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mercoledì 30 gennaio 2013

Camminare oltre il buio


Ho riletto la Catechesi di mercoledì 16 gennaio u.s., nella quale il Papa parla della fede di Abramo. Ed ho pensato alla chiamata al diaconato, alla mia ed a quella di molti diaconi con cui sono venuto in contatto, ed alle difficoltà che quotidianamente si riscontrano, soprattutto quelle che nascono da una non sufficiente comprensione di questo ministero e da una sua poco illuminata attuazione. Molto spesso abbiamo camminato nel buio, con lo scoraggiamento derivante dal dubbio di non aver fatto la scelta giusta. Ma l'illuminazione e l'entusiasmo con cui abbiamo risposto positivamente alla chiamata ci hanno fatto fare scelte coraggiose, ponendo la nostra fiducia esclusivamente nella grazia che ci veniva elargita con l'ordinazione. La tentazione di avanzare diritti è grande, ma la grazia di saper leggere, oltre le nostre righe storte e l'incomprensione per questo ministero troppo "recente", a volte ci fanno avere il fiato corto.
Ma la Catechesi del Papa mi ha riportato a quell'illuminazione iniziale che sempre mi sorregge e mi fa ripetere quotidianamente il mio "Eccomi!". Quelle parole del Papa, nelle quali ho intravista parte della mia vita, mi sono state di luce: «Che cosa chiede Dio a questo patriarca? Gli chiede di partire abbandonando la propria terra... Si tratta di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un'obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell'ignoto - dove Abramo deve andare - è rischiarato dalla luce di una promessa...
La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione... Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose.
Dire "Io credo in Dio" significa fondare su di Lui la mia vita, senza paura di perdere qualcosa di me stesso...».
Penso che molti diaconi potrebbero rispecchiarsi nell'esperienza di questo "deserto" in cui sono sospinti dallo Spirito, ed uscirne, con la grazia di Dio, vincitori; ed essere strumenti di luce e di speranza per i "compagni di viaggio" che la Vita ci mette accanto.

venerdì 25 gennaio 2013

La Parola si compie, oggi


3a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Il brano di Neemia (cf Ne 8,2-10) che ci viene proposto dalla liturgia di questa domenica ci descrive un momento importante, decisivo, del popolo giudaico dopo l'esilio: la lettura del libro sacro della Legge. È una grande liturgia della Parola: c'è un'assemblea composta da persone di categorie diverse e c'è uno che presiede. La partecipazione è attenta e corale, la Parola viene proclamata e spiegata; e si può cogliere l'effetto di questa proclamazione: «Tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge». La Parola di Dio giudica e accusa, provocando la conversione, che, se autentica, non sprofonda nel pessimismo ma invita alla gioia in una condivisione fraterna: «Non fate lutto e non piangete… Andate e mangiate… Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».
Anche Gesù inaugura ufficialmente il sua missione nel contesto di una assemblea liturgica, di sabato, nella sinagoga del suo paese, Nazaret. A Lui è concesso di leggere un brano dei profeti. Nel rotolo "trovò" il passo di Isaia, dove si annuncia il tempo della salvezza, caratterizzato dal lieto annuncio ai poveri e dalla liberazione degli oppressi. Tale annuncio accende la speranza degli uditori («Gli occhi di tutti erano fissi su di lui»), in attesa della spiegazione del passo appena letto. Quanto Gesù dice, sorprende e spiazza l'assemblea per la sua novità sconvolgente: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
La promessa di Isaia, che parlava di un personaggio misterioso investito dallo Spirito per operare la salvezza del popolo, si compie proprio in Lui; e si compie "oggi". Gesù si identifica con il personaggio descritto del profeta ed il tempo della salvezza è oggi, perché Lui, Gesù, è qui: la salvezza è nella sua persona.
«Lo Spirito del Signore è sopra di me»: Gesù esprime la consapevolezza che tutto nel suo essere e nel suo operare è sotto l'influsso dello Spirito Santo. Ma l'oggi di Gesù non si è manifestato soltanto "allora", ma è l'oggi della Chiesa, la quale continua a proclamare nella storia la buona notizia ai poveri.
Anche a noi è proclamata ogni domenica la Parola della salvezza. Ma qual è il frutto di ogni nostra assemblea eucaristica domenicale? Nell' "oggi" della storia la presenza di Gesù nella comunità dei discepoli è segno della speranza promessa ai poveri a cui è annunciata la "buona notizia"?
Ne siamo convinti: la celebrazione dell'Eucaristia non è una devozione privata, fatta anche insieme ad altri, ma è la presenza "efficace" di Cristo nel mondo, oggi, dove la carità della Chiesa rende visibile l'amore di Dio per l'umanità. Perché è dall'Eucaristia che prende slancio e vita la nostra partecipazione personale e comunitaria ai bisogni e alle sofferenze del prossimo!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Oggi si è compiuta questa Scrittura (Lc 4,21)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2010)
  di Enzo Bianchi


