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mercoledì 31 dicembre 2014

Con sincera gratitudine…


Alla fine di un anno particolarmente intenso per le innumerevoli occasioni in cui l'amore del Padre ci ha avvolto, con la sua tenerezza e con la sua mano forte…, vorrei esprimere una profonda gratitudine per quel "tocco" tutto personale della Sua Mano...
Mi soffermo solo su alcuni particolari.

Innanzitutto la riconoscenza per il dono di Delia, la nostra prima nipotina. Non spetta dire a me qualcosa di lei, ma posso invece ringraziare per la gioia che ha portato nelle nostre famiglie e per il sorriso costante che ci dona ogni volta che la incontriamo.

Eventi ecclesiali importanti, con l'esperienza, la gioia e la riconoscenza di vivere intensamente in unità con tutta la Chiesa e venire a contatto con culture differenti e diverse dalla mia; l'incontro particolare, assieme a tanti altri, e pieno di Spirito Santo con papa Francesco…

Un fatto pastoralmente significativo per me è stato il nuovo servizio pastorale che il vescovo mi ha affidato. Dopo quattro anni circa, nei quali ho cercato di vivere il mio ministero diaconale soprattutto presso una struttura per anziani autosufficienti, mi è stata affidata la collaborazione pastorale in un'altra parrocchia. Una gratitudine grande per quanto il Signore ha costruito in quella comunità, dove il mio contributo era soprattutto la vicinanza alle persone, in modo speciale a quelle che non frequentano la chiesa. Rapporti umani, e ben di più, instaurati più con la presenza e l'affetto che con le parole. Ed una gratitudine per quelle persone con le quali abbiamo fatto un cammino di fede anche a testimonianza per tutti. Un certo dolore per il distacco, ma gioia per la presenza di Gesù che ci lega, al di là della mia persona o delle attività.
Nella nuova parrocchia, dove ho iniziato da qualche mese la mia attività pastorale, mi è stato affidato, assieme ad un sacerdote studente africano, un quartiere periferico abbastanza popoloso. Non ci sono strutture, salvo una sala sociale multiuso che possiamo anche utilizzare, adattandola di volta in volta, come cappella e sala per incontri. Ma la nostra maggior occupazione consiste nell'incontro capillare delle famiglie, che visitiamo ogni sera. È il nostro più vero apostolato: possibilità di farci carico delle situazioni che spesso non sono felici e rappresentano sofferenze tipiche delle nostre famiglie. È un arricchimento reciproco che ci fa sperimentare che il senso più profondo del nostro esistere è la fraternità che possiamo sperimentare e farne la nostra carta di identità in questo dilagante ed insulso individualismo.

Ma c'è un fatto tutto particolare che ha chiuso questo anno così ricco di umanità: è la scomparsa (ieri abbiamo dato l'ultimo saluto) di un amico carissimo, un padre nello Spirito, un uomo di Dio, un sacerdote, d. Lino, con il quale abbiamo condiviso quasi quindici anni di vita a servizio dei sacerdoti e diaconi legati dalla spiritualità dell'unità per un servizio prezioso alla Chiesa.
Don Lino, per la sua particolare sensibilità e per il suo amore personale, è stato per me e per Chiara mia moglie, un punto di riferimento prezioso ed illuminato, che ci ha fatto scoprire sempre di più e vivere con maggior consapevolezza la realtà della nostra famiglia diaconale; una famiglia sì come tutte le altre, ma che riteniamo tutta particolare per il servizio che può offrire alla vita dei sacerdoti. Posso dire con tutta sincerità che con d. Lino ho imparato ad amare i sacerdoti, ad entrare nel loro mondo - che è anche diverso dal mio pur appartenendo anch'io al clero -, ad essere in una parola al "servizio" del presbiterio, un servizio diaconale che mi fa essere in vocazione, non perché sono il loro "portaborse", ma perché il mio servizio è quello di Gesù, il diacono del Padre, e quello di Maria, la Serva del Signore.

Un grazie dal profondo del cuore!


martedì 30 dicembre 2014

Non più schiavi, ma fratelli


Maria SS. Madre di Dio
• Numeri 6,22-27 • Sal 66 • Galati 4,4-7 • Luca 2,16-21
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1° gennaio - Giornata mondiale della Pace

Appunti per l'omelia

Il nuovo anno si apre con la Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio. Nell'affidarci alla sua materna intercessione siamo invitati ad invocare dal Signore il dono della pace per l'umanità intera. Pace che Gesù è venuto a portarci. Pace in una prospettiva di fraternità: Non più schiavi, ma fratelli, come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio per la 48a Giornata mondiale della pace.

Ecco alcuni passi del suo discorso:

«Nel Libro della Genesi leggiamo che Dio creò l'uomo maschio e femmina e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero: Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di Dio di essere fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità, quella di Caino e Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Ma la fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità. In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine, natura e dignità. È in forza di ciò che la fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana creata da Dio.
L'uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l'uno dell'altro.
Non si diventa cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l'esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L'essere figlio di Dio segue l'imperativo della conversione: "Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo" (At 2,38). Tutti quelli che hanno risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono entrati nella fraternità della prima comunità cristiana: ebrei ed ellenisti, schiavi e uomini liberi, la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di ciascuno né esclude alcuno dall'appartenenza al popolo di Dio. La comunità cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell'amore tra i fratelli.

Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell'asservimento dell'uomo da parte dell'uomo. Ci sono state epoche nella storia dell'umanità in cui l'istituto della schiavitù era generalmente accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi, invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera, poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un'altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce.
Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone - bambini, uomini e donne di ogni età - vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
….
Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani - questi gesti hanno tanto valore! - come rivolgere una parola, un saluto, un "buongiorno" o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell'invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà. (…)».


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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non più schiavi, ma fratelli
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
La Vergine Madre (30/12/2013)
Madre dell'unica persona del Verbo di Dio, dono per il mondo (31/12/2012)
Madre di Dio (30/12/2011)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2010)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Gianni Cavagnoli (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi (A)
  di Enzo Bianchi (B)
  di Enzo Bianchi (C)

venerdì 26 dicembre 2014

Sulla terra, il divino modello dell'amore trinitario


Domenica fra l'Ottava del Natale - Santa Famiglia (B)
• Genesi 15,1-6;21,1-3 • Sal 104 • Ebrei 11,8.11-12.17-19 • Luca 2,22-40
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Nel prolungamento del Natale la Chiesa celebra la Santa Famiglia, la famiglia di Gesù, di Maria e di Giuseppe. Una famiglia religiosa, osservante della Legge di Dio, profondamente credente, come viene descritta dal vangelo.
Il brano di Luca (cf Lc 2,22-40) ci presenta Maria e Giuseppe che, in obbedienza alla Legge, compiono il rito della "presentazione" del primogenito al Tempio.
Nei brani biblici della Messa, inoltre, possiamo cogliere un parallelo fra due coppie credenti, due famiglie visitate da Dio in modo singolarissimo. Il brano della Genesi (cf Gen 15,1-6;21,1-3) e quello della lettera agli Ebrei (cf Eb 11,8.11-12.17-19) sottolineano la fede di Abramo e anche di Sara. Fede che è fidarsi di Dio e della sua parola, non dubitare che Egli realizzerà la sua promessa di dare loro un figlio con una numerosa discendenza. E ciò in condizioni che sembrano smentire clamorosamente tale fede: i genitori sono anziani e la madre sterile. Isacco, il figlio della promessa di Dio e della fede dei genitori, è annuncio e figura di Gesù, donato in modo ancor più miracoloso a Maria e allo sposo di lei, Giuseppe. Due storie, due esperienze familiari illuminate e spiegate dalla fede.
Il brano evangelico, nella sua conclusione, menziona il ritorno della famiglia «in Galilea, alla loro città di Nazaret». Un paese sconosciuto, mai nominato nell'Antico Testamento. Qui si svolge, nell'umile ritmo di una vita ordinaria, l'esistenza di una famiglia non benestante, ma di modeste condizioni, che viveva del lavoro quotidiano e alle prese con molteplici problemi. È l'esperienza di innumerevoli nuclei familiari, oggi, che con modalità diverse rivivono la condizione difficile di Maria, di Giuseppe e del Bambino. Ma l'apparente grigiore è rischiarato da una luce vivissima: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui». Lo sviluppo integrale del fanciullo all'interno di questa famiglia si snoda sotto lo sguardo compiacente di Dio ed è opera della sua "grazia", cioè del suo amore di predilezione.
Ciò che caratterizza, soprattutto, questa famiglia è la centralità di Gesù. È Lui che polarizza tutta l'attenzione e l'affetto di Maria e di Giuseppe. In questa famiglia uno dei tre è Dio stesso in mezzo a loro: Dio sotto il volto umano di un bambino che essi hanno accolto e custodiscono, di un ragazzo che sotto la loro guida cresce e diventa adulto. L'affetto paterno di Giuseppe, allora, e la tenerezza materna di Maria per quel figlio si mescolano e si confondono con lo stupore, la gratitudine e l'adorazione della creatura verso il proprio Creatore, che è arrivato al punto di convivere gomito a gomito con loro, al punto di aver bisogno di tutto, come ha bisogno un figlio dei suoi genitori. Tre persone unite dal legame profondissimo della fede, che è relazione profonda con Dio, e fuse insieme dall'amore. Amore che viene loro partecipato in modo invisibile ma reale da quel bambino, da quel ragazzo che è Dio con loro, il nodo vitale che li stringe e fa di Maria e di Giuseppe due persone innamorate una dell'altra e incredibilmente unite.
Questo è lo specchio su cui ogni famiglia cristiana è chiamata a guardarsi, a confrontarsi, riscoprendo continuamente ciò che essa è e ciò che deve essere: un "mistero d'amore", sul modello della famiglia divina, la Trinità. Non un amore qualunque, ma "trinitario", dove l'amore che circola al suo interno e lega i suoi membri deriva dall'amore che arde nel seno della Trinità e imita i rapporti tra le Persone divine. Sulla terra la famiglia di Nazaret ha realizzato questo modello divino in maniera perfetta.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il bambino cresceva pieno di sapienza (Lc 2,40)
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Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi


martedì 23 dicembre 2014

Gloria a Dio in cielo; pace agli uomini in terra


Natale del Signore

Visualizza i brani delle Letture
Messa della Vigilia: Isaia 62,1-5 • Atti 13,16-17.22-25 • Matteo 1,1-25
Messa della Notte: Isaia 9,1-3.5-6 • Tito 2,11-14 • Luca 2,1-14
Messa dell'Aurora: Isaia 62,11-12 • Tito 3,4-7 • Luca 2,15-20
Messa del Giorno: Isaia 52,7-10 • Ebrei 1,1-6 • Giovanni 1,1-18



Appunti per l'omelia

È Natale! Il primo annuncio evangelico "Gloria a Dio in cielo; pace agli uomini in terra" è denso di conseguenze, come leggiamo in questo scritto di Igino Giordani, del 1954, che riporto qui di seguito.


«La meraviglia della Redenzione si inizia con la nascita del Redentore: il re del creato che non trova una stanza per venire al mondo, così come poi non troverà una pietra per posare il capo.
Fu il vero uomo. E la sua presentazione all'umanità, per cui era venuto, avviene sotto le forme d'un bambino, che giace in una mangiatoia.
Anche i romani attendevano il Salvatore del mondo sotto le sembianze d'un ragazzo, che avrebbe iniziato un nuovo ciclo di secoli. E anche i greci, e anche i persiani.
I giudei poi l'aspettavano nella luce delle profezie, fermando su di Lui venturo le speranze messianiche d'una rinascita del passato con un capovolgimento di cose.
E il capovolgimento fu già configurato da quella nascita proletaria, che poneva il Figlio di Dio al rango delle vittime delle guerre e delle inondazioni, tra i senza tetto e i senza denaro, sullo strato inferiore della miseria universale, così come sarebbe morto sul patibolo della maggiore ignominia.
Una presentazione sbalorditiva del divino: nimbi di angeli sopra e crocchi di pastori sotto. Ma più sbalorditivo fu il canto intonato dentro la notte rotta di fulgori dagli spiriti angelici sopra quella nascita singolare: – Gloria a Dio in cielo; pace agli uomini in terra.
Quel che è la gloria per Iddio – suonava in sostanza il messaggio – è la pace per gli uomini. La pace di Dio è la sua gloria. La gloria degli uomini è la loro pace.
Il nesso è vitale, e già da solo investe il rapporto di valori divini e umani incluso nell'Incarnazione, dove la natura divina e la natura umana si uniscono in un'unica persona, fatta perciò legame e tramite dell'infinito nel finito, dell'eterno nel transeunte, della gloria nella pace.
Tale nesso porta che non si può separare la gloria di Dio dalla pace degli uomini. Se c'è l'una c'è l'altra; se non c'è quella, manca pure questa.
Ma come grande e denso di conseguenze è questo primo annunzio evangelico, che preannunzia l'effetto individuale e sociale dell'amore, legge costitutiva dell'ordine nuovo, addotto da quel Bambino proletario! L'effetto è la pace. E se c'è la pace, vuol dire che agisce, nello spirito di ciascuno e nei rapporti con tutti, quel lume divino che è la carità; vuol dire che gli uomini si sentono fratelli perché sentono la presenza dell'unico Padre.
La gloria più grande che gli uomini possono rendere a Dio nel più alto dei cieli è di assicurare, con la buona volontà, la pace degli esseri razionali nel più basso dei pianeti, l'aiuola che ci fa tanto feroci.
Per la pace la nostra vita della terra si divinizza. Se invece di perder tempo a odiare, si guadagna vita nell'amare, si ottiene di ospitare in sé Dio, che così dimora nella sua essenza, – la sua aria: – l'amore. Dio – insegnano i mistici – non dimora che nella pace.
Ecco come, per la presenza di Cristo, una stalla diviene un empireo; e anche una capanna può divenire una chiesa. E può divenirlo ogni casa; e anche ogni ufficio; e persino un Parlamento».
(Igino Giordani, Parole di vita, SEI, Torino, 1954, pp. 21-23)



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Oggi è nato per voi un Salvatore (Lc 2,11)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (25/12/2011)
Oggi è nato per voi un Salvatore (Lc 2,11)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Dio si è fatto bambino! (24/12/2013)
Il mistero dell'umiltà di Dio (24/12/2012)
Dar vita a Gesù, oggi (23/12/2011)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (Messa del Giorno, VP 2014)
 di Marinella Perroni (Messa della Notte, VP 2011)
 di Marinella Perroni (Messa del Giorno, VP 2011)
  di Claudio Arletti (Messa della Notte, VP 2008)
  di Claudio Arletti (Messa del Giorno, VP 2008)
  di Enzo Bianchi (Messa della Notte)
  di Enzo Bianchi (Messa dell'Aurora)
  di Enzo Bianchi (Messa del Giorno)



domenica 21 dicembre 2014

Perché sei venuto nel mondo?


In questi giorni che precedono il Natale ho ripreso a meditare su un piccolo libretto di Chiara Amirante dal titolo "Perché sei venuto nel mondo?".
(Chiara Amirante, fondatrice e presidente della Comunità Nuovi Orizzonti, da anni profonde tutto il suo impegno sul fronte del disagio sociale e della Nuova Evangelizzazione. Il suo carisma di fondazione ha un forte messaggio di speranza da dare a tutto il mondo: portare la gioia del Risorto negli inferi dell'umanità).



Vi si legge:
«L'incarnazione di Dio nella nostra storia è qualcosa di incredibile, fantastico, meraviglioso. Colui che è l'Eterno, l'ineffabile, l'inesprimibile, l'inesauribile, si fa l'Emanuele, il Dio con noi, si rende presente fra noi, si rende palpabile, piccolo, povero, fragile. Per noi! …
Ma perché il Signore è venuto ad abitare in mezzo a noi?».

«Sono venuto per…

Io non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Gesù è venuto per salvarci. Questa è una grande notizia. Non è una cosa da poco! Noi pensiamo di avere chiaro questo concetto, ma spesso tendiamo a nasconderci davanti a Gesù per paura che ci condanni.
Dio che fa? Invece di condannarci, vedendo che questa sua creatura fatta a sua immagine e somiglianza si è così sfigurata, dice: … Chi manderò per rifare questa bellezza divina che l'uomo ha sfigurato con il suo peccato? "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".

Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
Il Signore della creazione, delle galassie, il Signore della storia, Colui che tutto può a cui nulla è impossibile… viene nel mondo per servire! Viene per lavarci i piedi, viene per mettersi a nostra disposizione, viene per portare le nostre croci sulle sue spalle!
Poi non viene solo per servirci, ma dà la sua vita in riscatto per ciascuno di noi!
Ha dato la sua vita per noi!! Lo ha fatto per me. Lo ha fatto per te. Lo ha fatto per tutti, per ciascuno di noi! Perché ci ama immensamente!

Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Hai infranto la comunione con me? Hai scelto la separazione? Allora io vengo a cercarti! Vengo perché tu possa riavere la vita! Vengo perché quella bellissima immagine divina che ho impresso nel tuo cuore possa di nuovo risplendere in tutta la sua bellezza.

Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Chi non ha sperimentato almeno per un periodo la presenza delle tenebre nella propria vita? Viviamo bombardati da menzogne dalla mattina alla sera ed è facile scambiare ciò che è vero per ciò che è falso e viceversa…
Gesù, il Figlio di Dio, oltre a rivelarci che è venuto come Luce, è venuto anche "per dare testimonianza alla verità".
La notizia che il Signore, che è la Luce e la Verità stessa, viene perché ciascuno di noi possa essere liberato dalle tenebre, è proprio una notizia pazzesca, fantastica, straordinaria! Il passaggio dal vivere nelle tenebre dell'anima all'essere illuminati da Dio è un'esperienza fantastica che possiamo fare se accogliamo il Signore Gesù nella nostra vita: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo".

Io sono venuto a portare il fuoco e come vorrei che fosse già acceso.
È stata un'esperienza bellissima sentire il freddo della mia anima che veniva riscaldato, le tenebre che venivano illuminate, questo fuoco di amore che mi bruciava dentro, la passione di Gesù che mi spingeva a mettercela tutta per contagiare anche gli altri. Non potevo più fare a meno di riamare a mia volta.

[…]».

venerdì 19 dicembre 2014

Si compia la tua Parola


4a domenica di Avvento (B)
• 2 Samuele 7,1-5.8-12.14-16 • Romani 16,25-27 • Luca 1,26-38
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Appunti per l'omelia

L'angelo Gabriele fu mandato da Dio… ad una vergine…
Oggi il Padre non ci parla più attraverso un angelo (= messaggero), ma con il Vangelo (= lieto messaggio, bel messaggio). In particolare, il Vangelo della domenica è per noi l'angelo, la "lettera" che Gesù ci invia come "luce" sul cammino della settimana.
La verginità, in Israele, era apprezzata prima del matrimonio, non dopo: la donna senza figli era un albero secco. Al termine "vergine" era legata una connotazione quasi dispregiativa: ed è proprio ad una vergine che si dirige il messaggio di Dio.

Rallegrati, piena di grazia (= amata gratuitamente).
"Rallegrarsi", essere felice: il Padre non è contrario alla nostra felicità, anzi la desidera e ce la augura! Tutta la storia della salvezza è annuncio di questa "benevolenza" (= volere il bene) di Dio, che trova il suo culmine nell'incarnazione: sono gli auguri più veri di Natale!

A queste parole ella fu molto turbata.
L' "amata da Dio" avrà il compito di proclamare al mondo ciò che il Signore realizza in coloro che si affidano al suo amore. La Parola sembra proporre e chiedere, a volte, cose troppo grandi. In realtà, ogni parola del Vangelo ci porta ad una misura di pensiero e di stile di vita apparentemente non "normali", eppure corrispondenti alla nostra più vera natura: l'essere "figli" e "fratelli" a somiglianza di Gesù.

Lo chiamerai Gesù.
Il senso della vita di Maria è generare Gesù. In Maria è il senso, l'icona della vita di ogni credente e della Chiesa intera: dar vita a Gesù. In fondo ogni persona è "immagine" sua ("tutto è stato creato in Lui e in vista di lui" [cf Gv 1,3]). L'amore al fratello e l'amore reciproco, alimentato dalla parola vissuta, è la strada per dar vita a Gesù in ogni persona, a renderlo presente ancora oggi nella storia.

Dar vita a Gesù in noi e fra noi.
Scrive papa Francesco nella Evangelii Gaudium:
«Una sfida importante è mostrare che la soluzione non consisterà mai nel fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci impegni con gli altri. Questo è ciò che accade oggi quando i credenti fanno in modo di nascondersi e togliersi dalla vista degli altri, e quando sottilmente scappano da un luogo all'altro o da un compito all'altro, senza creare vincoli profondi e stabili. È un falso rimedio che fa ammalare il cuore e a volte il corpo. È necessario aiutare a riconoscere che l'unica via consiste nell'imparare a incontrarsi con gli altri con l'atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. E anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità.
Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all'amore di Dio, che sa aprire il cuore all'amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc 12, 32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cf Mt 5, 13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!» (EG 91-92).

Si compia in me la tua parola.
Questo non è solo il sì ad una richiesta, ma è la certezza che la Parola accolta ha la forza di tradursi in opera compiuta e di rinnovare la vita.
Gesù si presenta ancora oggi come risposta alle attese dell'umanità, là dove c'è chi vive la sua Parola: proprio perché la parola trova la sua compiutezza nell'amore, e solo l'amore può rispondere ai bisogni più profondi di ciascuno e di tutti.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (18/12/2011)
Avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
Essere un'altra Maria (16/12/2011)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 17 dicembre 2014

Il Diaconato in Italia



Il diaconato in Italia n° 187
(luglio/agosto 2014)

Una chiesa povera per i poveri
perciò diaconale






ARTICOLI
Poveri, eucaristia e ministero diaconale (Giuseppe Bellia)
Ai poveri, ai malati e a tutti coloro che soffrono (Paolo VI)
La beatitudine dei poveri (Leone Magno)
Povera per i poveri: la chiesa nel magistero di papa Francesco (Enzo Petrolino)
Educazione alla povertà (Tonino Bello)
La ricchezza e la povertà (Teodoreto di Cirro)
Un povero legge le Scritture (Francesco Melandri)
I doni di Dio (Basilio il Grande)
Il povero, sacramento di Dio (Domenico Graziani)
Vendi ciò che hai (Clemente Alessandrino)
I poveri e la diaconia della chiesa (Andrea Spinelli)
Una chiesa di fronte all'ossimoro ricchezza/povertà (Giovanni Chifari)
La diaconia della povertà diventa ricchezza della chiesa (Francesco Giglio)
La chiesa dei poveri e il Concilio (Jon Sobrino)

TESTIMONIANZE
Il cardinale Marco Cé (Gino Cintolo)
Poveri (Paola Castorina)

INCONTRI
Comunità diaconale del Triveneto
Assemblea annuale diaconi ambrosiani

BIBLIOGRAFIA
Santa Caterina da Siena (Francois-Marie Léthel)



(Vai ai testi…)


venerdì 12 dicembre 2014

Essere testimoni della luce


3a domenica di Avvento (B)
• Isaia 61,1-2.10-11 • 1 Tessalonicesi 5,16-24 • Giovanni 1,6-8.19-28
(visualizza i brani)

Appunti per l'omelia

Dare testimonianza alla luce.
Il simbolismo della luce, presente in tutta la Bibbia, è ripreso dall'evangelista Giovanni, che presenta la venuta di Cristo nel mondo come l'apparire della luce.
La figura del Battista è introdotta con la stessa immagine (per ben tre volte): "rendere testimonianza alla luce". Egli fu il primo che riconobbe la "luce vera" e si mantenne fedele alla sua missione.
È Gesù la luce e solo chi segue lui, non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita: la luce del Vangelo indica quei valori, sui quali vale la pena di puntare la vita.

Io non sono il Cristo.
Il Battista non accetta identificazioni, onori, titoli che non gli spettano. Si definisce semplicemente "voce". Compiuta la sua missione, è lieto di farsi da parte. Fa in modo che non nascano equivoci; rifugge da ogni forma di culto della personalità. Al tempo stesso lui indica.
Tutti abbiamo bisogno della testimonianza di altri, a partire dalla famiglia.
La frequenza di persone che vivono la fede in modo coerente e sereno, che sanno scoprire l'amore di Dio anche nel dolore, l'ascolto di esperienze di Vangelo vissuto possono rafforzare e rinnovare l'incontro personale con Gesù.

