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sabato 30 marzo 2013

È vivo, Lui la nostra speranza!


Domenica di Pasqua (C)

Appunti per l'omelia

Cristo è risorto! Sì, è veramente risorto!
È l'annuncio che la Chiesa da duemila anni fa risuonare senza tregua in ogni angolo della terra e che nei giorni di Pasqua ripropone con una gioia incontenibile e un entusiasmo dirompente.
Egli è vivo non solo nel ricordo amoroso di una comunità che si richiama in qualche modo a Lui; vivo non solo nei poveri in cui egli ha detto di identificarsi; ma è vivo, Lui in persona, corporalmente vivo, con un cuore di carne che palpita per me, per te, oggi. Vivo in una umanità che, trasformata da Dio, ha raggiunto la perfezione suprema.
Quando tutto pareva finito e le immense speranze accese da quest'uomo sepolte con lui, ecco che l'incredibile è accaduto: "Dio lo ha risuscitato al terzo giorno!". Questo annuncio oggi raggiunge noi con i nostri problemi, con le nostre angosce e preoccupazioni. Se davanti a tale annuncio noi non ci barrichiamo dietro le nostre false sicurezze, la nostra superficialità, la nostra rassegnazione; se riusciamo a non dire: "È troppo bello per essere vero", ma riconosciamo che "tutto è possibile a Dio" e quindi "è bello perché è vero"; allora l' "incredibile" accadrà anche nella nostra vita. Allora possiamo ormai vedere tutto con gli occhi nuovi illuminati dalla fede. È come se nella notte più buia scoppiasse una luce improvvisa e vedi tutto chiaro!
Se la fede pasquale nasce e cresce nel mio cuore, tutto l'orizzonte della mia vita si illumina. Scopro che ha senso fare della mia esistenza un servizio d'amore ostinato e costante come ha fatto Gesù. Se Cristo è risorto, il dolore, le lacrime, gli affanni, la pesantezza del lavoro, il fallimento che costituiscono la trama quotidiana della vita, tutto acquista un significato, anche se nascosto, che un giorno sarà svelato. Ma soprattutto scopro che l'enigma tragico della morte si illumina da quando Lui, Gesù, l'ha sperimentata nella sua squallida e lacerante realtà e l'ha trasformata in amore e quindi in via alla vita, alla risurrezione per sé e anche per me, per noi. Il suo è anche il nostro destino!
È in Gesù Risorto che riposa la nostra invincibile speranza! Se attraverso Gesù Dio si è fatto vicino ai peccatori, ai poveri, ai malati, ai falliti della storia; se l'amore di Dio per noi ha raggiunto una misura inattesa e abissale nel dono che il suo Figlio ha fatto di sé nella morte; ora che Gesù è risorto, questa vicinanza di Dio, questo amore di Dio possiedono un'efficacia infinita e un'apertura universale. Nessun uomo, che lo sappia o no, è sottratto a questa presenza amica, a questo abbraccio d'amore da parte di Dio Padre e del suo Figlio che Egli ha risuscitato dai morti.
È lui la fonte inesauribile della nostra speranza: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20)!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù (Col 3,1)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 28 marzo 2013

Uscire incontro agli altri, uscire sempre!


La Catechesi di Papa Francesco all'Udienza generale di ieri, 27 marzo, ha messo nuovamente a fuoco il senso della mia diaconia ed il modo di esercitarla, allargandomi l'anima guardando lontano, ben oltre il "recinto" della mia realtà ecclesiale (che anche devo curare).
Ho parlato spesso in questo blog di questo "uscire dal recinto", affinché la presenza del diacono nella comunità non si riduca ad un mantenimento dell'esistente, ma sia profezia di una chiesa nuova, in cui la comunione sia veramente uno stile di vita. (Vedi per esempio l'intervento "Uscire dal recinto", del 6 settembre 2011 e dell'intervista a cui si rimanda).
La parole del Papa mi hanno confermato!
Sono il modo migliore per vivere con frutto ed in pienezza questa Pasqua ormai imminente. È "uscire da me" per seguire le orme del Maestro. Lui ci ha dato l'esempio, «Lui fa sempre il primo passo», «si dona totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita».
Ci invita ad «aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena tante parrocchie chiuse! - dei movimenti, delle associazioni, ed "uscire" incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre!».
Perché, «accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un "uscire". Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l'orizzonte dell'azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo "uscire", cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana».

Ecco, allora, come vivere questa Pasqua: «Imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell'esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto».
«C'è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!».

lunedì 25 marzo 2013

Il diacono sposato… [2]



Segnalo alcuni articoli apparsi sulla rivista Il Diaconato in Italia, n° 176/177, numero monografico dal titolo Il diacono sposato: formazione e spiritualità della coppia. Articoli che ho riportato nel mio sito di testi e documenti
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Questo mistero è grande (Riflessioni)
di Giovanni Chifari

