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venerdì 6 febbraio 2009

La salute...

8 febbraio 2009 – 5a domenica del Tempo ordinario (B)

Parola da vivere

Risanami, Signore, Dio della vita! (dal Sal 146)


Quando le condizioni fisiche ci tradiscono, usiamo una espressione saggia, anche se equivoca nella sua interpretazione: "La salute è tutto, basta la salute!". È vero; se non si sta bene, sentiamo che il nostro esistere è meno vita.
Ma cos'è la salute? Nella preghiera del Salmo diciamo: "Risanami, Signore, Dio della vita!". L'istinto ci porta a voler star bene, ma il Signore ci da di più, ci mette nella condizione di voler bene, anche nella sofferenza, di essere un dono prezioso per gli altri nel volerci bene.
Nel Vangelo Gesù rimette in piedi la suocera di Pietro, liberando la dalla febbre. Avrebbe potuto dire: "coraggio, ti passerà, intanto offri a Dio il tuo dolore per chi soffre come e più di te".
Ma vuole insegnarci che stiamo veramente bene quando amiamo, come questa donna che si mette subito a servire.
C'è salute e vita se viviamo a corpo, strettamente uniti tra noi così che Gesù sia la nostra guida, il nostro capo. L'umanità rivive nel dolore riscattato dall'amore e risana nel servizio che fa del fratello un altro me stesso.

Testimonianza di Parola vissuta


Alcuni anni fa, a un malato di tumore giunto ormai in condizioni terminali, senza più possibilità di cure specifiche, cercavo di attutire almeno i sintomi dolorosissimi legati alla sete, con infusioni di liquidi. Seguivo la Parola di Vita di quel mese (frase del Vangelo che mensilmente propone il movimento dei Focolari): "Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli l'avrete fatta a me".
Ma un giorno, un parente che lo assisteva, mi affrontò e mi chiese di sospendere ogni flebo (si trattava, come detto di acqua, sali e zucchero) e anzi di fargli una puntura "per non farlo soffrire più". Credetti di capire, dalle sue parole dette con tanta passione, che il suo desiderio vero non fosse dare la morte al congiunto, ma di attenuargli la sofferenza. Gli spiegai, senza risentimento, che ciò che facevo era proprio cercare di ridurgli le sofferenze, anche quelle derivanti dalla sete. Quelle flebo che egli riteneva accanimento non allungavano minimamente la vita al malato. Vidi che si sentiva capito, che avvertiva la mia partecipazione alla sua pietà nel rispetto della sacralità della vita.
Da allora ho cercato di moltiplicare la mia presenza vicino a questo paziente, perché non fosse soltanto "tecnica" ma amorevole, compassionevole. Incontrandomi al funerale, quel parente (che sapevo non credente) mi ringraziò e mi disse di aver intuito, in ospedale, vicino al malato, come la presenza di Dio.

(Paolo)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

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