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venerdì 30 settembre 2011

Ministri della Parola


La memoria odierna di san Girolamo, conoscitore vivo e penetrante della Sacra Scrittura, mi ricorda la nostra responsabilità nei confronti della Parola.
Scrive san Girolamo: «Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: "Scrutate le Scritture" (Gv 5,39), e: "Cercate e troverete" (Mt 7,7), per non sentirmi dire come ai Giudei: "Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio" (Mt 22,29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo» (Dal Prologo al commento del Profeta Isaia).
Così, nel Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, al n° 23, è scritto: «Il Vescovo, durante l'ordinazione consegna il libro dei Vangeli con queste parole: "Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l'annunciatore". […] Funzione principale del diacono è, quindi, collaborare con il Vescovo e i presbiteri nell'esercizio del ministero non della propria sapienza, ma della Parola di Dio, invitando tutti alla conversione e alla santità».
Nel consegnare il libro dei Vangeli, il Vescovo continua: «Credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».
Conoscere le Scritture è vivere di Cristo, e testimoniare con la vita le parole che proclamo è affermare la loro verità.


martedì 27 settembre 2011

Seguire il Maestro



"Il più piccolo tra voi, questi è grande" (Lc 9,48) … senza sentirci superiori a nessuno, né porci su un gradino più alto, perché siamo di Cristo!
Piuttosto saper accogliere chiunque, anche se non dei nostri (cfr. Lc 9,50), come compagni di lavoro nella vigna del Signore, che è il mondo.
Così molti potranno dire: "Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi" (Ez 8,23).
Le difficoltà, infatti, per il compimento dei disegni di Dio molto spesso vengono dall'interno del gruppo dei discepoli. Per questo ci meritiamo il rimprovero di Gesù, che per sé prende la ferma decisione di andare a Gerusalemme per essere crocifisso (cfr. Lc 9,51).
San Policarpo, nella Lettera ai Filippesi scrive dei diaconi: «Ben sapendo, dunque, che "non ci si può prendere gioco di Dio" (Gal 6,7), dobbiamo camminare in modo degno dei suoi comandamenti e della sua gloria. I diaconi camminino nella santità sotto lo sguardo di Dio santo, quali ministri suoi e del Cristo, e non si curino degli apprezzamenti degli uomini. Non siano calunniatori, non falsi; non siano attaccati al denaro (cfr. 1Tm 3, 6 ss.). Saggi in ogni cosa, compassionevoli, solleciti, camminino secondo la verità del Signore che si fece servo di tutti».

A noi seguire il Maestro, perché il seme messo sotto terra, morendo, porti frutto: la sua "verità, infatti, è essere servo di tutti!


domenica 25 settembre 2011

Essere figli di Dio




"È veramente figlio di Dio chi fa la volontà del Padre" (cfr. Mt 21,28 ss).
Quello che ci affranca nella partecipazione alla figliolanza divina è il nostro "fare" la volontà del Padre, con tutto noi stessi, andando oltre le nostre parole e i nostri propositi. Il frutto: partecipare alla Vita del Figlio Gesù, alla sua Risurrezione.


Mi sono di luce le parole di san Policarpo nella sua lettera ai Filippesi:

«[…] "Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione" (1Pt 1,13), "servite Dio con timore" (Sal 2,11) e nella verità, lasciando da parte le chiacchiere inutili e gli errori grossolani e "credendo in colui che ha risuscitato nostro Signore Gesù Cristo dai morti e gli ha dato gloria" (1Pt 1,21), facendolo sedere alla propria destra. […]
Colui che lo ha risuscitato dai morti, risusciterà anche noi, se compiremo la sua volontà, se cammineremo secondo i suoi comandi e ameremo ciò che egli amò, astenendoci da ogni specie di ingiustizia, inganno, avarizia, calunnia, falsa testimonianza, "non rendendo male per male, né ingiuria per ingiuria" (1Pt 3,9), colpo per colpo, maledizione per maledizione, memori dell'insegnamento del Signore che disse: Non giudicate per non esser giudicati; perdonate e vi sarà perdonato; siate misericordiosi per ricevere misericordia; con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi (cfr. Mt 7,1; Lc 6,36-38) e: Beati i poveri e i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (cfr. Mt 5,3.10). […]».

