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martedì 21 giugno 2011

Continuando a giocare


21 giugno - San Luigi Gonzaga

Un amico carissimo, nella ricorrenza di san Luigi (di cui porto il nome), nell'inviarmi i suoi auguri chiedeva a san Luigi per me «il suo "gusto" per l'attimo presente, per essere sempre più "in gioco"!».

È nota infatti la testimonianza del Santo quando gli fu chiesto che cosa avrebbe fatto se in quell'istante gli avessero detto che avrebbe dovuto morire. Egli rispondeva che avrebbe continuato a giocare o a fare ciò che stava facendo.

La preziosità dell'attimo presente!
Unica "reale" occasione per amore Dio con tutto me stesso!
Ed in quell'«unicità» mettere in gioco la mia vita, in un continuo filiale abbandono nelle braccia di quel Padre che vuole il "tutto" e il "meglio" per me.
E sperimentare la felicità di riscoprirmi "figlio", in questa originalità divina.

domenica 19 giugno 2011

Come in cielo così in terra


Nella contemplazione di questa giornata, in cui si celebra la Santissima Trinità, mi viene spontaneo pensare alla nostra vita, progettata nel disegno divino ad essere attuata e costruita secondo quel divino modello.
Dio ha tanto amato il modo da mandare il suo Figlio unigenito, perché già su questa terra potessimo pregustare in pienezza la possibilità della vita divina (Cf Gv 3,16-17). Sì, perché Gesù, venendo nel mondo ha portato quaggiù il modo di vivere del Cielo.
Per cogliere almeno un po' di questo mistero di Dio, che è Amore, conviene guardare a Gesù.
San Paolo parla di uno "svuotamento" del Verbo, quando Egli non disdegnò di prendere la condizione di servo, né considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (cf Fil 2,6-8).

Dio perché è amore in sé, è un continuo donarsi, un donarsi totalmente, "da Dio".
Il Padre ama il Figlio, si dona totalmente… si annulla nel Figlio; così il Figlio, nel Padre.
In questo infinito reciproco "svuotarsi", in questo "nulla" di Dio, rifulge l'infinito Amore, lo Spirito.
Gesù nella sua morte in croce, nel mistero del suo abbandono, è il divino modello di questo donarsi reciproco nell'amore, principio di ogni diaconia, fonte di quella carità che porta all'unità.
Così, il discepolo sull'esempio del suo Maestro…
Se amo veramente, se il mio donarmi agli altri è vero, esso è un continuo annullamento di me, un continuo accogliere l'altro, un continuo far spazio all'altro nella mia anima: è uno "svuotarmi" per essere quel pieno che è amore.
Se "non sono", allora "sono", sono amore!
Colgo così nella sua originalità l'invito di Gesù a perdere la propria vita per poterla veramente trovare (cf Mt 10,39).