In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
Israele, da secoli, attendeva il Messia eppure, quando l'ha visto arrivare, non lo riconobbe. La nebbia, costituita da convinzioni religiose sbagliate, offuscava la mente e appesantiva i cuori. Israele era persuaso di costituire una comunità santa, viveva separato, disprezzava gli altri popoli, considerava l'elezione un privilegio, non una vocazione.
Aspettava un Messia che si sarebbe schierato al suo fianco non per portare la salvezza, ma per annientare gli altri popoli.
Solo il confronto continuo con la Parola, meglio se con altri, ci tiene "aggiornati", aperti a Gesù.
E la Parola ci porta ad incontrarlo nell'Eucaristia, nel fratello, nei ministri della Chiesa, nella preghiera; in particolare nella comunità dove si vive il Dove due o più si amano a vicenda, io sono in mezzo a loro.

Allora è opportuno prendere coscienza di come ci aiutiamo nella comunità a sperimentare la presenza di Gesù, ad ascoltare la sua Parola, a scoprirlo in ogni fratello specie se emarginato, a superare le delusioni, a far crescere la concordia…



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Giovanni venne come testimone (Gv 1,7)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (11/12/2011)
Mi ha mandato a portare il lieto annuncio (Is 61,1)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
La gioia di essere testimoni (9/12/2011)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 10 dicembre 2014

La nostra perseveranza


Le quotidiane difficoltà, lo sforzo di mantenere la carità con tutti, il desiderio di vivere con pienezza questo periodo di "attesa" mi corroborano nella perseveranza nella scelta di ciò che più vale ed affinano la pazienza nella fedeltà.
A questo proposito ho meditato in questi giorni su alcuni pensieri di san Cipriano sulla pazienza.
Ne riporto alcuni.
«[…] "Chi persevererà sino alla fine sarà salvato" (Mt 10,22; 24,13). "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,31-32). […] L'attesa e la pazienza sono necessarie perché portiamo a compimento quello che abbiamo cominciato a essere e raggiungiamo quello che speriamo e crediamo perché Dio ce lo rivela.
[…] "…sopportandovi a vicenda con amore cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ef 4,2b,3). Non si può conservare né l'unità né la pace se i fratelli non si sostengono vicendevolmente con la mutua sopportazione e non serbano il vincolo della concordia con l'aiuto della pazienza».

lunedì 8 dicembre 2014

Alla Beata Vergine Immacolata



Papa Francesco, ha visitato oggi, in occasione della Solennità dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria, in Piazza di Spagna a Roma la statua della Madonna, ed ha scritto e pronunciato la seguente preghiera:

O Maria, Madre nostra, oggi il popolo di Dio in festa ti venera Immacolata,
preservata da sempre dal contagio del peccato.
Accogli l'omaggio che ti offro a nome della Chiesa che è in Roma e nel mondo intero.
Sapere che Tu, che sei nostra Madre, sei totalmente libera dal peccato ci dà grande conforto.
Sapere che su di te il male non ha potere, ci riempie di speranza e di fortezza
nella lotta quotidiana che noi dobbiamo compiere contro le minacce del maligno.
Ma in questa lotta non siamo soli, non siamo orfani, perché Gesù, prima di morire sulla croce,
ci ha dato Te come Madre.
Noi dunque, pur essendo peccatori, siamo tuoi figli, figli dell'Immacolata,
chiamati a quella santità che in Te risplende per grazia di Dio fin dall'inizio.
Animati da questa speranza,
noi oggi invochiamo la tua materna protezione per noi, per le nostre famiglie,
per questa Città, per il mondo intero.
La potenza dell'amore di Dio, che ti ha preservata dal peccato originale,
per tua intercessione liberi l'umanità da ogni schiavitù spirituale e materiale,
e faccia vincere, nei cuori e negli avvenimenti, il disegno di salvezza di Dio.
Fa' che anche in noi, tuoi figli, la grazia prevalga sull'orgoglio
e possiamo diventare misericordiosi
come è misericordioso il nostro Padre celeste.
In questo tempo che ci conduce alla festa del Natale di Gesù,
insegnaci ad andare controcorrente:
a spogliarci, ad abbassarci, a donarci, ad ascoltare, a fare silenzio, a decentrarci da noi stessi,
per lasciare spazio alla bellezza di Dio, fonte della vera gioia.
O Madre nostra Immacolata, prega per noi!



sabato 6 dicembre 2014

Resi immacolati dalla carità



Immacolata Concezione della B. V. Maria (8 dicembre)
• Genesi 3,9-15.20 • Sal 97 • Efesini 1,3-6.11-12 • Luca 1,26-38
(visualizza i brani)

Appunti per l'omelia

Nella Solennità dell'Immacolata Concezione di Maria il cuore ci porta a contemplare Colei che per il suo "sì" tutta l'umanità ha potuto accogliere nel Figlio Gesù la pienezza della Vita. In Lei Dio preparò il Suo "Paradiso", rendendola degna di Sé oltre ogni dire.
Guardando a Lei, noi, fatti suoi figli dall'amore del Figlio Gesù, possiamo guardare alla Madre che non desidera altro per i suoi figli che farli simili a sé.
Il nostro compito, resi immacolati dalla carità, è di testimoniare con la nostra vita l'infinito Amore di Dio, fatti degni di seguire le orme del Figlio Gesù, sorretti dall'amore materno di Maria.
Riporto il racconto (fatto dalla madre) di una giovane che ha preferito la morte piuttosto che perdere la sua purezza e venir meno alla sua dignità di cristiana.

«Sono di Hong Kong, mamma di tre figli. Tra i doni ricevuti, uno in particolare ha cambiato la mia vita di cristiana e di madre: un incontro da vicino con il Papa, che ha fatto nascere in me il desiderio di essere testimone dell'amore di Dio nel mio mondo che non crede.
Una sera di agosto, la nostra figlia maggiore, di 26 anni, è stata uccisa nel suo appartamento. Informata dalla polizia, sono corsa all'ospedale. Già c'erano mio marito e mia sorella che erano stati rintracciati prima. Avevo il cuore straziato e dicevo da sola l'Ave Maria, poiché né mio marito né mia sorella sono cristiani. Poco dopo, mia figlia è spirata senza che avessi nemmeno potuto vederla. Ho saputo che aveva preferito lasciarsi uccidere piuttosto che perdere la sua purezza. Lei, come me, era cristiana.
La sua morte è stata un dolore inesprimibile, non ero preparata. Ho trovato la forza di affidare mia figlia a Maria, madre sua e madre mia, e ho chiesto la capacità di perdonare. Ho sentito il cuore riempirsi di pace e di amore misericordioso verso la persona che aveva tolto la vita a mia figlia. Mi è venuto anche di pregare per la mamma dell'assassino: il suo dolore, probabilmente, era più grande del mio.
La sepoltura è stata solenne e piena di raccoglimento. La pace ha avuto il sopravvento sul dolore. La metà dei presenti, non cristiani, sono rimasti profondamente toccati. Mio marito e mia sorella mi hanno confidato più tardi di aver capito che tale forza e pace non potevano essere di origine umana, ma solo frutto della fede in Dio. È fiorito in loro il desiderio di abbracciare la nostra fede e diventare cristiani».

Riamando ai vari post sulla Solennità odierna, a suo tempo pubblicati:
Maria, il nostro "dover essere" (dic. 2013)
Il sogno di Dio (dic. 2012)
Madre di Dio (dic. 2010)
Maria, Fiore dell'umanità (dic. 2009)
Immacolati nella carità (dic. 2008)

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Rallegrati, piena di grazia (Lc 1,29)
(vai al testo) - (pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi


venerdì 5 dicembre 2014

Una strada tutta nuova


2a domenica di Avvento (B)
• Isaia 40,1-5.9-11 • Sal 84 • 2 Pietro 3, 8-14 • Marco 1,1-8
(visualizza i brani)

Appunti per l'omelia

Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
La parola "inizio" dice la novità assoluta e imprevedibile rappresentata da Gesù rispetto al passato. Il Vangelo, la "buona notizia" è che Dio, in Gesù, visita la terra, viene in persona a parlare di sé, a offrirci una vita e uno stile di vita come il suo.
È interessante notare, in questo caso, che Gesù non è indicato come "il Cristo", ma "Cristo": la mancanza dell'articolo sta a significare che Lui non è quel "re" che ci si può aspettare, ma ha una novità da portarci.

