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sabato 27 giugno 2009

La valigia con lo spago


L'Agenzia Fides ha riportato la notizia della trasmissione su Rai Uno di una rubrica dedicata ai Migranti, "La valigia con lo spago", appunto, "parola ai Migranti", a partire da lunedì 29 giugno in seconda serata per quattro settimane.

Si legge, tra l'altro: «La comprensione per le persone ai margini della società, ai margini della Chiesa, per i falliti ed i sofferenti, per coloro che porgono delle domande, per gli scoraggiati e gli abbandonati, così da infondere fiducia e di suscitare la volontà di sostenersi vicendevolmente, è il vero nocciolo della moralità cristiana. (…)
A noi spetta riconoscere nel migrante il volto stesso di Gesù, migrante anche Lui, durante la fuga in Egitto; la sua vita è stata una costante ricerca ed affermazione della dignità umana.
(…)
"La valigia con lo spago" apre una finestra nuova sull’universo dei migranti, facendo raccontare dalla loro viva voce cosa significa l’esperienza della speranza, trasformata spesso in sofferenza e dolore… Ci conduce in tutto il mondo, in Argentina, Moldavia, Slovacchia, Francia, Inghilterra, Spagna, Italia, Stati Uniti, Canada, Thailandia, dove il dramma dei migranti è differente, ma profondamente uguale ed umano, e dove il nostro unico compito di cittadini, telespettatori, cristiani è quello di riconoscere, guardare, ed abbracciare, come noi siamo stati abbracciati nell’incontro con la fede che determina la nostra vita. (…)».

Valgono sempre e per tutti le parole di Gesù: "… l'hai fatto a me"!

Link a "La valigia con lo spago"

venerdì 26 giugno 2009

Abbandonati in Lui

28 giugno 2009 – 13a
domenica del Tempo ordinario (B)
Parola da vivere

Non temere; soltanto continua ad aver fede! (Mc 5,36)

Il tempo liturgico ordinario ci accompagnerà fino all'Avvento nel vivere quotidiano: gioie, lavoro, piccoli avvenimenti, imprevisti, limiti, forse la malattia o la morte alle volte improvvisa e tragica.
Nel Vangelo di oggi incontriamo un notabile ricco che sperimenta la sua impotenza davanti alla malattia della figlia adolescente. Un fulmine nella serenità di una famiglia felice, che ha avuto tutto dalla vita. Dio potrebbe ben aiutarlo, lo merita. Alla fine chiede solo un po' di salute.
La donna invece è agitata da sensi di colpa, l'emorragia la rende impura, vive ai margini, ha speso tutto con medici e imbroglioni. Tenta l'ultima carta, i poteri magici del mantello del profeta.
Con loro Gesù ci chiede di fare un passo decisivo dal Dio utile nel bisogno, potente quando noi non possiamo più niente, al Dio che ci vuole abbandonati in Lui al di là del niente e della morte che ci spaventa.
È la prova: per Giairo di affrontare la derisione della gente, del sentire comune ("ha tanto creduto in Dio, ora il suo Dio lo salvi!").
Per la donna è chiesto di passare dalla credulità religiosa nelle cose di Dio (il mantello), allo sguardo amoroso di Dio che ha davanti in Gesù, di Colui che la solleva, ridà dignità e senso al suo vivere inutile.
I due ricevono la vera salute che è la fede incrollabile davanti a qualsiasi ostacolo. Hanno trovato l'unico vero bene che non delude, che proprio con la morte rivela il cuore amoroso di Dio.


