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venerdì 30 aprile 2010

Il distintivo del cristiano

2 maggio 2010 – 5a domenica di Pasqua (C)

Parola da vivere

Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34)


C'è aria di novità.
Non una novità qualsiasi, passeggera, facile, ma forte che va pagata a caro prezzo.
Nel comandamento nuovo, "Amatevi come io ho amato voi", Gesù non chiede nulla per se stesso né per Dio, ma soltanto per l'uomo.
Anche a noi è richiesto un amore non fatto di parole, ma creativo, disarmato, che arriva a dare la vita, che si rivela più forte dell'odio e della morte.
Gesù crea per tutti noi lo spazio in cui esista l'autentico amore: alternativa alle tenebre, alle divisioni e discriminazioni. E ciò si attualizza nel compiere gesti semplici, impercettibili, ma carichi d'amore nella quotidianità, nonostante le nostre povertà e incoerenze.
Gli apostoli sono turbati, disorientati, perché Gesù aveva loro parlato della sua partenza, e aveva lasciato loro un così immane e delicato compito: vivere e poi testimoniare con la loro vita l'amore.
Ma Gesù li rasserena e li incoraggia: "Vado e tornerò da voi... il Padre vi manderà lo Spirito Consolatore".
Anche a noi oggi Gesù ci lascia una identità e uno statuto nuovo: "Amatevi anche voi gli uni gli altri". E ciò vale per tutti, è a disposizione di chiunque intenda familiarizzare e vivere "come in cielo, così in terra", assaporando fin d'ora la gioia e la serenità del Paradiso.


Testimonianza di Parola vissuta


Tornando a casa, una domenica sera, la mia attenzione fu attirata da un gruppo di ragazzi che stavano gesticolando di fronte all'entrata di un bar. Mi avvicinai per vedere cosa stesse succedendo e mi accorsi che in mezzo alla cerchia c'era un marocchino, tutto impaurito, che tentava di difendersi.
Osservai meglio e capii che lo stavano prendendo in giro, qualcuno lo insultava, qualche altro voleva afferrare la sua borsa piena di accendini e di cassette per rovesciargliela.
Subito mi sentii spinto ad intervenire e con coraggio dissi a quei ragazzi di smettere. Avevo un po' di timore che avrebbero reagito anche verso di me, invece, fortunatamente, si calmarono e se ne andarono.
Ci ritrovammo soli, sulla strada, il marocchino ed io. Lui si girò verso di me e mi ringraziò. Mi chiese dove avevo imparato quei principi che mi muovevano perché lui finora, nella vita, aveva trovato soltanto discriminazione verso la sua persona e verso la razza a cui apparteneva. Gli risposi che era tutto merito del Vangelo che avevo cominciato a vivere. Il marocchino ci sorrise e poi ci salutammo. "Spero di incontrarti di nuovo" mi disse stringendomi la mano, prima di allontanarsi nel buio della strada.


(Marco, 12 anni)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

giovedì 29 aprile 2010

Convegno sul diaconato: tavola rotonda


Al Convegno di S. Giovanni Rotondo (3-6 Agosto 2009), di cui ho già parlato in queste pagine, (gli Atti si possono consultare nel mio sito di testi e documenti) si è tenuta un'interessante tavola rotonda, nel corso della quale sono state presentate alcune testimonianze e illustrate alcune esperienze, a cui è seguito un dialogo in assemblea. Sono stati riportati alcuni degli interventi fatti nel Notiziario della Comunità del diaconato in Italia. Il testo degli interventi si possono consultare nel mio sito di documenti.

Le testimonianze fanno riferimento soprattutto all'esperienza ed al ruolo della moglie del diacono ed all'esperienza di un cammino fatto assieme, in coppia. Un cammino ancora lungo ma che ha dato risultati positivi, "anche se in prospettiva ci sono davanti a noi degli gli orizzonti di crescita", dove i ruoli all'interno della coppia sono diversi e che bisogna sempre riscoprire.



martedì 27 aprile 2010

Velletri: nuovo diacono



Domenica sera, 25 aprile, domenica del "Buon Pastore", nel contesto della giornata mondiale per le vocazioni, nella cattedrale di Velletri (RM) è stato ordinato diacono Paolo Caponera, 56 anni, commerciante, sposato con Teresa e padre di Emmanuele ed Alessandro.
Commozione intensa; ringraziamento a Dio per questo dono per la sua Chiesa; esperienza di fraternità diaconale che ci proietta nel servizio di una Chiesa sempre più donata ad una umanità che brama quella luce e quella gioia che solo il Signore risorto può dare.