È un cammino che si deve fare singolarmente, per poterlo poi portare a compimento "insieme", nella comunità che siamo chiamati a servire ed animare.

venerdì 23 settembre 2011

Il Diaconato in Italia: La sfida educativa




Del numero 167 della Rivista Il Diaconato in Italia ho riportato, nel mio sito di testi e documenti, alcuni articoli:






Maestro è chi insegna a sperare
di Giuseppe Bellia

Educare è un'arte, è una missione, è, appunto, una paideia. Una parola, questa, nobile che ha traversato secoli, civiltà, culture e che oggi è divenuta muta e quasi arcana perché, in un'epoca di assenza di padri e di maestri, sembra solo evocare reminiscenze lontane, bibliche e filosofiche cariche di struggenti, antiche suggestioni che non riescono però ad avere alcuna effettiva presa sul mondo della scuola e su quello giovanile in particolare. Ci si chiede come si è arrivati a questo punto. Leggi tutto…

Il linguaggio pedagogico di Gesù
di Carlo Maria Martini

Gesù parlava in parabole. Basta scorrere le pagine dei Vangeli per averne la prova. E dobbiamo presumere che non lo facesse raramente, a giudicare dal numero di parabole che gli evangelisti ci hanno trasmesso. Alcuni passi inducono addirittura a pensare che Gesù non parlasse alla gente in altro modo che in parabole. Si ha l'impressione che Gesù considerasse questo modo di esprimersi come il più adeguato alla capacità di comprensione degli ascoltatori e quindi il più adatto a trasmettere efficacemente il suo messaggio. Leggi tutto…

Per una pastorale formativa
di Franco Giulio Brambilla

La prospettiva formativa e pedagogica è il punto di vista specifico e la scelta storica di questo decennio che si è appena aperto per costruire l'identità e l'unità della coscienza. Qui il discorso si fa esplicitamente pastorale, ma diventa anche insidioso, di fronte alle concezioni più diffuse del rapporto di trasmissione delle forme buone della vita e della possibilità di dare "forma cristiana" a questi cammini. Leggi tutto…

La speranza per vincere la sfida
di Giovanni Chifari

Educare è una "cosa del cuore". Più che indicare un retaggio di sentimentalismo, quest'affermazione, patrimonio della tradizione dell'educazione cristiana, sembra suggerire la necessità di una relazione autentica fra educatore ed educando, e la possibilità, nella distinzione dei ruoli, di poter rinviare a Colui che ha le chiavi di questo cuore, al quale maestro e allievo saranno chiamati a conformare la propria esistenza. Leggi tutto…



mercoledì 21 settembre 2011

Sentirsi amati per amare


La scena del pranzo che segue alla chiamata di Matteo (cf Mt 9,9-13), mi ricorda l'amore preferenziale di Gesù per i peccatori, di qualsiasi tipo, che hanno accolto il suo invito alla conversione e l'anno fatto entrare in casa loro.
Mi ricorda anche il "mormorio" dei lavoratori della "prima ora" (cf Mt 20,1-16): certo i primi, i "bravi", con Gesù non fanno mai bella figura!
Non si tollera infatti che gli altri stiano sullo stesso piano: il nostro valore e il nostro prestigio risaltano meglio finché gli altri rimangono un gradino sotto di noi!
Come è vero invece che per avere misericordia, condizione essenziale per entrare in comunione con il Cuore di Dio, è necessario aver fatto noi stessi esperienza della Sua misericordia e del Suo perdono! Sentirsi serviti da Lui per servire i fratelli e sentirsi custodi per poter custodire: riconoscere cioè la Sua presenza nella nostra vita.
Quando mi guardo attorno e vedo le persone che mi sono state affidate, come posso accoglierle, se io mi sento più bravo di loro, se faccio fatica a frenare il mio giudizio verso quelli che non stanno al mio passo o secondo i miei programmi?
Quanto indispensabile invece è questa misericordia che soppianta ogni sacrificio!
L'evangelizzazione a cui siamo chiamati necessita di un supplemento d'anima: non è solo questione di annuncio, è anche e soprattutto sostegno alla riscoperta della fede, aiuto a far sì che i vari terreni su cui viene gettato il seme della Parola possa diventare "terreno buono", perché dissodato, liberato da rovi e sassi ed alimentato con terra buona.
Anche questo è "educare" alla vita buona del Vangelo!


mercoledì 14 settembre 2011

Il "vuoto" che è un "pieno"!


