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sabato 31 dicembre 2011

La Luce della Parola



Si chiude un anno e viene spontaneo farne un bilancio…
La tentazione di guardare soltanto a quanto di non positivo è successo, e ci è capitato, è sempre presente, con quella pesantezza che ci costringe a non alzare lo sguardo…
Ma troppo grande, nonostante le false apparenze, è stata la "presenza" di Colui a cui preme la mia vita ed ha conquistato pienamente il mio cuore.
Allora, pieno di gratitudine, guardo a Lui e mi basta sapere che è qui "ora"…
Perché fra le innumerevoli parole che hanno riempito la vita di questo anno ed hanno avuto l'effetto, molto spesso, di annebbiarmi la vista, ce ne è stata una che ha vinto sulle altre: Lui, la Parola fatta Persona.
Somma gratitudine per l'esperienza, pur nella mia inadeguatezza, di come la Parola abbia illuminato la mia persona. Non sono stato tanto io a "scoprire" la Parola, quanto la Parola ha scoperto me… È stata Lei a dare senso e sapore a tutta la mia vita, a farmi cogliere il filo d'oro che lega la mia esistenza.
E prima ancora di scoprire le "singole" Parole, ho incontrato la Parola come Persona, Gesù, che mi ha conquistato. E ne è seguito un rapporto nuovo con quanto Lui mi andava dicendo, con la sua Parola, con Lui Parola.
Più tardi, sotto questa luce, ha compreso meglio le singole parole che potevo vivere volta per volta, ma non come una semplice "pratica" buona, a volte ascetica, ma come momenti di unità con Gesù… Era incontrarmi con Lui. Ed in Gesù, nella persona di Gesù, ho trovato l'unità di tutto il Vangelo.
Ho sperimentato che ogni Parola del Vangelo è un modo di manifestarsi di Gesù, un seguire Lui!

Ma la Parola non illumina solo me, ma anche chi sta con me, chi sta di fronte a me quando cerco di "farmi uno" con lui… Soprattutto con chi è lontano dalla pratica religiosa o non frequenta la chiesa. È scoprire e mettere in luce quello che di buono e di vero c'è nell'altro, quei "semi del Verbo" presenti in tutti.
E con somma gratitudine posso affermare che se io sono "parola viva", se la Parola vive in me, allora l'altro è messo in grado di esprime, con tutta sincerità, il suo genuino rapporto con Dio, di mettere in comune quei germi di verità che albergano nel suo cuore e danno senso alla sua vita.

…e la Parola si fa carne!



venerdì 30 dicembre 2011

Madre di Dio


1° gennaio, Maria SS.ma Madre di Dio

Appunti per l'omelia

Il nuovo anno si apre con la solennità di Maria, Madre di Dio, la Theotókos.
Alla sua materna intercessione affidiamo i doni di Grazia che il Padre elargisce a piene mani su ciascuno di noi ed invochiamo sul mondo intero il dono della pace. Pace che il Figlio di Dio è venuto a portare tutti. Pace che il Figlio, "nato da donna", ci ha donato, riscattandoci dalla schiavitù e rendendoci figli ed eredi (cfr. Gal 4,4-7). Pace che oggi ci interpella in una prospettiva educativa per i giovani, "nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo", come ci ricorda il messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della 45a Giornata Mondiale della Pace (Educare i giovani alla giustizia e alla pace).

In questa prospettiva guardiamo a Maria, la Regina della Pace. E come i pastori di Betlemme glorifichiamo e lodiamo Dio per quello che abbiamo udito e visto (cfr. Lc 2,16-21). Guardiamo a Maria nello stupore di una contemplazione, per quanto Dio ha operato in una creatura.
Scrive Chiara Lubich a questo proposito: «Maria non era solo […] la giovinetta di Nazareth, la più bella creatura del mondo, il cuore che contiene e supera tutti gli amori delle mamme del mondo, ma: era Madre di Dio. Ella ci appariva d'una dimensione rimasta fino allora a noi completamente ignota, era come la conoscessimo la prima volta.
Perché prima vedevamo Maria di fronte a Cristo e ai santi - per fare un paragone -, come nel cielo si vede la luna (Maria) di fronte al sole (Cristo) e alle stelle (i santi). Ora no: la Madre di Dio abbracciava, come un enorme cielo azzurro, il sole stesso, Dio stesso.
Maria, infatti, è Madre di Dio perché è madre dell'umanità dell'unica Persona del Verbo, che è Dio, il quale ha voluto farsi uomo. […]
Maria, che si contemplava contenuta nella Trinità, ci appariva perciò contenente, in un suo modo particolare, a causa del Figlio, la Trinità. […]
A questa comprensione di Maria la nostra anima avrebbe voluto gridare: solo ora abbiamo conosciuto Maria!
Contemplando Maria Madre di Dio, e per questo fatta da Dio capace di contenere, in certo modo, la Trinità, san Luigi Maria Grignon di Monfort scrive: "Nel paradiso medesimo, Maria è il paradiso di Dio e il suo mondo ineffabile, in cui il Figlio di Dio è entrato per operarvi meraviglie, per custodirlo e per trovarvi le proprie compiacenze. Dio ha fatto un mondo per l'uomo viatore, questo nostro; ha fatto un mondo per l'uomo beato, il paradiso; ma ne ha fatto un altro per sé e gli ha dato il nome di Maria"»1.