«Ama e fa ciò che vuoi» (Om. 7,8 del 20 aprile 407 d.C.). La celebre affermazione di Sant'Agostino, forse più citata che compresa, sintetizza bene lo stato di chi ha gustato quanto è buono il Signore (cf. Sal 34,9; 1Pt 2,3), e ha riconosciuto che il Dio che è amore (cf. 1Gv 4,8) è anche «la radice della carità», cioè l'unica sorgente dalla quale «non può procedere se non il bene» e quindi anche il servizio. Per le famiglie cristiane e per la singolare testimonianza dei diaconi sposati e delle loro famiglie fare memoria dell'esperienza di tale amore sarà occasione propizia e opportuna per purificare e rinnovare il proprio servizio, e offrire un apporto profetico in una stagione che sembra delineare un profilo di famiglia che non riuscendo a nascondere i limiti evidenti di uno stato di disorientamento e di empasse, ha smarrito il senso di ciò che doveva essere la differenza cristiana, sempre più spesso appiattita e omologata, silente e distratta. […]
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Diaconato e matrimonio (Approfondimento)
di Enzo Petrolino

Il conferimento del diaconato agli sposati pone alcuni problemi per il fatto che coesistono nella stessa persona due sacramenti: il matrimonio per lo .stato di vita e il diaconato per il ministero. Il discernimento personale della vocazione allo stato di vita (verginità o matrimonio) deve precedere quello della vocazione al diaconato, proprio perché la chiamata della Chiesa al ministero si manifesti nei confronti di chi ha già chiarito soprattutto a se stesso la via personale di santificazione da intraprendere. In tal modo, poiché il diaconato può essere conferito sia ai celibi che agli sposati, condizione per l'ordinazione non è di per sé un certo stato di vita ma il suo discernimento definitivo da parte del soggetto interessato.
Pertanto il diaconato uxorato, in considerazione anche delle mutate condizioni storiche e sociologiche rispetto alla Chiesa delle origini, presenta degli aspetti che devono essere rivisitati soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la famiglia e con il lavoro. […]
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Da Bogotà, la formazione della sposa del diacono (Focus)

Questa pagina ufficiale dell'Arcidiocesi di Bogotà manifesta un carattere esortativo molto forte, forse vicina allo stile parenetico delle antiche lettere paoline. Lo pubblichiamo come invito a gettare uno sguardo al diaconato in America Latina.
[…]
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venerdì 22 marzo 2013

Gioia e dolore!


Domenica delle Palme (C)

Appunti per l'omelia

La liturgia di questa Domenica, delle Palme e della Passione del Signore, ci presenta due grandi scene: la prima di gioia, l'altra di dolore.
Nella prima scena vediamo l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, acclamato come re dai discepoli e da una folla entusiasta (Lc 19,28-40). Anche oggi i cristiani, con la medesima esultanza, si stringono al loro Signore, ormai vivo per sempre in mezzo a loro. Gesù entra nella Città Santa per affrontare la sua passione. Tale ingresso, però, è un annuncio della vittoria strabiliante che Egli riporterà sulla morte. I fedeli si associano a Lui per rivivere il suo dramma, con lo sguardo orientato verso il traguardo della risurrezione.
Nella seconda grande scena abbiamo il racconto della passione del Signore secondo Luca, che ha ricevuto questa storia da testimoni oculari, da persone ormai certe che il Crocifisso era risorto, lo avevano incontrato, e consideravano la tragedia finale della sua vita un immenso tesoro da non dimenticare.
Per i credenti, infatti, la storia che Luca narra è una storia unica. Unica perché Colui che ha sofferto tali pene era innocente, come nessun altro mai. Unica perché non era un semplice uomo, ma il Messia, il Figlio stesso di Dio. Unica perché la passione non è stata da Lui subita, ma accettata per amore, in piena lucidità e totale libertà. Unica perché una morte così vergognosa non è stata e non poteva essere un fallimento definitivo, ma è sfociata nella risurrezione e nella vita gloriosa.
In particolare l'evangelista, nel raccontare l'esperienza di Gesù sul monte degli Ulivi, mette in luce la "passione interiore" di Gesù. È l'ora in cui Satana sferra l'attacco decisivo contro di Lui. Mai come in questo momento la tentazione è stata così forte. La tentazione di non ubbidire a Dio e di rifiutare il suo progetto. Ciò che opprime Gesù è il terribile problema: perché la morte violenta? Può essere questo il programma di Dio? Gesù lotta contro la tentazione, con una tensione sino allo spasimo. Egli appare come l'atleta che ingaggia una lotta dura e "suda sangue" nello sforzo sovrumano del combattimento e vince, sostenuto dalla preghiera: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). Nella preghiera Egli trova la forza per superare la tentazione, rimanendo fedele a Dio e accettando la passione. Una preghiera che rivela il suo rapporto intimo e personale con Dio, con il Padre, che è l'Abbà, il Papà. È lo stesso rapporto che Gesù propone al discepolo quale segreto per uscire vincitore da ogni prova: «Pregate per non entrare in tentazione» (Lc 22,40).
Dal monte degli Ulivi al «luogo chiamato Cranio»: è il culmine della Passione di Gesù, della sua sofferenza fisica e interiore. Ma sulla croce Egli, in quello strazio infinito, è più che mai la figura dell'Orante. Luca, al posto del grido di abbandono di Marco e di Matteo, riporta parole di perdono: «Padre, perdonali…», dove manifesta ancora di più il suo rapporto personale con suo "Padre" e la sua magnanimità nel perdonare le offese. Lo aveva insegnato e ora ne dà l'esempio di persona.
Nel momento del dolore più forte Gesù non si ripiega su se stesso, non pensa a se stesso, ma si preoccupa degli altri, che sono poi i suoi uccisori, e su di essi invoca il perdono proponendo l'attenuante della "seminfermità mentale": «...non sanno quello che fanno». Così anche nel colloquio con il ladrone, Gesù recupera e salva una vita sciupata e perduta…
E le ultime parole di Gesù, l'ultimo suo grido:«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Egli offre al Padre la propria vita tutta trascorsa nel compiere la sua volontà fino al dono totale di sé nella morte. E Gli chiede di accoglierlo con sé.
La morte, che per l'uomo è estrema lacerazione e solitudine, per Gesù è l'incontro col Padre, è come l'addormentarsi del figlio nelle braccia del suo papà.
Il massimo dolore, espressione del massimo amore!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Veramente quest'uomo era giusto (Lc 23,47)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 21 marzo 2013