giovedì 24 gennaio 2013

Una "via" buona per tutti


Nell'Introduzione alla vita devota, san Francesco di Sales, di cui oggi facciamo memoria, scrive: «La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. (…)
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l'unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l'amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
È un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta».

Sì, dovunque ci troviamo…
Ma, per farci santi, c'è una "via" buona per tutti: il fratello. Già san Giovanni diceva: «Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14), passando da una vita vuota ed insignificante alla vita piena. È un'ascetica adatta a tutti, perché nell'amore al fratello, nel farsi uno con lui, occorre fare silenzio, occorre la morte dell'io. Ed è anche una mistica accessibile a tutti, perché amando il fratello, amo Gesù in lui, posso incontrarmi direttamente con Lui. È Lui, infatti, che ritiene fatto a sé tutto ciò che facciamo ad ogni nostro prossimo.
Questa continua ginnastica, a volte dolorosa ma piena di sorprese, mi apre l'anima, rendendola capace di accogliere la luce del Risorto e con essa la sua gioia. Dio, assumendo la nostra umanità, ha reso possibile all'uomo l'unione con Lui attraverso le relazioni umane.
Non occorre fare cose particolari. Ogni momento è buono per vivere totalmente proiettato "fuori di me", per amore, e percepire in fondo al cuore la presenza di Colui che da sempre mi ha amato.
Questa è l'anima della mia diaconia, che posso, nella mia quotidianità, vivere ogni momento.

mercoledì 23 gennaio 2013

La carità che porta all'unità


In questa settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, pensando a "quel che il Signore esige da noi" (cf Mic 6,6-8) e credendo fermamente che è la carità che porta all'unità che è gradita a Dio, ho cercato di fare mie le parole di san Clemente I, che leggo dalla Lettera ai Corinzi, e di confrontarmi con esse anche nell'esercizio del mio ministero diaconale.
«Colui che possiede la carità in Cristo mette in pratica i comandamenti di Cristo. Chi è capace di svelare l'infinito amore di Dio? Chi può esprimere la magnificenza della sua bellezza? L'altezza a cui conduce la carità, non si può dire a parole.
La carità ci congiunge intimamente a Dio, "la carità copre una moltitudine di peccati" (1Pt 4, 8), la carità tutto sopporta, tutto prende in santa pace. Nulla di volgare nella carità, nulla di superbo. La carità non suscita scismi, la carità opera tutto nella concordia. Nella carità tutti gli eletti di Dio sono perfetti, mentre senza la carità niente è gradito a Dio.
Con la carità Dio ci ha attirati a sé. Per la carità che ebbe verso di noi il Signore nostro Gesù Cristo, secondo il divino volere, ha versato per noi il suo sangue e ha dato la sua carne per la nostra carne, la sua vita per la nostra vita…
Preghiamo dunque e chiediamo dalla sua misericordia di essere trovati nella carità, liberi da ogni spirito di parte, irreprensibili…
Beati noi se praticheremo i comandamenti del Signore nella concordia della carità, perché per mezzo della carità ci siano rimessi i nostri peccati».


domenica 20 gennaio 2013

Testimonianze di santità diaconale [4]



Segnalo alcuni articoli pubblicati sulla rivista Il Diaconato in Italia, n° 175, numero monografico dal titolo Testimonianze di santità diaconale. Articoli che ho riportato nel mio sito di testi e documenti.