Preparate … raddrizzate …
La novità di Gesù non è un dato scontato: ci si allena a coglierla.
Le tradizioni, la convinzione di essere già nella verità e di sapere già come fare, la fiducia in certe pratiche religiose possono essere un ostacolo ad accettare il "nuovo" di Gesù.
Solo il confronto continuo con la Parola, in particolare fatto insieme ad altri, l'ascolto senza pregiudizi di chi ha convinzioni diverse, ci fa comprendere la "novità" di Gesù: il Dio in cui in crediamo è "trinità", "relazione" e "comunione" di persone che si donano l'una all'altra.
Di qui è la luce per capire anche le necessità del mondo oggi, i nuovi doni dello Spirito e l'idea di una Chiesa nuova, diversa da quella ereditata dal passato.

Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è, nella "trinità", l'amore vicendevole tra il Padre e il Figlio.
Gesù ci "immerge" (baptizo = immergere) nella vita di comunione di Dio-Trinità, ci dona di percepire un Dio "vivo", di vivere "come in cielo così in terra".
Questo si esprime nel vivere insieme la Parola, condividere i beni spirituali e materiali, guardare con misericordia i limiti degli altri, scoprire le diversità come ricchezza vicendevole, accogliere la fatica per ravvivare sempre questo amore.
Allora Gesù ci assicura la sua presenza, che è poi il dono dello Spirito.

Allora possiamo chiederci, con tutta sincerità, se sentiamo la fortuna di aver trovato il Vangelo, la "buona notizia" che dà senso a tutto; se dal Vangelo ci aspettiamo "novità" o pensiamo di sapere già tutto; se sappiamo ascoltare chi pensa in modo diverso da noi, cercando di cogliere la parte di verità che ha…
È il modo migliore e concreto di prepararci al Natale, perché dove c'è critica, divisione, egoismo, non può "nascere" Gesù. Ma se curiamo come prima cosa la comunione fraterna, possiamo sperimentare la presenza di Gesù tra noi.



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Vedi anche Parola-sintesi (breve commento e una testimonianza) a suo tempo pubblicata (4/12/2011)
Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa (2Pt 3,14)
(vai al testo)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi


giovedì 4 dicembre 2014

Il Verbo di Dio verrà in noi


È iniziato l'Avvento. La "venuta" del Figlio di Dio nella carne e la sua venuta nella gloria alla fine dei tempi. Ma Gesù "viene" nell'oggi della mia vita, nel mio cuore che lo accoglie!
Nel prepararmi a questa venuta di Gesù, mi sono compagne le parole di san Bernardo, che traggo dai suoi
Discorsi sull'Avvento.

«Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca infatti tra le altre due che sono manifestate. Nella prima il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell'ultima venuta "ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" (Lc 3, 6) e vedranno colui che trafissero (cfr. Gv 19, 37). Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate.
Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell'ultima verrà nella maestà della gloria.
Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all'ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione.
Ma perché ad alcuno non sembrino per caso cose inventate quelle che stiamo dicendo di questa venuta intermedia, ascoltate lui: Se uno mi ama, dice conserverà la mia parola: e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui (cfr. Gv 14,23). Ma che cosa significa: Se uno mi ama, conserverà la mia parola? Ho letto infatti altrove: Chi teme Dio, opererà il bene (cfr. Sir 15, 1), ma di chi ama è detto qualcosa di più: che conserverà la parola di Dio. Dove si deve conservare? Senza dubbio nel cuore, come dice il Profeta: "Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato" (Sal 118, 11).
Poiché sono beati coloro che custodiscono la parola di Dio, tu custodiscila in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Nutriti di questo bene e ne trarrà delizia e forza la tua anima. Non dimenticare di cibarti del tuo pane, perché il tuo cuore non diventi arido e la tua anima sia ben nutrita del cibo sostanzioso.
Se conserverai così la parola di Dio, non c'è dubbio che tu pure sarai conservato da essa. Verrà a te il Figlio con il Padre, verrà il grande Profeta che rinnoverà Gerusalemme e farà nuove tutte le cose. Questa sua venuta intermedia farà in modo che "come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15, 49). Come il vecchio Adamo si diffuse per tutto l'uomo occupandolo interamente, così ora lo occupi interamente Cristo, che tutto l'ha creato, tutto l'ha redento e tutto lo glorificherà».

(Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate. - Disc. 5 sull'Avvento, 1-3; Opera omnia, Edit. cisterc. 4 [1966], 188-190).


domenica 30 novembre 2014

La bellezza della consacrazione


Inizia oggi, prima domenica di Avvento, l'anno dedicato alla Vita Consacrata, a cinquant'anni dalla promulgazione del Decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa.
Nel rileggere il messaggio che papa Francesco ha rivolto per questa occasione alle consacrate e ai consacrati, riporto le «tre parole programmatiche» che il papa ha sottolineato, considerandole di estrema attualità per ogni tipo di consacrazione, come può essere quella diaconale. E cioè:
«Essendo gioiosi! Mostrate a tutti che seguire Cristo e mettere in pratica il suo Vangelo riempie il vostro cuore di felicità. Contagiate di questa gioia chi vi avvicina, e allora tante persone ve ne chiederanno la ragione e sentiranno il desiderio di condividere con voi la vostra splendida ed entusiasmante avventura evangelica».
«Essendo coraggiosi! Chi si sente amato dal Signore sa di riporre in Lui piena fiducia. Così hanno fatto i vostri Fondatori e Fondatrici, aprendo vie nuove di servizio al Regno di Dio. Con la forza dello Spirito Santo che vi accompagna, andate per le strade del mondo e mostrate la potenza innovatrice del Vangelo che, se messo in pratica, opera anche oggi meraviglie e può dare risposta a tutti gli interrogativi dell’uomo».
«Essendo donne e uomini di comunione! Ben radicati nella comunione personale con Dio, che avete scelto come il porro unum (cfr Lc 10,42) della vostra esistenza, siate instancabili costruttori di fraternità, anzitutto praticando fra voi la legge evangelica dell’amore scambievole, e poi con tutti, specialmente i più poveri. Mostrate che la fraternità universale non è un’utopia, ma il sogno stesso di Gesù per l’umanità intera».

È un programma che entusiasma e dona quella gioia che viene dall'amore esclusivo per Dio e che si riversa su ogni donna e ogni uomo che incontriamo e siamo chiamati a servire, quale dono dello Spirito.
Il diacono, segno dell'amore di Cristo che è venuto per servire e dare la vita, incarna nella gioia del dono quella carità che coraggiosamente e decisamente costruisce la comunione e porta all'unità.


venerdì 28 novembre 2014

Mantenere il desiderio dell'incontro


1a domenica di Avvento (B)
• Isaia 63,16-17.19;64,1-7 • Sal 79 • 1 Corinzi 1,3-9 • Marco 13,33-37
(visualizza i brani)


Appunti per l'omelia

Ogni domenica proclamiamo nel Credo: «La risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Il momento che attendiamo è quello della seconda venuta di Gesù: una nuova dimensione, aldilà del tempo, quando tutto si riunificherà e ci saranno cieli nuovi e terre nuove. Per ciascuno l'ingresso in questa nuova dimensione coincide con la conclusione del cammino nella storia: l'ora della morte o, come dicevano i primi cristiani, l'ora della "rinascita".
Parlare di "quel momento" sembra terribilmente di cattivo gusto, come se si trattasse di profezia di sventura o di antiquate prediche sulla "buona morte". O forse si ha l'idea che pensare all'aldilà ci impedisca l'impegno umano nelle cose terrene. In realtà, "quel momento" è presente in ogni istante della nostra vita: non prenderne coscienza, significa falsare l'esistenza.
Ma c'è qualcosa di più: Gesù ci invita a mantenere il desiderio dell'incontro faccia a faccia con Lui. «Vegliate»: possiamo attendere quell'incontro come un'innamorata attende l'innamorato o una mamma il ritorno del figlio. Il rischio è di riempire la vita di mille cose da fare, privilegiando le cose sulla "persona" da incontrare.
«Ciascuno secondo il suo compito». Vegliare non è solo aspettare: è cominciare a vivere come vivremo in "paradiso" («come in cielo così in terra»), sullo stile del cammino storico di Gesù. Il confronto con il Vangelo, personale e comunitario, ci porta a scoprire il lavoro e gli impegni come volontà del Padre e amore al prossimo, a crescere nella comunione e nella condivisione dei beni con gli altri.
«Non sapete quando ritornerà». Proprio perché chiamati ad anticipare il "paradiso", proviamo a parlare come fosse l'ultimo discorso che teniamo, a lavorare come fosse l'ultima azione che facciamo, a soffrire come fosse l'ultima sofferenza che abbiamo da offrire, a pregare come fosse l'ultima occasione in terra di parlare con il Padre o con Gesù.
Vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, allora, non diventa più una finzione, soprattutto perché, dato che "quel momento" ci sarà, poco importa se avverrà oggi o fra cinquant'anni. Il tempo che ci rimane è appunto un tempo "che rimane": un tempo finito, che ha l'impronta di preparazione, di attesa, di vigilanza, di desiderio, come detto sopra. Molte cose perdono valore e altre ne acquistano: ci rendiamo conto che rimane solo la carità, l'amore vero.