Servire, "custodire" con bontà e tenerezza


Ho meditato in questi giorni sull'omelia che Papa Francesco ha pronunciato durante la santa Messa di inizio del suo ministero petrino. È stato un approfondire con profitto alcuni aspetti della spiritualità diaconale.
Si legge nelle Norme fondamentali per la formazione dei diaconi: «Il Leitmotiv della vita del diacono sarà il servizio; la sua santità consisterà nel farsi servitore generoso e fedele di Dio e degli uomini, specie dei più poveri e sofferenti; il suo impegno ascetico sarà volto ad acquisire quelle virtù che sono richieste dall'esercizio del suo ministero» (n. 11).
Nella sua omelia il papa, parlando di san Giuseppe, parla del suo "essere custode" e di come lui "eserciti questa custodia": «con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e fedeltà totale»; «nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio». «Giuseppe è "custode", perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda e sa prendere le decisioni più sagge».
Anche per il diacono si può dire lo stesso. Egli, per vivere pienamente il suo "essere per gli altri" nella misura dell'amore di Cristo, può rispecchiarsi in san Giuseppe, nella sua «vocazione del custodire»: «È il custodire la gente, l'aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore».
«Ma per "custodire" dobbiamo avere cura di noi stessi!... Custodire significa vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore… Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza… Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!».
Ora questo modo di "servire", significa esercitare quei "poteri" che derivano dal proprio ministero ordinato, dalla nostra responsabilità pastorale…, «ma il vero potere è il servizio… entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce… un servizio che sa accogliere con affetto e tenerezza l'intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli… Solo chi serve con amore sa custodire!».
È essere conformati a Colui che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita».

venerdì 15 marzo 2013

Il perdono, riabilitazione e rinascita


5a domenica di Quaresima (C)

Appunti per l'omelia

«Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?». Le parole del profeta Isaia (cf Is 43,16-21) ci invitano ad aprire gli occhi per riconoscere con stupore gioioso e viva gratitudine ciò che il Signore ha operato, sta operando e opererà in nostro favore. Questa novità assoluta è Gesù e il mistero della sua Pasqua. In Lui Dio ci ha liberati e fatti suoi.
Di questa novità trabocca anche l'esperienza di Paolo (cf Fil 3,8-14). L'Apostolo evoca la svolta decisiva della sua vita, quando ha incontrato Gesù risorto ed è stato da Lui afferrato, "sequestrato". Da quel momento tutto si è come capovolto per lui. Ormai ciò che lo interessa, lo affascina e riempie di significato la sua vita è Cristo e il suo rapporto totalizzante con Lui: «Dimentico di ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta».
È Gesù che trasforma la nostra vita! Tutto il brano del vangelo (cf Gv 8,1-11) evidenzia la misericordia di Dio che si fa visibile in Gesù.
Nella scena dell'adultera Egli si dissocia dagli accusatori della donna: non punta il dito con loro contro di lei e non la umilia. Col suo silenzio imbarazza gli accusatori e li invita a riflettere. Poi, nella risposta che dà, si richiama alla Legge stessa, la quale ordina che il testimone sia il primo a lapidare il colpevole (cfr. Dt 17,7). Ma, invitando a cogliere lo spirito della Legge, sposta il problema per portarlo sul piano della coscienza degli ascoltatori: prima di esprimere un giudizio sulla donna, ciascuno deve esprimerlo su se stesso: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Gesù afferma decisamente, e anche in maniera provocatoria, che il comportamento dell'uomo complice (e quante sono le forme di complicità!) è altrettanto colpevole di quello della donna. Non ci sono sconti, anche se la mentalità del tempo (e di ogni tempo!) era propensa a fare questi "sconti" all'uomo. Non ci sono discriminazioni: sia l'uomo che la donna sono persone con pari dignità e responsabilità. Gesù non va contro la Legge, ma fa scoprire in essa una nuova dimensione: l'obbligo di amare il prossimo come se stesso non impedisce di vedere la gravità delle colpe altrui, ma esige che si tratti il prossimo con giustizia. Ora ogni vera giustizia consiste in primo luogo nel mettere ordine nella propria coscienza.
Così uno dopo l'altro gli uomini si allontanano. Rimangono loro due soli: la donna e Gesù, "la misera e la misericordia", direbbe sant'Agostino. La donna, tutta sorpresa di ritrovarsi libera, non pensa a fuggire. Resta inchiodata davanti a Gesù, l'unico che con la sua innocenza sarebbe in grado di condannarla e scagliare la pietra contro di lei. «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» E lei: «Nessuno, Signore». In questa risposta si colgono i suoi umili sentimenti di gratitudine e abbandono a Gesù. E Lui: «Neanch'io ti condanno», in altre parole "ti perdono".
Gesù non minimizza, non sottovaluta il comportamento peccaminoso della donna, che conserva tutta la sua gravità, non è permissivo verso il male dell'adulterio, anzi le dice perentoriamente: «D'ora in poi, non peccare più». Gesù semplicemente perdona.
E perdono - chi lo ha provato lo sa - è riabilitazione, è rinascita a vita nuova, è aria fresca di primavera, è possibilità di essere diversi per ricominciare, per iniziare un cammino nuovo. È "super-dono", dono per eccellenza, dono superlativo, che può venire solo da Dio e da Colui che di Dio è il Figlio.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra (Gv 8,7)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 14 marzo 2013