Don Altana: la sua profezia all'origine della mia vocazione diaconale (Focus)
di Enzo Petrolino

Avevo letto e sentito parlare di don Alberto tante volte, nella mia diocesi di Reggio Calabria, da due persone a me tanto care le quali hanno anche loro contribuito in maniera direi determinante alla mia vocazione diaconale: il compianto don Domenico Farias, compagno di studi di don Altana al Capranica, e Maria Mariotti, ancora attiva nonostante i suoi 95 anni di età, amica di don Alberto che la stimava tantissimo soprattutto per la sua passione alla chiesa locale e alla promozione della ministerialità laicale. […]
Don Alberto Altana ha incarnato come nessun altro, soprattutto negli ultimi suoi anni, da vero profeta, una presenza scomoda ed irrinunciabile. Questo perché don Alberto non era una persona chiusa nel privato, ma ogni suo gesto, ogni suo modo di fare era innanzitutto espressione viva ed efficace del suo modo di essere. I suoi stessi scritti lo rendevano allo stesso tempo scomodo e amatissimo. Dice qualcuno che, alla fine, di una persona restano una manciata di aneddoti, certo i più significativi, "memoria vissuta" di una vita che va oltre la vita stessa. […]
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"Quale diacono per quale chiesa?" (Formazione)
di Gianfranco Girola

Accingendomi a scrivere questo contributo, ho ripensato a quel sabato pomeriggio dell'autunno 1986, quando, spaesato e perplesso, ho fatto il mio ingresso nella famiglia diaconale, che mi accoglieva per la prima volta come aspirante dell'anno propedeutico. Nello stesso tempo ho ripensato alla mia ultima esperienza della prima accoglienza dei nuovi aspiranti, vissuta come formatore nell'autunno 2009, e ho cercato di analizzare in un unico colpo d'occhio i due momenti. Il primo commento è stato: quanta strada! Un'analisi più attenta, però, ha messo in evidenza, relativamente alla formazione al diaconato, un cammino percorso nella sua crescita, nella sua maturazione, conservandone però i tratti fondamentali e introducendo le novità sempre in continuità con il passato, senza creare alcun strappo in avanti e senza attardarsi in nostalgie e rimpianti, come può succedere quando si ha a che fare con una realtà in continuo divenire. […]
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Il primo diacono "fidei donum" (Brasile)
di Franco e Loredana Scaglia

Sono Franco e con mia moglie Loredana, alla fine del 2005, dopo un breve corso di formazione al CUM di Verona, partivo per il Brasile, con due preti e una giovane coppia torinese per un'esperienza di missione in appoggio alla diocesi di Belèm, secondo un progetto concordato dal card. Poletto con il vescovo del luogo. Siamo stati scelti da Dio per una serie di coincidenze: siamo senza figli, Loredana era già in pensione e io potevo prendere un'aspettativa dal mio lavoro di insegnante. Così, senza nostri meriti, il diaconato torinese si è aperto alla missione ad gentes. Per noi è stato immergerci nelle gravi necessità del Terzo Mondo e delle chiese più povere di clero, come non potevamo neppure immaginare dalle riviste missionarie, e vedere quanto il Vangelo è forza per gli uomini di tutti i paesi. […]
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Il cammino sponsale (Testimonianza)
di Laurino Circeo

La diaconia è un diritto-dovere di ogni battezzato, sin da quando prende coscienza del suo essere innestato in Cristo e del suo impegno a vivere il vangelo ed a diffonderlo con gioia e con amore nella chiesa, nella famiglia, nella società. È rivolto a lui, personalmente, l'invito, come a tutti: «andate ed annunziate il vangelo ad ogni creatura...» perché sia battezzato e consegua la salvezza (cf. Mc 16,15-16).
Di conseguenza s'impone un dovere inderogabile ad ogni livello, per chi voglia essere autenticamente cristiano: in famiglia, soprattutto, e in particolare per i genitori; sono essi i primi educatori dei figli nella fede, oltre che nel promuovere la loro crescita umana e culturale; ad essi la Chiesa, con il sacramento del matrimonio, affida il delicato compito di accompagnarli con dolce fermezza nel non facile cammino della vita. E questa è diaconia!
Mi commuovo e mi esalto nel ricordare in questo l'opera altamente educativa della mia sposa, Angela, davvero eccezionale nell'adempimento del suo ruolo "diaconale", sempre aperta e sollecita nel dare «ragione della propria fede e della speranza che la anima» (cf. 1Pt 3,13). E, a proposito del mio itinerario verso il diaconato, si deve alla sua convinta adesione a questa scelta la realizzazione dell'avvenuta ordinazione nel settembre del 1977. Ma lascio a lei la parola, contenuta in un suo prezioso diario. […]
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venerdì 18 gennaio 2013