Festa della Esaltazione della santa Croce.
Gesù "svuotò se stesso", "assunse una condizione di servo", "divenne simile agli uomini", "umiliò se stesso", "si fece obbediente": cinque verbi che san Paolo (cf Fil 2,6-8) usa per indicare l'abbassamento del Figlio di Dio. Condizione essenziale perché Egli fosse "esaltato" e costituito Signore. Via da percorrere per ogni discepolo del Maestro, modello di ogni diaconia che sia segno efficace dell'essere di Dio nel mondo. Dio infatti agisce così!
È in questo "vuoto" che potrò cogliere fino infondo la mia identità e far traboccare quella "pienezza" che è grazia di Dio per gli uomini.
È in questo "nulla" che ritrovo il "tutto", dove il "non-essere" è "essere", perché amore!


domenica 11 settembre 2011

Interdipendenza e fraternità universale



In occasione del decimo anniversario della tragedia delle Torri Gemelle, viene spontaneo chiedersi se il mondo abbia fatto progressi positivi di incontro, di riconoscimento reciproco, di legami di fraternità, di superamento delle differenze...
Si potrebbe anche rimanere sconcertati di fronte ai fatti che quotidianamente succedono di continue violenze e di odio, ma sono pienamente convinto che la fraternità universale avanza, in maniera più o meno appariscente, perché un fatto è certo: siamo sempre più legati gli uni agli altri e la fraternità trova le sue vie nello stato di necessità. È un imperativo farla crescere, pena l'implosione del globo. Le convulse vicende della storia, in questa inevitabile interdipendenza ci spingono a lavorare per dare un'anima alla storia, un supplemento d'anima, all'Europa, al rapporto con il mondo musulmano, ai rapporti tra Oriente ed Occidente, all'opera per la giustizia.
Di fronte al rischio dello scontro tra le civiltà, l'idea dell'interdipendenza virtuosa, positiva, è una risposta alle attuali sfide globali.

Il prof. Benjamin Barber, politologo americano, ha fondato le Giornate dell'Interdipendenza. La prima ebbe inizio a Philadelphia il 12 settembre 2003.
In un'intervista Barber spiega che "Interdipendenza significa che noi possiamo creare un mondo che sia sicuro per tutti, oppure un mondo che non è sicuro per nessuno". "Poiché le sfide che ci troviamo ad affrontare oggi sono sfide globali, anche le risposte fornite devono essere tali. Da questo è nata l'esigenza di una Giornata dell'Interdipendenza e di una Dichiarazione dell'Interdipendenza". "Le nostre risposte devono essere frutto di un sistema di interdipendenza virtuosa, un nuovo sistema transnazionale di diritto internazionale, cooperazione multilaterale e governance sociale globale".
In quel 12 settembre 2003, a Philadelphia, venne stilata la Dichiarazione di Interdipendenza.


Noi popoli del mondo siamo qui a dichiarare la nostra interdipendenza come individui e membri di distinte comunità e nazioni; impegniamo a questo scopo noi stessi, cittadini di un CivWorld, civico, civile e civilizzato.
Senza pregiudizi nei confronti dei beni e degli interessi di ciascuna identità regionale o nazionale, riconosciamo le nostre responsabilità nei confronti del bene comune e della libertà del genere umano nel suo insieme.
Inoltre ci impegniamo a lavorare sia direttamente che attraverso le nazioni e le comunità di cui siamo cittadini:
- a garantire giustizia ed uguaglianza a tutti, stabilità di diritti umani ad ogni persona del mondo, assicurando che persino l'ultimo fra noi, possa godere delle stesse libertà del primo e del più forte;
- a forgiare condizioni ambientali sicure e globalmente sostenibili – condizioni essenziali per la sopravvivenza umana – che costino a ciascun popolo in base alla ricchezza prodotta;
- ad offrire ai bambini, che sono il comune futuro, attenzione e protezione particolari nel distribuire i beni da cui dipendono specialmente salute ed educazione;
- ad istituire forme di democrazia civile e legale, per garantire diritti e realizzare intenti;
- a favorire politiche ed istituzioni democratiche che esprimano e proteggano l'intera comunità umana;
- e allo stesso tempo, ad alimentare spazi di libertà in cui le nostre differenti religioni e identità etniche e culturali possano fiorire affinché ognuno possa vivere la sua vita con uguale dignità, protetto da qualsiasi egemonia politica, economica o culturale che sia.



