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lunedì 30 settembre 2013

Documenti del Concilio







Ho iniziato a pubblicare nel mio sito di testi alcuni Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, commentati mediante il Catechismo della Chiesa Cattolica.


Il testo ed i commenti sono tratti dal sito Spirito e Vita, curati da P. Gualberto Gismondi ofm, che si augura, nel concedere il libero e gratuito utilizzo, "una proficua lettura".


Iniziamo con la Costituzione Pastorale "Gaudium et spes".


Vai ai testi…






venerdì 27 settembre 2013

Scoprire in tempo il senso della vita


26a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Con un'altra parabola Gesù rivela il rischio terribile che corrono coloro che si godono tranquillamente i propri beni pensando soltanto a se stessi.
Il brano evangelico si articola in due scene. La prima descrive la situazione di un ricco e quella di un povero sulla terra.
Il ricco è il tipico gaudente che non si cura d'altro che di assaporare le gioie della vita senza pensare né a Dio né agli altri né alla vita futura. Nemmeno si accorge che alla porta della sua casa giace un povero ammalato, coperto di piaghe, tormentato dalla fame. Il ricco esclude l'altro, lo rimuove dall'orizzonte delle sue attenzioni e preoccupazioni. Il povero viene visto come disturbo, fastidio, minaccia alla qualità della propria vita. La ricchezza, quando diventa idolo, chiude il cuore dell'uomo a Dio e al prossimo.
In netto contrasto con la condizione e l'atteggiamento del ricco Gesù presenta il povero: è un uomo giusto che, nell'estrema miseria, non perde la fiducia, ma è convinto che "Dio lo aiuta". È il significato del nome "Lazzaro": Dio ha un debole per i poveri, li difende.
La distanza che separa i due è abissale, nonostante la prossimità spaziale. L'uno è fortunato, beato; l'altro è disgraziato.

Inaspettatamente si apre una seconda scena. Si svolge nell'aldilà ed è inaugurata dalla morte, per la quale il ricco e il povero sono uguali. Essa li colpisce entrambi. La separazione e il contrasto fra i due rimane, anzi si fa drammaticamente grave e definitivo. Ma i loro destini si invertono, sono capovolti.
Il povero viene portato «accanto ad Abramo», mentre il ricco precipita «negli inferi tra i tormenti».
La descrizione della vita successiva alla morte che Gesù fa nella parabola è immaginaria. Egli non intende tracciare una geografia dell'aldilà. Semplicemente si adatta alla mentalità giudaica. Questa si raffigurava il mondo futuro come diviso in due scomparti, di gioia l'uno, di sofferenza l'altro, da cui ci si poteva anche vedere e parlare.
Nel dialogo tra il ricco anonimo ed Abramo, il ricco riconosce che il genere di vita praticata sulla terra lo ha condotto a tale stato di disperazione. Per questo vorrebbe che i suoi cinque fratelli fossero avvertiti di cambiare vita per evitare così il suo stesso destino pieno di tormenti.
La risposta di Abramo, alla richiesta di inviare messaggeri dall'aldilà, è perentoria: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». Come a dire, la Parola di Dio può e deve bastare. Il Vangelo di Gesù, che risuona qui e ora per me è più che sufficiente. Per convertirsi l'uomo non ha bisogno di cose straordinarie. Deve solamente ascoltare la Parola di Dio, che manifesta la sua volontà e mette espressamente in rilievo la responsabilità sociale nei confronti dei poveri. Per ascoltare, però, la Parola di Dio e quindi la sua volontà, occorre avere un cuore aperto e pronto. Se invece il cuore è indurito dall'egoismo e non si interessa di Dio e del prossimo, allora anche miracoli e messaggeri dall'aldilà sono inutili.
La vita presente è decisiva. Dal modo con cui sappiamo gestirla dipende la nostra sorte eterna. Se la viviamo nell'attenzione ai fratelli più poveri, condividendo con loro i nostri beni (e non solo materiali), eviteremo il rischio di quella condanna senza appello che ha colpito il ricco della parabola.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro (Lc 16,29)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Vedi anche:
Preferenza per gli ultimi (26 settembre 2010)


Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


sabato 21 settembre 2013

Se il tuo occhio è semplice


«Mentre andava per via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì» (Mt 9,9).