Così appare a noi oggi, nella luce del Natale, l'amore di un Dio che, per amore, si abbassa e annienta se stesso (cfr. Fil 2,7), manifestando così il suo vero volto.
Ora, questo "annullarsi di Dio", che nel Figlio ha avuto il suo culmine sulla Croce, iniziò nel seno di Maria, divenendo così modello per ogni credente e per tutti gli uomini che credono in una vera fraternità fra i popoli.


1. Chiara Lubich, Maria, trasparenza di Dio, Città Nuova 20032, pag. 24-25.



venerdì 23 dicembre 2011

Dar vita a Gesù, oggi!


Natale del Signore

Appunti per l'omelia.

Tutta la Chiesa nella notte santa è in veglia e con Maria sta vivendo nell'attesa della nascita del Signore.
Il Natale è un giorno di gioia grande, perché Dio si fa uno di noi, condivide la nostra storia, viene ad abitare in mezzo a noi, uomo fra gli uomini, per portare a tutti la sua vita, la sua pace e a farci partecipi della sua divinità.
È luce che squarcia le tenebre che ci tengono prigionieri.
Potrebbe sembrare luce "piccola", che molti non sanno riconoscere e che paragonano alle mille luci di cui è avvolta la nostra vita in questo particolare periodo.
Ma è luce "grande", perché è luce di Dio.
Il Natale ci rammenta la grande realtà che tutti siamo chiamati ad offrire al mondo.
Quel Gesù, che è nato duemila anni fa, è il Gesù che in certo modo nasce e vive in mezzo a noi oggi, se viviamo e rinnoviamo sempre il nostro reciproco amore. Dar vita a Gesù fra noi è per i cristiani il loro primo dovere. È il perché fondamentale della nostra presenza nel mondo, è continuare la Sua opera: "da questo riconosceranno che siete miei discepoli…".
Il Natale ci interpella sempre, ci fa entrare in noi stessi, ci pone davanti al Mistero di un Dio che si fa uomo, della Santità divina che si fa umanità concreta.
Ognuno di noi arricchisce la propria vita di propositi, di buone intenzioni…
Ed anche noi potremmo dire: come posso prendermi il lusso di tendere alla santità, se il Santo non è fra noi? Come posso permettermi di diventare perfetto, se il Perfetto non è fra noi?
Allora penso che la strada giusta per noi sia proprio questa: stabilire e ristabilire la sua presenza fra noi con quell'amore di servizio, con quell'amore partecipazione ai dolori, ai pesi, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli, con quell'amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico di chi vuol seguire Gesù.
È prendere quell'impegno di far sì che, per questo amore, il Risorto, che ha promesso di essere con la sua Chiesa fino alla fine del mondo, sia anche oggi tra noi. E su questa base vivere attimo dopo attimo la volontà di Dio.
Questo è quanto dovremmo fare in questo tempo, in cui la Parola ci sprona ad attuare, come Maria, la volontà di Dio. E per noi, come per Lei, la Sua prima volontà è quella di dar vita a Gesù.
Solo così potrò vivere oggi, in pienezza, questo meraviglioso Natale.


venerdì 16 dicembre 2011

Essere un'altra Maria


IV domenica di Avvento (B)

Appunti per l'omelia.

