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sabato 31 marzo 2012

Nel grido del suo abbandono!


Domenica della Palme (B)

Appunti per l'omelia

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34).
L'Uomo dei dolori, di cui parla Isaia, ha racchiuso in sé tutti dolori dell'umanità: in quel grido è racchiuso il grido di abbandono e di dolore di ogni uomo e di ogni donna di questa terra. "Occorre - scrive Giovanni Paolo II nella Salvifici Doloris, al n° 31 – che sotto la croce del Calvario idealmente convergano tutti i sofferenti che credono in Cristo… gli uomini di buona volontà, perché sulla croce sta il Redentore dell'uomo, l'Uomo dei dolori che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi".
Dopo l'entrata trionfale a Gerusalemme, tra la folla osannante, dopo l'intimità del Cenacolo, dopo l'angoscia del Getzemani, Gesù si ritrova solo, "tutti lo abbandonarono e fuggirono" (Mc 14,50). Egli che "non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo" (Fil 2,6-7), sperimenta anche l'abbandono di Dio. In quel nulla infinito, in quel vuoto inimmaginabile, in quella disunità estrema, noi troviamo pienezza di vita e di unità: unità con Dio e unità tra noi.
In Lui la nostra scelta fondamentale di Dio trova pieno compimento: è in Lui la massima espressione di un Dio che è Amore; è in Lui la possibilità di attuare pienamente il Comandamento nuovo; è in Lui che ci è svelata la misura che l'amore richiede.
In quel grido misterioso troviamo non solo l'esortazione ad abbracciare tutti i dolori che ci sopravvengono unendoli al Suo, ma anche a contemplare in Lui la misura del nostro amore per il prossimo: misura senza misura nel dovere di dare tutto, nel non riservare nulla per noi stessi…
Chiamati a portare l'unità in ogni situazione e luogo, non possiamo avere altro modello che Lui. Solo così possiamo cogliere il vero significato del nostro andare a Dio attraverso il prossimo, il fratello che ci è posto accanto e che vogliamo servire ed amare. È per quel passaggio, a volte oscuro come una galleria, che si arriva alla luce; è attraverso il nostro farci uno col prossimo che mettiamo in atto quell'arte di amare che trova in Gesù crocifisso e abbandonato il nostro modello. Nessuno come Lui si è fatto uno con i fratelli, svuotandosi totalmente. Non possiamo infatti entrare nell'animo di un fratello per comprenderlo, per capirlo, per condividere il suo dolore, se il nostro spirito è ricco di una preoccupazione, di un giudizio… Il farsi uno esige spiriti poveri, poveri di spirito, perché solo con essi è possibile l'unità.
Il Crocifisso, l'Abbandonato, veramente è il nostro Dio!



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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
L'anima mia è triste fino alla morte (Mc 14,34)
(vai al testo) - (pdf, formato A5)

Commenti alla Parola:
di Marinella Perroni (VP 2012)
di Claudio Arletti (VP 2009)
di Enzo Bianchi



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