Testimonianza di Parola vissuta


Sargon, un ragazzo di Bagdad, da molto tempo soffriva di forti dolori allo stomaco che lo lasciavano spesso quasi immobile, provocati da un virus preso dall'acqua sporca. C'è da dire che dopo la guerra del Golfo per molti anni le tubature erano semidistrutte e l'acqua potabile privilegio di pochi, e la maggioranza della popolazione beveva acqua contaminata.
In quel periodo erano molto poche le medicine che si riuscivano a trovare in Iraq e Sargon aspettava da due mesi la sua, che doveva arrivare dall'estero e che finalmente lo avrebbe guarito. Quando la tanto attesa medicina arrivò, non era in sé dalla gioia e, senza aspettare un minuto in più, è corso a una clinica per farsi fare subito l'iniezione.
Mentre aspettava il suo turno sente una signora anziana, anche lei nella fila, che commentava a voce alta a una sua conoscente che pure lei aveva contratto da tempo lo stesso virus. Sargon si ricorda subito che in quell'anziana era presente Gesù stesso, che ora stava chiedendo a lui una nuova misura d'amore, e sente di rinunciare a quella medicina per offrirla generosamente. L'anziana non credeva ai suoi occhi e baciandolo in fronte lo benedice.
Sargon è tornato a casa contento di essere riuscito a rinunciare a se stesso per amore del prossimo, ma, oltre alla grande gioia scoppiata nel suo cuore, c'era la meraviglia e lo stupore nel constatare che da quel momento il virus era sparito, guarendolo completamente!
"Ho dato a Gesù quello che più mi costava in quel momento, e Lui mi ha ridato la salute", ha spiegato ai suoi genitori che, da quel momento, profondamente toccati dalla fede del loro figlio, hanno sentito la forte spinta di avvicinarsi di più a Dio.

(S.Y., Iraq)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

mercoledì 24 giugno 2009

Il diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 156 (maggio/giugno 2009)



Il diaconato:
dal discernimento alla formazione


Sommario
EDITORIALE
Discernimento e formazione: routine o profezia? (Giuseppe Bellia)

CONTRIBUTO
Un diacono in formazione (Silvestro Paluzzi)

STUDIO
La spiritualità del diacono (II) (Pedro Tena Garriga)

RIFLESSIONI
Diaconi e visconti (Rita e Vittorio Moggi)

ANALISI
La formazione al ministero (Enzo Petrolino)

ATTUALITÀ
La voce di un vescovo: tutti nella stessa barca (Redazione)

FORMAZIONE
La dimensione umana della formazione diaconale (II) (Luca Bassetti)

SERVIZIO
Discernimento e maturità affettiva (Rossana Carmagnani)

EMERGENZE
Una risposta solidale (Dionigi Tettamanzi)

Rubriche
TESTIMONIANZA
Una famiglia in missione (Mario e Giusi Brambilla)

ANNO PAOLINO
Lettera ai Romani (Rosario Pistone)

PASTORALE
Un percorso di piccoli passi (Davide Caldirola)

LITURGIA
Dalla Parola alla liturgia (III) (Pietro Sorci)

Riquadri
La formazione per la catechesi


domenica 21 giugno 2009

Anno sacerdotale


Venerdì scorso il Santo Padre ha dato inizio all'anno sacerdotale.
Sento personalmente che questo è un anno di grazia non solo per i sacerdoti (e quindi per tutta la chiesa in genere), ma anche per i diaconi, chiamati ad una collaborazione così stretta col sacerdozio da essere incorporati nell'unico sacramento dell'ordine.
Mi sono chiesto spesso quale fosse il vero "punto di incontro", tra il sacerdote e il diacono, ambedue segni sacramentali di Cristo Capo e Servo.
È in Gesù in croce, nel mistero del suo abbandono, che vedo questo "annello di congiunzione". È in questo mistero di Gesù che prende forma distintamente il ministero ordinato, che si incarna nella realtà del sacerdote e del diacono: due facce della stessa medaglia, due modi di essere dello stesso Gesù.
Ambedue (sacerdote e diacono) sono nella loro persona figura sacramentale di Gesù che si offre al Padre quale vittima di espiazione per i nostri peccati.
Gesù nel momento del suo estremo sacrificio è sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Quando esprime ciò pienamente? Nel culmine del suo dolore, nel suo abbandono.
Gesù abbandonato è Gesù "Sacerdote", mediatore, pontefice che ristabilisce l'unità dell'umanità con Dio e in se stessa. Gesù abbandonato è lo strumento del Padre per l'attuazione del suo progetto di unità.
Il sacerdote è segno sacramentale di questo essere di Gesù; segno sacramentale dell'uno.