Con la semplicità di Francesco


Sì, la gioia è grande!… Il cuore palpita per la commozione… Un sentimento di profonda gratitudine per il dono del papa Francesco, il nuovo Vescovo di Roma, venuto "quasi dalla fine del mondo"… Grande nella sua umiltà… che prima di benedire il popolo della sua diocesi (ed in essa c'è tutto il mondo!), si rivolge alla folla presente, chinandosi in profondo silenzio, affinché chieda a Dio la benedizione per lui…
Si è rivolto ai fedeli della Chiesa di Roma, che presiede nella carità tutte le chiese, non nominando mai la parola "papa"… È una novità! Sarà sicuramente la ri-scoperta del rapporto che Roma, la Chiesa di Pietro, ha con tutte le Chiese particolari del mondo.
Mi ero proposto ieri di fare quel "vuoto interiore" che mi avrebbe permesso di accogliere con umiltà di cuore il dono dello Spirito… E sento che questo "dono" ha invaso la mia anima, dando un sapore ed un colore speciale alla mia diaconia.


Ecco le parole che il papa Francesco ha pronunciato:

Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.

[Recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre]

E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!
E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.

[…]

Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

[Benedizione]

Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!


mercoledì 13 marzo 2013

La Chiesa che è di Cristo


Sono momenti di attesa… Dopo aver, in un certo senso "fantasticato", da solo o con amici, sul nuovo Papa, ora sento impellente di dover far tacere ogni pensiero, di fare un "vuoto interiore" che sia esclusivamente espressione dell'intimo abbandono nel Cuore del Padre… "Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu…" (Mc 14,36).
Mi risuonano forti le ultime parole di Benedetto XVI all'Udienza del 27 febbraio scorso:
«In questo momento, c'è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita… Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia». Anche quando «il Signore sembrava dormire…, ho sempre saputo che in quella barca c'è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto».
«Si può toccare cosa sia la Chiesa: non un'organizzazione, un'associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. …La Chiesa è viva oggi!».
«Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini, nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica».


martedì 12 marzo 2013

L'eredità di Benedetto XVI


Con nel cuore la figura di Benedetto XVI ed i suoi ultimi discorsi, in attesa dell'elezione del nuovo Papa, riporto due contributi, quello di Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; e quello di Maria Voce, presidente dei Focolari.

Monsignor Bruno Forte ha pubblicato su Il Sole 24 Ore di domenica 10 marzo, un editoriale dal titolo Se l'eredità di Benedetto diventa agenda (anche su Zenit). Il vescovo si pone la domanda quale eredità Benedetto XVI lasci al suo successore, elencando quattro compiti prioritari, che desume a partire dalle stesse parole con cui il Pontefice ha motivato la sua rinuncia: "questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo".
"La prima delle urgenze dunque la vita di fede… Ha insistito sul primato di Dio e sull'obbedienza da dare a Lui in ogni cosa… Rinnovare la Chiesa nell'amore a Cristo, nella fede incondizionata in Lui e nella testimonianza generosa e appassionata della Sua bellezza agli uomini. Convinto che la vera riforma non è anzitutto quella delle strutture o delle forme esteriori, Benedetto XVI, anche a costo di pagare un prezzo altissimo nel rinunciare all'apparenza giustificatrice per obbedire alla verità, ha ricordato alla Chiesa la necessità assoluta di piacere a Dio".
Connessa alla prima, una seconda priorità: la nuova evangelizzazione: "…necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana… vedere tanti allontanarsi dal tesoro del Vangelo o mostrarsi indifferenti ad esso. Il nuovo Papa dovrà trovare forme e modi perché la bellezza della fede affascini nuovamente i cuori e la speranza del Vangelo diventi per tanti luce nella notte di un tempo, in cui troppi sembrano non soffrire più della mancanza di Dio".
"Una simile impresa non potrà certamente essere condotta da una sola persona: si profila qui la terza delle priorità con cui dovrà misurarsi chi succederà a Benedetto XVI, l'esercizio della collegialità episcopale. Ad essa si riferisce il bisogno di provvedere adeguatamente al governo della Chiesa, cui il Pontefice accennava nella dichiarazione circa la sua rinuncia.
Questa comunione collegiale, pur nella diversità dei ruoli e delle funzioni del Romano Pontefice e dei Vescovi, è a servizio della Chiesa e dell'unità nella fede, dalla quale dipende in notevole misura l'efficacia dell'azione evangelizzatrice nel mondo contemporaneo".
"Infine, l'annuncio rinnovato del Vangelo al mondo non potrà avvenire in maniera adeguata senza che si realizzino due condizioni, che formano la quarta priorità: il dialogo, con riferimento da una parte al rilancio dell'ecumenismo, dall'altra a un atteggiamento sempre più incisivo di fiducia e amicizia verso l'intera famiglia umana".
Un dialogo "che riesca a rimotivare nelle diverse confessioni cristiane la passione per l'unità per cui Gesù ha pregato"; un dialogo, "in un mondo sempre più globalizzato", "con le culture e in generale con il mondo contemporaneo", un dialogo "con i non credenti e i lontani, per costruire ponti di simpatia e di amicizia, capaci di attrarre i cuori e di avviare dialoghi significativi e collaborazioni efficaci".


