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domenica 19 aprile 2009

Ricordando quel giorno


Nel ringraziare Dio per il dono del diaconato, in occasione dell'anniversario della mia ordinazione che ricorre domani 20 aprile, sono andato coll'anima a quei momenti in cui mi si è manifestata la chiamata. Ne ho scritto qualcosa all'inizio di questo blog.

Vorrei riprendere due particolari. Uno riguarda il momento in cui ho sentito chiaramente che Dio mi chiamava ad un impegno particolare nella chiesa, mentre trascorrevo un periodo di vacanza in montagna, quando alla messa mi sentii attratto dalla figura di quel sacerdote che era come un padre per i suoi fedeli. Ho chiara come allora la percezione di sentirmi "come quel sacerdote", nel senso che io non mi sentivo un collaboratore del sacerdote, ma la stessa mistica realtà di un "unico corpo" assieme a lui: due facce della stessa medaglia, lo stesso Gesù (collettivo). Questo particolare, aggiungo io ora dopo tanti anni ma che allora era come una luce inespressa, mi ha fatto comprendere l'importanza del rapporto del diacono col sacerdote in una vita di comunione, che va ben oltre una semplice collaborazione pastorale.
Quanto scrivevo «Sentivo chiaramente che la mia condizione di sposato non era di impedimento, anzi… Mi sembrava un sogno… e non capivo come si sarebbe potuto realizzare. Più tardi capii che questa chiamata si sarebbe concretizzata nel diaconato», prendeva senso solo se io sono, nella distinzione, "come" quel sacerdote. Diversamente, collaborare da sposato col prete non è esclusivo del diacono... C'è di mezzo un sacrameto; ed il sacramento dell'ordine è uno solo. L'esperienza di questi anni mi ha fatto comprendere che la vocazione al diaconato non è un qualcosa che si "appiccica" al prete, ma è una "unità" che va ben oltre...

Un altro particolare. Scrivevo: «Essere "come" gli altri, ma contemporaneamente "per" gli altri. Nella misura in cui io "sono" (sono diacono - amore concreto - servizio puro) gli altri "sono", non solo singolarmente, ma anche come comunità. Ma questo comporta "non essere", scomparire… Essere, in una parola, "nulla", un nulla d'amore che contribuisce a far generare, per la grazia del sacramento dell'ordine, la comunità.
"Io sono gli altri!" era il pensiero dominante di quel periodo di formazione».
Quello che volevo dire è questo: il mio "non-essere" fa "essere" gli altri, come comunità, perché la dinamica del diacono è l'amore che si annulla - che si fa uno con l'altro -, facendo sì che gli altri prendano coscienza (e quindi "siano") di essere comunità, chiesa; dato che la carità (di cui il diacono ne è segno sacramentale in modo specifico) se non porta all'unità è "cembalo risonante".
«Io sono gli altri»... Io sono quella comunità che sono chiamato a servire (assieme al prete ed al servizio della grazia sacerdotale) e per la quale devo dare la vita, come il chicco di grano che muore per dar vita alla spiga. Da qui la convinzione profonda (che coinvolge tutta la mia vita spirituale e pastorale) che il diacono è tale non tanto per quello che fa, ma per quello che è!

1 commento:

  1. Grazie di questi pensieri... anche io spesso rifletto sul "diaconato"...

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