A Paolo ed alla sua famiglia gli auguri più belli!





venerdì 23 aprile 2010

Ascoltare quella voce

25 aprile 2010 – 4a domenica di Pasqua (C)

Parola da vivere

Le mie pecore ascoltano la mia voce (Gv 10,27)


"La parola di Dio si diffondeva" dice il racconto degli Atti e, perché la si viveva, portava molti frutti: neppure le vocazioni mancavano.
Nel Vangelo di oggi viene evidenziato il rapporto che c'è fra chi invita e chi risponde.
Gesù, il pastore, chiama e la gente (le pecore) risponde: "Eccomi!": "ascoltano la sua voce e lo seguono".
Gesù, a chi lo segue, non indica il cammino dall'alto. Ma si fa "via". È per tutti loro luce, guida, sicurezza nelle scelte.
Anche oggi la parola vissuta ha la forza di generare la Chiesa, casa di comunione.
È responsabilità di ciascuno non monopolizzare la verità di Cristo, non fare della lieta e gioiosa notizia pasquale uno steccato di difesa dei nostri privilegi, ma uscire di casa nostra per renderci conto che il Vangelo è per tutti e va in tutte le direzioni.
Noi cristiani, quindi, non privilegiati, ma amati.


Testimonianza di Parola vissuta


Lo scorso anno, siamo andati a conoscere i luoghi dove i primi cristiani hanno testimoniato con la vita, la fede in Gesù. Nel pomeriggio siamo andati ad incontrare i cristiani di oggi, conosciuto i nuovi Movimenti che abbelliscono la Chiesa, scoprendone la Parola che Dio ha dato ad essi.
Ecco alcune impressioni della giornata:
"In me avevo tante domande sulla Chiesa. Non riuscivo a darmi risposte, forse influenzato dai giudizi dei miei compagni di scuola. Oggi ho fatto una esperienza che mi ha fatto vedere quanto la Chiesa siamo noi, il suo popolo formato da tante persone che rendono viva la Sua Parola. Torno a scuola, carico di entusiasmo, non solo potrò dire ai miei amici come realmente è la Chiesa, ma potrò presentargliela con la mia vita".
"Ho capito che per far amare la Chiesa, devo essere io il primo a vivere come Gesù vuole. Questa giornata mi ha fatto capire quanto sia importante vivere la Parola di Vita, per essere Chiesa viva".
"Dopo questa esperienza mi è nata una impensabile passione per la Chiesa".

(M. M.)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

mercoledì 21 aprile 2010

Rocco, sei qui!


Ricorre oggi il primo anniversario della "partenza" dell'amico diacono Rocco Goldini.

Sei qui sempre presente tra noi!
Abbiamo fatto una tratto di strada assieme; abbiamo gioito e sofferto insieme… Abbiamo insieme scritto alcune pagine di vita su questo blog ("Rocco racconta") e raccolte anche sul numero della rivista Gen's dedicato al diaconato…
Grazie, Rocco, per la tua vita! Mi sei stato amico, fratello, maestro… Il tuo amore incondizionato per gli ultimi, mi ha contagiato e mi sprona ad essere sempre in quell'atteggiamento di donazione che vede in Gesù abbandonato il vero modello del mio essere diacono.

Rileggo una tua confidenza che hai scritto su questo blog il 3 settembre del 2008 e che dice la tua anima di quel momento, ma che mi riporta all'essenziale, proprio ora che ricordo l'anniversario della mia ordinazione diaconale:
"In questo periodo la mia vita è tracciata tutta al silenzio, allo scomparire. Tutto gira intorno e mi sembra per un momento tutto pace, gaudio, silenzio, amore. (…)
Questo mio voler "non essere" mi costa fatica, dolore: significa concretamente "scomparire" per fare posto in me a Maria… A Lei ho affidato tutto, tutto, tutto... E mi sembra un gioco, un voler continuare a giocare, anche se a volte, penso, "ma non ho tutto sempre sulle spalle?". No! Continuare a vivere come se tu non esistessi, perché ciò che esiste veramente è solo Lui e tu devi metterti da parte!".