Ho letto un'altra intervista al riguardo (su Focolari e su Zenit), quella di Maria Voce, presidente dei Focolari, dove colgo analoghe riflessioni:
"Anzitutto l'evidenziare il primato di Dio, il senso che la storia è guidata da Lui. E ancora, l'indirizzarci a cogliere i segni dei tempi e a rispondervi con il coraggio di scelte sofferte, ma innovative. Con una chiara nota di speranza per la certezza che la Chiesa è di Cristo.
"A quale Chiesa Benedetto XVI guardava? Penso di non sbagliare additando la "Chiesa-comunione", frutto del Vaticano II".
Inoltre, si sa, "la Chiesa è per il mondo". Per questo, (il nuovo Papa), di fronte alle esigenze di riforma ad intra, mi sembra debba privilegiare il guardare fuori di sé, intensificare il dialogo con la società. Tale contatto vitale le permetterebbe di far sentire la sua voce chiara nella fedeltà al Vangelo e nel contempo ascoltare le istanze degli uomini e delle donne di questo tempo. Col risultato di trovare nuove risorse e insospettata vitalità anche al suo interno".
"Occorrerà insistere certamente sul dialogo ecumenico, sul grande tema dell'unione visibile tra le Chiese, cercando di arrivare a definizioni della fede e della prassi ecclesiale accettabili da tutti i cristiani".
"Universalità e apertura ai dialoghi saranno perciò due note che dovranno essere raccolte dal nuovo papa".
"Auspicherei poi una Chiesa più sobria, sia in rapporto al possesso di beni che nelle espressioni liturgiche e nelle sue manifestazioni; proporrei una comunicazione più fluida e diretta con la società contemporanea, che consenta alla gente di rapportarsi con essa con più facilità, e un atteggiamento di maggiore accoglienza anche nei confronti di chi la pensa diversamente".

Il nuovo Papa, "affinché possa rispondere a queste enormi sfide, lo immaginiamo uomo di profonda spiritualità, unito a Dio per cogliere dallo Spirito Santo le soluzioni ai problemi, nell'esercizio costante della collegialità, coinvolgendo altresì i laici, uomini e donne, nel pensare e nell'agire della Chiesa".

lunedì 11 marzo 2013

Credere e Amare (5)


Ancora sul messaggio di Benedetto XVI per questa Quaresima.
L'ultimo punto, Priorità della fede, primato della carità, mi illumina ancora di più sul rapporto fra fede e carità:
"La fede, come dono e risposta:
- ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo;
- radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte.
- ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell'attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza.
La carità, da parte sua:
- ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo,
- ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli.
Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo".

Interessante poi l'analogia tra il Battesimo (sacramentum fidei) e l'Eucaristia (sacramentum caritatis). Il Battesimo, che precede l'Eucaristia, è ad essa orientato, all'Eucaristia che "costituisce la pienezza del cammino cristiano".
"In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fedeil sapersi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della caritàil saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù".

Nel cammino di questa Quaresima, tutta particolare per gli avvenimenti che coinvolgono la Chiesa e ci coinvolgono personalmente nell'intimo, faccio mie le parole conclusive del messaggio, che danno luce al concreto della mia diaconia e lo sintetizzano : "Ravvivare la fede in Gesù Cristo per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita".

venerdì 8 marzo 2013

La gioia di essere perdonati ed accolti


4a domenica di Quaresima (C)