«Ma ora – afferma Papa Francesco nell'omelia di oggi a Santa Marta – Matteo sente nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava… E quello sguardo lo ha coinvolto totalmente, gli ha cambiato la vita. Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene. Ti fa sentire che Lui ti vuole bene…».

Essere guardati da Gesù… E guardare tutti gli altri come Gesù li guarda… Guardarli da Gesù…
Come testimoniare questo personale incontro con Gesù e come rendere fecondo il mio essere per gli altri? Illuminato dalla scena di Gesù che vede e chiama Matteo, ho riletto questo scritto di Chiara Lubich, dal titolo "Se il tuo occhio è semplice", che riporto.

«Quanti prossimi incontri nella tua giornata - dall'alba alla sera - in altrettanti vedi Gesù. Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l'amore vuole unire, conquistando. […] Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui. Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza.
Guarda dunque ogni fratello amando e l'amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l'amore è amare ed essere amato: è la Trinità. E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari, per la grazia, ma vi è spenta. […] Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d'amore "Date e vi sarà dato" (Lc 6,38). Lasciati possedere da lui [dal fratello] - per amore di Gesù -, lasciati "mangiare" da lui - come altra Eucaristia -; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t'amerà. […] L'amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta. Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l'Amore che è Dio vivente in te. E l'Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l'occhio, ritroverà sé in essi e tutti saranno uno […] E attorno a te crescerà la comunità come attorno a Gesù: dodici, settantadue, migliaia… È il Vangelo che affascinando - perché Luce in Amore - rapisce e trascina».
(da Città Nuova, n. 17/2013, p. 43)

venerdì 20 settembre 2013

Una scelta senza compromessi


25a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

La prima lettura (Am 8,4-7), proposta per questa domenica, riporta la denuncia durissima del profeta Amos contro i commercianti avidi e disonesti del suo tempo. Unico loro interesse è la ricerca del profitto, sia pure "calpestando" i poveri. Nei giorni festivi, mentre sono presenti al culto del sabato, meditano già come accrescere i propri guadagni nel giorno successivo, rialzando arbitrariamente i prezzi, contraffacendo peso, misura e qualità della merce. Ma il giudizio di Dio sarà inesorabile: «Non dimenticherò mai le loro opere».
Nessuno di noi può sfuggire alla forza provocatoria di questo appello del profeta. Così anche Gesù, con la parabola dell'amministratore disonesto (Lc 16,1-13), ci invita a riflettere e a prendere la decisione più saggia.
Non viene approvata la truffa, consumata con geniale abilità da un uomo senza scrupoli, "disonesto", appunto. Ne sottolinea però il realismo, l'intelligenza, la scelta tempestiva con cui ha saputo cavarsi da una situazione irreparabile e senza scampo. Con una manovra spregiudicata si è assicurato la gratitudine dei debitori del suo padrone.
È questa scaltrezza che Gesù mette in evidenza e propone. Coloro che lo ascoltano si trovano in una situazione simile a quella dell'amministratore della parabola. Non sanno cosa rischiano. È in gioco la salvezza, il più grande dono per l'uomo, che ora il Signore sta offrendo attraverso Gesù. Incombe il giudizio di Dio.
Gesù osserva amaramente che «i figli della luce», coloro che sono stati illuminati dalla luce del Vangelo, non hanno l'intraprendenza, il coraggio, la passione con cui «i figli di questo mondo» curano i propri interessi. Ma sono pigri, rassegnati, senza slancio, senza lo spirito di iniziativa dimostrato dall'amministratore della parabola.
Gesù vuole scuotere da questo torpore e suggerisce cosa fare per ottenere la salvezza: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». I discepoli di Gesù devono pensare per tempo al loro futuro, non tanto a quello terreno, ma a quello che li attende dopo la morte. E quale il segreto per essere accolti dopo la morte nelle «dimore eterne»? Ecco la risposta: usare saggiamente la ricchezza di cui ora si dispone e che non ci è dato di sapere quando verrà a mancare irrimediabilmente. Ricchezza che Gesù considera iniqua, cioè ingiusta, perché spesso frutto di ingiustizie, imbrogli, sfruttamenti.
Il discepolo agisce da persona abile e intelligente, quando si considera non padrone, ma amministratore di beni che non sono sua proprietà. È pure convinto che i poveri sono gli amici privilegiati di Dio. Aiutandoli, perciò, liberandoli dai loro debiti, condividendo i suoi beni con loro, si garantisce la benevolenza di Dio e un posto sicuro nella sua casa.
La ricchezza può essere un ottimo mezzo per fare il bene. Ma può divenire anche il nemico peggiore dell'uomo che la possiede, una trappola mortale. Gesù ci mette in guardia contro il terribile potere di seduzione che esercita la ricchezza: «Nessun servitore può servire a due padroni... Non potete servire Dio e la ricchezza».
Gesù ci invita a fare una scelta senza compromessi e a rideciderci per Dio. Non Lui soprattutto, ma Lui soltanto!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non potete servire Dio e la ricchezza (Lc 16,13)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Vedi anche:
Il dio denaro (19 settembre 2010)


Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


mercoledì 18 settembre 2013

Di ritorno dal Convegno di Napoli [3]


Durante il Convegno che la Comunità del Diaconato in Italia ha organizzato a Napoli nello scorso mese di agosto (vedi vari interventi su questo blog), di particolare importanza è stato lo spazio riservato alle mogli dei diaconi in un loro specifico incontro di scambio di esperienze.
Riporto qui di seguito la relazione sintesi di questo incontri delle spose, coordinato da Ornella Di Simone.



Il primo argomento che abbiamo affrontato è stata la doppia sacramentalità del diacono sposato ed in particolare come un sacramento si innesta nell'altro, dal momento che i nostri mariti hanno ricevuto il diaconato quando erano già sposati, e se l'esercizio dei due ministeri ha creato problemi all'interno della coppia.
In alcune situazioni, abbiamo registrato quella che potrebbe essere definita come la distanza che c'è tra il marito diacono sull'altare e la sposa nei banchi.
In che senso questa distanza? Nel senso di tutte quelle difficoltà che la coppia deve affrontare per vivere in pienezza e con equilibrio i due sacramenti.
In primo luogo ad esempio la mancanza di una formazione di coppia alla nuova ministerialità. Non in tutte le diocesi, infatti, è previsto un percorso di formazione di coppia o comunque aperto alle spose.
In secondo luogo la difficoltà nell'accogliere sin dall'inizio la ministerialità del marito, con i nuovi impegni che essa comporta, con la generosità necessaria, cosa che talvolta si traduce in un senso di solitudine della moglie.
Una ulteriore difficoltà si verifica ancora quando il marito viene destinato ad una parrocchia lontana o diversa da quella di origine. Questo comporta che la moglie non sempre riesce a condividere e collaborare con il marito nello svolgimento delle attività. Tale condivisione, non solo è desiderio di tutte, ma dà una testimonianza più significativa di comunione. Di qui una proposta di una maggior sensibilità da parte del vescovo nell'assegnazione del diacono, che tenga maggiormente in considerazione le situazioni specifiche.

Belle e significative sono state invece le esperienze nelle quali il sacramento del matrimonio ha portato un arricchimento nella vita di coppia e della famiglia. Qualcuno addirittura ha vissuto in maggiore pienezza il proprio sacramento matrimoniale in occasione del cammino di preparazione al diaconato.
In alcune coppie il diaconato ha generato una maggiore comunione di anime, in altre un maggiore impegno nella preghiera fatta insieme e la ricerca di una maggiore coerenza di vita cristiana.
Ci si è chiesti: cosa dà in più il sacramento del diaconato alla coppia? C'è una specificità che caratterizza l'essere moglie di un diacono?
Secondo alcune il proprio sta nel mettere pace e nel ricercare sempre la comunione, per altre tale specificità è nel ministero dell'accoglienza, ma la ricerca e la discussione rimangono aperte.