Gesù, lo Sposo


2a domenica del T.O. (C)

Appunti per l'omelia

Dopo la manifestazione di Gesù in occasione del suo battesimo, un altro "mistero di luce" è il miracolo alle nozze di Cana (cf Gv 2,1-11): "Cristo, cambiando l'acqua in vino, apre alla fede il cuore dei discepoli grazie all'intervento di Maria, la prima dei credenti" (RVM 21). Operando tale "segno", il primo, Gesù «manifestò la sua gloria», cioè la sua realtà più profonda, la sua identità di Messia e di Figlio di Dio, suscitando in tal modo la fede iniziale nei suoi discepoli.
Nel racconto evangelico tutta l'attenzione è su Gesù, il grande protagonista. La sua presenza, come invitato, a una festa di nozze mostra che il Figlio di Dio "incarnato" condivide l'esperienza umana in tutti i suoi momenti, non solo di sofferenza ma anche di gioia, riconoscendo, in questo contesto, il valore dell'amore umano e del matrimonio, santificandolo nel contempo ed offrendosi agli sposi come compagno di viaggio nella loro avventura.
Il testo, però, secondo lo stile dell'evangelista Giovanni, ci offre un livello più profondo di comprensione, prettamente simbolico, oltre al semplice fatto contingente. Ci rimanda alle parole di Isaia (cf Is 62,1-5), dove l'intervento di Dio nella storia in favore del suo popolo attraverso il Messia era atteso come una festa di nozze, nella quale i suoi beni sarebbero stati donati in abbondanza, simboleggiati in modo speciale nel il vino. Gesù, quindi, a Cana inaugura la festa nuziale della Nuova Alleanza, portandovi il "nuovo" e il "migliore".
L'acqua delle giare, che serviva per la purificazione rituale dei Giudei, viene trasformata in vino: simbolo del passaggio dal regime della Legge alla realtà nuova portata da Gesù. Un vino nuovo ed abbondante!
Un fatto singolare in questa festa di nozze: la sposa non appare mai e lo sposo una volta soltanto e marginalmente. È Gesù il vero sposo della festa nuziale, il Messia Sposo che offre i beni messianici nuovi e abbondanti: il Vangelo, l'Eucaristia, lo Spirito Santo che distribuisce una grande varietà di doni e di servizi (cf 1Cor 12,4-11).
C'è poi un altro particolare da sottolineare: Gesù, nella risposta che dà a sua madre, parla della sua "ora", che nel contesto del vangelo di Giovanni indica il momento in cui Gesù manifesterà la sua gloria attraverso la croce e la risurrezione, rimandando quindi Maria a tale evento.
Gesù è lo Sposo che si dona per amore, dove le nozze evocano l'amore nuziale, e si dona sulla croce. È qui che la sua autodonazione sponsale raggiunge il suo vertice. Ed è da qui che scaturiscono i beni messianici. Tale autodonazione di Cristo, con i beni che ne derivano, è resa attuale e presente nell'Eucaristia, che viene richiamata in modo velato dai simboli del vino e del banchetto nuziale.
Se nel racconto tutto ruota attorno a Gesù, Maria però svolge un ruolo decisivo. Ciò che Gesù compie, rivelando la sua "gloria", avviene alla sua presenza e in seguito al suo intervento. Maria - come sarà intimamente associata al proprio figlio sul Calvario - così già in questa rivelazione iniziale è presente in modo partecipe ed attivo.
La domanda poi di Gesù alla madre in questo scenario simbolico, «Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4), ci riposta al suo significato biblico che esprime un certo dissenso e disaccordo. Gesù fa capire a Maria che il suo influsso e la sua autorità di madre su di Lui sono cessate ed Egli in modo autonomo deve dedicarsi al disegno del Padre. Maria sta pensando al vino del banchetto, mentre Gesù è interessato ai beni superiori che il vino può significare. Maria è quindi invitata a fare uno scatto nella fede. E lei rinuncia al legame precedente con Gesù, non si rivolge cioè più a Lui da madre, ma interviene da credente, come viene evidenziato dalle parole che rivolge ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5): richiamo alla professione di fede con cui il popolo di Israele si era impegnato nel concludere l'alleanza col Signore al Sinai: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Es 19,8).
Poi troviamo questo appellativo, "Donna", con il quale Gesù si rivolge alla madre, appellativo strano sulla bocca di un figlio.
Israele non di rado viene raffigurato nella Bibbia come una "donna" in rapporto allo Sposo che è il Signore. Ora Maria, la Donna, personifica il vero e nuovo popolo di Dio nel momento in cui il Signore lo lega a sé nella Nuova Alleanza. Rappresenta e impersona la Chiesa sposa di Cristo. È la prima discepola, modello di docilità alla Parola per tutta la Chiesa. Anzi Maria svolge quasi un ruolo materno nei confronti dei "servi", che diventano simbolo di quanti nella Chiesa servono e obbediscono alla parola di Gesù. Da quel momento «i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,11).