Grazie, Rocco! Sei sempre con noi, vivo, nell'amore della tua sposa Rosa e dei tuoi ragazzi Giuseppe, Nuccia ed Elisabetta.

martedì 20 aprile 2010

Il mio sì


Ricorre oggi, 20 aprile, l'anniversario della mia ordinazione diaconale: un grazie profondo da tutto il mio essere per l'amore con cui Dio mi ha inondato, esperienza unica oltre ogni limite umano e ogni mia incorrispondenza. Luce che ha illuminato la mia vita, quella della mia famiglia e di non poche persone che ho incontrato nella mio impegno pastorale; luce che sgorga dal mistero di Gesù che dà la vita per tutti.
Quel "dare la vita", quel morire, è essenzialmente e contemporaneamente un "vivere": vita che, offerta, rinasce…
L'icona di questa "trasformazione" è Gesù che, nel suo abbandono, muore e risorge: muore Lui e risorgiamo noi, con Lui ed in Lui: noi in Lui, noi-Lui, unico Cristo.
Così è l'esistenza di chi dà la vita per gli altri, per quella porzione di chiesa che gli è stata affidata.
Così è del diacono, sacramento di "Colui che è venuto per servire e dare la vita".
Ritorna alla mente e si imprime sempre più nel cuore quanto ho percepito nel mio intimo al termine della celebrazione dell'ordinazione, quando dissi al mio vescovo, guardando la folla che stipava la chiesa: Oggi ho capito la grandezza del mio battesimo, di quel battesimo che mi accomuna a tutti e mi fa loro servitore. Se grande è la grazia che ho ricevuto, ancor più grande è la grazia di essere chiesa, comunità che ama e che serve, ché senza di lei, io non avrei senso.
Più avanti mi si fece più chiaro che quella affermazione, fatta di getto e sotto l'emozione del momento, raccoglieva in sé una grande verità: se nella mia vita saprò corrispondere alla grazia e sarò quel "nulla d'amore" a cui la "diaconia" mi porta ad essere per i miei fratelli, allora potrò essere tramite di grazia e far crescere la comunità nell'unico amore di Cristo, nella vocazione della chiesa ad essere segno di quell'amore per il mondo. E prende corpo quell'intuizione che mi porto sempre nel cuore, quale meta da raggiungere: Io sono gli altri! Il mio "perdermi", per amore, nei fratelli fa di loro una comunità viva, diaconia in atto, nella reciprocità e verso il mondo in cui è immersa.
Essere fedele a questa chiamata è, con la Sua grazia, ripetere ogni giorno, con la mia vita, la mia totale adesione a Lui, accolto nel culmine del suo abbandono.

venerdì 16 aprile 2010

Il primato dell'amore

18 aprile 2010 – 3a domenica di Pasqua (C)

Parola da vivere


Signore, tu sai che ti voglio bene (Gv 21,17)


Il racconto di Giovanni, coronamento del suo vangelo, è di una bellezza commovente.
Gesù Risorto appare ai suoi discepoli all'alba di un nuovo giorno.
"La rete piena di pesci" è il riconoscimento da parte del "discepolo che Gesù amava". Giovanni, perché ha visto meglio, avverte Pietro: "È il Signore!".
La fede pasquale di Giovanni e dei discepoli permette di riconoscere nel maestro, IL RISORTO.
Ai gesti di amore e tenerezza di Gesù seguono le dichiarazioni d'amore dei discepoli e la risposta di Pietro alla triplice richiesta di Gesù "Mi ami tu più di costoro?", "Tu sai che ti voglio bene".
Pietro ottiene da Gesù la conferma del suo primato: è guida della Chiesa e della comunità che esce all'aperto e diventa missione.
La missione è sempre rischiosa, non poggia sulle sole capacità umane, sulla sola ragione, sulla fragilità nostra, sui nostri peccati, ma sulla forza dello Spirito e sulla gioiosa e libera adesione a Cristo crocifisso risorto.
E così: autorità: (Pietro) e amore (Giovanni) convivono in buona armonia.
Anche per noi, risorti con Lui, è l'amore che ci fa conoscere e amare Dio, l'amore che ci fa famiglia, l'amore che ci fa superare le prove della vita, l'amore che ci fa capaci di testimoniare a tutti che Gesù è risorto, e vive fra noi.