Ci si è chiesti ancora quale sia il significato del consenso richiesto alle spose dei diaconi permanenti prima dell'ordinazione.
Diciamo la verità: molte di noi questo consenso lo hanno dato in maniera superficiale: c'è chi lo ha dato per non far dispiacere il marito, anzi per qualcuno è stato semplicemente un non opporsi, chi ancora come riconoscimento alla dedizione del coniuge. In ogni caso è stato solo dopo il percorso di coppia intrapreso e l'esperienza del vivere in comunione il sacramento del diaconato, che si è capito veramente l'importanza ed il significato di questo consenso che, come ci ha suggerito la signora Monserrant, porta l'eco dello stesso "si" che abbiamo dato al momento del matrimonio e cioè quello di un impegno di vita.
Comprendere questo ha fatto superare le difficoltà legate a quella distanza di cui si è parlato all'inizio. È proprio per agevolare questa comprensione che è stata caldeggiata una formazione di coppia così come gli esercizi spirituali insieme, cosa che già avviene in molte diocesi. Qualcuno ha anche proposto un accompagnamento alle coppie più giovani da parte delle coppie più vecchie di sacramento.
Qualcuno ha trovato molto utile il cammino fatto all'interno dei movimenti.
In ogni caso è opinione condivisa che alla base ci deve essere un solido rapporto di coppia.
Sicuramente il diaconato permanente non deve ostacolare ma arricchire il percorso matrimoniale, così come il matrimonio non deve essere considerato un peso per il diacono, bensì un sostegno ed una forza, anche se in alcune comunità parrocchiali si è registrata una difficoltà di accettazione della moglie del diacono o quantomeno di collocazione della stessa in un ruolo specifico.
Normalmente, invece, è fondamentale che anche nell'esercizio del ministero diaconale ci sia una testimonianza di coppia, pensiamo ad esempio alla preparazione al sacramento del matrimonio.
Va tenuto conto che comunque ogni caso e situazione sono a se stanti e vanno vissute secondo la propria sensibilità, sollecitando anche il vescovo ed i presbiteri a valorizzare la coppia e la famiglia del diacono nell'esercizio del ministero.


lunedì 16 settembre 2013

Testimonianze dalla Siria


Riporto una intervista fatta dall'inviato di Città Nuova ad un gruppo di siriani giunti ad Amman, in Giordania, in occasione di un incontro dei membri dei Focolari della regione mediorientale. Voci di testimoni che torneranno nelle loro case esposti a bombardamenti e attentati. Ma cosa e come stanno vivendo?



Come sono percepiti e vissuti dai cristiani siriani gli avvenimenti tragici che stanno dilaniando il Paese? Dai vostri racconti emerge che la prospettiva occidentale con cui si legge il conflitto è parziale e imprecisa. Dove sta il problema?
«Riguardo alla Siria, non si può ignorare l’impatto devastante che hanno avuto i potenti media occidentali e arabi nel preparare il terreno alla guerra civile e nell’accompagnare il suo svolgersi. Ora stanno lavorando per spingere un intervento esterno a tutti i costi. Abbiamo toccato con mano in questi quasi tre anni di conflitto come i mezzi di comunicazione, potenzialmente utili al bene dell’umanità, possano invece diventare la mannaia del boia per interi gruppi sociali, religiosi o, persino, per un popolo intero. Se si vuole cogliere quanto sta accadendo in Siria è necessario cominciare da un cambiamento nell’uso dei media e nella lettura di quanto trasmettono. Questo contribuirebbe ad aiutare la pace. Ovviamente, qui entriamo nel merito di giganteschi interessi economici e politici e anche su questi il dibattito non può essere unilaterale».

Ha senso parlare di dialogo fra le religioni in questo contesto?
«In Siria il dialogo c’è sempre stato, a livello ufficiale, promosso dal moufti, da altre personalità musulmane e dalle Chiese, che sono sempre state rispettate nel loro lavoro. In questo senso nulla è cambiato. La Siria in questi tre anni ha pagato però anche il prezzo dell’integralismo che si è manifestato con l’uccisione di esponenti dell’Islam sunnita moderato. Si tratta di persone di grande valore, come il chekr El Boudi, presidente del Consiglio internazionale dei professori di legge islamica. Amiche quarantenni mi hanno raccontato che fin dalla loro infanzia ascoltavano molto volentieri le sue prediche del venerdì, perché intrise di sentimenti e idee di amore, compassione, rispetto reciproco. Tutto questo è durato fino al momento della sua barbara uccisione avvenuta a Damasco alcuni mesi fa».