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
I suoi discepoli credettero in Lui (Gv 2,11)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi


martedì 15 gennaio 2013

La fonte della nostra diaconia


Il diacono è chiamato ad animare la "diaconia" nella comunità ed essere lui stesso esempio concreto di servizio evangelico che fa della carità in atto una presenza dell'amore di Dio. La sua non è una semplice attività caritativa né un intervento, anche qualificato, di servizio sociale: è carità di Dio. Il servizio che pone in atto ha la sua radice nella diaconia di Gesù Cristo, nell'amore che gli viene "dall'alto", inscritto nell'intimo del suo cuore. In questo anno della fede, dove cerchiamo di mettere a fuoco la ragione del nostro credere, spesso si pone l'accento sul desiderio innato dell'uomo ad un rapporto personale con Dio.
Mi ha fatto riflettere uno scritto del vescovo san Basilio, tratto dalle "Regole più ampie", del quale riporto alcuni stralci.
«L'amore di Dio non è un atto imposto all'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare. […]
Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo la forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconsce, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene. […]».

In questo modo il nostro "essere per gli altri" ha la sua radice nel cuore di Dio, che, perché ci ama, purifica l'anima e le fa dire «con sincero affetto: Io sono ferita dall'amore (cfr. Ct 2, 5)». Solo così, nel nostro ministero, non usurpiamo posti riservati ad altri, ma, nel nostro "farci uno con gli altri", siamo anima che manifesta la vita del corpo, che il corpo della chiesa è vivo.


(Foto: Cappella della Madre del Buon Soccorso, Tamar - Slovenia. L'angelo tiene in mano un fiore che rappresenta l'eternità e l'infinità di Dio, nell'altra mano tiene il mondo, segno che l'amore divino abbraccia tutto e tiene tutto in vita. L'amore di Dio arriva alle parti più nascoste del mondo e raggiunge l'uomo con la salvezza, anche se l'uomo cadesse nel precipizio più nascosto e buio).


domenica 13 gennaio 2013

Farsi noi, per farci Lui


In fila come tutti, confuso tra la folla, per farsi battezzare…
È quel farsi simile in tutto a noi, solidale con noi peccatori pur essendo il Figlio di Dio, che mi attrae e diventa l'icona di ogni ministero, in particolare quello diaconale.
Se il diacono è nella Chiesa segno e sacramento di questo amore "folle" di Dio per la sua creatura, un amore che in Gesù ha preso corpo tanto da diventare Lui "simile a noi tranne che nel peccato", allora ho davanti a me l'esempio, l'unico, su cui conformare la mia vita, come peraltro il vescovo, prima di impormi le mani, mi ha chiesto: "Vuoi conformare tutta la tua vita sull'esempio di Cristo…?".
Sì, il battesimo di Gesù al Giordano mi porta a queste considerazioni!

Ma qual è la differenza fra il rito penitenziale di Giovanni ed il sacramento che abbiamo ricevuto come sigillo d'ingresso nella famiglia dei figli di Dio, nella Chiesa? Perché, pensando a quel battesimo, ci riferiamo al nostro? Non mi addentro nelle varie argomentazioni. Oggi però ho contemplato Gesù, in questo suo "svuotarsi", e mi sono trovato "dentro" a questo "vuoto d'amore" che è l'Incarnazione… e con me tutta l'umanità peccatrice.
In Lui ora io posso "fare penitenza", in Lui ora io mi sento "purificato", in Lui ora io mi sento "il figlio amato"… Quello che Lui fa diventa anche per me, ora, momento di predilezione, sacramento di salvezza. Ed è un "ora" che mi fissa nell'eterno!
Pensando a tutto questo, ho visto la preziosità e bellezza del dono ricevuto: esercitare una "diaconia" che mi fa presenza di Cristo nella comunità che sono chiamato a servire; ed in Lui e con Lui attuare quella promessa che ho fatto al momento della mia ordinazione: "Sì, con l'aiuto di Dio, lo voglio".