Testimonianza di Parola vissuta


Nella mia parrocchia c'è una signora che ha un carattere particolare... forte... e ogni volta che ci trovavamo per fare qualcosa insieme, i giovani se ne andavano sempre in un altro gruppo, così non si creavano dei problemi. E senza rendermene conto anch'io facevo questo..., questo atteggiamento verso di lei anch'io l'avevo preso.
Quando me ne sono accorta ho detto: no... non è questo che io voglio. Vivere il vangelo non è andare avanti con le cose facili, è proprio portare l'unità dove non c'è e credere in questo amore che cambia i rapporti; quindi era questo che volevo fare con lei.
Così ogni volta che andavo in parrocchia, la cercavo, la salutavo, chiedevo...
Però per dire la verità, le prime volte neanche mi rispondeva, e gli amici mi dicevano: lascia perdere, non si può fare niente. Ma io ero così convinta che è proprio questo l'amore che vince, che fa superare tutto... e sono andata avanti. E dopo un po' le cose sono cambiate.
Lei ha cominciato a rispondere, a interessarsi... anche sorridere, ma non soltanto con me, ma anche con gli altri giovani, con il parroco, con i membri del suo gruppo.
Mi ricordo che qualcuno ha detto: cosa è successo con questa signora? Allora gli ho detto: finalmente l'abbiamo conquistata!

(Anna M.)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

mercoledì 14 aprile 2010

La moglie del diacono, quale cammino


Sto rileggendo alcune testimonianze ed esperienze del Convegno sul diaconato del giugno scorso (di cui ho già parlato), anche riportate negli Atti. Mi soffermo su quelle relative alla figura della sposa del diacono, riportando alcuni stralci che mi sembrano significativi nel periodo di formazione e di discernimento.

- Incontrando le spose, di Silvana Castagneri: «Dagli interventi delle partecipanti al gruppo è emerso un punto fermo condiviso da tutte: la nostra vita personale, che è poi la storia della salvezza nostra, di lui e di lei, viene temporalmente prima il matrimonio e dopo il diaconato dello sposo. Entrambi doni di Dio che non sentiamo, non sono e non possono essere in opposizione. (…)
Forte e unanime è la richiesta di fare il cammino di formazione assieme... Tutte, ma proprio tutte, hanno richiesto questo e hanno insistito su questo tema. È importante e fondamentale per camminare assieme prima e continuare a camminare assieme poi senza che le strade si dividano. Questo cammino di formazione e di discernimento potrebbe anche essere un modo per capire se il "sì" che la moglie dice all'inizio e alla fine dell'iter di formazione sia espresso in piena libertà e non per compiacere il marito o per mancanza di coraggio nel dire no».

- Testimonianza dalla Francia, di Marie-Francoise Maincent-Hanquez: «(…) Nello svolgersi del percorso e della formazione, è importante che la moglie possa esplorare le proprie motivazioni, le proprie riserve e persino il proprio rifiuto a rispondere alla chiamata in tutta libertà, senza sperimentare il peso del senso di colpa, del ricatto o del condizionamento. Col tempo, la sposa deve poter maturare la sua risposta che diverrà un adeguamento dinamico e non subìto, ancor meno costretto ("accetto per fargli piacere"). Il cammino e la maturazione porteranno quindi la sposa a ricomporre parecchi fronti, essenzialmente in 4 ambiti: l'ambito personale, coniugale, familiare e spirituale. La sposa si impegnerà in un lavoro personale, interiore, provocato da una chiamata e attorno ad una chiamata che riguarda soltanto suo marito. Ella è portata a riflettere sul proprio posto, sulla giusta distanza rispetto al diaconato. È portata a ridefinire il proprio io intimo: quello a cui io, sposa, mi sento chiamata nel più profondo di me stessa. La sposa si interroga sulla percezione che essa ha di se stessa, sulla stima di sé e sulle immagini stabilite in un ruolo particolare di sposa il cui marito potrebbe diventare diacono. Il discernimento deve aiutarla a comprendere che anche lei deve realizzarsi pienamente. Il diaconato deve far vivere l'uno e l'altra dentro la coppia. La questione dello sguardo agli altri è anch'essa spesso fonte di inquietudine, specie oggi che le spose hanno in maggioranza una vita professionale e sociale. È quindi perfettamente normale interrogarsi, chiarirsi in merito a questa percezione esterna del mio sposo che diventerà "uomo pubblico". Qual è la percezione sociale della moglie di un diacono? Quella di una coppia nella quale il marito è diacono?
(...)
Quale espressione di Chiesa si legge attraverso il diaconato di un uomo sposato? È una domanda interessante da esplorare. (…) Le spose dei diaconi ritengono che vivere il cammino verso il diaconato in coppia e seguire i percorsi che la coppia si traccia dopo l'ordinazione è una opportunità e una gioia, anche se non tutto è semplice da vivere nel quotidiano: "Il Signore è venuto a cercare mio marito, Egli provvederà, la sua grazia sovrabbonderà rispetto alle mie difficoltà"».

