente generatrice di fraternità, perché l'amore di Dio, quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell'esistenza e dei rapporti con l'altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla condivisione operosa. In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il "luogo" definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce, mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità. (…)
Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a Lui dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L'uomo riconciliato vede in Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è sollecitato a vivere una fraternità aperta a tutti. In Cristo, l'altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tantomeno come un antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono "vite di scarto". Tutti godono di un'eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli» (n. 3).
«Infine, vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così sconfiggere la povertà - che dev'essere alla base di tutti gli altri. È il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani» (n. 5).
Infatti, «la solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo, come un altro fratello» (n. 4).