Appunti per l'omelia

«Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,20-21).
Che cosa accade quando Dio ci riconcilia a Sé attraverso Gesù? Che cosa sente nel suo cuore? E che cosa dovrebbe sperimentare il credente? Ecco, tutto questo viene evocato da Gesù in modo insuperabile nella parabola del "Padre misericordioso". Più ancora che i due figli, il vero protagonista del racconto è il Padre "prodigo" in amore. È proprio sul suo amore accogliente che Gesù mette l'accento.
Gesù vuole assicurarci che nel cuore paterno di Dio si raccoglie e si concentra tutta la misericordia. Questa incommensurabile tenerezza di Dio per i peccatori viene manifestata da Gesù nella sua sollecitudine per loro e ancor più nel sacrificio della propria vita. È Lui, Gesù, il volto visibile del Padre misericordioso.
Scrive Tertulliano: "Solo Dio è padre, nessuna tenerezza uguaglia la sua. Tu sei suo figlio. Anche se ti capita di dissipare quanto hai ricevuto da Lui, anche se ritorni nudo, Egli ti accoglierà per il semplice fatto che sei tornato. E gioirà più del tuo ritorno che dell'assennatezza degli altri suoi figli".
La rivelazione suprema della misericordia di Dio, il perdono, e la riconciliazione dell'umanità con Lui, che hanno avuto luogo storicamente nell'evento pasquale, ora sono presenti nella Chiesa, "mediante il ministero della Chiesa", e raggiungono per il credente un vertice massimo d'intensità nel Sacramento della Riconciliazione.
Qui, nell'incontro con la Chiesa che mi accoglie nella persona del ministro, nel quale è Cristo stesso che assolve, il credente sperimenta un intervento divino, trinitario: il Padre della misericordia mi riabbraccia attraverso Gesù che mi assicura: "I tuoi peccati ti sono perdonati!" e attraverso "l'effusione dello Spirito Santo" che viene invocato anche col gesto dell'imposizione delle mani. È lo Spirito Santo che suscita nel cuore del peccatore la conversione e lo anima nel cammino di ritorno a Dio, come il figlio della parabola, che "rientra in se stesso… si rialza e si incammina verso suo padre". Nel momento, poi, dell'incontro sacramentale lo Spirito Santo, che in Dio è il rapporto d'amore tra il Padre e il Figlio, invade il peccatore pentito e in questa invasione di vita divina tutti i peccati vengono cancellati. Rinasce così il figlio di Dio come in un nuovo Battesimo e fa l'esperienza del "perdono" e della "pace"; gusta la riconciliazione e comunione piena con Dio e con i fratelli. Un'esperienza inseparabile dalla gioia: gioia infinita del Padre che si trasmette al figlio ricuperato; gioia di tutta la famiglia, la Chiesa, per un fratello ritornato a casa: «Facciamo festa!».
Così, quando mi accosto al Sacramento della Riconciliazione, il Padre sente sgorgare nel suo cuore una gioia nuova, traboccante: la gioia di rigenerare il proprio figlio rendendolo bello e splendente ai suoi occhi. La gioia del perdono non è soltanto la gioia che prova il figlio perdonato e riaccolto, ma è la gioia immensa che riempie il cuore del Padre e viene partecipata al figlio. Una gioia che il Padre desidera sia condivisa da tutta la famiglia.
Occasione questa per ogni comunità di credenti, dove sono pure presenti i "fratelli maggiori che sono sempre in casa", che sono tentati di giudicare con disprezzo il "prodigo" ed anche il padre per la "debolezza" nel riprenderlo in casa. Ma il padre rivolge anche a lui l'invito a convertirsi, a condividere la sua gioia e a riscoprire il dono di un "fratello" ritrovato.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Il padre lo vide, ebbe compassione e gli corse incontro (Lc 15,20)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi

giovedì 7 marzo 2013

Credere e Amare (4)


Continuando il percorso di riflessione sul messaggio del Papa per questa Quaresima, scopro che la più grande carità è l'annuncio del Vangelo. Scrive il Papa: "Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana".
Se la mia carità ha la sua motivazione più profonda e il suo fondamento nell'amore di Dio, come posso vivere in pienezza questo essere al servizio degli altri se non penetro sempre più profondamente nel mistero di Dio? E come questo mistero mi si manifesta all'anima, se non sono in grado di "spezzare il pane della Parola di Dio"?
Il mio evangelizzarmi è la condizione per poter poi evangelizzare, fare cioè partecipi gli altri del dono che il Signore ci ha fatto.
"In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri".
Ma "spezzare il pane della Parola" non è fare discorsi o prediche fuori luogo, ma condividere con il fratello che sono chiamato a servire il dono prezioso dell'Amore di Dio, dell'esperienza profonda del mio incontro con Lui e del mio credere al suo Amore.
Se si tratta di "spezzare il pane", significa non consegnarlo semplicemente e fare in modo che chi lo riceve se ne nutra per proprio conto. È uno sminuzzare il cibo in modo che possa essere assimilato. E dato che si tratta di un'esperienza che deriva dalla vita del Vangelo, il mio "spezzare il pane" non è altro che un "farmi uno" col mio prossimo a tal punto che il "travaso" della linfa che abita il mio cuore possa passare con frutto nell'anima del fratello e farlo partecipe della stessa Vita.
La mia diaconia della Parola prende un colore tutto particolare, è espressione vera di quella carità di Cristo di cui siamo chiamati a testimoniare: è l'Amore che "dimora e cresce in noi e può essere così comunicato con gioia agli altri".
È un vivere con coscienza e responsabilità quanto il Vescovo, al momento dell'ordinazione ci ha detto, consegnandoci il Libro dei Vangeli: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l'annunciatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni».

mercoledì 6 marzo 2013

Il diacono sposato… [1]



Segnalo alcuni articoli apparsi sulla rivista Il Diaconato in Italia, n° 176/177, numero monografico dal titolo Il diacono sposato: formazione e spiritualità della coppia. Articoli che ho riportato nel mio sito di testi e documenti.