Interessante a questo proposito la relazione di Andrea Grillo (docente di Sacramentaria al Pontificio Ateneo S. Anselmo) sulla Ministerialità matrimoniale e ministero diaconale, nella quale si analizza lo stato di vita di un uomo sposato all'interno del ministero ordinato e la constatazione che «introdurre nel contesto ecclesiale ufficiale una teologia del diaconato come sacramento modifica la comprensione dello sviluppo del sacramento del matrimonio». Il matrimonio, almeno nella chiesa latina, visto come oggetto della cura pastorale da parte di persone "ordinate", ora entra esso stesso nell'ambito del sacramento dell'ordine, come soggetto. «Questo mutamento disciplinare comporta dottrinalmente un cambiamento di identità».

domenica 11 aprile 2010

S.O.S. – meniños de rua


La notizia di questi ultimi giorni dell'alluvione che ha colpito Rio de Janeiro in Brasile, con una pioggia torrenziale ininterrotta che si è abbattuta per parecchi giorni, e che ha ha sommerso interi quartieri di fango, soprattutto quelli più poveri delle favelas, forse è passata in secondo piano nelle notizie che ci vengono proposte.


Ma non posso non fare mio e proporlo ai lettori di questo blog, l'appello dell'amico padre Renato Chiera, missionario piemontese, da 30 anni in Brasile, fondatore della Casa do menor, che ha raccolto dalla strada "circa 100.000 mila bambini abbandonati a se stessi, accogliendoli in centri di recupero, donando loro quell’amore che non avevano mai vissuto e quell’istruzione che permette di vivere una vita vera".

Rimando al sito de L'aquilone farignano onlus dove sono presentate le iniziative di padre Renato ed anche tre interviste sulla sua testimonianza personale, su chi è un ragazzo di strada e cos'è la Casa do Menor.
Per collegarti al sito brasiliano della Casa do menos, clicca qui; mentre per quello di Casa do Menor Italia, clicca qui.
Guarda lo spot per le donazioni: Togli le mani di dosso.

Ecco qui di seguito l'appello della Casa do menor Italia:

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9 aprile 2010


Mentre la pioggia continua la sua opera distruttiva
I bambini di padre Renato chiedono aiuto
I meninos de rua, tolti dalla strada, di nuovo sradicati dalle loro case


Rio de Janeiro, sede delle prossime olimpiadi e della Coppa del Mondo, piange gli oltre 200 morti già fatti dall’alluvione.
Questa metropoli meravigliosa ma densa di contrasti ha una notevole percentuale di abitanti che vivono nelle favelas, fitti agglomerati di baracche spesso addossati sui fianchi delle colline, dove le piogge intense creano facilmente gravi smottamenti.
Sono proprio i poveri delle favelas” sottolinea padre Renato Chiera, il missionario che ha fondato la Casa do menor oltre 20 anni fa, “quelli che maggiormente pagano”.
Padre Renato ha tolto dalla strada circa 100.000 bambini abbandonati a se stessi, che hanno patito ogni sorta di abusi, accogliendoli in centri di recupero e donando loro quell’amore che non avevano mai vissuto e quell’istruzione che permette di vivere una vita vera.
Ora le varie case di accoglienza che Casa do menor ha creato nella tristemente famosa e sofferta Baixada Fluminense, stanno riportando ingenti danni. “Per fortuna senza vittime”, specifica padre Renato, “ma è stato necessario evacuare e chiudere alcune delle case, trovando alloggi temporanei che non permettono l’adeguato proseguimento della nostra opera”. Un’opera quanto mai difficile e rara, che trova il prezioso, indispensabile supporto economico soprattutto in Italia.
Lanciamo un appello e un sos” conclude con malcelata angoscia padre Renato, “per chi vuole aiutarci ad aiutare e a salvare vite. Grazie”.
Chiunque trovi giusto ascoltare questo appello può utilizzare il conto corrente postale n. 12237129, la carta di credito tramite il sito http://www.casadomenor.it/ o il conto corrente bancario con codice Iban IT 15 O 0845046990000120101331.