Per quanto riguarda il diacono, anch'egli è segno sacramentale di Gesù, di Colui che ha dato la vita in riscatto per molti (cf. Mt 20,28). Il diacono esprime la sua natura in quanto è segno di Cristo Servo, del Servo di Jahvè, dal volto sfigurato (cf. Is 53,12s; cf. Is 50,6), ridotto a verme e non uomo (cf. Sal 22,7); ridotto a nulla.
È questo "nulla d'amore" che caratterizza Gesù abbandonato, segno dell'Amore del Padre.
Ed è questo "nulla d'amore" vissuto nella propria persona che il diacono è reso capace, sostenuto dalla grazia sacramentale, di rendere efficace la propria diaconia nella costruzione del Corpo di Cristo.
Il diacono è se stesso se è questo "nulla d'amore", come Gesù abbandonato.

Il sacerdote e il diacono formano, nel loro rapportarsi "trinitario", l'icona dell'unico Cristo che si è "spogliato" di tutto, nascondendo la sua divinità ed assumendo la nostra natura mortale, rigenerandola.

venerdì 19 giugno 2009

Divina trasformazione

21 giugno 2009 – 12a domenica del Tempo ordinario (B)

Parola da vivere


Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura (2Cor 5,17)



La più bella Messa l'ha celebrata Gesù, nel clima mistico della Pasqua ebraica e nella trepidazione della nuova Pasqua, tra il Cenacolo e il Calvario. Come testamento il comandamento nuovo dell'amore, come forza l'umiltà del servizio nel lavare i piedi ai discepoli e come supplica estrema l'Unità per i suoi che restavano nel mondo, chiesta al Padre perché il mondo creda.
Inizia così un cammino attraverso il tempo fino a noi per rinnovare ogni creatura e fare di tutti un cuor solo, in Cristo Gesù.
È l'esperienza che tutti dovremmo fare nell'incontro umano-divino della celebrazione eucaristica, culmine e fonte della nostra divina trasformazione.

Così esprime Chiara Lubich questo traguardo sublime:

Ti voglio bene
perché sei entrato nella mia vita
più dell'aria nei miei polmoni,
più del sangue nelle mie vene.
Sei entrato dove nessuno poteva entrare
quando nessuno poteva aiutarmi
ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi.

Ogni giorno ti ho parlato, ogni ora ti ho guardato
e nel tuo volto ho letto la risposta,
nelle tue parole la spiegazione,
nel tuo amore la soluzione.

Ti voglio bene
perché per tanti anni hai vissuto con me
ed io ho vissuto di Te.
Ho bevuto alla tua legge
e non me n'ero accorta.

Me ne sono nutrita,
irrobustita,
mi sono ripresa,
ma ero ignara
come il bambino che beve dalla mamma
e ancora non sa chiamarla
con quel dolce nome.

Ti voglio bene.



Testimonianza di Parola vissuta



Sono sempre stata legata ai miei vestiti e di anno in anno tendevo ad accumularli. Un mese fa, facendo il cambio di stagione, mi sono resa conto di quanto fossi condizionata da questo attaccamento; ho sentito forte la spinta a eliminare dall'armadio tutto ciò che per me era superfluo. Alla fine mi sono ritrovata con poche cose e una grande libertà nel cuore, ho scoperto la bellezza e l'importanza della comunione dei beni materiali!
Questo piccolo taglio mi ha permesso di ridare il giusto valore alle cose mettendo nuovamente Dio al primo posto.


(Una ragazza di 17 anni)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

mercoledì 17 giugno 2009

Essere, solamente...


Riprendo un passo dell'omelia del Papa per la solennità del Corpus Domini, nella quale si rivolge ai sacerdoti esortandoli ad essere uniti a Cristo, quale condizione necessaria per una vera fecondità pastorale. Esortazione che vale per tutti, e quindi anche per i diaconi, quali collaboratori del vescovo e del suo presbiterio.

«Mi rivolgo particolarmente a voi, cari sacerdoti, che Cristo ha scelto perché insieme a Lui possiate vivere la vostra vita quale sacrificio di lode per la salvezza del mondo. Solo dall’unione con Gesù potete trarre quella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministero pastorale. Ricorda san Leone Magno che "la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che riceviamo" (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54). Se questo è vero per ogni cristiano, lo è a maggior ragione per noi sacerdoti. Divenire Eucaristia! Sia proprio questo il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza. Ogni giorno attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri del Cristo e testimoni della sua gioia».