E i cristiani?
«A livello di popolo, con l’inizio delle violenze, è cominciata a serpeggiare tra i cristiani la paura, frutto, da una parte, di quella che potremmo chiamare la “memoria storica” di questa componente religiosa del Paese (per esempio la guerra libanese). Dall’altra, non dobbiamo dimenticare l’ingresso nelle varie città siriane di gruppi armati terroristici dichiaratamente ostili ai cristiani, che possono essere uccisi solo perché portano questo nome. Non che prima tutto fosse roseo, ma certo è che, seppur le leve del potere erano in mano ai musulmani (alaouti o sunniti), i cristiani erano rispettati e potevano accedere anche a posti di qualche responsabilità nell’amministrazione pubblica e nel mondo accademico. In ogni caso, sebbene quello che avviene in Siria non sia un attacco diretto ai cristiani, di fatto li pone di fronte al dramma dell’emigrazione, come unica via per sfuggire alle violenze e per assicurare un futuro ai propri figli. Il dialogo interreligioso non è solo questione siriana».

Come si vive la quotidianità sotto attentati e bombe?
«Ad Aleppo i prezzi sono aumentati ancora. Nella parte sotto il controllo dell’esercito siriano il pane è introvabile perché le strade di accesso ai silos di farina sono sotto controllo dei ribelli. La strada che collega Aleppo-Homs-Damasco è pericolosissima. Soprattutto nel primo tratto si rischia realmente la vita. Ma viaggiare in tutto il Paese, a parte sulla costa, è diventato un terno al lotto. Percorsi che prima richiedevano tre ore ora ne necessitano anche 36. Dieci giorni fa terroristi di Jabat el Nouszra sono scesi dal Krak des Chevaliers verso la zona cristiana di Wadi Nazara, hanno eliminato i soldati in due posti di blocco, sono entrati nel primo villaggio cristiano dove si svolgeva una festa e hanno falciato i passanti, soprattutto giovani, che si trovavano nella strada principale. I morti sono stati almeno 18. Poi si sono ritirati. Questo ha gettato nel terrore le famiglie, molte delle quali già sfollate da altri posti della Siria».

Esiste a qualche livello la speranza di una soluzione pacifica o politica al conflitto?
«Non mi sembra che in queste settimane ci siano stati segnali positivi. Al contrario i combattimenti si sono intensificati in varie parti del Paese e, di conseguenza, la paura dei civili è cresciuta. L’impressione che ho avuto a Damasco la settimana scorsa è di sentire riecheggiare le parole del Salmo: “Come un agnello condotto al macello”. Mai come in quel momento ho capito la realtà dell’Agnello innocente che non può far nulla di fronte alla morte incombente e ingiusta. È questa la realtà della gente soprattutto dopo la minaccia dell’attacco da parte degli Usa: sgomento e desolazione. Ci si guardava negli occhi increduli come a dire: "Attaccheranno davvero?". I mortai e i razzi dalla periferia sulla città erano molto più numerosi e l’attacco dell’esercito altrettanto pesante».


venerdì 13 settembre 2013

La gioia di Dio che perdona


24a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

I brani delle letture della proposti per questa domenica convergono tutti nel tratteggiare il volto di Dio "ricco di misericordia". Egli, spinto dall'amore, perdona il popolo che ha infranto l'alleanza appena stipulata (cf Es 32,7-14: prima lettura). Ricupera Paolo, "bestemmiatore, persecutore, violento", chiamandolo al ministero apostolico e dandogli tutta la sua fiducia (1Tm 1,12-17: seconda lettura). Ma soprattutto con le tre parabole, che costituiscono come un "Vangelo" nel cuore del Vangelo stesso, Gesù ci svela il volto autentico di Dio (cf Lc 15,1-32). Il Padre misericordioso attraverso il suo Figlio è venuto a cercare la "pecora perduta" e la "dramma smarrita" ed è strafelice quando le ritrova. Inoltre abbraccia con "materna" tenerezza e gioia incontenibile ogni peccatore che ritorna a Lui. Queste possono essere appunto chiamate le parabole della "gioia di Dio" che perdona. La circostanza che provoca Gesù a narrarle sono gli scribi e i farisei, gli osservanti rigorosi della Legge, che mormorano contro di Lui. Egli infatti si mostra accogliente verso i peccatori, verso coloro che vivono in una situazione morale o professionale non conforme alle norme della Legge. Anzi, cerca la loro compagnia, è loro "amico": «accoglie i peccatori e mangia con loro». Secondo i suoi accusatori Gesù, comportandosi così, si "contamina", mettendosi di conseguenza contro Dio. In effetti, secondo la loro concezione, i peccatori devono essere evitati, isolati, sollecitati a rinsavire attraverso il rifiuto e l'emarginazione sociale.
Ma Gesù concepisce Dio in modo molto diverso e con le tre parabole rivela qual è il suo rapporto con i peccatori: non comincia ad amarli quando essi hanno deciso di cambiare vita, ma li ama da sempre e non smette mai di amarli. Egli rimane attento e interessato al peccatore e gode immensamente se si converte.
Dio ama il peccatore quanto e più ancora di un pastore, che possiede un gregge di cento pecore e appena scopre che ne manca una lascia subito le novantanove e si mette alla sua ricerca. Non lo fa perché è la più grassa o la più ricca di lana, ma perché è una delle sue pecore. Nessuna gli è indifferente e non si rassegna che anche una sola si perda. Per questo concentra su di essa la sua sollecitudine e la va a cercare di persona.
L'amore di Dio è simile alla tenacia di una povera donna, che possiede in tutto dieci "dramme" e ne perde una. Una perdita grave per lei. Allora fa una ricerca accurata, paziente, meticolosa, finché riesce a ritrovarla. Felice, chiama le amiche per far festa. Dio è così! Ama il peccatore e lo cerca per primo. Non aspetta che torni con le sue forze, perché non ne sarebbe capace, ma si mette personalmente a cercarlo, anche a sua insaputa, e non si dà pace finché non lo ritrova. E quando questo avviene, la sua gioia è fuori misura.
Ma la misericordia del Padre e la sua gioia di perdonare Gesù ce la rivela in modo incomparabile nella terza parabola, dove esplode la gioia del Padre per il ritorno del figlio perduto. Un ritorno tanto desiderato e atteso. Il perdono del Padre è totale, immediato, colmo di affetto. Per puro amore gli concede quello a cui non aveva più diritto: la pienezza della dignità, della responsabilità e della comunione in un rinnovato rapporto filiale. Se Dio prova una gioia immensa quando un peccatore si converte, ciò non significa che porta meno amore ai giusti. Come una madre che sente grande gioia quando un figlio, che era malato, ricupera la salute; ma questo non è segno che non ama i figli sani e non è felice per loro.
Chi può dire di non aver vissuto questa storia né di riconoscersi nel figlio prodigo, ma anche nel fratello maggiore?



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Rallegratevi con me perché ho trovato la mia pecora (Lc 15,6)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi



venerdì 6 settembre 2013

Le condizioni per seguire Gesù


23a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, dove lo attende la croce. Questo viaggio non ha un senso puramente geografico, ma simboleggia il cammino di obbedienza e fedeltà al Padre che Gesù percorre e insieme il cammino dei discepoli chiamati a condividere la sua scelta di vita. Infatti, «una folla numerosa andava con Gesù».
Ma Gesù , non vuole che le persone si leghino a Lui sull'onda di un entusiasmo superficiale, facili poi a stancarsi e quindi ad abbandonarlo. Per questo, con estrema chiarezza rivela le condizioni irrinunciabili per mettersi alla sua sequela. Fa impressione l'insistenza martellante «non può essere mio discepolo», ripetuto tre volte!