CASA DO MENOR Italia
ONG (Organizzazione non governativa per la cooperazione e lo sviluppo)
ONLUS (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale)
Via Roracco, 25 - 12089 Villanova Mondovì
Tel e Fax: 0174.69.84.39 - E-mail casamenor@isiline.it
C.F. e P.Iva 02512960044 - Ccp 12237129
Sito Italia: www.casadomenor.org
Sito Brasile: casadomenor.org.br

venerdì 9 aprile 2010

Turbati dall'incredulità

11 aprile 2010 – 2a domenica di Pasqua(C)
Parola da vivere

Mio Signore e mio Dio! (Gv 20,28)

Nel libro dell'Apocalisse le parole "Io ero morto: ma ora vivo per sempre" hanno una tonalità tipicamente pasquale.
Gli Atti degli Apostoli raccontano della nascita - con la grazia dello Spirito Santo che il Risorto aveva effuso sugli Apostoli - di una comunità di persone che credevano all'amore e diventavano testimoni della risurrezione. Essi si amavano e vivevano l'unione fraterna nella preghiera e nella vita.
Dunque la Chiesa, prima di essere luogo del culto, della dottrina, della morale, della religione stessa, è stata ed è essenzialmente il luogo della fede nel Cristo Risorto e presente in essa.
Tuttavia la gioia dei discepoli al rivedere il Signore è turbata dall'incredulità di Tommaso. Otto giorni dopo, Gesù riappare loro, e Tommaso, folgorato dalla grande luce del Risorto, fa la meravigliosa professione di fede: "Mio Signore e mio Dio!".
Anche per tutti noi, Chiesa oggi, è importante esercitare una pedagogia della fede. In mezzo a dubbi, esitazioni, smarrimenti, rifiuti, è bene rispettare i tempi di crescita e maturazione della fede. Non è sufficiente la mia buona volontà di farcela, ma la FEDE è prima di tutto opera dello Spirito Santo nel cuore di ogni singolo uomo e donna.
Testimonianza di Parola vissuta

Alla guida della mia auto combatto contro l'aggressività che affiora in me e negli altri mettendomi in condizione di fare il primo passo; è incredibile, quando agevolo o rinuncio al mio diritto di precedenza, mi accorgo che immancabilmente, all'incrocio successivo, l'anonimo fruitore della mia attenzione fa lo stesso con qualcun altro... Se mi comporto in modo opposto, aumenta invece l'aggressività.
Un sabato, dopo aver accompagnato a scuola mio figlio, ero entrata in chiesa per una breve preghiera sedendomi all'ultimo banco. Ad un tratto, nella chiesa deserta, entra una persona che, avvicinatasi a me, mi strappa la borsa poggiata sulle gambe e fugge via. Il panico: mio marito era in Spagna per lavoro e senza chiavi non sarei potuta rientrare a casa... Avevo in borsa anche tutti i documenti... In uno slancio istintivo mi precipito fuori dalla chiesa, mentre lo scippatore accendeva la sua moto per fuggire. Mi sono aggrappata al suo braccio, pregandolo di lasciarmi le chiavi e i documenti... Mi ha trascinata un po' facendomi cadere e poi è riuscito a fuggire.
Una giovane coppia che aveva assistito alla scena si è subito avvicinata per aiutarmi. Lui, medico, verificato che avevo solo delle contusioni, ha inveito contro lo scippatore con durezza: "Tanto questi prima o poi muoiono tutti; l'Aids fa giustizia". A queste parole, che mi hanno fatto male più dei lividi, ho risposto con tutto l'amore possibile: a me sembrava un povero disgraziato che chissà quali situazioni drammatiche potevano aver spinto a quel gesto disperato. La rabbia del mio soccorritore è svanita e mi ha dato ragione.
Mentre andavo via, riflettendo che solo l'amore può vincere sul male e sull'odio, interrompendo la catena di situazioni negative, poco più avanti ritrovo la mia borsa gettata sul lato della strada: dentro c'era l'intero contenuto anche i soldi. Nulla è piccolo di ciò che è fatto per amore... Anche togliere dalla strada una bottiglia di vetro rotta, lasciare più pulito di come I'ho trovato un bagno pubblico, perché chi ne usufruirà dopo possa trovarlo come avrei desiderato trovarlo io...
(C.L.)
(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)


mercoledì 7 aprile 2010

Vivere della risurrezione, oltre ogni fede


Mi ritornano alla mente, in questo periodo di Pasqua, alcuni pensieri che l'amico Tanino Minuta ha lasciato nel suo blog:
«Gesù risorge nella tua vita, oppure sei tu che risorgi in Lui?
Fai un gesto di sempre, come prepararti un caffè,
aprire una finestra e ti accorgi di essere un altro.
Sei un altro perché qualcuno ti ha comprato, si è impossessato di te.
Guardi con i tuoi occhi gli oggetti che conosci
e ti rendi conto di essere distante dalle cose.
Cosa ti è successo?
Anche se tentassi una risposta, mai l'avresti.
Nella tua vita si è impiantato un Altro e...
paradossalmente soltanto ora la tua immagine è perfettamente a fuoco.
Questa è la tua Pasqua!».