Alle volte il nostro "fare", anche in favore del prossimo, lascia il vuoto nel nostro intimo; e siamo stanchi, "fuori" e "dentro"… Mi sono accorto quanto piena invece è la vita se il mio fare è frutto di una interiorità che ha la sua radice in Dio, nel rapporto personale con Lui. Diversamente è la sterilità completa, anche se sgobbo dalla mattina alla sera, anche se credo di essere utile agli altri, anche se gli amici mi applaudono…
Il frutto che Dio si aspetta da me nasce da questo "rimanere" unito a Lui.
Ho capito che per sentirmi interiormente libero e fidarmi totalmente di Dio non devo essere attaccato a nulla, ma dare tutto… la mia stessa identità di diacono che magari voglio a qualsiasi costo mettere in risalto perché gli altri capiscano. Alle volte si sperimenta una sorta di deserto interiore ed esteriore, legato alla sofferenza che la comprensione della chiamata al diaconato comporta. Tutto questo mi ha fatto capire che Dio mi vuole tutto per sé, al di là di me. E che mi fidi solo di Lui, concretamente… Non tanto dire chi sono, ma esserlo solamente!
… e chiunque potrà capire.


domenica 14 giugno 2009

Quel "mangiare"...


In questo giorno nel quale celebriamo il Corpo e il Sangue di Gesù mi viene in risalto quell'invito (e forse più che un invito!) a "mangiare" di Lui. Alla nostra sensibilità fa un certo effetto quel verbo che ci rimanda ad una qualche azione di cannibalismo, per cui si preferisce l'espressione "nutrirci di Lui", che in contesti particolari risulta magari più adatto, forse perché poniamo l'attenzione già direttamente sull'effetto di questo mangiare: si mangia e quindi ci si nutre. Questo nutrirci però non si esaurisce nel semplice "mangiare" materiale, ma coinvolge tutto un contesto di vita.
Eppure Gesù ha detto "Prendete e mangiate… prendete e bevete…". Anzi, in altra occasione (cfr. Gv 6,22-66) ha proprio stigmatizzato che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non avrà la vita in sé. Di fronte alla perplessità degli astanti che lo accusavano in un certo senso di cannibalismo ("come può costui darci la sua carne da mangiare?"), "molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui". Il mistero è grande! Ma a questo siamo chiamati…
Dopo aver compreso veramente cosa significhi quel "mangiare" e quel "bere", allora potremo anche andare oltre al fatto materiale ed entrare così nella "realtà" a cui il "segno", il sacramento, ci rimanda.
Mi ha colpito, nel commento di Claudio Arletti, la sua osservazione sull'azione rituale del bere il sangue della vittima: «Con l'offerta del vino in quanto sangue dell'alleanza Gesù rompe un fondamentale divieto veterotestamentario. Non si può bere il sangue di un essere vivente perché il sangue è la vita e la vita appartiene a Dio. L'interdetto risale addirittura all'alleanza noachica. Ma qui tutto muta. Dobbiamo bere il sangue perché, ancora, in noi, scorra quella stessa vita. L'eucaristia è una sorta di trasfusione».
Per me, per noi, quel "mangiare" e quel "lasciarsi magiare" mi riporta a quell'assimilazione totale che opera la carità, quando ti immedesimi a tal punto col prossimo, che il "farsi uno" è veramente "essere l'altro"; ed il "bere il sangue" è veramente il prezzo per questa unità.


venerdì 12 giugno 2009

Trasformarci in Gesù

14 giugno 2009 – Corpus Domini (B)

Parola da vivere


Prendete, questo è il mio corpo (Mc 14,22)