sabato 10 settembre 2011

Il perdono, ricchezza di Dio


Di fronte alla domanda dell'apostolo Pietro se è da magnanimi perdonare sette volte, la risposta di Gesù, come ci viene raccontato dal vangelo di Matteo (Cf Mt 18,21-25), non ha equivoci: ci rivela il vero volto di Dio.
Riporto alcuni stralci del commento della teologa Marinella Perroni, che sintetizzano il nostro rapportarsi nella comunità dei credenti ed oltre.


«Il tratto distintivo della comunità dei discepoli non può essere altro che il perdono. Per Gesù, Dio è il Dio del perdono, la giustizia di Dio sta nella sua misericordia. Il perdono deve divenire lo stile di vita comunitario…
Il perdono non è un esercizio ascetico di pazienza fraterna, e la cifra emblematica di "settanta volte sette" non ne costituisce un'unità di misura ma, piuttosto, un'attestazione di incommensurabilità.
Troppo spesso la tradizione teologica ha insistito sul fatto che Gesù compie la volontà di Dio nel momento in cui accetta la morte. È del tutto lecito però chiedersi se il Dio amante della vita potesse avere per il suo Messia progetti di morte. Il compimento della sua volontà non sta, invece, proprio nella volontà di capovolgere l'auspicio di Lamech e attestare che anche agli uomini è possibile ciò che è possibile a Dio, cioè perdonare?
Il perdono, prima di essere una prassi, deve essere un modo di pensare, un atteggiamento del cuore e della mente, un convincimento profondo. Gesù lo chiede a Pietro, perché lo chiede alla sua Chiesa. La Chiesa è realmente la "sua" Chiesa nella misura in cui diviene luogo di condono di ogni debito».

Se la comunità cristiana è il luogo del "condono di ogni debito", il luogo dell'accoglienza nella misericordia di Dio, nonostante la sua storia recente e passata, è lecito chiedersi quale sia il mio e nostro "essere" in questa comunità, nella quale siamo chiamati a "servire" e dare certezza del "perdono di Dio", arginando le fughe causate dalla mancanza di amore.


martedì 6 settembre 2011

Uscire dal recinto per incontrare l'uomo



Nel numero168 (maggio/giugno 2011), la Rivista Il Diaconato in Italia ha pubblicato l'intervista che Vincenzo Testa mi ha fatto, nel ciclo delle varie interviste che periodicamente vengono pubblicate. Il titolo è Uscire dal recinto per incontrare l'uomo.
Ho riportato l'intervista integrale nel mio sito di testi e documenti.
Molto di quello in essa è detto è stato ripreso da quanto vado scrivendo in questo blog. Qui vorrei, perché significativa della mia coscienza di diacono, riportare la risposta alla domanda: Quale è la tua opinione sullo sviluppo del ministero diaconale da dopo il Concilio ad oggi?