In questa quarta domenica di Avvento, in attesa del Natale ormai imminente, è particolarmente presente la figura di Maria. In lei, nel suo consenso alla volontà di Dio, si realizza per l'umanità l'evento della salvezza. In lei il Verbo di Dio prende "casa" su questa terra. Nella famiglia di Nazaret, nella famiglia di Giuseppe e di Maria, il Figlio dell'Altissimo entra nella storia, entra a far parte di uno di noi, diventa noi.
Il re Davide, come leggiamo nel secondo libro di Samuele, pensa che sia necessario costruire una "casa" per il Signore, perché Egli abiti stabilmente in mezzo al suo popolo. Ma sarà il Signore stesso a promettere per il suo popolo una casa ed un regno stabile per sempre. Sappiamo bene però che questa promessa si realizza in Gesù, quando Maria, con il suo "Sì", diviene dimora e tabernacolo del Figlio di Dio.
Il vescovo sant'Andrea di Creta, ricordando la natività di Maria, scrive nei sui Discorsi: «Questo è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore». Chiamata ad essere il Paradiso di Dio!
Maria, con il suo "Sì", con l'adesione alla Parola del Padre, ha realizzato il suo meraviglioso disegno, ha reso la Parola esistenza umana, permeata lei stessa di Parola, tutta rivestita di Parola.
Come per Maria, anche per noi c'è un progetto da compiere. E Dio attende il nostro "sì"; chiede anche a noi di accogliere con docilità la sua Parola, essere anche noi altre piccole Maria e ripetere con Lei: Avvenga per me secondo la tua parola.
E dar vita anche oggi al Cristo in questo mondo assetato di divino.


mercoledì 14 dicembre 2011

Notte e Luce


Pensando a San Giovanni della Croce, di cui oggi facciamo memoria, alla sua esperienza mistica, alla sua notte oscura, al suo "Nada", mi sono chiesto come poter rendere attuale questo incontro con Dio e come arricchire la spiritualità diaconale (che è rivolta al servizio dei fratelli, a Dio nei fratelli che siamo chiamati a servire e che incontriamo amando i fratelli) con i frutti di cui parla San Giovanni della Croce, ed animare una comunità dove si possa sperimentare la Luce di Cristo.
Questo essere "nulla", questo "annullarsi" per amore nel fratello, questo "farsi uno" con lui e condividere ogni suo dolore ed ogni sua gioia, mi pare possa essere una strada percorribile ed adatta a tutti.
Mi è di luce, a questo proposito, uno scritto di Chiara Lubich:

«San Giovanni della Croce […] arrivò a disporre la sua anima nella migliore disposizione perché Dio la riempisse. Infatti egli con la sua notte oscura fu il polo negativo che unito a Dio – polo positivo – fa splendere o scaturisce la Luce in sé.
Noi invece siamo polo negativo e polo positivo tra fratelli. […] Il loro contatto dà la Luce di Gesù fra essi e quindi in ambedue. Noi portiamo davvero il Regno di Dio sulla terra. Infatti Dio è fra noi e attraverso noi questa corrente d'amore (che è la corrente dell'Amore trinitario) passa per il mondo in tutte le membra del Corpo Mistico, tutta illuminando».
(Chiara Lubich, citato in "Nuova Umanità", n° 196/197, p.510).


(Foto: Barisani, "Luce nella notte", tecnica mista su tela, 2002, 80x100).

venerdì 9 dicembre 2011

La gioia di essere testimoni



III domenica di Avvento (B)

Appunti per l'omelia.

Anche in questa terza domenica di Avvento la figura di Giovanni Battista ci prepara ad incontrare Colui che, pur essendo già in mezzo a noi, noi non siamo sempre in grado di riconoscere: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26). La Parola di Dio ci invita ad accoglierlo con la gioia nel cuore, perché il Signore Gesù, colui che attendiamo, ci trovi vigilanti nella carità: è nell'amore infatti che lo possiamo riconoscere ed incontrare.
"Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie… Non spegnete lo Spirito…" (1Ts 5,16.18.19), ci rammenta l'apostolo Paolo.
Dio, che ci ha amati fin dall'eternità, vuole farci partecipi, nella gioia, di questo meraviglioso incontro.
È l'incontro con Colui che viene "a portare un lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazie del Signore" (Is 61,1,2).