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».
Sono esigenze tremende: chi vuol seguire Gesù deve amarlo più di tutte le altre persone, anche di quelle più care. Deve amarlo anche più della propria stessa vita. Anzi, Gesù con una richiesta inesorabile non lascia spazio a nessuno nel cuore del discepolo fuorché a Lui solo. E questo non si verifica di rado e in modo eccezionale. Gesù intende che questa è una situazione abituale e costante nella vita del discepolo. Esige cioè una scelta permanente e radicale per Lui. Una scelta che non mette da parte gli altri, ma li pone in relazione stretta con Lui. Perché, anche tutto quello che faccio agli altri deve essere spiegato da Lui, motivato dal rapporto con Lui, senza perdere di vista Lui.

«Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».
Gesù chiede ai discepoli di seguirlo fino in fondo, disposti a perdere la vita e l'onore, pronti a qualunque sofferenza per amor suo. È quanto viene evocato dall'immagine del "portare la croce". In altri termini, anche il proprio io e la propria vita devono cedere di fronte al legame con Gesù.

«Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
È la rinuncia alla logica del possesso, dell'avere, per entrare nella logica del dono, della gratuità. Gesù domanda la libertà di fronte ai beni, la disponibilità a condividerli con chi soffre, la gioia di servirlo in chiunque è bisognoso e umiliato.

Richieste esigenti! Ma è un Dio che me lo chiede… e di Lui mi posso fidare, perché ha dato la sua vita per me! Perché mi ama come nessun altro mai e mi vuole felice. Non mi chiede di amare di meno le persone a me care, ma di più.
Se nella mia vita Lui è "l'Unico, sempre al primo posto", allora potrò amare i miei, e tutti, con intensità impensabile, potrò amarli con il Suo cuore.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se uno viene a me e non mi ama più della propria vita… (Lc 14,26)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 5 settembre 2013

Lettera delle suore trappiste in Siria


Sono venuto a conoscenza della lettera che le quattro suore trappiste in Siria hanno inviato al sito oraprosiria. È la storia di suor Marta e altre tre monache italiane che otto anni fa hanno deciso di fondare un monastero in Siria, in un villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous.


Oggi non abbiamo parole, se non quelle dei salmi che la preghiera liturgica ci mette sulle labbra in questi giorni: «Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli… o Dio disperdi i popoli che amano la guerra…». «Il Signore dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte»… «ascolta o Dio la voce del mio lamento, dal terrore del nemico preserva la mia vita; proteggimi dalla congiura degli empi, dal tumulto dei malvagi. Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare… Si ostinano nel fare il male, si accordano per nascondere tranelli, dicono: "Chi li potrà vedere? meditano iniquità, attuano le loro trame. Un baratro è l'uomo, e il suo cuore un abisso". Lodate il mio Dio con i timpani, cantate al Signore con cembali, elevate a lui l'accordo del salmo e della lode, esaltate e invocate il suo nome. POICHÉ IL SIGNORE È IL DIO CHE STRONCA LE GUERRE. "Signore, grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza e invincibile"».

Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l'impotenza, l'incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati "interni" alla Siria, arrivati da tutte le parti nell'unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per "sentirsi insieme"… E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché "è ora di fare qualcosa", così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l'efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?
La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace, farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?
Parla il Papa, parlano Patriarchi e vescovi, parlano innumerevoli testimoni, parlano analisti e persone di esperienza, parlano persino gli oppositori del regime… E tutti noi stiamo qui, aspettando una sola parola del grande Obama? E se non fosse lui, sarebbe un altro, non è questo il problema. Non si tratta di lui, non è lui "il grande", ma il Maligno che in questi tempi si sta dando veramente da fare.
Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come "la responsabilità morale di non chiudere gli occhi"… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c'è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.
C'è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore.
Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo…
Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.
Noi, come cristiani, possiamo almeno offrirlo alla misericordia di Dio, unirlo al sangue di Cristo che in tutti coloro che soffrono porta a compimento la redenzione del mondo. Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze.
A chi ha un vero amore per la Siria (per l'uomo, per la verità…) chiediamo tanta preghiera… tanta, accorata, coraggiosa…

le sorelle trappiste
da 'Azeir - Syria, 29 agosto 2013



Invito a firmare l'appello contro l'intervento armato e a sostenere la sottoscrizione per la popolazione lanciata dalla Custodia di terra Santa.

Leggi l'intervista alla suore