«Più che dare una mia valutazione personale sullo sviluppo del diaconato (basta leggere gli articoli della Rivista per rendersene conto di cosa sia il diaconato nella storia postconciliare, delle sue luci e delle sue ombre), penso che si debba guardare con quale "spirito" è stato attuato quanto il Concilio ha espresso. Se la visione "profetica" che sottende ad ogni azione dello Spirito ha avuto il sopravvento nel rinnovamento della Chiesa ed è stata la forza portante anche del diaconato, allora si sono visti sviluppi positivi, anche se non esaustivi, come è stato per i primi tempi.
Quando invece ha avuto il sopravvento una visione "funzionale" del ministero diaconale, allora le cose sono andate a rilento, non supportate da una visione a largo respiro, e si è ricaduti in una situazione di stasi che ha in certo senso tarpato le ali e tolto il respiro. La conseguenza è stata una riduzione, in alcune diocesi, delle ordinazioni ed uno stato di insoddisfazione nei diaconi, con un conseguente adagiarsi su ordinari incarichi parrocchiali di supplenza.
Ritengo che il diaconato abbia un fruttuoso futuro solamente in una genuina esperienza di chiesa di comunione. È lì che io vedo collocato il futuro del diaconato, in una "collegialità affettiva ed effettiva" tra diaconi e sacerdoti, col Vescovo, segno di una costruttiva corresponsabilità nel servizio a favore della comunità ecclesiale.
La grazia del diaconato, ripristinato come forma permanente di ministero dopo parecchi secoli di oblìo, è una delle "novità" che lo Spirito ha elargito alla Chiesa del nostro tempo. È un "vino nuovo" che ci è stato offerto! Alle volte mi chiedo perché questo "nuovo" stenti ad essere non solo accolto, ma compreso. Mi ritorna in mente la verità del vangelo: "Vino nuovo in otri nuovi!". Purtroppo i diaconi esercitano molto spesso il loro ministero con modalità e mentalità in cui non sempre viene in luce quel "nuovo" che il Concilio Vaticano II ha portato nella Chiesa. È un fatto (e penso che ognuno ne faccia concreta esperienza): "Nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!".
È più facile restare ben saldi nell'esistente già ben sperimentato, nelle pratiche religiose consolidate, che non affidarsi a quella novità dello Spirito che ci spinge ad "uscire" dal recinto per andare incontro all'umanità che non desidera altro che sperimentare nella comunità dei discepoli l'amore di Dio per noi.
Le esperienze che si tenta di porre in atto nelle varie diocesi, lodevoli per molti versi, non soddisfano, a mio parere, la spinta profonda e profetica che il ministero diaconale è chiamato a portare nella chiesa oggi. Non è una spartizione ed organizzazione di incarichi pastorali o una emergenza di supplenza, che pur si deve fare, ma vivere, assieme ai preti e a tutta la comunità, una comunione che renda visibile non una struttura ben organizzata, ma la possibilità dell'esperienza della presenza del Signore Risorto vivo ed operante nella comunità. Sono convinto che la comunione è una esperienza di vita che crea mentalità, non viene data a priori, dall'alto...
Il diaconato troverà un'attenzione ed un'attuazione consone solamente in una vita di chiesa in cui prima del dato istituzionale viene la vita di comunione, anche all'interno dell'istituzione. Le "novità" evangeliche non cadono mai dall'alto... nascono dalla base, creano un consenso, una stima, una vita... L'autorità poi, secondo il suo carisma, "ordina" questa vita esistente, dà indirizzi specifici... taglia, "pota perché frutti di più"... la fa propria... e diventa di tutti».


domenica 4 settembre 2011

Uomini di comunione


Nel contesto dell'insegnamento ecclesiale dell'evangelista Matteo (18,15-20), dove emerge la regola aurea della vita comunitaria (correzione fraterna, preghiera comune e perdono), mi è venuta in luce la centralità della comunità, quale soggetto di evangelizzazione, per sé e per il mondo. In essa, nella comunità, i ministri ordinati, e quindi anche il diacono, "servono" affinché ad essa sia garantita questa sua peculiarità: l'accoglienza reciproca, il perdono e la testimonianza che il Vangelo è luce per tutti, dove non si sappia solo gestire semplicemente i conflitti, ma si evidenzi il loro superamento in un cammino comune.
Non posso non citare a questo proposito quanto dicono le Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti: «…[i sacri ministri] diventino "ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù Cristo Redentore dell'uomo" (66).
Di particolare importanza per i diaconi, chiamati ad essere uomini di comunione e di servizio, è la capacità di relazione con gli altri. Ciò esige che essi siano affabili, ospitali, sinceri nelle parole e nel cuore, prudenti e discreti, generosi e disponibili al servizio, capaci di offrire personalmente, e di suscitare in tutti, rapporti schietti e fraterni, pronti a comprendere, perdonare e consolare (67).
[Per i diaconi coniugati significa] irradiare la comunione familiare a tutta la Chiesa e la società (68)».