venerdì 11 gennaio 2013

Essere scelti dall'amore eterno di Dio


Battesimo del Signore (C)

Appunti per l'omelia

Nella festa del Battesimo del Signore celebriamo altri aspetti della manifestazione di Dio in Gesù, della sua Epifania.
Chi riceveva il battesimo da Giovanni, con tale gesto si riconosceva peccatore, bisognoso di essere perdonato e purificato da Dio e manifestava pubblicamente la volontà di percorrere un cammino di conversione alla scuola e sotto la guida del Battista per prepararsi ad accogliere il Messia. Non poteva non suscitare stupore e scandalo nei primi cristiani il fatto che anche Gesù - l'innocente, il Figlio di Dio - si sia mescolato con i perduti, in coda anche Lui aspettando il proprio turno per essere battezzato.
L'Incarnazione non è soltanto il farsi uomo del Figlio di Dio, ma il farsi fratello dei peccatori, prendendo su di sé la loro realtà di peccato e accettandone tutte le conseguenze. La Croce sarà l'ultimo traguardo di questo "sprofondare", per amore, del Figlio di Dio nell'esperienza umana di lontananza e separazione da Dio. Con il suo battesimo Gesù manifesta la scelta di essere uno di noi, uno con noi, solidale col popolo insieme al quale riceve il battesimo. Anzi il suo battesimo porta a compimento quello del popolo. Colui, però, che per amore si è identificato con i suoi fratelli peccatori, Dio, il Padre, lo riconosce e lo manifesta come il proprio Figlio e gli dona lo Spirito Santo.
«Il cielo si aprì». La comunicazione tra Dio e gli uomini, che era stata interrotta dal peccato, ora riprende. Il dialogo si fa nuovo e intenso. La via è libera perché lo Spirito di Dio, cioè la sua infinita vitalità e potenza, il suo amore traboccante, venga riversato sulla terra: «e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come di colomba». Qualunque sia il senso preciso dell'immagine, tuttavia si vuol dire che l'intera realtà di Dio si raccoglie e si concentra in Gesù. Egli si sente sotto la presa di Dio e, invaso dal suo Spirito d'amore, sperimenta su di sé tutta la sua tenerezza paterna. E ascolta, rivolta a Lui, una dichiarazione inaudita: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Il battesimo rappresenta per Gesù una svolta decisiva: ricevendo la forza dello Spirito e ascoltando la voce del Padre, dà inizio alla sua missione. Ma il suo battesimo diventa in qualche modo simbolo e anticipo di quello cristiano, del nostro. L'esperienza che Gesù fa, la partecipa ai credenti, a coloro che attraverso il battesimo sono introdotti nella comunità cristiana e lo incontrano: il dono dello Spirito e la condizione filiale rispetto a Dio. Il Battista lo aveva annunciato, dichiarando che Gesù «è più forte» di lui e la distanza che li separa è incolmabile. La superiorità di Gesù rispetto a Giovanni si evidenzia nel rapporto fra i rispettivi battesimi: «Io vi battezzo con acqua... Costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Giovanni battezza, cioè "immerge" nell'acqua, Gesù "immerge" nello Spirito Santo.
Guardando a questa scena del Giordano, possiamo anche noi rivivere il momento del nostro battesimo. Attraverso questo rito di ingresso nella comunità cristiana sono stato accolto nella Chiesa. Qui ho incontrato Gesù, che è il cuore pulsante di questa famiglia, e Gesù mi ha legato a sé per sempre. E anche su di me è sceso lo Spirito Santo invadendomi col suo amore. E anche su di me il Padre, abbracciandomi con infinita tenerezza, ha incominciato a dichiarare: "Tu sei mio figlio. Sei tutta la mia gioia". E non si è ancora stancato di ripeterlo. È cominciata per me la più grande avventura, la più bella storia d'amore che mai sia stata vissuta, la storia d'amore tra il Padre e ognuno dei suoi figli.
Col battesimo siamo entrati nella famiglia di Dio per pura grazia, perché Lui ci ha scelti. In questa famiglia non si vale per le opere che si fanno, per quello che si produce. Si vale solo perché Dio ci ama. E l'amore di Dio per noi è eterno.
Il battesimo non può essere ripetuto, perché è una parola d'amore eterno di Dio su di noi. Un amore che ci fa figli suoi e mai nulla, neppure il nostro tradimento, potrà cancellare il fatto che siamo suoi figli.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Tu sei il Figlio mio: l'amato (Lc 3,22)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi

giovedì 10 gennaio 2013

Testimonianze di santità diaconale [3]