La festa del Corpo del Signore corre un rischio; che Gesù oggi offertoci come pane, sia ammirato, contemplato, adorato per le strade e per le piazze, ma poi rimanga chiuso negli ostensori e nei tabernacoli.
Ma Gesù dice: prendete e mangiate! Come vivere allora concretamente il dono dell'Eucaristia?
Dobbiamo prendere e mangiare. Cioè trasformarci in Gesù, essere Lui. Vivere non per sé stessi, ma perché Gesù possa essere, vivere e agire tra i cristiani.
I cristiani poi, tra di loro, se vogliono essere totalitari, devono comportarsi come membri di un solo corpo. Ma non basta. Durante la giornata questa comunione deve farsi concreta nei rapporti sociali in una comunione spirituale, di azioni, di beni.
Questo per i cristiani. Ma per chi non comunica al sacramento del corpo di Cristo? Dobbiamo essere noi con il nostro corpo comunione per loro: amando diamo Gesù.
Anzi, lasciandoci "mangiare" dagli altri, ci facciamo eucaristia per loro. Lasciarsi mangiare vuoI dire essere persone che non impongono se stesse, ma si fanno uno con tutti, che soffrono con chi soffre, godono con chi gode, partecipano alla vita, ai problemi, alle lotte, alle gioie degli altri.
In una continua donazione di amore essi si fanno ponte tra Gesù e l'umanità che così sarà raggiunta dall'invito di Gesù: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo!".


Testimonianza di Parola vissuta


Sul lavoro una cosa che mi ha sempre amareggiato molto è vedere che, se c'era un rimprovero da fare, veniva fatto davanti a tutti; addirittura è successo che una collega era stata rimproverata nel reparto.
Ho sempre chiesto a Gesù che ci fosse il momento giusto per fare qualcosa riguardo a questo. Qualche tempo fa è stata fatta un'assemblea sindacale e alla fine del suo discorso la sindacalista ha chiesto se c'erano domande e problemi da esporre. Era il momento opportuno per intervenire. Così ho chiesto la parola e ho esposto il mio punto di vista, dicendo che avevo assistito a rimproveri fatti a colleghe in pubblico e con parole offensive e trovavo che non fosse giusto: se una collega lavorava male o aveva sbagliato, era dovere della responsabile farglielo notare, ma la cosa doveva avvenire tra loro.
Le mie parole hanno suscitato un mormorio generale di approvazione. Qualche giorno dopo la nostra rappresentante sindacale mi ha detto che il mio intervento era stato molto importante, sapeva che ne avevano parlato ai vertici e insieme constatavamo che da allora non avevamo più assistito a scene di quel genere. Una volta ha detto: "Parlo volentieri con te perché sei una persona umana e corretta. Un tempo ero anch'io come te, cercavo di aiutare tutti, poi ho visto che quando ho avuto io bisogno non si è mosso nessuno, così ora mi fàccio solo i fatti miei". L'ascoltavo cercando di "farmi uno" e sentivo che sotto c'era tanta sofferenza. Le ho detto che la capivo perché anch'io nella vita avevo dovuto affrontare tante prove, ma di una cosa ero certa: voltare le spalle alle persone non era la soluzione giusta per stare meglio.


(Daniela, VR)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

domenica 7 giugno 2009

La radice della comunione fraterna


Mi ha fatto riflettere un intervento dell'amico diacono Vincenzo, sul suo blog, che commentava l'omelia che il Papa ha pronunciato il giorno di Pentecoste. Ho lasciato un commento che trascrivo: «Riporto questa frase del Papa: "La concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera". Cosa possono fare i diaconi? Personalmente (ce lo siamo detto tante volte) sono convinto che se i diaconi sono "se stessi" in seno alla comunità (cioè "anima" di quella diaconìa che fa viva la vita di una comunità ecclesiale e parrocchiale, perché vivono e fanno vivere di quella carità che porta all'unità, animata e sostenuta dalla Parola e da un profondo rapporto con Dio), allora non è una utopia purificare quell'aria che ammorba la vita di relazione che ci circonda. È un lavoro che, se si vuole che non sia sterile, non deve essere fatto da soli, ma in comunione: è il "corpo" che vive, perché è chiesa».

Comunione tra fratelli e preghiera. Con altre parole si potrebbe anche paragonare questa dinamica all'essere uniti come tralci alla vite, per portare frutto, "molto frutto" (cfr. Gv 15,1 e seg.).
Lo Spirito Santo opera e i suoi frutti si vedono se c'è questa vita di comunione, che è, in altre parole, fare esperienza del Risorto vivo e operante in mezzo ai suoi.
La visibilità di cui parla il vangelo è che "vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre…" (Mt 5,16). La visibilità che porta alla glorificazione del Padre è il Cristo Risorto che il mondo vede, oggi: queste sono le nostre "opere buone", Lui presente in mezzo a noi…
La comunità diventa così "luogo" di irradiazione e i frutti, i "molti frutti" si potranno cogliere, a gloria di Dio.
C'è una condizione: essere uniti a Cristo, come tralci alla vite, "perché senza di Lui, non possiamo far nulla" (cfr. Gv 15,5).
Questo è l'antidoto al veleno che ammorba l'aria che respiriamo, nei nostri rapporti, nella società che ci circonda, nella mancata fraternità che vogliamo costruire.
Questa è la diaconia che siamo chiamati a vivere nella vita di ogni giorno.
Il nostro impegno civico è proprio questo: collaborare, nel nostro quotidiano, a questa fraternità che deve esprimersi poi anche nella nostra vita pubblica, nella coscienza di essere costruttori consapevoli del bene comune.