Gli uomini del nostro tempo sono nell'attesa di un mondo nuovo. Ma anche ci chiediamo tutti, uomini e donne, se potrà mai esserci Qualcuno che darà pienamente senso alla nostra precarietà, alla nostra mancanza di libertà, ai nostri condizionamenti; se ci sarà posto per quella speranza che non fa intristire i nostri cuori e ci fa guardare in alto.
È ancora vero che ai miseri è annunciata una buona notizia e che le nostre piaghe saranno fasciate? Ci sarà qualcuno che renderà attuale questa profezia? E la nostra attesa potrà avere un senso?
Sono gli interrogativi di questo nostro tempo che ha perso il senso profondo del suo esistere e si interroga, giustamente, se coloro che si presentano come annunciatori di novità e di speranza sono in grado ancora, e non solo a parole, di rendere giustizia di questa attesa.
I cristiani di oggi sono testimoni di quella luce che guida ed indica la strada? Anche oggi ci viene chiesto di mostrare la nostra identità, di spiegare se i gesti che mettiamo in essere sono appannaggio di potere o sono servizio all'umanità.
Abbiamo la coscienza di essere "voce" di Colui che viene, "voce" di Colui che è la "Parola" che tutto crea e tutto rinnova?
Se siamo "voce che grida nel deserto", è per preparare la strada alla "Parola che deve prendere carne", con la coscienza che noi non siamo la Parola, "e che non siamo degni nemmeno di slegare il laccio del sandalo di Colui che viene" (cf. Gv 1,27).
Il nostro, di cristiani coscienti della nostra missione nel mondo, è il servizio di colui che è servo, che sa lasciare il posto al suo Signore, che sa fare spazio alla sua presenza, che sa scomparire perché Lui solo sia quella Luce che illumina il mondo.
È essere quel "nulla" d'amore, che è un "pieno" di vita, di gioia, di grazia nello Spirito.


martedì 6 dicembre 2011

Per una nuova evangelizzazione (2)


Del numero 168 della Rivista Il Diaconato in Italia (Per una nuova evangelizzazione: il volto missionario della Chiesa oggi) ho riportato, nel mio sito di testi e documenti, alcuni articoli che ritengo di particolare attualità.

In particolare segnalo l'articolo di Giovanni Chifari, da titolo Nuova evangelizzazione e corresponsabilità.

Alcuni stralci.

Le radici remote: «Là dove si innalza la croce sorge il segno che v'è giunta ormai la Buona Novella della salvezza dell'uomo mediante l'Amore. Là dove s'innalza la croce, v'è il segno che è iniziata l'evangelizzazione... Con essa abbiamo ricevuto un segno... È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso. La croce sta alta sul mondo che volge» (Giovanni Paolo II). Dobbiamo chiederci quanto queste parole riescano a legare la memoria degli eventi del passato con la profezia del tempo presente, nel quale lo Spirito continua a parlare alle Chiese (cf. Ap 2,7). Ma anche chiederci: cos'è cambiato? Cosa c'è di nuovo? Quale intelligenza spirituale del nostro tempo? Quale apporto del diacono permanente?

L'osservazione dell'indebolimento progressivo e costante dell'evangelizzazione classica, «segno di una crisi di fede», può essere tuttavia opportunità per riscoprire «un'evangelizzazione nuova nel suo ardore come primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità». Itinerario che richiede analisi e verifica dell'autocoscienza ecclesiale, di un'identità, servizio e missione, alla quale si chiede di mostrare il volto di Dio, il suo amore e la sua volontà di salvezza.

Servizio e missione: che dovrà ripartire dalla «rilettura della memoria della fede», in vista di «nuove responsabilità» e «nuove energie» per proclamare il Vangelo.
"Missione" da abbracciare senza sufficienza e ripiegamento narcisistico. Annunciare il Vangelo di Cristo, è un servizio, ma anche una missione che si estende in ogni ambito della vita dell'uomo, dalla famiglia, la scuola, la cultura, il lavoro, il tempo libero e gli altri settori della vita sociale.