Un articolo apparso sul n° 175 della rivista Il Diaconato in Italia, numero monografico dal titolo Testimonianze di santità diaconale, mi ha riportato ai momenti più importanti della mia vita e della mia consacrazione diaconale; a riflettere, con semplicità ma con serietà davanti a Dio, sul mio essere diacono e sul mio vivere con generosità e gratitudine il dono ricevuto, nonostante le quotidiane difficoltà ed i momenti di oscurità che richiamano irresistibilmente l'intimità con il Signore.
L'articolo, "Tra l'imposizione delle mani e la preghiera consacratoria", di Vincenzo Testa, diacono ed amico carissimo, si può leggere interamente nel mio sito di testi e documenti.

Ecco l'inizio dell'articolo:
«Per sant'lgnazio di Antiochia una Chiesa particolare senza vescovo, presbitero e diacono sembra impensabile. Egli sottolinea come il ministero del diacono non è altro che «il ministero di Gesù Cristo, il quale prima dei secoli era presso il Padre ed è apparso alla fine dei tempi». Così si legge al n. 2 delle "Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti".
Chiedersi oggi se tutto questo sia ancora creduto, voluto e sperato è un dubbio che non è più possibile eludere se vogliamo restare fedeli all'impegno e alle promesse che hanno preceduto l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione con la quale ciascun diacono ha ricevuto il ministero dal proprio vescovo. Viviamo tutti, per davvero, tempi complicati, momenti difficili, situazioni complesse in un contesto assolutamente nuovo. Interrogarsi oggi sui diaconi nella Chiesa mi è sembrato e mi sembra un'urgenza ineludibile per cercare di dare un senso alla nostra vocazione diaconale. Trascinarsi stancamente dentro i giorni, i mesi e gli anni vagando senza una meta credo sia qualcosa che è umanamente atroce. […]».
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martedì 8 gennaio 2013

Seguire quella stella


Quando nella propria vita si è avuto la grazia di poter scorgere una "stella" che in qualche modo ci ha svelato, forse inizialmente in maniera nebulosa ma sicuramente carica di verità e di senso, il cammino che avremmo dovuto percorrere secondo il disegno che Dio nel suo amore aveva pensato, non abbiamo avuto timore o titubanza nel metterci in viaggio. Il nostro cuore si è riempito progressivamente di gioia mentre si andava comprendendo sempre più la reale portata della chiamata del Signore.
Sì, così succede a chi con generosità risponde positivamente alle istanze del Vangelo e intraprende una strada di incontro personale con Gesù, di donazione a Lui, secondo le modalità proprie di ciascuno.
Abbiamo fatto scelte coraggiose, perché la luce di quella stella ci aveva illuminato la mente ed allargato il cuore. Abbiamo lasciato dietro le spalle molte sicurezze ponendo la nostra fiducia in quella forza interiore che guidava i nostri passi anche attraverso percorsi molto spesso difficili ed impervi. Ma abbiamo creduto!
Ad un certo punto, forse quasi vicini alla meta, quella luce che ci guidava non si è fatta più vedere… Per non brancolare nel buio, abbiamo chiesto consiglio… Ci siamo fidati… ed abbiamo ripreso il cammino. Ecco che quella stella che ci aveva messo in cuore decisioni impensate e, per i più forse, folli si è resa nuovamente visibile facendo scoppiare il nostro cuore dalla gioia nella certezza di poter continuare sicuri il cammino interrotto.
Come è stato per i magi, così è anche per noi! È l'incontro più importante della nostra vita, quello decisivo. Davanti a Colui che si è fatto bambino, servo… abbiamo rimesso la nostra vita ai suoi piedi, nel suo cuore, e ci siamo lasciati abbracciare da sua Madre che abbiamo scoperto essere anche la nostra...
E il nostro cammino riprende, non più come prima, non più sulle stesse strade… il nostro cuore è ora diverso, trasformato.
Troveremo ancora percorsi bui e strade da percorrere senza luce, ma abbiamo imparato, anzi, ci è stata data la grazia di intravedere, anche oltre l'oscurità, la possibilità di una luce che non potrà ingannarci, perché crediamo all'amore che il Figlio di Dio ci ha donato ed ha cambiato il nostro cuore.