Il compiacersi divino fonte di ogni diaconia (Editoriale)
di Giuseppe Bellia

Una riflessione sulla interazione dei sacramenti dell'ordine e del matrimonio può essere condotta seguendo diversi orientamenti, come è accaduto in questi anni, ma i risultati, per quanto carichi di intuizioni e di suggestioni, non sono approdati a una teologia compiuta e concretamente illuminante. Si potrebbe suggerire la prassi delle chiese orientali che vogliono celebrato il sacramento del matrimonio prima dell'ordinazione per cogliere un senso teologico che trova nella via indicata nei primi capitoli della Genesi un suo fondamento biblico. In quelle narrazioni fondanti, il compiacimento divino manifesta nella realtà sponsale della coppia la sua immagine più propria e adeguata. L'opera creatrice del demiurgo divino è ritmata nel primo racconto da una precisa descrizione dell'atteggiamento personale del Creatore: «E Dio vide che era cosa buona».
Questa immagine originaria di un Dio soddisfatto della sua opera, per una diffusa preoccupazione moralistica, è stata interpretata come dottrina apologetica che tende a giustificare Dio davanti al mistero dell'iniquità. In questo autocompiacimento ripetuto, una lettura più attenta mostra che non c'è apologia, non c'è difesa di Dio o autogiustificazione assolutoria davanti al mistero del male; piuttosto c'è lo stupore infinito e la beatitudine gioiosa del Creatore per le opere delle sue mani. […]
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Ordine e matrimonio (Confronti)
di Andrea Spinelli

Il catechismo, che mi ha preparato, con la mediazione di una parrocchiana tanto semplice quanto ricca di fede e di umiltà, ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, non poteva che essere quello di S. Pio X […]
Già percepivo, almeno così mi dicevano, che il sacramento dell'ordine e quello del matrimonio erano alternativi, o l'uno o l'altro. O ti saresti sposato, come avevano fatto i tuoi genitori …, o … saresti diventato sacerdote, come il parroco…
[…]
Ormai è una realtà nella chiesa latina, anche se il tempo trascorso dal Concilio, cinquant'anni circa, non è ancora sufficiente a rendere chiara e stabile la situazione. […] Oggi un punto fermo, penso, l'abbiamo raggiunto: ordine e matrimonio non sono sacramenti alternativi, ma possono coesistere nella stessa persona e giovare l'uno all'altro, con equilibrio umano e "spirituale", ossia dono dello Spirito. […]
[…]   Leggi tutto…


Diacono e sposo: intreccio di risorse (Contributo)
di Pier Luigi Gusmitta

Il matrimonio ha una grande incidenza sul diaconato ed è di grande aiuto ad esso. Il diaconato è di aiuto alla freschezza del matrimonio. Con dinamismi diversi e complementari. Dalla consacrazione diaconale e matrimoniale deriva la spiritualità del diacono permanente. Essa è caratterizzata da un intreccio profondo di dinamismi diversi e complementari, derivanti dai due sacramenti. Ha un'incredibile bellezza e costituisce una ricchezza per il diacono, per la sua famiglia, per la chiesa. […]
Vivendo il matrimonio nella verità dell'amore fedele, dona slancio al proprio diaconato. Interpretando il proprio diaconato nell'abbandono al progetto di Dio, introduce nuova vitalità nel matrimonio. La spiritualità del servizio si precisa nella sequela di Cristo, servo e sposo della chiesa. È la sorgente della piena affermazione di sé, della vera grandezza: «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,26-28). Il diacono, seguendo Cristo, percorre la strada del servizio come dono totale di sé; si impegna a rigenerare il fratello (anche la moglie ed i figli). […]
Il diacono sposato ha in casa la chiesa: se vive e coltiva bene il suo matrimonio impara a fare il diacono, a servire la chiesa. Se fa bene il diacono, fa crescere il suo matrimonio. L'amore per la moglie è per il diacono la prova permanente del suo amore per la chiesa. La moglie, amando il marito diacono, può farlo diventare un grande diacono (capace di amare alla grande). Chi sa farsi uno con la moglie sa farsi uno anche con il corpo di Cristo che è la chiesa.[…]
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lunedì 4 marzo 2013

Credere e Amare (3)


Riprendo il messaggio di Benedetto XVI per questo cammino quaresimale, dove fede e carità si intrecciano, e l'una è finalizzata all'altra, reciprocamente: "non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità".
Ho cercato di rivedere, alla luce delle parole del Papa, la genuinità della mia diaconia, del mio essere al servizio degli altri.
La mia carità ha la sua motivazione profonda nella carità di Dio? In altre parole: il mio amore per Dio è la radice del mio amore per il prossimo? Se la fede mi introduce ad un rapporto intimo con Dio, la mia vita è tutta plasmata da questa fiducia in Lui e dal mio abbandonarmi in Lui?
È un "prendere coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce", che "suscita a sua volta l'amore. Esso è la luce - in fondo l'unica - che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio «l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato»".
Allora, il mio cammino spirituale si inserisce in "un continuo salire il monte dell'incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio".