martedì 14 giugno 2011

Sacramentalità del diaconato


Nel numero 166/2011 della rivista Il diaconato in Italia è stato pubblicato uno studio sul Motu proprio "Omnium in mentem" che ha modificato alcune norme del Codice di Diritto Canonico riguardanti l'ordine sacro. Rimando al testo integrale, nel mio sito di documenti
La riflessione, assai stimolante, verte sulla sacramentalità del diaconato e il rapporto esistente all'interno dell'unico sacramento dell'Ordine, nei tre gradi dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato.
Posto che solo i vescovi ed i presbiteri agiscono in persona Christi Capitis, mentre i diaconi ricevano "la forza di servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio", è importante capire il rapporto intrinseco dei soggetti dei tre gradi del sacramento dell'Ordine.
«Comprendere se il diacono agisce o meno nella persona di Cristo (Capo), non è questione di poco conto, perché vuoi dire capire l'identità teologica, ecclesiale e pastorale del diaconato e quindi il senso ed il valore della sua missione al servizio della comunità ecclesiale. Ci si deve allora chiedere se la modifica del canone 1009 del CDC permette ancora di considerare il diacono come un ministro ordinato ed il diaconato come una realtà sacramentale. Dalla lettura del canone 1008 e del par. 1 del canone 1009 la risposta è senz'altro positiva; tuttavia il paragrafo 3 del canone 1009 sembra quasi introdurre due tipologie di ministri sacri, essenzialmente diversi: da un lato vescovi e presbiteri, ai quali l'ordinazione conferisce la missione e la facoltà di agire nella persona d Cristo Capo, dall'altro lato i diaconi, che invece vengono abilitati a servire i popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità.
Al riguardo è stato giustamente osservato che: "la differenza tra missione ed abilitazione non è solo semantica ma sostanziale. Una cosa è ricevere una specifica chiamata del Signore, confermata dall'autorità della Chiesa ed avere un mandato che consente, a seconda del grado ricevuto, di agire in rappresentanza di Cristo stesso in tutto o parte nel suo triplice munus. Questa è una modificazione ontologica che orienta tutta la vita e l'agire del ministro ordinato. Altra cosa è un'abilitazione che consiste solo nella possibilità di effettuare alcune azioni liturgiche o sacramentali in nome della Chiesa. Anche i laici ministri della comunione sono abilitati a svolgere un servizio liturgico senza aver bisogno di alcuna particolare consacrazione". Si comprende allora che le modifiche dell'Omnium in mentem non rendono "più possibile individuare in modo chiaro il proprium del sacramento dell'ordine. L'aver riservato ai vescovi e ai presbiteri la funzione di presiedere la comunità in nome di Cristo capo introduce una pericolosa divisione all'interno del sacramento dell'ordine, rende difficile determinare l'identità del diacono e non permette di dare una valutazione coerente al suo ministero: il diacono quando celebra il sacramento del battesimo o coordina per incarico del vescovo le attività caritative in diocesi non presiede la comunità in nome di Cristo capo? La diversità del diaconato dall'episcopato e dal presbiterato, evidenziata dalle modifiche introdotte, potrebbe offrire nuovi spunti a chi nega la sua dimensione sacramentale e propone di considerare i diaconi semplici battezzati, ai quali sono affidati ministeri particolari"».
«[…] se si vuole salvaguardare l'unità del sacramento dell'Ordine, si deve necessariamente ammettere che anche il diacono agisce in persona Christi (Capitis), perché è l'ordinazione stessa a donare questa capacità. Tuttavia un diacono non equivale ad un presbitero o ad un vescovo, poiché "la partecipazione sacramentale propria del diaconato, si configura in forma differente rispetto a quella del presbiterato ed ha un suo ruolo attivo insostituibile all'interno della comunità ecclesiale".
"Il diacono è un ministro ordinato e quindi deve avere qualcosa in comune con gli altri ministri ordinati (presbiteri e vescovi), ma deve avere anche qualcosa di diverso, che gli assegna una precisa identità e lo distingue dagli altri ministri. A questo proposito, la LG ha precisato che ai diaconi "sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il ministero" (LG 29). Quest'espressione riprende un testo "tratto dalla Traditio apostolica di Ippolito di Roma (inizio del III secolo) che recitava ad ministerium episcopi, per il ministero del vescovo". Dunque, secondo la formula di Ippolito, i diaconi sono ordinati per il ministero del vescovo. Qui "non si tratta solamente né principalmente del ministero o del servizio che ha per oggetto il vescovo. I diaconi non sono in questo senso dei servitori del vescovo. Essi non sono al suo servizio ma sono destinati al ministero di cui egli è il soggetto di attribuzione. L'espressione è un genitivo soggettivo: i diaconi sono ordinati per il ministero di cui il vescovo è il titolare". In altri termini "i diaconi sono ordinati per il ministero apostolico di cui il vescovo in primo luogo è incaricato: a eccezione della presidenza ecclesiale ed eucaristica, essi esercitano le loro funzioni in tre ambiti o diaconie: la liturgia, la parola e la carità».