venerdì 4 gennaio 2013

L'incontro con Gesù, nella "casa", con Maria


Epifania del Signore (C)

Appunti per l'omelia

La Chiesa celebra, con la solennità dell’Epifania, la Manifestazione del Figlio di Dio a tutte le genti, rappresentate dai Magi che non appartenevano al popolo di Israele. Essi, all'apparire della stella si mettono in cammino attirati da Qualcuno che li attendeva a Betlemme. Quel Bambino, manifestazione vivente di un Dio che non fa preferenze di persone, è punto di convergenza dell'anelito di tutti i popoli, che rende possibile la fratellanza universale.
Dio che, parzialmente e in modi diversi, si era rivelato nella natura e nella storia, ora si è manifestato pienamente in Gesù. In Lui Dio ci ha detto tutto e donato tutto, anzi, si è detto tutto e si è donato tutto. Gesù è la rivelazione palpabile, definitiva di Dio, che è Amore, in quello che dice e che fa: «Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9); manifestazione riservata non a un popolo privilegiato, ma a tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi.
I Magi, che non sono ebrei, con ogni probabilità sono sapienti, studiosi degli astri, scrutando i quali cercano di discernere la volontà di Dio; provengono dall'Oriente. Rappresentano tutti i pagani, chiamati a credere in Cristo. Essi inaugurano il pellegrinaggio di tutti i popoli, come annunciato dal profeta Isaia (cf Is 60,1-6), verso Gerusalemme, la città tutta luce, perché riempita dalla presenza del Signore. Qui nell'incontro con Lui si ritrovano fratelli e si scambiano le ricchezze della loro cultura e delle loro tradizioni. Questa nuova Gerusalemme è la Chiesa, dove è presente Gesù: in Lui Dio si manifesta e si fa incontrare.
È un dono carico di una grande responsabilità. Nei nostri confronti innanzitutto. Ci sono, infatti, comunità cristiane che assomigliano alla Gerusalemme inondata di luce e polo di attrazione per molti che vengono da lontano, ma non sa vedere la luce in cui è immersa, non sa vedere i doni che ha. È il caso di comunità che si trascinano stancamente e di singoli cristiani che cercano, magari chissà dove, una verità ed un tesoro che qui hanno a disposizione ma non sanno vederli.
Ed anche responsabilità verso tutti gli altri, specialmente verso i molti che sono in ricerca seria della verità: riescono a vedere la luce di Cristo oppure non la nascondiamo o non la lasciamo filtrare attraverso la nostra parola e la nostra vita?
Il viaggio dei Magi è immagine del cammino di fede e di speranza che l'uomo di ogni tempo intraprende verso Dio. Dio infatti ha messo nel cuore di ognuno una insopprimibile nostalgia di poterlo incontrare. Il racconto evangelico evidenzia il contrasto tra i "lontani", i Magi che cercano e trovano il Salvatore, ed i "vicini", Erode e gli abitanti di Gerusalemme. In questi la notizia portata dai Magi, invece di suscitare gioia, provoca turbamento… nessuna voglia di cambiare le proprie abitudini, nessuna voglia di un cammino diverso.
La stella che guida i Magi, in definitiva, è simbolo di Cristo luce del mondo. Egli chiama gli uomini a sé attraverso una grande varietà di segnali e di indicatori luminosi… In primo luogo è la Parola di Dio la stella che dà gioia, è il Vangelo che conduce direttamente al Salvatore Gesù.
Ma, secondo il racconto evangelico, l'incontro pieno col Salvatore avviene nella "casa", che è la Chiesa: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Qui c'è il Bambino, cioè il Signore Gesù, con Maria sua Madre, che è figura e modello della Chiesa. Da lei la Chiesa apprende continuamente l'arte di essere madre di Cristo, cioè di generarlo e di donarlo a tutti.



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Siamo venuti ad adorare il Signore (Mt 2,2)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)

Commenti alla Parola:
  di Marinella Perroni (VP 2012)
  di Claudio Arletti (VP 2009)
  di Enzo Bianchi