C'è, a questo riguardo, uno scritto di Chiara Lubich che mi dà tanta luce. Esso dice tra l'altro: «Noi abbiamo una vita intima e una vita esterna. L'una dell'altra una fioritura; l'una dell'altra radice; l'una dell'altra chioma dell'albero della nostra vita.
La vita intima è alimentata dalla vita esterna. Di quanto penetro nell'anima del fratello, di tanto penetro in Dio dentro di me; di quanto penetro in Dio dentro di me, di tanto penetro nel fratello.
"Dio-io-il fratello": è tutto un mondo, tutto un regno...
Noi abbiamo una vita intima (Gesù dentro di noi) e una esterna (Gesù nel fratello). L'una dell'altra una fioritura, l'una dell'altra radice.
La vita intima produce una fioritura nella vita esterna.
La vita esterna (con Gesù nel fratello) provoca una fioritura nella vita intima.
Ma in che modo si può pensare la vita intima con Gesù come una fioritura, come una chioma? Non è la vita interiore unione con Dio, punto e basta? Lo è, ma c'è unione e unione. E questo tutti noi lo sappiamo, perché ognuno sperimenta, poco o tanto, la sua particolare unione con Dio.
Ma quando poter definire questa vita intima come fioritura o chioma, quindi come alcunché di ricco e compatto? Quand'essa è nel suo completo sviluppo, nel suo massimo splendore. [Per esempio, quando sperimentiamo] una pace stabile e tale da dominare su tutto, da emergere sopra ogni dolore, per quanto acuto e diffuso esso sia. Ma, non solo pace. La fioritura completa, la chioma dell'albero della nostra vita interiore ha altri particolari. Per esempio: l'unione con Dio è tale da poterla avvertire in ogni istante della nostra vita. Quando si va in fondo al cuore, in cerca di Dio (nella preghiera o durante la giornata) Egli, Gesù, è sempre lì e Lo si avverte coi sensi dell'anima. È lì, che ci attende, per ascoltare quanto Gli diciamo e per dirci (se sappiamo afferrare il suo linguaggio silenzioso) quanto Egli vuole comunicarci. […]
Pace, dunque, e continua piena unione con Dio, due modi di essere della fioritura, della chioma della nostra vita interiore. Anche se non i soli frutti.
E come si possono raggiungere? La vita intima in noi fiorisce, si fa chioma su una radice: l'amore al fratello, a Gesù nei fratelli. La vita intima è alimentata dalla vita esterna. Di quanto penetro nel fratello, di tanto penetro in Dio.
Si può arrivare, dunque, a tanta pace, a tanta unione con Dio, amando i fratelli, Gesù nei fratelli».


venerdì 1 marzo 2013

Frutti di conversione


3a domenica di Quaresima (C)

Appunti per l'omelia

Nel brano dell'Esodo (Es 3,1-8.13-15) dove si narra della vocazione di Mosè, troviamo la manifestazione di Dio che lo chiama e gli affida la missione di essere suo strumento per la liberazione del suo popolo. E si presenta: Egli è Colui che è. È il "Vivente" e fonte della vita, l'unico che può salvare, in contrapposizione a quanti, ieri e oggi, sono ritenuti "dei", ma sono "idoli", cioè apparenza. Egli è per il suo popolo, è con lui, in una compagnia eternamente fedele.
A un Dio così i credenti sanno di potersi "convertire" e affidare con totale sicurezza.
Ma la conversione deve essere sincera. San Paolo ricorda (1Cor 10,1-12) l'esperienza degli Israeliti nel deserto sotto la guida di Mosè. Nonostante i doni abbondanti di cui beneficiarono, essi non rimasero fedeli a Dio. Il richiamo per noi cristiani è evidente. L'appartenenza ufficiale al popolo di Dio e i Sacramenti non ci "assicurano" magicamente per la salvezza. Occorrono fedeltà e vigilanza costante: "Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere".
Nel brano del vangelo di Luca (Lc 13,1-9), l'appello alla conversione che Gesù rivolge è forte e perentorio, non dà adito a scappatoie. Gesù pende spunto da due fatti di cronaca nera, da due tragedie, per contestare la concezione che la disgrazia è castigo per il peccato. È un modo di pensare che in un certo senso può far comodo e tranquillizzare la coscienza: questo male a me non è accaduto; quindi sono a posto. Una sua versione più moderna, un tentativo di trovare una spiegazione razionale dei fatti tragici e dolorosi consiste nell'interpretarli come frutto del caso o come effetto di meccanismi naturali o sociali, evitando di leggere tali fatti in profondità e di lasciarsi interpellare da essi. Per Gesù, invece, la disgrazia non è il segno del peccato, perché molte persone, non meno peccatrici delle vittime, non ne sono state colpite.
Tutti sono peccatori. Ma le disgrazie, di cui alcuni sono vittime, devono servire da avvertimento provvidenziale. Sono un richiamo a cambiare modo di pensare e di vivere, scuotendosi dalle illusioni e dalle false sicurezze.
Gesù rafforza il suo appello alla conversione con la parabola del fico sterile, ricco di fogliame ma senza frutti, che occupa inutilmente il terreno. Gli viene concesso un ultimo lasso di tempo: "Finché sei in tempo, convertiti!", smettila di voltare le spalle a Dio, ma volgi a Lui il tuo cuore.
La parabola sottolinea la pazienza del "padrone" che concede ancora tempo perché il fico produca frutti. È la pazienza del Padre che non si stanca di aspettare il ritorno dei figli e offre ancora l'opportunità per convertirsi. Ciò però non per giustificare il disimpegno, ma piuttosto per spingerci ad approfittare della sua misericordia.
Nell'intercessione del vignaiolo intravediamo Gesù che intercede in nostro favore e gioca interamente se stesso per portare il popolo a quella fedeltà operosa che Dio attende da lui. Dio infatti è interessato alla fecondità spirituale dei suoi fedeli, viene ogni anno a cercare i frutti, ma non ne trova. Cerca i "frutti" che sono la conversione concreta, la "fede che opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). È il rapporto filiale con Dio che si traduce in una preghiera sempre più centrata su di Lui e nell'attenzione a compiere gesti d'amore sempre più perfetti.
È appunto l'amore, in tutta la ricchezza delle sue forme, il "frutto" per eccellenza dello Spirito (cf Gal 5,22).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2013)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi