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lunedì 30 giugno 2008

Il diaconato in Italia

Il diaconato in Italia n° 150 (maggio/giugno 2008)






Il diacono tra proclamazione
e testimonianza della Parola






Sommario

EDITORIALE
Per unire il ministero alla testimonianza (Giuseppe Bellia)

CONTRIBUTO
La domenica in assenza del presbitero (Enzo Petrolino)

SERVIZIO
Dall'incarnazione una diaconia per l'oggi (Cruz Oswaldo Curuchich)

SPIRITUALITÀ
Dopo l'oblio della Lectio divina (Fabio Pizzitola)

STUDIO
Il diaconato nella Tradizione apostolica (Michele Bennardo)

IL PUNTO
La proclamazione e l'ascolto (Marco Renda)

ANNUNCIO
Il servizio della testimonianza (Vincenzo Testa)

RIFLESSIONI
Il ministero della Parola a servizio della comunità (Andrea Spinelli)

TESTIMONIANZA
La parola di Dio come diaconia familiare (Rita Lacetera)


Rubriche

ASCOLTO
Il Magnificat dei poveri e dei diaconi (Mario Farci)

PAROLA
Fedeli alla promessa (Luca Bassetti)

COMUNICAZIONI
Per conoscere le ultime generazioni (Graziana Di Bella)
Quando un diacono visita le famiglie (Benito Cutellè)

domenica 29 giugno 2008

Quello che è di tutta la Chiesa


"Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell'universalità e dell'unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un'altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23)" (Sant'Agostino, dai "Discorsi").

Quanto affermato da sant'Agostino dà una coscienza nuova del mio essere chiesa. Da ciò nasce una responsabilità nuova ed un impegno nuovo: concorrere a far fruttificare la grazia concessa a tutti e impersonata in uno.
Nella Chiesa io mi sento a casa, come in famiglia; mi sento accolto, perdonato, e rivestito dell'abito nuovo.
La Chiesa, presenza viva del Risorto, è la speranza del mondo, "affinché tutti siano una cosa sola".

sabato 28 giugno 2008

Se ti senti famiglia

Il 28 giugno del 2004 si svolgevano i fenerali di un carissimo amico, don Diego A., scomparso il 26 giugno). È stato per me più che un amico…, in lui ho sempre sentito quell'accoglienza che fa famiglia, soprattutto nei momenti in cui ne avevo più bisogno.
Riporto una sua poesia.

Se ti senti famiglia

Se ti senti famiglia
la fiducia tra noi
sarà sempre totale

Se ti senti famiglia
c'è una gara continua
nell'offrirsi in dono

Se ti senti famiglia
ogni cosa è nostra,
non più mio né tuo

Se ti senti famiglia
no, né vita né morte
ci potrà separare

Se ti senti famiglia
non c'è legge o barriera
tutto solo è Amore

Se ti senti famiglia
sei in Cristo Signore
con me e tutti gli amici

Se ti senti famiglia
puoi essere in casa
trasparente intimità

Se ti senti famiglia
noi entriamo insieme
nella vera Famiglia

Se ti senti famiglia
procederemo uniti
in comune preghiera

dei figli di Dio
amore scambievole
una Chiesa vitale

Se ti senti famiglia
pronto a dare la vita
il Risorto è tra noi

nel Mistero di Cristo
nel Paraclito Soffio
nell'Amore del Padre

Trinità Beatissima

venerdì 27 giugno 2008

Solo l'amore!

29 giugno 2008 – Santi Pietro e Paolo

Parola da vivere

Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene (Gv 21, 17)

Oggi è la festa del Papa. Il Vangelo ci presenta Pietro che, per la parola di Gesù, diventa "pietra", roccia, solida garanzia della rivelazione del Padre in Gesù.
Il nostro sguardo va subito alle due statue che spesso campeggiano nelle nostre chiese: Pietro con le chiavi del potere, Paolo con la spada della Parola di Dio; due simboli che li rendono giganti nella storia della Chiesa.
Pietro però non sembra aver meriti per essere scelto come "vicario di Cristo": come un bambino al catechismo, ha giocato a indovinare la risposta alla domanda del Maestro: "Né carne, né sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli".
Ben altri momenti ce lo rendono più vicino, più uguale a noi, direi quasi familiare nella nostra fragile esperienza di seguaci di Gesù: quando Gesù lo chiama "satana", quando gli fa riporre la spada, quando il pianto lo distrugge dopo tre tradimenti vergognosi.
Di nuovo pescatore, nell'umiltà del fallimento, lo ritroviamo sulla spiaggia degli entusiasmi giovanili.
"Mi ami tu, più di costoro?". Non c'è momento più tragico di quello in cui non riusciamo più a credere all'amore. Solo l'amore di Gesù può tirarci fuori dalla disperazione del tradimento, per chiederci di ricominciare. Solo Lui sa tutto, il più intimo di noi stessi, solo Lui ci chiede una sola garanzia: "Tu sai che ti amo!".

Testimonianza di Parola vissuta

La Madonna mi accompagna e mi sostiene ogni giorno, specialmente in ciò che ha a che fare con la purezza.
Sono programmatore di computer e quindi passo molto tempo da solo davanti ad esso. Navigo di frequente su internet, per procurarmi delle informazioni che mi servono per il lavoro. Come sappiamo in internet si trova di tutto. È facile imbattersi in siti pornografici. Lavoro da solo e nessuno mi vede, la tentazione di entrarvi è forte. A volte non sono riuscito a resistere e mi chiedevo cosa potevo fare per vincerla. Mi sono rivolto a chi poteva aiutarmi e nell'ascolto umile ho trovato la luce. In quei momenti ho provato a fare il segno della croce e pregare Maria. Ha funzionato!

(Jov, Filippine)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

giovedì 26 giugno 2008

Conoscere Dio!


"Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato" (1Gv 2,3-6).

Conoscere Dio!
Noi occidentali distinguiamo con troppa leggerezza il pensiero dall'azione, dividendo quasi la persona nelle sue facoltà. Ma la persona è "una"; il nostro è un lavoro di unificazione interiore, un lavoro che lo Spirito di Dio opera in noi. "Ascoltare la Parola" è come dire "io sono quella Parola"...
Più che di pensieri o discorsi le persone con cui veniamo in contatto hanno bisogno dell'incontro con la "parola viva", e fare così l'esperienza di trovarci a dimorare in Dio. Il compito che siamo chiamati a svolgere porta la comunità a riscoprirsi luogo dell'incontro con Dio. A noi bruciare nella nostra persona, per il mistero di Gesù abbandonato, la menzogna esistenziale tra predicato e vissuto.

mercoledì 25 giugno 2008

Gli zingari, miei prossimi

Ho avuto occasione di leggere la lettera aperta, che il CCIT (Comitato Cattolico Internazionale Zingaro), dopo il loro incontro internazionale (dal titolo: "Essere artigiani di Pace di fronte a un contesto antizingari crescente") tenutosi a Trogir (Croazia), ha inviato al Presidente della CEI, card. Bagnasco.
(vedi anche il servizio della Comunità di Sant'Egidio)

Riporto alcuni passi.

Come nel suo passato, questa popolazione, ancora oggi, è vittima di un rifiuto e di una povertà inquietanti. Questo giudizio è ampiamente confermato da diversi rapporti ufficiali e seriamente oggettivi.
Di fatto, la situazione in Italia, con l'evolversi di reazioni sempre più violente e ostili caratterizzate da irrazionalità, è particolarmente grave al punto che sembra rispondere a un disegno precostituito. Non denunciare le ingiustizie, ne la deriva sociale che esse creano, costituirebbe un delitto di cui non ci sentiamo di portarne la responsabilità sia come battezzati che come "artigiani della pace".
Per questo sentiamo il dovere tassativo e inderogabile di non tacere!
È profondamente ingiusto l'imputare il comportamento inadeguato di qualche Zingaro all’insieme della comunità...
È profondamente ingiusto che siano diffuse attraverso strumenti politici di primo piano notizie false e tendenziose, confermate e divulgate dai media, senza che alcuna voce, altrettanto autorevole, senta il dovere di approfondirne la veridicità e richiami alla riflessione seria e alla oggettività delle notizie.
È profondamente ingiusto prendere "misure di sicurezza" che rifiutano questa popolazione in quanto tale.
È profondamente ingiusto assistere passivamente ad atti di violenza in terreni di stazionamento che, anche se tutti sanno essere luoghi di vita subumana e abbandonati a se stessi, sono pur sempre e comunque luoghi di vita familiare intensa.
È profondamente ingiusto che una maggioranza permetta, con il suo silenzio, agli "integralisti" di diffondere disprezzo, diffidenza, paura e odio e di "ripulire" ciò che ci disturba. Domani la stessa maggioranza si laverà le mani e si giustificherà affermando che è stata obbligata a ripulire la sporcizia lasciata da altri.

In queste tragiche circostanze, noi non riusciamo a nasconderci dietro un fragile rifugio chiamato prudenza che alla fine provocherà una grave ferita alla giustizia; noi dobbiamo, al contrario, osare di assumere, tutti insieme, il rischio che comporta il messaggio di Gesù Cristo.



Di fonte a queste povertà cosa mi suggerisce la mia coscienza di diacono?
Non posso rimanere indifferente, né demandare ad altri quello che spetta fare a me, come diacono e come persona...
Il compito del diacono, penso, sia quello non solo di rimboccarsi lui stesso le maniche, ma soprattutto quello di essere fermento di un'anima nuova, accogliente, all'interno della comunità, partendo da una personale conversione.

martedì 24 giugno 2008

Ci ha chiamati per nome

24 giugno - Natività di san Giovanni Battista

"Venne un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni" (Gv 1,6).
"Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua" (Lc 1,63.64).

"Si sciolse la lingua perché nascesse la voce… «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1,23).
Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1,1).
Giovanni è voce per un po' di tempo, Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.
Se alla voce togli la parola, che resta? La voce senza parola colpisce l'udito, ma non edifica il cuore. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dice: «Egli deve crescere e io diminuire»? (Gv 3,30)" (Sant'Agostino).

La voce passa, la divinità del Verbo resta!
Quanto si addice tutto questo anche al diacono, che è servitore della Parola!
Chi serve mette in rilievo colui cui offre il servizio. Chi serve a tavola lo fa per la gioia dei commensali; l'attenzione non è rivolta a lui, ma a coloro che sono a tavola e soprattutto all'Ospite d'onore. Nessuno guarda a chi serve, ma tutti si accorgono quando questi manca! «Io sono in mezzo a voi come colui che serve (a tavola)» (Lc 22,27).

La grandezza della nostra chiamata! Ciascuno di noi può dire in tutta verità: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1).

domenica 22 giugno 2008

Ritiro (la moglie del diacono)


Abbiamo appena concluso una giornata di ritiro con la comunità del diaconato della diocesi di Velletri-Segni (RM). Il titolo dell'incontro: La moglie del diacono, argomento stimolante e di grande attualità.
Le relazioni sono state offerte da un diacono e da una moglie di un diacono.
Mi limiterò a riportare alcune impressioni che mi hanno maggiormente colpito.
Dalla relazione scritturistica, trattata dal diacono Pietro, emergeva la figura della moglie o della donna che accompagna o affianca colui che è investito di un ministero da parte di Dio, partendo da alcune figure dell'Antico Testamento, come Sara, a quelle del Nuovo Testamento, come le mogli-sorelle che erano al seguito degli apostoli (prerogativa dell'apostolo cfr. 1 Cor 9).
Caratteristiche essenziali della moglie cristiana al seguito dell'apostolo: essere una donna credente, chiamata non tanto in funzione del marito, ma in funzione del ministero del marito, coinvolta nell'opera missionaria dell'apostolo. Essa è sostegno, consiglio, stimolo; è solidale, per cui se viene colpito uno, viene colpito anche l'altro.
La cosa più interessante è che il frutto di questo ministero condiviso è una famiglia che accoglie, che sa ascoltare, che parla di Dio, che cura le necessità quotidiane, come nel caso di Aquila e Priscilla (Cfr. Atti 18).
Da sottolineare che caratteristica del "diritto" apostolico è l' "exousia", titolo attribuito al Risorto, alla libertà che deriva dalla condizione del Risolto; non condizionato dai limiti, ma che manifesta un ministero di libertà: ciò che è dell'apostolo è anche della moglie dell'apostolo. Ciò che si riferisce all'apostolo si può riferire anche al diacono.
Pensiamo ad una coppia così: è una grazia per la comunità ed una garanzia!

Della testimonianza di Angela (27 anni di diaconato e 37 di matrimonio), voglio sottolineare alcune punti: innanzitutto la convinzione, non solo teorica ma che porta con sé tutto lo spessore di una vita pienamente vissuta, che matrimonio e ministero diaconale non sono in opposizione, in conflitto: si rafforzano invece a vicenda.
Le caratteristiche di questa vita così impostata sono la "scelta" e il "dono". Già nel matrimonio è così; lo diventa maggiormente anche nel diaconato.
Si sceglie "insieme" di costruire una famiglia, si sceglie "insieme" di vivere il diaconato, liberamente. Questa libertà comporta responsabilità, che si manifesta nella fedeltà.
Tutto questo crea ricchezza dell'uno e dell'altra, accresce la solidarietà, rafforza la solidità, che è un costruire sulla roccia, dove non si soccombe di fronte alle inevitabili difficoltà.
L'altra caratteristica, il dono.
Il diaconato è un lungo cammino in cui ci sono molte rose e molte spine. Però, il dono ha valore per il costo che ha!
Il dono porta alla gratuità: nelle rinunce, il dono risplende maggiormente.
Il sacramento è un dono: nel matrimonio è la gratuità per il bene dell'altro; nel diaconato: ci si dona reciprocamente ed insieme ci si dona alla Chiesa.
La moglie può essere anche attiva nelle attività pastorali, ma lei è già attiva nella Chiesa nel dono che fa del marito, nella gratuità, senza cercare riconoscimenti. Questo è già segno visibile. Lo stesso stare in chiesa, alla messa, uno all'altare e l'altra tra i fedeli, è segno visibile di questo dono, gioioso e gratuito. È un dono continuo, che si esprime nella solidarietà reciproca non solo in ambito familiare, ma per il ministero diaconale esercitato dal marito.





sabato 21 giugno 2008

La perla di grande valore

21 giugno - San Luigi Gonzaga

Alcuni pensieri riguardo al santo di oggi (di cui porto il nome) che prendo da quanto proposto dalla liturgia.

"Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come una spazzatura, al fine di guadagnare Cristo…" (Fil 3,8).
"Il regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra" (Mt 13,46-46).

Quello che mi affascina di questo giovane santo è la sua "scelta fondamentale": Dio al primo posto, prima di ogni altra cosa, fosse anche lo stesso sacerdozio a cui si preparava ma che non raggiunse perché non era nei progetti di Dio; l'unione con Dio (sperimentata e coltivata fin dall'infanzia) come unica attrattiva che gli lasciava un senso di pienezza; e l'aver saputo dare la vita nella carità concreta, nell'assistenza agli infermi ed agli sconosciuti (come quello che vide abbandonato sulla strada in fin di vita e che, caricato sulle spalle, portò all'ospedale, contraendo lui stesso la peste che lo condusse alla morte).

Ha scelto "la parte migliore", ha "comperato la perla di grande valore"!

venerdì 20 giugno 2008

Non abbiate paura!

22 giugno 2008 – 12a domenica del Tempo ordinario (A)

Parola da vivere

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo
ma non hanno potere di uccidere l'anima
(Mt 10,28)


Gesù, nel Vangelo di oggi, ci ripete tre volte: "Non abbiate paura!". Non lo dice per convenienza, come facciamo noi spesso, per far coraggio a qualcuno. Lo afferma con la testimonianza della sua vita, come uno che ha un unico costante riferimento nell'amore del Padre: "lo e il Padre siamo uno. Mio cibo è fare la volontà del Padre mio!".
Per questo ci è vicino con la sua paura nelle tentazioni, con l'angoscia nell'orto degli ulivi, con lo strazio disperato sulla croce che lo fa gridare: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?".
Ha paura insieme a noi per portarci con lui all'abbandono tra le braccia del Padre: "Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito". Se la nostra fede è divenuta talmente essenziale da esprimersi tutta con un solo atto di amore: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene!", allora non temiamo più niente. Come quei passeri da due soldi che con la loro serenità ci dicono che nessuno, per quanto piccolo, è dimenticato dal Padre.
Identificati con Gesù, figli nel Figlio, siamo certi che la verità è Dio e mai potrà essere a lungo oscurata e nascosta.
Se siamo e viviamo da Gesù, il Padre ci identificherà con Lui, ci riconoscerà e ci farà partecipi della sua famiglia. Diversamente non ci conoscerà, non ci sarà posto per chi non è figlio nel Figlio.

Testimonianza di Parola vissuta


A 11 anni ho avuto la fortuna di incontrare chi mi ha fatto conoscere Dio Amore, facendone l'Ideale della nostra vita.
Visti i gravi problemi che ha attraversato il Burundi dagli anni detti dell'indipendenza fino ad oggi, mi rendo conto che, se sono ancora vivo, lo devo a questo Ideale. L'arte dell'amore cristiano è stata la mia forza e la mia luce in ogni circostanza. Una sera, dopo una pioggia torrenziale, sono uscito da casa in periferia per andare in città. All'improvviso ho visto un soldato bagnato dalla testa ai piedi che sembrava smarrito. Era notte e non c'era illuminazione pubblica. La prima reazione è stata quella di non fidarmi e tirare diritto perché - lo sappiamo - i militari riescono sempre a ritrovare la loro strada. Inoltre, aveva un fucile con sé. Nel momento preciso in cui stavo decidendo di allontanarmi, mi ha chiamato e chiesto aiuto dicendomi che si era perso. Era talmente ubriaco da non poter camminare senza appoggiarsi a stento sul suo fucile. Ho capito che non dovevo far caso se era dell'altra etnia, ma solo considerare che era a Gesù che avrei rifiutato il mio aiuto. Così l'ho accompagnato.
In fondo alla strada c'erano due ponti da attraversare, fatti di tronchi di alberi. Lui non ce la faceva e ha cominciato a gridare, sedendosi sui tronchi. Mi è passato per la mente che quei soldati sono senza pietà. Ma un'altra voce mi suggeriva che non tutti sono così e che, senza il mio aiuto, avrebbe rischiato di precipitare nel fiume. E così con una mano gli ho sorretto il braccio e con l'altra il fucile. Arrivati in città non saprei dirvi ciò che gli altri hanno pensato, ma lui mi ha ringraziato ed anch'io ero contento.

(Dieudonné, Burundi)


(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

giovedì 19 giugno 2008

La comunità educata al servizio dalla Parola


Continuo prendendo spunto dall’articolo di Tullio Citrini "La parola di Dio educa la comunità al servizio", apparso sul numero 149 (marzo/aprile 2008) della rivista "Il diaconato in Italia".

"Siamo continuamente tentati di immaginare che tutto parta da noi e che anche la parola di Dio sia nelle nostre mani come strumento di una pedagogia che tocca a noi organizzare e gestire".
"La Chiesa non imparerebbe a servire e non saprebbe formare al servizio se dovesse usare la parola di Dio in modo e con animo sbrigativo. Senza un atteggiamento fondamentale di discepolato, di tutte queste cose si può chiacchierare molto, ma senza costrutto".
"Ministero della parola è ascoltare religiosamente e proclamare con fiducia la parola di Dio; sottoporsi e insegnare a rimanere sottoposti a questa parola".
"La parola di Dio ci insegna a non riempirci di parole, perché neanche se fossero o sembrassero pie potrebbero riscattare chi il Signore infine riconoscesse operatore di iniquità (Mt 7,23). Insegna che nel fratello che ha bisogno si serve Cristo (Mt 25,31-46). Insegna che non si può essere servizievoli solo con gli amici; anzi di fronte ad angherie la risposta giusta può essere quella di una disponibilità raddoppiata (Mt 5,38-47). Ci insegna che ogni cosa deve essere fatta «di cuore come per il Signore e non per gli uomini» (Col 3,23)..., liberandoci da quella sottile forma di schiavitù che nasce dal ricevere l'approvazione degli uomini: «Se io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo» (Gal 1,10)".
"Tutti servi di tutti e nessuno padrone di nessuno, perché uno solo è il Signore: è il quadro sconvolgente della comunità cristiana. Il linguaggio del servizio viene dunque compreso bene solo quando viene trasceso: «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità, siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5,13-14)".

La parola di Dio accolta e vissuta da ciascuno diventa l'atmosfera che si respira nella comunità cristiana, se, nella reciproca accoglienza, sappiamo comunicarci i frutti che la parola stessa produce, in umiltà, tenendo fisso lo sguardo su Gesù che attraverso il suo Spirito compie anche oggi i suoi miracoli.

mercoledì 18 giugno 2008

Educati al servizio


Prendo spunto dall’articolo di Tullio Citrini "La parola di Dio educa la comunità al servizio", apparso sul numero 149 (marzo/aprile 2008) della rivista "Il diaconato in Italia".

"La nostra umanità deve essere educata al servizio", perché istintivamente siamo portati ad agire diversamente. "E da che cosa può essere educata se non dalla parola di Dio?".
"Gesù ci educa al servizio non soltanto con le parole, ma con l’esempio: «Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15)".
Nella lavanda dei piedi l’evangelista Giovanni vede “l’inizio della piena rivelazione dell’amore: Gesù, «dopo aver amato i suoi li amò sino alla fine» (Gv 13,1)”.
"Dell’amore che diventa servizio ci rende capaci lo Spirito di Gesù. Egli solo ci sa suggerire e infondere interiormente «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù», che per noi ha assunto «la natura di servo» (Fil 2,5.7)".

Apprendo lo stile di vita del Maestro, se so stare con Lui. Convivere con Lui significa fare l’esperienza liberante e liberatrice di far mia la sua vita, il suo modo di pensare, di agire, di accogliere, di essere. E quello che Lui mi mostra è il modo di vivere di Dio: venendo in terra ha portato con sé il modo di vivere del Cielo, l’amore.
Stare con Gesù non significa semplicemente imparare il suo insegnamento, la sua dottrina; significa far mia la sua parola. Accogliere le sue parole, significa accogliere la sua Persona. Questo si fa solo se si è nell’amore.

sabato 14 giugno 2008

Credere


Può succedere che si debba credere in una persona, che è magari tuo amico e che vorrebbe dimostrarti fiducia, ma che per i limiti umani non sempre ne ha il coraggio. Magari solo l’emergenza ci spinge a lasciare da parte le nostre resistenze e a fidarci gli uni degli altri.

Si crede, perché si crede nell’amore, perché Dio, che è Amore, si manifesta anche in queste situazioni. Credere a Gesù significa aderire alla sua Persona: credere anche quando ci sembra sia lontano, quando non lo sentiamo, quando subentrano difficoltà.

È l’unico modo per dimostrare che il nostro credere è fondato “sulla roccia” e che la nostra vita è testimonianza profetica che Dio è vicino a noi.

Credere... “Credere è la sola opera richiesta dal Maestro”… (G. Bellia, vedi post del 12 giugno "Come servire la Parola").

«Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". Gesù rispose: "Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato"» (Gv 6,28-29).

venerdì 13 giugno 2008

Antonio di Padova, la coerenza alla Parola

13 giugno, Sant'Antonio di Padova

Solitamente siamo portati a guardare a questo santo attraverso la pietà popolare. Mi ha colpito, in questo periodo in cui l'attenzione è focalizzata sulla Parola e sul servizio da rendere alla Parola, quanto ho letto di lui riguardo alla coerenza nei confronti della Parola. Riporto un breve pensiero tratto dai suoi "Discorsi".

«Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. "Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica". Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina».

Testimoni dell'amore di Dio

15 giugno 2008 – 11a domenica del Tempo ordinario (A)

Parola da vivere

Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino
(Mt 10,7)


Gesù ha davanti le folle stanche e prostrate, le vede come un immenso gregge, senza pastore. Contempla anche la messe che biondeggia, come un mare che ondeggia di speranze: lì c'è il pane che può sfamare tutti, mancano però gli operai che trasformino le infinite spighe in cibo per tutti.
Noi, oggi, moltiplichiamo i convegni per dire che il pane c'è, ma non è distribuito con giustizia, perché tutti possano saziarsi. Diamo colpa ai governi, alle disuguaglianze tra mondi, tra nord e sud, denunciamo l'economia selvaggia... e restiamo fermi, a discutere, a fare calcoli.
Gesù invece ci chiama, insieme ai dodici apostoli: tra loro ci sono pescatori, un ex-pubblicano, un partigiano, un futuro traditore e altri uomini comuni di cui non si sa nulla: quindi ci stiamo anche noi. Importante è alzarsi e andare per le strade della vita a spargere la speranza in un mondo nuovo e possibile, perché Dio ci ama e ci vuole felici tutti, senza distinzioni. Testimoni dell'amore di Dio per chi si sente solo, abbandonato, distrutto dal destino, dai suoi peccati, dal mistero del dolore, dal fallimento. Non importa se siamo fragili, poveri tra i poveri, basta che i nostri fratelli trovino in noi le sembianze dell'Uomo, del "buon pastore" che ci raccoglie e ci conduce tutti insieme con tenerezza e amore.

Testimonianza di Parola vissuta


Dopo l'incontro con i miei amici prendo il tremo delle 22,33 per tornare a casa. I vagoni sono semideserti, il viaggio va avanti tranquillo, finché il torpore generale viene scosso da un passeggero arrivato a destinazione che tenta energicamente di aprire le porte automatiche. Sforzo inutile; il viaggio riprende e il signore è costretto a scendere alla fermata successiva. Che è anche la mia.
Ho una stanchezza mortale addosso, è mezzanotte, voglio il letto. "Forse c'è un treno che lo riporterà indietro" penso, cercando cosÌ di mettere a tacere la voce dentro di me che vorrebbe coinvolgermi nell'accaduto. "A quest'ora?!?", incalza quella. Ok, rientro in stazione per controllare l'orario: niente, nothing, nada! Ormai il mio "uomo vecchio" ha perso la partita; torno ai binari e mi offro di portare il signore a casa con la mia auto. Mi guarda incredulo: "Dice davvero?!? Sarebbe un miracolo!". Così conosco Antonio, carpentiere, padre di 5 figli, amante della montagna, che per un crac economico ha dovuto lasciare la sua città d'origine e cercare lavoro a Roma. Ci scambiamo i numeri di telefono, una domenica andrò a pranzo da lui.
Tornando a casa penso agli angeli custodi... Forse Antonio avrà pensato che gli ero stato mandato da Dio. lo, sono certo che era stato Dio a mandarlo da me.

(Ruggero M.C., Roma)

(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

giovedì 12 giugno 2008

Come servire la Parola


Come servire la Parola in modo che questo "servire" non sia sterile e porti i suoi frutti?
È un interrogativo che spesso mi rivolgo. Non so darmi altra risposta se non quella che mi viene dal personale rapporto col Signore Gesù, Parola incarnata del Padre.
Mi chiedo: sono anch'io parola incarnata, parola nella Parola? Il mio dire è la mia vita, il mio modo di pensare, di agire?

Ho ripreso l'editoriale dell'ultimo numero della Rivista "il diaconato in Italia" (nr. 149) di don Giuseppe Bellia dal titolo appunto "Come servire la Parola".
Ne riporto alcuni passi che mi hanno fatto capire che il mio servire la Parola, perché sia segno profetico, deve innestarsi nel mio vissuto quotidiano e dare senso e colore all'esistenza ed alla testimonianza.

"Servire la parola" è affermazione risaputa e molto vociata in certi ambienti ecclesiali. La messa in opera è però così rara che si dura fatica a comprenderne sapienza e praticabilità; in ogni caso il servizio reso alla parola di Dio non sembra più legato all'azione profetica che connatura il mistero del Logos divenuto carne. Stessa sorte tocca anche alla "diaconia della parola", espressione carica di senso biblico e ministeriale che rischia di essere soltanto descrittiva di una prassi cultuale dove, di fatto, poche possibilità di presenza o irruzione sono assegnate alla gratuita e indisponibile opera della profezia.
Per servire la parola bastano poche cose… mai nessuno è stato raggiunto e convertito da esibizioni di forza e di potenza o da ostentazioni di grandezza e di magnificenza. I discepoli di Emmaus, carichi di conoscenza "carnale" del rabbi galileo e appesantiti da speranze generate da ingannevoli interpretazioni della Scrittura - aspettavano un'azione liberatrice di rivalsa da colui che era stato «potente in opere» - non avevano occhi per riconoscere il Risorto dai morti che conversava con loro lungo la via, mentre il ladrone pentito, nel liberatore fallito della croce ha saputo vedere il Signore della gloria. Credere è la sola opera richiesta dal Maestro (Gv 6,26) che apre gli occhi del cuore alla comprensione delle Scritture e "servire la Parola" è mediazione priva di valenza testimoniale che trattiene la forza della profezia se non è accompagnata dalla fede di vuole essere servo della Parola.
Servire la Parola significa rendere oggi visibile e udibile lo Spirito che parla nelle sacre Scritture portandole a compimento.
Nel solco dell'incarnazione… la "diaconia della Parola" diviene il segno della profezia di cui i diaconi sono strumento di mediazione storica oltre che sacramentale.

Con occhi e cuore nuovi mi appaiono le parole del profeta Geremia: "Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti" (Ger. 15,16).

mercoledì 11 giugno 2008

Rocco racconta (Manda me...)


Come essere Parola che dà speranza? Come servire la Parola che si è fatta "carne"?
Raccolgo questa testimonianza dell'amico Rocco, diacono in terra di mafia. E' una testimonianza carica di tutto il limite legato alla nostra umanità, ma piena di quella confidenza in Gesù che è la fonte della nostra diaconia.
(Le altre testimonianze sono raccolte nella rubrica "
Rocco racconta").


Si è dovuto procedere ad uno arresto per resistenza, minacce e offese a pubblico ufficiale: un padre di 5 figli abusivo in una casa degli IACP durante lo sgombero eseguito a seguito di un'ordinanza del Sindaco.
"I poveri saranno sempre più poveri e i ricchi saranno sempre più ricchi" (Paolo VI), "Quello che a voi sopravanza è quello che manca ai poveri" (S.Vincenzo De Paoli). L'urlo dei giusti è ascoltato dal Signore! Il perché è mistero, non ha nessuna ragionevolezza, è puro amore!
Dammi, o Dio, di poter credere ancora, rafforza la mia fede. A volte sono stanco e sfinito e non vedo altro che tristezza! Soprattutto quando i media si mettono a parlare, a disquisire su cos' è la mafia ed ognuno dalla parte della pancia piena si mette a dire... Ma cosa c'è da dire davanti a tanti bambini innocenti? Che colpa hanno loro se i genitori si sono macchiati di crimini e li hanno relegati in situazioni di fame? Che colpa hanno, se la società è cieca e si nasconde dietro a un perbenismo che fa male e non riesce a vedere neppure al di là del proprio naso?
Dammi, Signore, tutti i poveri... Dammi tutti i perché... tutti i carcerati... dammi... e dove non posso arrivare… manda sempre me! Aspettami però un po', perché riprenda fiato e sappia ritornare subito da Te!
Ho bisogno d'incontrarti e l'ultimo caso è proprio disperato. Ma non è disperato il Tuo Grido, "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Anche se fatto duemila anni fa non l'hai emesso Tu in quel giovane disperato, senza casa, disoccupato, con il 416 bis? Ma che colpa hanno i 5 figli che gridano impauriti alla presenza dei vigili urbani? E perché dobbiamo togliere loro la casa, quando già lui è povero e non ha nulla? Perché? E ad entrare c'è un altro povero, forse ancora più povero...
Ma chi è il povero, il senza Dio... chi è? E perché questi non hanno avuto la possibilità di conoscerti? Forse, Signore, ti devo chiedere scusa, perché per troppo tempo sono stato fermo, chiuso nel mio io, non pensando che fuori di me c'erano fratelli che stavano ad aspettarti, che avevano bisogno d'incontrarti... ed io non ho fatto tutta la mia parte. Ti chiedo perdono, Signore, per l'amore che Tu mi hai donato e che io ho nascosto e non ho fatto vedere.
Certamente questo mio fratello adesso sta soffrendo perché forse anch'io ho le mie responsabilità. Pago anch'io per tutto quello che non ho fatto per loro; togli a me e da' a loro; da' soprattutto l'amore di cui necessitano. Chi colmerà il loro debito? Chi restituirà loro la pace, il lavoro, la sicurezza, l'amore? Perdonami, Signore! Ho bisogno veramente di cambiare il mio cuore!

martedì 10 giugno 2008

Efrem, innamorato della Parola

9 giugno, Sant'Efrem, diacono e dottore della Chiesa

Ho cercato di accostarmi alla figura di questo santo diacono e dottore della Chiesa per conoscerlo meglio. Efrem è un innamorato della parola di Dio: la medita, la spiega e la mette in versi e in musica, e la canta. Quello che mi ha colpito in lui è che non lo fa per soddisfare il suo raffinato gusto artistico, ma perché la fede metta radici nella cultura del suo popolo.
Scrive nei Commenti al Diatesseron: "Il Signore ha colorito la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla. La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti".
Inoltre, pur prediligendo una vita di contemplazione, immerso negli studi e nella predicazione, egli ha saputo mettere da parte la penna dello scrittore e la cattedra del maestro, quando Edessa, la sua città, fu saccheggiata dagli unni e poi provata da una tremenda carestia. Con una strategia non comune organizzò i soccorsi, raccogliendo viveri nelle campagne e promuovendo un'autentica comunione di beni tra tutti gli abitanti.
Il diacono e il dottore della Chiesa!

lunedì 9 giugno 2008

Dimorare in Dio


"Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4,16).
"Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi" (1 Gv 4,12).
"Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui" (1 Gv 3,24).
"Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato" (1 Gv 3,23).

Dimorare in Dio è il compimento di ogni esistenza umana, la nostra realizzazione completa. Se siamo nell'amore, questo "dimorare" non è un fatto isolato, una esperienza singola, ma si compie in comunione. È il disegno di Dio: fare dell'umanità una sola famiglia.
In questa direzione si pone l'augurio che sant'Ignazio di Antiochia rivolge ai Romani nella sua lettera: "A quanti sono uniti tra loro come lo sono il corpo e l'anima, fusi nell'obbedienza ad ogni comando di Dio, ripieni della sua grazia, compatti fra loro e alieni da ogni contaminazione estranea, a tutti auguro santamente ogni bene in Gesù Cristo nostro Dio".

Nella comunità ecclesiale il diacono è segno e strumento di comunione. A questo proposito mi ritorna alla mente quanto si richiede ai diaconi: "Di particolare importanza per i diaconi, chiamati ad essere uomini di comunione e di servizio, è la capacità di relazione con gli altri. Ciò esige che essi siano affabili, ospitali, sinceri nelle parole e nel cuore, prudenti e discreti, generosi e disponibili al servizio, capaci di offrire personalmente, e di suscitare in tutti, rapporti schietti e fraterni, pronti a comprendere, perdonare e consolare. Un candidato che fosse eccessivamente chiuso in se stesso, scontroso e incapace di stabilire relazioni significative e serene con gli altri, dovrebbe fare una profonda conversione prima di poter avviarsi decisamente sulla strada del servizio ministeriale" (Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti, nr. 67).

domenica 8 giugno 2008

"Misericordia io voglio!"


Essere al servizio (ovviamente non si è al servizio di se stessi, ma si è sempre al servizio di qualcuno) significa renderci in qualche modo "disponibili".
C'è una disponibilità interiore, del cuore, e c'è una disponibilità formale… Ad ogni modo se il mio servire è vero, la mia disponibilità nasce sempre dal cuore. E questo comporta rimettermi continuamente in quel atteggiamento che è tipico di Gesù: aver misericordia.
Vedere ogni volta con occhi nuovi chi mi è accanto, mia moglie, i figli, i colleghi di lavoro, gli amici… tutti quelli che incontro, cercando di spostare sempre il giudizio, che come una fiera è sempre in agguato.

venerdì 6 giugno 2008

Lasciarsi amare

8 giugno 2008 – 10a domenica del Tempo ordinario (A)

Parola da vivere

Affrettiamoci a conoscere il Signore (Os 6,3)

Il Caravaggio, quando ha dipinto la chiamata di Levi, ha avuto una grande intuizione: ha identificato lo sguardo di Gesù con il raggio di luce che illumina i volti di Levi e dei suoi amici gabellieri.
La misericordia ha bisogno di incontrarsi con la miseria, per poter manifestarsi. Il Figlio dell'uomo è venuto non per i giusti, ma per i peccatori. "Misericordia voglio, non sacrificio".
Farci conoscere dal Signore è svestirci delle foglie di fico con cui vogliamo nascondere la nostra nudità e lasciarci vestire del suo abbraccio. Se ci lasciamo amare, poi saremo capaci anche noi di amare: venderemo tutto per possedere il tesoro nascosto, la perla preziosa.
Levi, il cui nome ancora oggi fa pensare a chi vive con ossessione per il denaro, diventa Matteo, evangelista e evangelizzatore, martire, tutto di Dio, fino al dono della vita.


Testimonianza di Parola vissuta

Quando mio marito ci ha abbandonato, Luca aveva quattro anni e per lui ho trovato la forza di continuare a vivere.
Un giorno ho sentito, per la prima volta, dire che Dio è amore e sostiene chi soffre... Ho intuito che dovevo dare una svolta decisa alla mia esistenza. Per Luca dovevo essere madre e padre, senza offuscare con il mio profondo risentimento il suo legame con il padre.
Cercando di vivere il Vangelo passo a passo, in me si è operato un cambiamento; il grande amore verso un solo uomo si stava riversando su chi mi passava accanto: parenti, amici, colleghi, alunni...
Dopo un silenzio di quasi dieci anni, Luca ha incontrato il padre e, non essendo cresciuto nel risentimento, gli è sembrato normale riprendere i contatti con lui.
L'anno scorso Franco è stato in ospedale ed ho consigliato Luca di andarlo a trovare. Quando abbiamo avuto grossi problemi economici a Luca è venuto spontaneo chiedere aiuto a suo padre che gli ha dato piena disponibilità. Lui, che un tempo ci aveva privati di tutto portandosi via persino i cucchiaini, ora cominciava a restituirci non quello di cui ci aveva privato, ma l'amore che gli avevamo dato.
(E.F., Italia)
(da "Camminare insieme" - vedi Testimoniare la Parola)

giovedì 5 giugno 2008

Il "non-essere"


Il vangelo di oggi (Mc 12, 28-34) mi riporta all’essenziale: amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze ed il prossimo come se stessi “vale più di tutti gli olocausti”.
L’amore è l’essenza della vita. L’amore esprime “relazione”.
Quando si ama si vorrebbe stare sempre con la Persona amata.
Quando si ama… Se non sono nell’amore, come posso “stare” con la Persona che desidererei, vorrei amare?
Io, se non amo, non sono!
Non solo non sono assieme o accanto alla Persona che vorrei amare, ma “realmente” NON SONO! Perché l’essenza del mio essere è l’Amore!

C’è un “non-essere” vuoto, che porta alla morte. Esiste però anche un “non-essere” che porta alla vita. Ed è l’Amore.
Se amo, non sono (mi annullo, dono tutto me stesso, dimentico di me per proiettarmi fuori di me, nell’altro); ma perché amo, SONO!
Il "non-essere" è la vera essenza dell'essere! ...perché l'essere è l'Amore, Dio!

domenica 1 giugno 2008

Una diaconia speciale

Ritorno dopo un po' di tempo di assenza durante la quale sono stato alquanto impegnato.
Se non fosse perché coinvolge direttamente la mia diaconia, non parlerei in questo blog (i cui argomenti hanno un taglio particolare) dell'avvenimento veramente gioioso vissuto della mia famiglia, e cioè il matrimonio di nostra figlia.
Ecco l'avvenimento speciale: a presiedere il rito del matrimonio, e quindi a rappresentare la Chiesa, era il padre della sposa!
Esperienza unica e singolare, ricca di grazia per la mia famiglia e per la nuova famiglia appena costituita, e per l'intera comunità.
Dopo aver accompagnato Micol all'altare e consegnata ad Angelo, ho vestito i paramenti diaconali, ed assieme a due sacerdoti, abbiamo iniziato la santa messa.
Non dirò molto, soprattutto per non rovinare la bellezza di una giornata in cui tutti, indipendentemente dalle convinzioni diverse, hanno respirato quel clima di "famiglia" che ha il suo fondamento nell'Amore di Dio per le sue creature. Amore mutuato dall'unità dei credenti e trasmesso, quasi per simbiosi, a tutti i presenti.
Non era certo la novità di un matrimonio celebrato dal padre della sposa a creare un certo clima; era piuttosto la percezione che lo Spirito si rende presente anche attraverso la testimonianza semplice, discreta, ma decisa di chi veramente crede che Dio opera attraverso le persone che hanno messo a base della loro vita l'amore evangelico.
Personalmente è stato come generare nostra figlia una seconda volta: ora però ad una nuova vita che si sarebbe realizzata non più singolarmente ma in comunione. Se a presiedere il rito a nome della Chiesa era il padre diacono, nella mia persona però era presente, per l'unità piena nel sacramento, anche mia moglie Chiara; non nella formulazione del rito, ma nella nostra unità che in Dio è reale.
La bellezza della famiglia diaconale! Dalla piccola chiesa domestica che è la famiglia, alla Chiesa che è la comunità dei credenti!