Sul diaconato (speranze e lacune).
In modo diretto il documento sulla N.E. fa riferimento al diaconato, nell'ultima domanda del terzo capitolo, in quella parte del testo dedicata alla «verifica di tutti i luoghi e le azioni di cui la Chiesa dispone per annunciare al mondo il Vangelo». Riportiamo per intero la domanda: «In che modo il ministero del diaconato, ripristinato di recente, ha trovato in questo mandato evangelizzatore uno dei contenuti della sua identità?» (L 22, domanda n. 30). La sottolineatura «ripristinato di recente», mentre da un lato da l'idea di una sorta di rodaggio che riguarda l'esercizio del diaconato, dall'altro delinea il cammino che c'è ancora da fare per una sua piena accettazione e comprensione. Quest'ultima passa certamente dall'analisi e approfondimento dell'identità teologica, sacramentale ed ecclesiale del diaconato permanente.
Il tratto che contraddistingue la «grazia fondamentale specifica» (ON 7) trova nell'ambito della missione e dell'evangelizzazione un luogo di esercizio della propria diaconia. Colpisce scorrendo il documento degli Orientamenti e Norme, che l'identità e il ruolo del diaconato sia a volte accostato al termine "disponibilità", che traduce la partecipazione «al servizio ecclesiale secondo la specificità e la misura dell'Ordine ricevuto» (ON 7). Disponibilità dice, infatti, l'abbandono fiducioso del discepolo e il primato dell'opera di Dio, della quale si è servi e strumenti. Il ministero diaconale sembra pertanto svolgere un ruolo significativo in quel processo di autocomprensione ecclesiale, custodendo e testimoniando la disponibilità della Chiesa alla missione sia ordinaria che ad gentes (cf. ON 8), contribuendo a far crescere la Chiesa, vivendo la propria identità e conformazione a Cristo Servo, come «realtà di comunione, di servizio e di missione» (ON 6).
Sul piano strettamente pastorale, invece, la verifica dei percorsi in atto, il coinvolgimento non sempre auspicato ed anche accolto, rivela la necessità di un cammino di maggiore approfondimento e ricerca di un contributo chiamato a «condurre a un profondo rinnovamento del tessuto cristiano delle comunità ecclesiali mediante la testimonianza della carità» (ON 8). La nota dei Lineamenta per certi aspetti stenta ad accogliere tale cooperazione. L'apporto del diaconato all'esigenza di rinnovamento del tessuto cristiano delle nostre comunità, sebbene avvertito come necessario e decisivo, sembra come evaporato e poco percepito. Una prospettiva che potrebbe consentirne il recupero è forse quella della "corresponsabilità" che la Nota dopo Verona auspica come stile che traduce la consapevolezza dell'identità, responsabilità e servizio di ognuno. Quando il testo dei Lineamenta, deve approfondire il tema delle Chiese locali soggetti delle trasmissione (della N.E.) invece non lo fa, e neanche fa riferimento al diaconato.
Se la «ricchezza e la varietà di ruoli e ministeri» che compongono la Chiesa, includono certamente il riferimento al diaconato, perché esso non è presente in quelle figure delle quali si dice che "fioriscono" intorno al Vescovo per compiti e competenze? Allo stesso modo la figura del diacono è dimenticata quando si parla della formazione e del sostegno dei soggetti dediti all'evangelizzazione e all'educazione al n. 22.
La nota dei Lineamenta segnala inoltre la necessità che nel processo evangelizzatore la Chiesa «trovi energie per rimotivare quei soggetti e quelle comunità che mostrano segni di stanchezza e di rassegnazione», ritenendo ciò necessario per garantire «il volto futuro delle nostre comunità».

C'è bisogno dunque di mediatori, e anche qui, i diaconi hanno qualcosa da dire e Qualcuno da testimoniare. Diaconi come coloro che «fedeli alla terra», e "aperti al cielo" annunciano un volto di Chiesa che è tale "solo se esiste per gli altri".

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sabato 3 dicembre 2011

La nostra conversione


II domenica di Avvento (B)

Appunti per l'omelia.

Nell'attesa della manifestazione del Signore Gesù (cf. 1Cor 1,7), facciamo di tutto perché Dio ci trovi in pace, senza colpa e senza macchia (cf. 2Pt 3,14).
Al Dio che viene, presentiamo noi stessi in un cammino di conversione del cuore che esprima nell'oggi che ci è dato il tutto di Dio.
L'invito che ci viene rivolto da Giovanni Battista è di preparare una "dimora" a quel Dio-Uomo che ha deciso di prendere su di sé tutto di noi; a Qualcuno che è più grande di noi, ma che si è fatto l'ultimo di noi per renderci degni di essere come Lui.
Il suo infatti è un battesimo nello Spirito Santo, un'immersione nella massima espressione dell'Amore della Trinità, la morte del Figlio; quella morte che è massima espressione di Vita.
È la speranza che viene annunciata al mondo, oggi!
È essere "voce" che grida nel deserto dell'oggi, perché la Parola prenda carne in noi e fra noi, affinché questa umanità diventi dimora del Dio-con-noi.
È affascinante questa missione del Battista: una "speciale diaconia" che prepara i cuori all'incontro col Cristo e dispone la comunità ad essere carità concretamente vissuta che esprime, pur nella sua diversità, una unità feconda, dove "ogni valle è innalzata, dove ogni monte ed ogni colle sono abbassati ed il terreno accidentato si trasforma in piano e quello scosceso in vallata; dove si potrà sperimentare la gloria del Signore e tutti insieme la potranno vedere, perché così il Signore ha disposto" (cf. Is 40,4-5).
È il segreto di ogni diaconia: carità concreta che conduce all'unità!