venerdì 5 giugno 2009

Abbraccio di eternità

7 giugno 2009 – Santissima Trinità (B)

Parola da vivere


Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine
dell'età presente
(Mt 28,20)



È facile trovare nelle nostre chiese la rappresentazione popolare della Trinità: Il Padre, vecchio amabile che, a braccia aperte, sostiene il Figlio crocifisso; sui due aleggia la colomba dello Spirito Santo. La maestà mite del Padre sembra dire: "Ti amo, non morirai!".
La nostra esperienza cristiana, guidata dalla pedagogia della liturgia nel ripetersi del cammino di Dio tra di noi come presenza di salvezza, nella Trinità raggiunge il culmine: la sicurezza che nell'amore totalmente dispiegato del Padre la morte è stata sconfitta.
Al di là del dogma teologico, abbiamo vissuto l'emozione di Dio che si fa bambino, compagno di viaggio, maestro e medico in Gesù. Nella sua morte e risurrezione abbiamo provato la certezza dell'uomo nuovo che nasce e cresce in noi per lo Spirito immortale che ci sostiene con il suo amore.
Non basta: nel quotidiano ci è offerto un pane che ci fa morire e rivivere ogni giorno in una continua festa tra il Calvario e la Pasqua. Il Padre continua a dire in noi "ti amo" come lo dice eternamente al suo Figlio.
La Trinità è Dio con noi per tutto il tempo della storia che rimane. La vita e la morte continueranno ad affrontarsi in un prodigioso duello, ma il Signore della vita ormai è vivo per sempre.
La Trinità, sempre mistero, è diventata una Parola, un abbraccio che ci fa pregustare fin da adesso l'eternità: Ti amo, non morirai mai!



Testimonianza di Parola vissuta



Ero in attesa di una bambina. Durante la gravidanza, dalle analisi di routine, emersero dei sospetti che io soffrissi di una malattia seria. La dottoressa che mi seguiva mi fece fare indagini più approfondite, che confermarono quei sospetti.
Dopo la nascita della bimba, altre analisi risultarono positive: quando i medici mi spiegarono la situazione, mi sentii crollare il mondo addosso, per le conseguenze gravi che sarebbero derivate alla mia famiglia. Successivamente mi consigliarono di fare ulteriori controlli che richiedevano lunghi tempi di attesa.
Con mio marito abbiamo cercato di essere amore l'uno per l'altro, volendo riconoscere in questo dolore il volto di Gesù crocifisso e abbandonato a cui ripetere ogni momento: "Sei Tu, Signore, l'unico mio bene".
Ho comunicato ciò che stavamo vivendo anche ad altre giovani sposate con cui cerco di vivere il Vangelo: ho avvertito subito che il dolore non era solo mio, ma era portato insieme da tutte. Gesù presente tra due o tre riuniti nel suo nome, mi dava nuova forza e il giogo della sofferenza non mi opprimeva più come prima. L'attesa fu lunga. L'amore scambievole mi aiutò a vivere il presente serenamente, rendendomi sicura che, qualunque fosse stato l'esito dell'esame, sarebbe stato amore di Dio per me.
Proprio un Giovedì Santo, in cui Gesù ha dato tuffo di sé per noi, mi è arrivato il risultato delle analisi: tutto negativo, la malattia non c'era! Questa mi è sembrata, più che una coincidenza, la risposta di Gesù all'aver cercato di dare a Lui tutto di me e ho sentito l'esigenza di comunicare subito questa notizia a chi aveva condiviso la mia pena, per ringraziarLo insieme.


(S.I., TO)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)