… E la risposta di un suo lettore, Saverio, che ritiene di non avere la fede di Tanino ("Io non ho la fede che traspare dal tuo modo di vivere la vita", in "Qual è la verità?"), che scrive: "Per te risurrezione vuol dire la capacità che l’uomo ha di amare gli altri. Hai fatto centro! La risurrezione, come la fede, non è spiegabile. Si può soltanto farne esperienza".

Di fronte a questo dialogo mi viene spontaneo considerare il rapporto che può esistere tra il credente e chi non si ritiene tale, ma che mantiene rapporti costruttivi con tutti, perché ognuno, nel proprio posto, contribuisce alla fraternità tra gli uomini.

Abituati ad un approccio "teorico" della fede e della risurrezione, spesso contribuiamo ad innalzare steccati tra coloro che vivono all'interno del "recinto sacro" e coloro che, immersi nel mondo, sono alla ricerca di una luce che esprima la verità e dia seno alla vita nel suo contesto concreto.
Viene da concludere che l'importante è "vivere" in questa dimensione positiva, sapendo che "questa vita", produce speranza e dà senso all'esistenza umana.
È già fede questa? È sicuramente condizione per ricevere il dono della fede. Un non credente, quando esprime il suo vivere così, con categorie che potremmo dire di matrice evangelica, è già immerso nel fiotto di vita che circola tra coloro che credono che Gesù è risorto ed è vivo in mezzo a loro.
Una persona che si definisce non credente e che accetta di condividere con i credenti uno stile di vita che nasce dall'amore reciproco, dall'originaria "regola d'oro" di "fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te", ha deciso già di seguire quella luce che per i cristiani è la persona di Gesù.
A questo punto gli steccati sono già abbattuti e l'impegno nostro è quello di non lasciarsi coinvolgere dalla tentazione subdola di costruirne altri, mascherati magari dall'egoistico desiderio di difesa di una verità, di cui non siamo padroni ma della quale siamo solo depositari e di cui dobbiamo rendere conto, come nella parabola dei talenti.
Impariamo così a "convivere" con persone che non la pensano del tutto come noi, ma che sono state comunque toccate dalla luce che proviene da quel sepolcro vuoto, da una morte che è stata sconfitta.
Quante volte anche noi abbiamo vissuto e partecipato della vita di un gruppo di persone senza aver mai incontrato l'animatore di quel gruppo? Noi abbiamo creduto, senza vedere, perché affascinati dalla vita di coloro che erano portatori di quella luce.
Così è dello "Spirito" che anima una vita vissuta così, perché è vivo ed operante in una comunità, che diventa ed è il "luogo" dell'incontro e della condivisione.



sabato 3 aprile 2010

La nostra speranza!

4 aprile 2010 – Pasqua di Risurrezione (C)

Parola da vivere

Cristo, mia speranza, è risorto, alleluia (Sequenza)



Siamo davanti a un mondo che brancola nel buio, senza speranza, in trepidante attesa di Qualcuno che dia una risposta ai nostri perché. Cerchiamo tutto questo però nelle tombe vuote. "Perché cercate fra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto" (Lc 24,5).
I messaggeri celesti, Maria Maddalena, - "Ho visto il Signore", - la chiesa in festa, annunciano a tutti la gioiosa notizia: "Cristo, nostra speranza, è risorto".
Si riaccende la speranza.
Chi può annunciare il Risorto? Quali i testimoni, oggi?
Solo chi l'ha incontrato davvero, solo - come dice Giovanni - chi "è passato dalla morte alla vita, perché ha amato i fratelli", solo chi, orientato verso la luce, fatto nuovo dal Risorto, fa tacere gli schiamazzi del portafoglio, sintonizzando il pensiero e il cuore sul registro della fede e non su quello del profitto.
Oggi il Risorto vuole sentirci parlare di vita, di pace, di perdono che è più creativo della vendetta, di amore che sconfigge l'odio, di luce che mette in crisi la congiura delle tenebre e - di conseguenza - vivere e testimoniare il Vincitore della morte.