"Fammi parlare sempre come fosse l'ultima parola che dico;
fammi agire sempre come fosse l'ultima azione che faccio:
fammi soffrire sempre come fosse l'ultima sofferenza che ho da offrirti;
fammi pregare sempre come fosse l'ultima possibilità
che ho qui in terra per parlare con Te"

(da un canto)



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Vegliate, perché non sapete quando è il momento (Mc 13,33)
(vai al testo) - (---> pdf, formato A4, stampa a/r per A5)

Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata (27/11/2011)
Aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (1Cor 1,7)
(vai al testo)

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
L'attesa vigilante (25/11/2011)

Commenti alla Parola:
  di Luigi Vari (VP 2014)
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Claudio Arletti (VP 2008)
  di Enzo Bianchi



mercoledì 26 novembre 2014

Testimoni credibili


Il tempo attuale ha bisogno, come ci ricorda il beato Paolo VI, di testimoni più che di maestri. O meglio: i maestri siano dei veri testimoni.
Durante l'ordinazione diaconale il vescovo, nel consegnare il libro dei Vangeli, dice: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l'annunciatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».
La nostra testimonianza evangelica, anima della nostra azione pastorale, non necessita di cose straordinarie, di atteggiamenti che suscitano ammirazione o stupore, né di miracoli eclatanti, ma della povertà della nostra fede, animata dalla grazia dello Spirito, e della sincera carità che è dono di sé. Già san Paolo ammoniva che «i segni sono per gli infedeli increduli» (cf 1Cor 14, 22).
E mi risuonano attuali le parole di sant'Agostino che leggo nelle sue Confessioni: «[Signore], i tuoi ministri operino in terra non più come nelle acque dell'incredulità quando annunciavano il messaggio con miracoli, simboli e parole misteriose che sono attrattiva per l'ignoranza, generatrice di stupore e di timore davanti a segni sconosciuti: tale è, per i figli di Adamo che si dimenticano di te, la strada che porta alla fede fintanto che si nascondono a te divenendo come l'abisso.
Operino invece come su terra asciutta separata dai gorghi dell'abisso, e siano nel vivere modello per i credenti, stimolandoli all'imitazione. Così questi ascolteranno il loro annuncio non soltanto per capire, ma anche per agire». (Sant'Agostino, Le Confessioni, Libro XIII, n. 21)

venerdì 21 novembre 2014

Il giudizio ultimo: l'amore verso i bisognosi


Cristo Re - 34a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

L'anno liturgico si conclude con la grandiosa visione del Signore Gesù che "verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine". Questo articolo del Credo dice in sintesi ciò che esprimono i brani della Liturgia odierna.
Dio, pastore del suo popolo, ricerca le pecore perdute, se ne prende cura personalmente, le raduna e anche le giudica (cf Ez 34,11-12.15-17). Non un re che domina, ma che serve il suo gregge. È una regalità d'amore. Gesù, presentandosi come il "buon pastore" che arriva a "offrire la vita" per le sue pecore (cf Gv 10,15-18; Mt 18,12-14), realizzerà al massimo grado questo ruolo regale. Ma Egli eserciterà anche il giudizio definitivo degli uomini: «...separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre». È Gesù risorto, intronizzato come re, che vince tutte le potenze del male e della morte (cf 1Cor 15,20-26.28).
Il brano evangelico di Matteo (cf Mt 25,31-46), che riporta l'ultimo discorso di Gesù in prossimità della morte, è la visione grandiosa e impressionante del Giudizio Universale. Il protagonista è Lui, Gesù, che si attribuisce due titoli: «il Figlio dell'uomo» e «il Re». Col primo titolo Egli dichiara di essere il giudice futuro, annunziato dal profeta Daniele, al quale Dio avrebbe dato un regno universale ed eterno (cf Dn 7,13ss), che però dovrà prima patire e risorgere (cf Mt 17,22-23; 20,18-19). L'altro titolo di "Re" viene visualizzato con l'immagine del "trono della sua gloria" su cui "siederà". Come sovrano universale lo riconoscono sia i giusti che i reprobi di tutte le nazioni, quando nelle loro domande si rivolgono a Lui con l'appellativo di "Signore".
È davvero impressionante il fatto che Gesù, mentre si accinge ad affrontare la suprema umiliazione della morte, annuncia con sicurezza questo futuro di gloria e fissa un appuntamento non solo ai suoi discepoli, ma a tutti i popoli della storia: tutti dovranno comparire davanti al suo tribunale di sovrano e giudice glorioso: «Davanti a Lui verranno radunati tutti i popoli». Tutti i popoli, tutti gli uomini, senza alcuna eccezione, devono rispondere di sé davanti a Lui. E ciascuno viene giudicato secondo il criterio stabilito da Cristo stesso. Un criterio uguale per tutti: chi lo ha soccorso in una situazione di bisogno sarà approvato nel giudizio. Chi invece gli ha negato l'aiuto sarà escluso dal Regno, perché «tutto quello che avete fatto – o non avete fatto - a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto – o non lo avete fatto - a me».
Il grande e definitivo esame che attende tutti e ciascuno al termine della vita personale e della storia, e da cui dipende il nostro destino eterno, verterà su un'unica materia: l'amore concreto a Cristo, che si è presentato a noi in incognito, nascosto nei suoi fratelli indigenti. Dietro ogni uomo, in particolare dietro ogni uomo piccolo, debole, provato sta proprio Gesù. Lui che nella sua esistenza terrena si è fatto solidale con tutti, e specialmente con i sofferenti fino a condividere l'esperienza del dolore e della morte, ora nella sua condizione di risorto non si è allontanato da loro, ma vive questa vicinanza e solidarietà in modo perfetto. Ecco perché è Lui che riceve direttamente il mio atto di accoglienza o di rifiuto nei confronti del fratello bisognoso.
Veramente in ogni uomo noi abbiamo sempre a che fare con Gesù. L'attenzione, costantemente rinnovata, a trattare ogni persona come tratterei Cristo stesso se lo vedessi, cambia la mia vita e quella degli altri.
Ciò che do al fratello lo do realmente a Gesù!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno preparato per voi (Mt 25,34)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi


venerdì 14 novembre 2014

Entrare nella gioia del Signore


33a domenica del T.O. (A)

Appunti per l'omelia

Nell'attesa dell'ultima venuta del loro Signore, i discepoli devono "non dormire, ma vigilare" (cf 1Ts 5,1-6). Una vigilanza operosa, come quella della "donna forte" di cui parla il libro dei Proverbi (cf Pro 31,10-31).
Questa vigilanza operosa è espressa dalla parabola evangelica (cf Mt 25,14-30), dove il padrone, che parte per un lungo viaggio e poi ritorna, rappresenta Gesù che alla fine verrà come giudice a cui rendere conto di noi stessi e del nostro operato. Il padrone, in procinto di partire, affida personalmente ai servi una somma notevole, in base alle rispettive capacità, riponendo in loro una grande fiducia. La risposta dei servi non è uguale. I primi due, durante l'assenza del padrone, trafficano il capitale ricevuto in consegna e lo raddoppiano. Sanno di non esserne i proprietari, ma gli amministratori, e svolgono questo compito con fedeltà e intraprendenza. Invece il terzo servo si preoccupa esclusivamente di custodire il deposito per restituirlo integro.
Tutto il racconto converge nella scena finale, in cui il padrone, ritornato, regola i conti con i servi. Nettissimo il contrasto fra i primi due e il terzo. Nelle parole, che quest'ultimo rivolge al padrone, si coglie la ragione profonda del suo comportamento: «So che sei un uomo duro… Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra». Non ha voluto correre rischi per paura del padrone, che considera troppo esigente e al quale contesta il diritto di reclamare più di quanto gli ha consegnato. Restituendogli il talento ricevuto, si sente sdebitato e a posto con lui.
Gesù ha di mira, senz'altro, i farisei che osservano meticolosamente la Legge e si sentono in regola con Dio, convinti di rendergli ciò che gli è dovuto. Ma non accolgono la sua volontà che si manifesta in Gesù. Non hanno capito che, in quanto servi del Signore, dipendono da Lui e devono servirlo, compiendo ciò che chiede, anche se tale richiesta è imprevista e non piacevole. Nessun alibi possono portare per giustificare il loro disimpegno. Il loro rapporto religioso con Dio è come ridotto a una semplice relazione commerciale di prestazione e di servizio, in un clima di diffidenza e di paura.
Alla negligenza di questo servo, che il padrone qualifica come «malvagio e pigro», si contrappone lo zelo attivo dei primi due. Essi, superando ogni forma di paura, si sono lasciati coinvolgere nel rapporto di fiducia amicale che il padrone offriva. Hanno capito che li stimava e contava su di loro, si fidava di loro. Ed essi si sono fidati di lui. Per questo, hanno rischiato… con creatività. Hanno "osato" nella libertà che è data dall'amore. E così non hanno deluso il padrone, che, contento e fiero di loro, ha elogiato ciascuno come «servo buono e fedele».
Con questa parabola Gesù voleva provocare il suo uditorio - e noi oggi - a riflettere per decidere.
I servi siamo noi. I talenti, che ci sono stati affidati, simboleggiano soprattutto il dono del Vangelo, il tesoro della Parola di Dio e quindi l'essere cristiani, l'appartenenza a Cristo nella Chiesa a partire dal Battesimo, il dinamismo delle virtù teologali della fede, della carità e della speranza. Il talento per eccellenza è Lui, Gesù, vivo e operante in molti modi e forme nella Chiesa. Tutti questi beni sono un capitale enorme e favoloso, che Dio ci affida con immenso amore e fiducia.
Coloro a cui è stato affidato il Vangelo non hanno il diritto di lasciarlo improduttivo. Questo capitale deve essere impiegato. In altre parole dobbiamo lasciare che la nostra intera esistenza venga trasformata dal Vangelo.
Il "servo malvagio" e disimpegnato, quindi "inutile", è "gettato fuori nelle tenebre", destinato alla rovina e disperazione eterna. Invece i servi operosi sono premiati al di là di ogni attesa. Il padrone affida loro compiti più grandi e più prestigiosi. E, ciò che vale immensamente di più, li invita: «prendi parte alla gioia del tuo padrone», "entra" nella gioia del tuo signore. È un "entrare" che ci rimanda ad altre "entrate" evangeliche, come "entrare nel regno dei Cieli" (cf Mt 5,20; 7,21, 18,3), "entrare nella vita" (cf Mt 18,8ss; 19,16). Ora, in maniera eguale, si parla di "entrare nella gioia". Non una gioia qualunque, ma la "gioia del Signore". Si tratta di condividere la gioia stessa di Dio, quasi immergendosi in questa gioia e nuotandovi dentro.
Il Regno è pienezza di vita e felicità senza fine!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2011)
  di Enzo Bianchi

giovedì 13 novembre 2014

L'alfabeto, la grammatica di base di ogni ministero


All'Udienza generale di ieri, 12 novembre, papa Francesco ha parlato delle qualità che devono avere coloro che sono chiamati ad un ministero nella Chiesa, vescovi, presbiteri e diaconi: «che cosa viene richiesto a questi ministri della Chiesa, perché possano vivere in modo autentico e fecondo il proprio servizio».
Il papa si rifà alle Lettere pastorali che l'apostolo Paolo ha inviato a Timoteo e a Tito, dove viene evidenziato il modo di essere dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi. San Paolo - continua il papa - «si sofferma in una descrizione di ogni cristiano nella Chiesa, delineando per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, ciò a cui essi sono chiamati e le prerogative che devono essere riconosciute in coloro che vengono scelti e investiti di questi ministeri. Ora, è emblematico come, insieme alle doti inerenti la fede e la vita spirituale - che non possono essere trascurate, perché sono la vita stessa -, vengano elencate alcune qualità squisitamente umane: l'accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l'affidabilità, la bontà di cuore. È questo l'alfabeto, la grammatica di base di ogni ministero! Deve essere la grammatica di base di ogni vescovo, di ogni prete, di ogni diacono. Sì, perché senza questa predisposizione bella e genuina a incontrare, a conoscere, a dialogare, ad apprezzare e a relazionarsi con i fratelli in modo rispettoso e sincero, non è possibile offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili».
«C'è poi un atteggiamento di fondo che Paolo raccomanda ai suoi discepoli e, di conseguenza, a tutti coloro che vengono investiti del ministero pastorale, siano essi vescovi, sacerdoti, presbiteri o diaconi. L'apostolo esorta a ravvivare continuamente il dono che è stato ricevuto (cfr 1Tm 4,14; 2Tm 1,6). Questo significa che deve essere sempre viva la consapevolezza che non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d'amore elargito da Dio, nella potenza del suo Spirito, per il bene del suo popolo. Questa consapevolezza è davvero importante e costituisce una grazia da chiedere ogni giorno! Infatti, un Pastore che è cosciente che il proprio ministero scaturisce unicamente dalla misericordia e dal cuore di Dio non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale».

E papa Francesco conclude con un invito a mettersi in continuo ascolto per imparare da tutti, anche da chi non ha il dono della fede, perché non possiamo pretendere di «sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa». Questo atteggiamento di umile ascolto ci mette inoltre nella condizione di vivere, assieme ai propri confratelli, quella fraternità sacramentale improntata «alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione»:
«La consapevolezza che tutto è dono, tutto è grazia, aiuta un Pastore anche a non cadere nella tentazione di porsi al centro dell'attenzione e di confidare soltanto in se stesso. Sono le tentazioni della vanità, dell'orgoglio, della sufficienza, della superbia. Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno. Al contrario, la coscienza di essere lui per primo oggetto della misericordia e della compassione di Dio deve portare un ministro della Chiesa ad essere sempre umile e comprensivo nei confronti degli altri. Pur nella consapevolezza di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede (cfr 1Tm 6,20), egli si metterà in ascolto della gente. È cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa. Con i propri confratelli, poi, tutto questo deve portare ad assumere un atteggiamento nuovo, improntato alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione».


mercoledì 12 novembre 2014

Rispettarsi nella diversità


Da una rubrica di corrispondenza con i lettori, apparsa sulla rivista Città Nuova (nr. 9/2009), riporto questo breve stralcio, che mi aiuta a vivere bene, in positivo, il mio rapporto con gli altri, nonostante le diversità che frenano o cercano di allontanarmi. È un prendere con sempre maggior coscienza che la diaconia che siamo chiamati a vivere e animare è una carità che fa comunione.

«Per far spazio all'altro occorre dimenticare noi stessi: l'accettare senza sentirne il peso (cioè sopportare) le differenze dell'altro è un primo passo per non restare in noi stessi. In concreto sopportare sarà, quindi: non giudicare le intenzioni dell'altro da quanto lui fa o dice e che possiamo non comprendere; non ingigantire quanto vediamo ma cercare di osservarlo per quello che è nel presente; riuscire a guardare ogni giorno l'altro come lo vedessimo la prima volta senza sommare al fastidio attuale quello dei giorni precedenti... Fatto questo primo passo, sarà più facile saper leggere quello che l'altro ha in cuore e che spesso è oscurato da quel modo di fare che ci dà fastidio e riuscire a capirlo, a capirsi, e anche ad aiutarsi a migliorare» (Francesco Châtel).

(Scarica l'articolo completo)


martedì 11 novembre 2014

Diaconi testimoni di solidarietà


Riporto l'ultima parte dell'articolo di Giancamillo Trani, vicedirettore della Caritas di Napoli, che rileggo dagli Atti del Convegno dei diaconi italiani (Napoli, Agosto 2013), dove descrive la presenza del diacono in una società dominata dagli interessi finanziari e sorda alle necessità dei più deboli.

«[…] Certo vivere non è semplice, la tendenza è di prendere, pretendere per sé e non. vedere quello che ci viene anche da chi soffre la malattia, l'oppressione, la discriminazione, la povertà o semplicemente il rifiuto e la più comune non-accettazione: il mestiere dell'umano è proprio di riconoscere la nostra vulnerabilità che è forse la qualità più importante che abbiamo e che ci rende davvero umani! Ed allora, diaconi non sentinelle di solidarietà: la sentinella è vigile ma relativamente statica; si limita a dare l'allarme oppure a custodire. Direi meglio diaconi alfieri e fanti di carità e solidarietà: Gesù è diacono permanente, è servo a tempo pieno. Voglio ora ricordare uno scritto di Don Tonino Bello: Anche tu per evangelizzare il mondo.
"Il Signore ce l'ha anche con te. La sua mano tesa ti ha individuato nella folla. È inutile che tu finga di non sentire, o ti nasconda per non farti vedere. Quell'indice ti raggiunge e ti inchioda a responsabilità precise che non puoi scaricare su nessuno. Anche tu. Perché il mondo è la vigna del Signore, dove egli ci manda tutti a lavorare. A qualsiasi ora del giorno. Non preoccuparti: non ti si chiede nulla di straordinario. Neppure il tuo denaro: forse non ne hai. E quand'anche ne avessi, e lo donassi tutto, non avresti ancora obbedito all'intimo comando del Signore. Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, in qualsiasi angolo tu consumi l'esistenza, possa diffondere attorno a te il buon profumo di Cristo. Che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime della gente. Che ti impegni a vivere la vita come un dono e non come un peso. Che ti decida, finalmente, a camminare sulle vie del Vangelo, missionario di giustizia e di pace. Esprimi in mezzo alla gente una presenza gioiosa, audace, intelligente e propositiva. Ricordati che l'assiduità liturgica nel tempio non ti riscatterà dalla latitanza missionaria sulla strada. Ma fermati anche a fare il pieno perché in un'eccessiva frenesia pastorale c'è la convinzione che Dio non possa fare a meno di noi. [...] Se vi dicono che afferrate le nuvole, che battete l'aria, che non siete pratici, prendetelo come un complimento. Non fate riduzioni sui sogni. Non praticate sconti sull'utopia. Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: Ma cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro?" (don Tonino Bello)».


venerdì 7 novembre 2014

Il nuovo Tempio


Dedicazione della Basilica Lateranense
[32a domenica del T.O. (A) - (9 nov. 2014)]

Appunti per l'omelia

La coincidenza della festa della Dedicazione della Basilica Lateranense con la domenica odierna ci fa guardare alla realtà vera del Tempio quale "luogo" della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. È Gesù stesso, come descritto nel brano evangelico (cf Gv 2,13-22), che definisce se stesso, il suo corpo, il "nuovo tempio", presenza definitiva di Dio in mezzo agli uomini, Lui l'Emmanuele, il Dio-con noi.
La risurrezione di Gesù ne svelerà il mistero, non solo della sua Persona, ma anche del significato della sua presenza nella storia, attraverso la comunità dei credenti, nella Chiesa radunata nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
L'apostolo Paolo ci ricorda questa verità: «Voi siete edificio di Dio… Siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi» (cf 1Cor 3,9c-11.16-17).
Siamo, pertanto, invitati a prendere, oggi, coscienza sempre di più della nostra vera identità e della conseguente nostra responsabilità.
Essere noi discepoli del Signore Gesù che formiamo la sua Chiesa, segno e sacramento della sua presenza in mezzo agli uomini, significa sperimentare che Dio realmente ci ha conquistati e ha fatto di noi la sua dimora.
L'apostolo Giovanni scrive: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Gesù, con queste parole, sta rivolgendo agli apostoli i suoi grandi ed intensi discorsi di addio e li assicura, fra il resto, che essi lo avrebbero visto di nuovo, perché egli si sarebbe manifestato a coloro che lo amano. La sua manifestazione non sarebbe avvenuta in modo spettacolare ed esterno. Essa sarebbe stata una semplice, straordinaria "venuta" della Trinità nel cuore del fedele, che si attua là dove vi è fede ed amore. Con queste parole Gesù precisa in quale modo egli rimarrà presente in mezzo ai suoi dopo la sua morte e spiega come sarà possibile avere contatto con lui.
La sua presenza dunque si può realizzare fin d'ora nei cristiani ed in mezzo alla comunità: non è un evento che riguarda il futuro. Il tempio che lo accoglie non è tanto quello fatto di muri, ma il cuore stesso del cristiano, che diventa così il nuovo tabernacolo, la viva dimora della Trinità.
Ma come può il cristiano arrivare a tanto? Come portare in sé Dio stesso? Quale la via per entrare in questa profonda comunione con lui?
È l'amore verso Gesù. Un amore che non è mero sentimentalismo, ma si traduce in vita concreta e, precisamente, nell'osservare la sua Parola.
È a quest'amore del cristiano, verificato dai fatti, che Dio risponde col suo amore: la Trinità viene ad abitare in lui.
L'«osservare la sua parola» è la garanzia di questa divina dimora nel nostro cuore. Le parole di Gesù, il suo vangelo! Non tanto un catalogo di leggi, quanto piuttosto le sue parole tutte sintetizzati in quello che lui ha illustrato con la lavanda dei piedi: il comandamento dell'amore reciproco. Dio comanda ad ogni cristiano di amare l'altro fino al dono completo di sé, come Gesù ha insegnato ed ha fatto.
Questa è la garanzia del nostro essere "tempio di Dio".



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Parlava del tempio del suo corpo (Gv 1,21)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
  di Enzo Bianchi


martedì 4 novembre 2014

Ogni uomo è mio fratello


«[…] Se vogliamo la pace, dobbiamo riconoscere la necessità di fondarla su basi più solide che non sia quella o della mancanza di rapporti (ora i rapporti fra gli uomini sono inevitabili, crescono e s'impongono), ovvero quella dell'esistenza di rapporti d'interesse egoistico (sono precari e spesso fallaci), ovvero quella del tessuto di rapporti puramente culturali o accidentali (possono essere a doppio taglio, per la pace o per la lotta). La pace vera deve essere fondata sulla giustizia, sul senso dell'intangibile dignità umana, sul riconoscimento d'una incancellabile e felice eguaglianza fra gli uomini, sul dogma basilare della fraternità umana. Cioè del rispetto, dell'amore dovuto ad ogni uomo, perché uomo. Erompe la parola vittoriosa: perché fratello. Fratello mio, fratello nostro.
Anche questa coscienza della fraternità umana universale procede felicemente nel nostro mondo, almeno in linea di principio. Chi fa opera per educare le nuove generazioni alla convinzione che ogni uomo è nostro fratello costruisce dalle fondamenta l'edificio della pace. Chi inserisce nell'opinione pubblica il sentimento della fratellanza umana senza confine prepara al mondo giorni migliori. Chi concepisce la tutela degli interessi politici senza la spinta dell'odio e della lotta fra gli uomini, come necessità dialettica e organica del vivere sociale, apre alla convivenza umana il progresso sempre attivo del bene comune. Chi aiuta a scoprire in ogni uomo, al di là dei caratteri somatici, etnici, razziali, l'esistenza d'un essere eguale al proprio, trasforma la terra da un epicentro di divisioni, di antagonismi, d'insidie e di vendette in un campo di lavoro organico di civile collaborazione. Perché dove la fratellanza fra gli uomini è in radice misconosciuta è in radice rovinata la pace. E la pace è invece lo specchio dell'umanità vera, autentica, moderna, vittoriosa d'ogni anacronistico autolesionismo. È la pace la grande idea celebrativa dell'amore fra gli uomini, che si scoprono fratelli e si decidono a vivere tali.
Questo è il nostro messaggio per l'anno 71. Esso fa eco, come voce che scaturisca nuova dalla coscienza civile, alla dichiarazione dei Diritti dell'uomo: "Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali nella dignità e nei diritti; essi sono dotati di ragione e di coscienza, e devono comportarsi gli uni verso gli altri come fratelli". Fino a questa vetta è salita la dottrina della civiltà. Non torniamo indietro. Non perdiamo i tesori di questa conquista assiomatica. Diamo piuttosto applicazione logica e coraggiosa a questa formula, traguardo dell'umano progresso: "ogni uomo è mio fratello". Questa è la pace, in essere e in fieri. E vale per tutti! […]».

(Paolo VIMessaggio per la celebrazione della IV Giornata della Pace, 1/1/1971)