Testimonianza di Parola vissuta


Un anno fa ho trascorso da studente alcuni mesi di Erasmus in Belgio. Là i cattolici sono una sparuta minoranza. Eppure quale gioia nell'entrare in chiesa la domenica e vedere volti felici, i sacerdoti con il sorriso durante la celebrazione e l'omelia, fiduciosi nella comunicazione fedele della Buona Novella, senza l'ossessione di risultati pubblici, né tanto meno con la preoccupazione di scontro etico con la modernità.
Vivevo un momento di crisi spirituale e quell'umanità contagiosa mi ha ridonato una profonda voglia di rientrare in ascolto della Parola di Dio. Ha contagiato parecchi altri studenti. Tornato in Italia non ho potuto che avvertire invece un diffuso clima di lesa maestà, quale reazione alla diffusa indifferenza nei confronti di Dio. Non si tralascia l'utilizzo di parole quali persecuzione, assedio, per indicare la non più scontata rilevanza ed esclusività della morale cattolica nell'arena pubblica.
A chi gli chiedeva come sconfiggere la violenza del male san Francesco rispose: "Perché aggredire le tenebre? Basta accendere una luce e le tenebre fuggono spaventate". Non è proprio questo lo scandalo della croce che Gesù ci chiede di seguire?

(lettera ai giornali di A. Cremonini di Roma)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola, come proposto in parrocchia)

venerdì 2 aprile 2010

Li amò fino alla fine


Oggi, venerdì santo, giorno in cui tutta la chiesa si raccoglie nella memoria dell'immenso amore di un Dio che si compromette totalmente con l'umanità ed il suo peccato, sento presente come non mai la persona di Giovanni Paolo II a cinque anni dalla sua nascita al cielo.
"Si è lasciato consumare per Cristo, per la Chiesa e per il mondo intero, senza riserve, senza misura, senza calcolo", ha detto il papa Benedetto XVI alla messa di suffragio.

Riporto alcuni passi della lettera apostolica Novo millennio ineunte (n. 25 e 26) che ben si addicono alla giornata di oggi ed alla figura e all'anima di Giovanni Paolo II.

«La contemplazione del volto di Cristo ci conduce così ad accostare l'aspetto più paradossale del suo mistero, quale emerge nell'ora estrema, l'ora della Croce. Mistero nel mistero, davanti al quale l'essere umano non può che prostrarsi in adorazione.
Passa davanti al nostro sguardo l'intensità della scena dell'agonia nell'orto degli Ulivi. Gesù, oppresso dalla previsione della prova che lo attende, solo davanti a Dio, lo invoca con la sua abituale e tenera espressione di confidenza: "Abbà, Padre". Gli chiede di allontanare da lui, se possibile, il calice della sofferenza (cfr Mc 14,36). Ma il Padre sembra non voler ascoltare la voce del Figlio. Per riportare all'uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del "volto" del peccato. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Cor 5,21).
Non finiremo mai di indagare l'abisso di questo mistero. È tutta l'asprezza di questo paradosso che emerge nel grido di dolore, apparentemente disperato, che Gesù leva sulla croce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34). È possibile immaginare uno strazio più grande, un'oscurità più densa? In realtà, l'angoscioso "perché" rivolto al Padre con le parole iniziali del Salmo 22, pur conservando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell'intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme, in un intreccio toccante di sentimenti, la sofferenza e la confidenza. Continua infatti il Salmo: "In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati [...] Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta" (22[21], 5.12).

Il grido di Gesù sulla croce, carissimi Fratelli e Sorelle, non tradisce l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti. Mentre si identifica col nostro peccato, "abbandonato" dal Padre, egli si "abbandona" nelle mani del Padre. I suoi occhi restano fissi sul Padre. Proprio per la conoscenza e l'esperienza che solo lui ha di Dio, anche in questo momento di oscurità egli vede limpidamente la gravità del peccato e soffre per esso. Solo lui, che vede il Padre e ne gioisce pienamente, misura fino in fondo che cosa significhi resistere col peccato al suo amore. Prima ancora, e ben più che nel corpo, la sua passione è sofferenza atroce dell'anima. La tradizione teologica non ha evitato di chiedersi come potesse, Gesù, vivere insieme l'unione profonda col Padre, di sua natura fonte di gioia e di beatitudine, e l'agonia fino al grido dell'abbandono. La compresenza di queste due dimensioni apparentemente inconciliabili è in realtà radicata nella profondità insondabile dell'unione ipostatica».